REMS: urge una complessiva riforma di sistema

Pierangelo Cirillo
28 Febbraio 2022

La sentenza in commento affronta alcune rilevanti questioni inerenti alla costituzionalità delle norme che hanno portato alla graduale chiusura degli OPG e alla loro sostituzione con le REMS quali strutture per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive (OPG e CCC). Il processo di riforma è stato lento e graduale e ha avuto inizio con il DPCM del 1° aprile 2008, che ha previsto il passaggio alle Regioni delle competenze sanitarie attinenti agli OPG. Ulteriori fondamentali passaggi di tale articolato processo di riforma sono stati realizzati con la l. n. 9/12 (d.l. n. 211/2011), che ha previsto il completo superamento degli OPG e l'istituzione delle REMS, e la l. n. 81/2014 (d.l. n. 52/2014), che ha fissato nuovi e fondamentali principi in materia di mds detentive...
Massima

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3-ter del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legge 31 marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 2014 n. 81, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 32 e 110 della Costituzione poiché il loro accoglimento produrrebbe un risultato incongruo rispetto all'obiettivo perseguito.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, nel giugno del 2019, disponeva l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero presso una REMS di P. G., indagato (tra l'altro) per il delitto di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e che il consulente tecnico del P.M. aveva ritenuto affetto da infermità psichica e socialmente pericoloso. Il Gip aveva disposto che, sino a quando che non fosse stato possibile collocarlo in una REMS, fosse provvisoriamente applicata nei suoi confronti la misura della libertà vigilata, da eseguirsi presso una struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico-riabilitativi a carattere estensivo (SRTR), da individuarsi a cura del centro di salute mentale territorialmente competente.

Il P.M. aveva quindi chiesto al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia di indicare la REMS presso la quale potesse essere eseguito il ricovero.

Con riferimento a tale richiesta, il DAP si era limitato a comunicare un elenco di strutture, precisando però che, essendo la loro gestione affidata (in base al decreto emanato il 1° ottobre 2012 dal Ministero della salute di concerto con il Ministero della giustizia) al servizio sanitario regionale, la responsabilità della presa in carico di P. G. competeva alla Regione Lazio e al relativo servizio sanitario; sicché lo stesso DAP rilevava di non avere alcuna possibilità - allo stato della legislazione vigente - di « incidere sulle manifestazioni di volontà di quelle REMS che […] rifiutavano di ricevere l'internando non dando esecuzione al provvedimento emesso dall'Autorità giudiziaria ».

Nel corso dei successivi dieci mesi, il P.M. aveva invano tentato di eseguire l'ordinanza di ricovero, ricevendo sempre dinieghi dalle locali aziende sanitarie a causa della indisponibilità di posti. Nel frattempo, peraltro, la persona sottoposta a indagini si era sistematicamente sottratta a tutte le terapie e agli obblighi inerenti alla misura di sicurezza della libertà vigilata, disposta in via provvisoria in attesa della disponibilità di un posto in una REMS.

Nell'aprile del 2020, il P.M. aveva trasmesso gli atti al Gip per i provvedimenti di competenza in ordine alle disposte misure di sicurezza, che erano risultate non eseguibili.

In risposta a tale richiesta, il Gip sollevava questioni di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 del codice penale e dell'art. 3-ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legge 31 marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 2014 n. 81.

A parere del giudice rimettente, tali disposizioni violerebbero nel loro complesso, in primo luogo, gli artt. 27 e 110 della Costituzione, « nella parte in cui, attribuendo l'esecuzione del ricovero provvisorio presso una Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministro della Giustizia in relazione all'esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria ». In secondo luogo, esse violerebbero gli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost., « nella parte in cui consentono l'adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia ».

Con separata ordinanza, emessa in pari data rispetto all'ordinanza di rimessione, il Gip disponeva la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata, in ragione delle plurime e gravi trasgressioni degli obblighi relativi da parte dell'interessato, dando atto però della persistente necessità di disporre il suo ricovero in una REMS, che da quasi un anno era stato impossibile eseguire.

Il Presidente del Consiglio dei ministri non interveniva in giudizio, né si costituiva l'indagato.

Esaminata la causa nelle camere di consiglio del 26 maggio e del 9 giugno 2021, la Corte Costituzionale pronunciava ordinanza istruttoria (n. 131 del 2021, depositata il 24 giugno 2021), disponendo che, entro novanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza stessa, il Ministro della giustizia, il Ministro della salute, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nonché il Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio depositassero una relazione, per quanto di rispettiva competenza, sui quesiti formulati nella medesima ordinanza.

In particolare, la Corte costituzionale riteneva necessario acquisire, ai fini della decisione, una serie di informazioni concernenti il funzionamento concreto del sistema delle REMS, introdotto a partire dal 2012 in sostituzione di quello degli OPG. Nei 14 punti elencati nell'ordinanza chiedeva, fra l'altro, di indicare il numero delle REMS attive sul territorio di ogni regione e quanti pazienti fossero effettivamente ospitati in ciascuna di esse nonché di chiarire se esistessero forme di coordinamento tra il ministero della Giustizia, il ministero della Salute, le ASL e i Dipartimenti di salute mentale volte ad assicurare la pronta ed effettiva esecuzione, su scala regionale o nazionale, dei ricoveri nelle REMS; se fosse prevista la possibilità dell'esercizio di poteri sostitutivi del Governo nel caso di riscontrata incapacità di assicurare la tempestiva esecuzione di tali provvedimenti nel territorio di specifiche Regioni e se le eventuali difficoltà riscontrate fossero dovute a ostacoli applicativi, all'inadeguatezza delle risorse finanziarie o ad altre ragioni.

Nelle more, il 25 giugno 2021, un diverso giudice della sezione penale del tribunale di Tivoli trasmetteva alla cancelleria della Corte la sentenza da lui stesso emessa, in qualità di giudice monocratico, il 15 aprile 2021 e divenuta definitiva il 1° giugno 2021, con la quale P. G. era stato assolto dalle imputazioni formulate nei suoi confronti, essendone stata riconosciuta la totale incapacità di intendere e di volere all'epoca dei fatti, e con la quale era stata applicata nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata minima di un anno. Nella motivazione della sentenza si dava atto, in particolare, che - nelle more del giudizio di legittimità costituzionale - il 5 ottobre 2021 era stato possibile eseguire, nei confronti di P. G., il ricovero in REMS ordinato dal Gip e che la perizia medico-psichiatrica disposta dal tribunale in sede di giudizio dibattimentale aveva evidenziato un quadro di maggiore consapevolezza della propria patologia e disponibilità a seguire le cure; il che consentiva un giudizio di diminuita pericolosità sociale, che rendeva la meno restrittiva misura della libertà vigilata « adeguata a fronteggiare il livello di pericolosità sociale attuale che il G. presenta e maggiormente utile a favorirne il percorso terapeutico ».

La questione

La sentenza in commento affronta alcune rilevanti questioni inerenti alla costituzionalità delle norme che hanno portato alla graduale chiusura degli OPG e alla loro sostituzione con le REMS quali strutture per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive (OPG e CCC).

Il processo di riforma è stato lento e graduale e ha avuto inizio con il DPCM del 1° aprile 2008, che ha previsto il passaggio alle Regioni delle competenze sanitarie attinenti agli OPG. Ulteriori fondamentali passaggi di tale articolato processo di riforma sono stati realizzati con la l. n. 9/12 (d.l. n. 211/2011), che ha previsto il completo superamento degli OPG e l'istituzione delle REMS, e la l. n. 81/2014 (d.l. n. 52/2014), che ha fissato nuovi e fondamentali principi in materia di mds detentive.

Con le REMS si è spostato il baricentro delle mds dal controllo sociale alla cura e alla risocializzazione della persona. È vero che si tratta di strutture residenziali, ma all'interno di esse il soggetto viene avviato a percorsi prettamente terapeutici e riabilitativi, ad opera di personale medico e sanitario, inquadrato nel SSN. È prevista anche la vigilanza, ma è esterna. E per evitare sovraffollamenti poco compatibili con i programmi terapeutici è stato previsto che, in ogni REMS, il numero di posti non possa essere superiore a venti.

È stato introdotto il principio di residualità delle misure detentive (art. 1, comma 1, l. n. 81/2014): nel caso di infermità di mente (e semi infermità), l'OPG e la CCC possono essere disposte, anche in via provvisoria, solo se ogni altra misura risulti inadeguata alle esigenze di cura e al controllo della pericolosità sociale.

E con l'art. 1-quater della l. n. 81/2014 si è superato il principio dell'indeterminatezza della durata della mds (che consentiva di mantenere in atto la misura fino a quando non fosse concretamente cessata la pericolosità del soggetto), disponendo che « Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive […] non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima ». Si è dunque fissato un termine massimo per tutte le mds detentive, ancorandolo al massimo edittale previsto per il fatto di reato commesso dal soggetto, per determinare il quale, si devono applicare i criteri fissati nell'art. 278 c.p.p.

L'attuazione della riforma è stata molto lenta e travagliata: gli ultimi OPG sono stati effettivamente chiusi solo nel 2017, benché la normativa a regime ne avesse previsto la definitiva chiusura nell'aprile 2015; ben poche sono state le REMS realizzate e, conseguentemente, i giudici si sono trovati di fronte a una situazione di fatto ben diversa da quella presupposta dalla legge: quest'ultima imponeva loro di ricoverare in REMS il soggetto sottoposto al loro giudizio, ma concretamente non vi era disponibilità di posti in tali strutture.

Di fronte a tale situazione si è venuto a trovare anche il Gip del Tribunale di Tivoli, che ha ritenuto che le difficoltà applicative della riforma siano dovute anche ad alcune norme che si porrebbero in evidente contrasto con fondamentali principi di rilievo costituzionale; ha conseguentemente sollevato davanti alla Corte costituzionale le relative questioni:

le norme che hanno portato alla graduale chiusura degli OPG e alla previsione delle REMS quali strutture per l'esecuzione dell'OPG e della CCCe, in particolare, gli artt. 206 e 222 del codice penale e l'art. 3-ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 2014 n. 81, nel loro complesso, si pongono in contrasto con gli artt. 27 e 110 della Costituzione, « nella parte in cui, attribuendo l'esecuzione del ricovero provvisorio presso una Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministro della Giustizia in relazione all'esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria? »;

le medesime norme si pongono in contrasto gli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost., « nella parte in cui consentono l'adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia? ».

Il Gip del Tribunale di Tivoli assume che l'impossibilità sino a quel momento riscontrata di dare esecuzione alla propria ordinanza di ricovero in una REMS trovi la propria causa non già in difficoltà di ordine pratico o organizzativo, quanto piuttosto in un assetto della normativa in materia incompatibile con la Costituzione, sotto due differenti profili.

In primo luogo, la disciplina censurata estrometterebbe completamente il Ministro della giustizia da ogni competenza in materia: il che contrasterebbe con l'art. 110 Cost., a tenore del quale « spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia ». Per il rimettente, proprio tale estromissione spiegherebbe l'impossibilità di eseguire il provvedimento di ricovero in REMS nel caso concreto: la gestione esclusivamente sanitaria delle REMS, interamente affidata alle Regioni, farebbe sì che il Ministro della giustizia, e in particolare il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), non siano in grado di assicurare la tempestiva esecuzione di una misura di sicurezza, e cioè di un provvedimento emesso dal giudice per far fronte a una situazione di pericolosità sociale di una persona che risulta aver commesso un fatto di reato, o a carico della quale sussistono gravi indizi di commissione di un tale fatto. Evidente, pertanto, risulterebbe la violazione del precetto costituzionale che affida allo stesso Ministro della giustizia la responsabilità del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

In secondo luogo, la disciplina censurata sarebbe costituzionalmente illegittima, nella misura in cui demanda ad atti normativi secondari, ovvero ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, la regolamentazione di aspetti essenziali della disciplina relativa a una misura di sicurezza privativa della libertà personale che si risolve, al tempo stesso, in un trattamento sanitario obbligatorio. Evidente, pertanto, risulterebbe anche la violazione delle riserve di legge poste dagli artt. 25, terzo comma, e 32, secondo comma, Cost., in materia, rispettivamente, di disciplina delle misure di sicurezza e di trattamenti sanitari obbligatori. Tali riserve sarebbero eluse per effetto del rinvio, operato dalle disposizioni censurate, a fonti secondarie e ad accordi con le autonomie territoriali, i quali avrebbero da parte loro determinato un'applicazione non omogenea nel territorio nazionale della disciplina in materia di REMS.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale, sebbene riconosca l'effettiva sussistenza dei vulnera lamentati dal giudice rimettente, ritiene, tuttavia, inammissibili tutte le questioni sollevate.

Va osservato, preliminarmente, che la Corte delimita l'ambito del giudizio, escludendone i censurati articoli del codice penale.

Tutte le censure erano state formulate dal rimettente nei confronti del combinato disposto degli artt. 206 e 222 c.p. e dell'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011, come convertito, nel testo da ultimo modificato dal d.l. n. 52 del 2014, come convertito.

La Corte, però, rileva che, a ben guardare, esse concernono soltanto l'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011 e successive modificazioni: e cioè la disposizione che, nel disciplinare il processo di definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e la loro sostituzione con le REMS, avrebbe - nella prospettazione del rimettente - estromesso il Ministro della giustizia da ogni competenza rispetto all'esecuzione delle misure di sicurezza disposte dal giudice penale nei confronti di persone inferme di mente, in violazione dell'art. 110 Cost., e avrebbe altresì demandato a fonti normative secondarie o ad accordi con le autonomie territoriali la regolamentazione di aspetti essenziali delle misure di sicurezza in esame. Per contro, gli artt. 206 e 222 c.p. - che disciplinano rispettivamente l'applicazione provvisoria e definitiva, tra l'altro, della misura di sicurezza del ricovero in OPG (da intendersi oggi riferita al ricovero in una REMS ai sensi del menzionato art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211 del 2011) - nulla dispongono né in merito alle competenze del Ministro della giustizia, né in merito alla precisa disciplina delle REMS: le questioni di legittimità costituzionale che hanno ad oggetto tali disposizioni del codice penale, pertanto, debbono considerarsi in radice inammissibili per aberratio ictus.

La Corte, invece, relativamente all'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011 (nel testo risultante dalle successive modificazioni), ritiene che effettivamente sussistano “le frizioni” con i principi costituzionali evidenziate dal giudice rimettente.

Prima di affrontare la questione relativa alla violazione del principio di riserva di legge, delinea con precisione quale sia la natura della misura di assegnazione a una REMS.

Orbene, all'esito di un'approfondita analisi del quadro normativo, riconosce a essa una natura “ancipite”: strumento di tutela della salute mentale, ma anche misura di sicurezza finalizzata a contenere la pericolosità sociale di un soggetto che ha commesso un fatto di reato.

Sotto il primo profilo, evidenzia le norme che dispongono l'esclusiva gestione sanitaria delle REMS, da effettuarsi nell'ambito dei sistemi sanitari regionali e, in particolare, dei rispettivi dipartimenti per la salute mentale. Sottolinea poi come la disciplina in materia preveda che l'attività di sicurezza e di vigilanza nell'ambito delle strutture in questione debba rimanere soltanto “perimetrale” ed “esterna”.

Afferma, tuttavia, che l'assegnazione a una REMS - così come oggi concretamente configurata nell'ordinamento - non può essere considerata come una misura di natura esclusivamente sanitaria, ponendo in rilievo due norme: il comma 4 dell'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011, il quale dispone che, a partire dalla data di definitiva chiusura degli OPG, « le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2 », sempre che permanga la pericolosità sociale della persona interessata; il comma 1-quater dell'art. 1 del d.l. n. 52 del 2014, convertito nella legge n. 81 del 2014, che include espressamente il « ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza » tra le « misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive ».

Dalle due norme, emerge in maniera evidente che l'assegnazione alla REMS costituisce, a tutti gli effetti, una nuova misura di sicurezza, ispirata sì a una logica di fondo assai diversa rispetto al ricovero in OPG o all'assegnazione a CCC, ma applicabile in presenza degli stessi presupposti e alla cui concreta esecuzione sovraintende il magistrato di sorveglianza.

La Consulta evidenzia, poi, come la natura di misura di sicurezza non sia incompatibile con la finalità di cura della malattia mentale: « anzi, proprio in tale concorrente finalità - essa stessa espressiva del dovere primario dell'ordinamento di cura della salute di ogni individuo, sancito dall'art. 32 Cost. - si realizza, rispetto a questa specifica categoria di autori di reato, la vocazione naturale di ogni misura di sicurezza al loro recupero sociale che accomuna, nel vigente quadro costituzionale, pene e misure di sicurezza ».

Dalla natura di misura di sicurezza a spiccato contenuto terapeutico che l'assegnazione in una REMS assume nella legislazione vigente, la Corte fa conseguentemente discendere la necessità che essa si conformi ai principi costituzionali dettati, da un lato, in materia di misure di sicurezza e, dall'altro, in materia di trattamenti sanitari obbligatori.

Quanto al primo versante, richiama proprio l'art. 25, terzo comma, Cost., che dispone che nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge: si tratta di una riserva di legge statale, da intendersi come assoluta.

La Corte osserva che, per quanto l'art. 25, terzo comma, espressamente richieda soltanto che la legge preveda i “casi” in cui può essere applicata una misura di sicurezza, una lettura di tale norma alla luce dell'art. 13, secondo comma, Cost. non può non condurre alla conclusione che la legge deve altresì prevedere, almeno nel loro nucleo essenziale, i “modi” con cui la misura di sicurezza può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto: « è impensabile che la Costituzione abbia inteso, in linea generale, gravare la legge dell'onere di precisare le modalità delle possibili restrizioni della libertà di personale, e abbia poi rinunciato a tale requisito proprio nei confronti delle pene e delle misure di sicurezza, e cioè delle misure che più tipicamente sono suscettibili di restringere la libertà personale degli individui, ed anzi di privarli della loro libertà, spesso per periodi duraturi o - addirittura - per l'intera vita residua ».

Considerazioni in parte analoghe, la Corte esprime anche sul diverso versante della riserva di legge in materia di trattamenti sanitari obbligatori, di cui all'art. 32, secondo comma, Cost., quanto meno allorché un dato trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come "obbligatorio" (con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso), ma anche come "coattivo" (potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi, sia pure entro il limite segnato dal rispetto della persona umana): le garanzie dell'art. 32, secondo comma, Cost., in tal caso, debbono sommarsi a quelle dell'art. 13 Cost., che tutela in via generale la libertà personale, posta in causa in ogni caso di coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona; con conseguente necessità che la legge preveda anche i “modi”, oltre che i “casi”, in cui un simile trattamento possa essere eseguito contro la volontà del soggetto interessato.

Dalla ricostruzione offerta dal Giudice delle leggi emerge con chiarezza che, in considerazione della sua natura giuridica, la misura dell'assegnazione alle REMS è rigorosamente sottoposta al principio di riserva di legge.

L'attuale disciplina in materia di assegnazione alle REMS, però, rileva la Corte, presenta evidenti profili di frizione con il principio costituzionale in questione, fondandosi, in gran parte, su fonti diverse dalla legge.

L'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011, come convertito, rappresenta, infatti, la sola disposizione contenuta in un atto avente forza di legge su cui si fonda, oggi, l'intera disciplina dell'assegnazione a una REMS. La disposizione in parola contiene, al comma 4, la clausola di "trasformazione automatica" del ricovero in OPG e dell'assegnazione in CCC nella nuova misura; al comma 3, si limita a dettare tre principi generali (esclusiva gestione sanitaria, attività di vigilanza perimetrale e di sicurezza esterna, destinazione – di norma – dei posti nelle strutture a soggetti residenti nella regione) cui si sarebbe dovuta attenere la regolamentazione delle nuove “strutture”, ancora neppure individuate con il nome di REMS; il comma 2 demanda poi pressoché interamente tale disciplina a un successivo decreto non regolamentare del Ministro della salute, da adottarsi di concerto con il Ministro della giustizia e d'intesa con la Conferenza Stato e autonomie territoriali.

Appare, dunque, indiscutibile che la gran parte della disciplina delle REMS si fonda oggi su atti diversi dalla legge. Essa, infatti, si rinviene nel decreto ministeriale del 1° ottobre 2012, nell'accordo adottato in Conferenza unificata il 26 febbraio 2015 e, a cascata, in tutti gli atti conseguenti adottati a livello delle singole Regioni e Province autonome.

Le fonti primarie - e in particolare le norme del codice penale, in combinato disposto con l'art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211 del 2011 - indicano solo in quali “casi” può trovare applicazione la nuova misura di sicurezza. I “modi” di esecuzione della misura, e dunque della privazione di libertà che ne è connaturata, restano invece pressoché esclusivamente affidati a fonti subordinate e ad accordi tra il Governo e le autonomie territoriali.

Palese, quindi, risulta il contrasto della norma censurata con il principio di riserva di legge in materia.

Contrasto che il Giudice delle leggi ritiene sussistente anche con l'art. 110 Cost., avendo l'art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211 del 2011 e le fonti subordinate a esso collegate sostanzialmente estromesso il Ministero della giustizia pressoché da ogni competenza in materia di esecuzione della misura di sicurezza in oggetto.

Dagli scarni dati normativi vigenti, osserva la Consulta, non si evince in effetti alcuna specifica indicazione sulle competenze del Ministro della giustizia rispetto a strutture definite espressamente come “a esclusiva gestione sanitaria”; strutture che l'accordo tra Governo e autonomie territoriali, stipulato in sede di Conferenza unificata il 26 febbraio 2015, ha poi affidato interamente al personale sanitario delle Regioni o delle Province autonome, al quale spetta la direzione della struttura e la gestione dei rapporti con l'autorità giudiziaria, anche con riferimento ai provvedimenti da questa emessi, come i permessi o le licenze. La competenza del DAP è essenzialmente limitata all'indicazione, all'autorità giudiziaria che ne faccia richiesta, della REMS territorialmente competente all'accoglienza dell'interessato, il cui effettivo ricovero è però subordinato alla dichiarazione di disponibilità di un posto letto da parte del responsabile della struttura.

Una simile situazione, rileva la Corte, risulterebbe coerente con una prospettiva che riconoscesse natura di mero trattamento sanitario all'assegnazione in REMS, ma non appare in linea con la caratterizzazione di tale assegnazione come misura di sicurezza: « una misura di sicurezza disposta dal giudice penale in seguito alla commissione di un reato da parte dell'interessato, sulla cui esecuzione è chiamato a sovraintendere il magistrato di sorveglianza, e che può essere sempre da lui revocata o modificata, rientra a pieno titolo - non meno di quanto avviene per la pena - tra i “servizi relativi alla giustizia”, e in particolare della giustizia penale, sulla cui organizzazione e funzionamento il Ministro della giustizia esercita una competenza fondata direttamente sull'art. 110 Cost. ».

La Corte precisa che, essendo la misura in questione fortemente caratterizzata in senso terapeutico, non contrasta affatto con la Costituzione l'affidamento della gestione delle REMS ai sistemi sanitari regionali, ma non può, però, ritenersi conforme all'art. 110 Cost. una disciplina che, come quella vigente, non attribuisca alcun ruolo in materia al Ministro della giustizia, lasciando così le singole autorità giudiziarie (magistrati di sorveglianza, ma anche giudici penali e pubblici ministeri durante la fase delle indagini preliminari e del processo) a interagire direttamente con le strutture amministrative delle singole REMS e i vari dipartimenti regionali per la salute mentale, ciascuno operante con logiche differenti e sulla base di realtà organizzative tra loro assai eterogenee.

Evidente, dunque, risulta il contrasto della norma censurata anche con l'art. 110 Cost.

Il Giudice delle leggi ritiene che non siano infondate neppure le osservazioni del Gip del Tribunale di Tivoli relative al grave malfunzionamento strutturale del sistema di applicazione dell'assegnazione in REMS, che, nel caso oggetto del giudizio a quo, è dimostrato dall'impossibilità di eseguire la misura nei confronti dell'interessato, a quasi un anno di distanza dall'ordinanza che per la prima volta l'aveva disposta in via provvisoria, ma che, in termini generali, risulta provato dai dati emergenti dall'istruttoria esperita in sede di giudizio costituzionale, che hanno largamente confermato la prospettazione del rimettente: un numero di persone almeno pari a quelle ospitate nelle 36 REMS allo stato attive (numero compreso tra le circa 670, secondo i calcoli del Ministero della salute, e le 750 persone, secondo i calcoli del Ministero della giustizia) è in attesa di trovare una collocazione in una REMS, nella propria regione o altrove; la permanenza media in una lista d'attesa è pari a circa dieci mesi, ma in alcune Regioni i tempi per l'inserimento in una REMS possono essere assai più lunghi; le persone che si trovano in lista d'attesa sono spesso accusate, o risultano ormai in via definitiva essere autrici, di reati assai gravi.

La Corte sottolinea la gravità dell'esistenza di liste d'attesa nell'esecuzione di provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria nei confronti di autori di reato, sul presupposto della loro pericolosità sociale e sulla base di una valutazione di probabilità che essi commettano nuovi fatti previsti dalla legge come reati: « per loro natura, simili provvedimenti dovrebbero essere immediatamente eseguiti, così come destinate a essere immediatamente eseguite sono le misure cautelari previste dal codice di procedura penale che si fondano sulla necessità di prevenire rischi quale - in particolare - il pericolo di commissione di gravi reati da parte dell'imputato ».

Una situazione in cui sistematicamente restano per molti mesi ineseguiti provvedimenti volti a evitare la commissione di nuovi reati, osserva la Corte, lungi dal costituire un inconveniente di mero fatto nell'attuazione concreta della disciplina legislativa, evidenzia invece un difetto sistemico di effettività nella tutela dell'intero fascio di diritti fondamentali che l'assegnazione a una REMS mira a tutelare: quelli delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare, e il diritto alla salute del malato, al quale non vengono praticati i trattamenti e le cure che dovrebbero aiutarlo a superare la propria malattia e a reinserirsi nella società.

Il Giudice delle leggi, dunque, ritiene che non solo sussistano “le frizioni” delle norme in esame con alcuni fondamentali principi costituzionali, ma anche che siano fondate le osservazioni del Gip rimettente relative al grave malfunzionamento strutturale del sistema di assegnazione alle REMS. Nondimeno, dichiara inammissibili le questioni sollevate, poiché il loro accoglimento produrrebbe un risultato incongruo rispetto all'obiettivo perseguito.

Rileva, infatti, quanto alla censura concernente l'estromissione del Ministro della giustizia da qualsiasi competenza significativa in materia di collocazione nelle REMS, in violazione dell'art. 110 Cost., che l'istruttoria compiuta ha mostrato come lo specifico problema lamentato dal giudice a quo - l'inesistenza di un meccanismo che consenta di collocare tempestivamente il soggetto in una REMS - non sia affrontabile semplicemente mediante una pronuncia che restituisca al Ministro della giustizia una competenza nel processo di individuazione di una REMS disponibile e di successivo collocamento in essa dell'interessato, anche al di fuori della Regione di residenza di quest'ultimo. I dati forniti congiuntamente dai Ministri della giustizia e della salute e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, infatti, hanno mostrato che, allo stato, tutte le REMS esistenti nelle varie realtà territoriali sono occupate quasi al limite delle rispettive capacità regolamentari; sicché i posti disponibili sull'intero territorio nazionale sono ampiamente inferiori al numero delle persone che si trovano in lista d'attesa: « il rimedio auspicato dal rimettente sarebbe, in questo caso, palesemente inidoneo a garantire il risultato pratico cui egli mira ».

Ad effetti addirittura contrari a quelli sperati dal Gip di Tivoli porterebbe un'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione delle riserve di legge poste dall'art. 25, terzo comma, e dall'art. 32 Cost., che determinerebbe l'integrale caducazione del sistema delle REMS, « che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG; e produrrebbe non solo un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, ma anche un risultato diametralmente opposto a quello auspicato dal rimettente, che mira invece a rendere più efficiente il sistema esistente, mediante il superamento delle difficoltà che impediscono la tempestiva collocazione degli interessati in una struttura idonea ».

La Corte, in definitiva, ritiene che le norme censurate (ad eccezione di quelle contenute nel codice penale) siano effettivamente in contrasto con gli artt. 25, 32 e 110 Cost., ma che, ciononostante, non possa esserne dichiarata l'incostituzionalità poiché l'accoglimento delle questioni sollevate produrrebbe un risultato incongruo rispetto all'obiettivo perseguito.

Evidenzia, però, la necessità di una complessiva riforma di sistema, che assicuri: un'adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza; la realizzazione e il buon funzionamento, sull'intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni; forme di adeguato coinvolgimento del Ministro della giustizia nell'attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale, attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata.

Nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni, la Consulta pone in rilievo l'urgenza dell'intervento del legislatore, sottolineando che non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi della sua inerzia in ordine ai gravi problemi individuati dalla pronuncia in commento.

Osservazioni

La pronuncia in commento affronta questioni di particolare interesse che meritano alcune osservazioni a margine.

Alcune riguardano il profilo più squisitamente processuale.

Sotto tale profilo, va rilevato il ricorso operato a quel particolare tipo di pronuncia interlocutoria costituita dall'ordinanza istruttoria prevista dall'art. 12 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale: « La Corte dispone con ordinanza i mezzi di prova che ritenga opportuni e stabilisce i termini e i modi da osservarsi per la loro assunzione ».

In linea teorica, la norma, per quanto scarna, attribuisce molteplici poteri alla Corte, aprendo persino alla possibilità di disporre deposizioni orali. Ciononostante, nelle poche occasioni in cui sono stati esercitati tali poteri, i giudici costituzionali hanno prediletto la forma scritta, per il tramite dell'ordinanza istruttoria.

E tale forma è stata preferita anche nel caso in commento, in cui la Corte con ordinanza istruttoria (n. 131 del 2021, depositata il 24 giugno 2021), aveva disposto che, entro novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento, il Ministro della giustizia, il Ministro della salute, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nonché il Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio depositassero una relazione, per quanto di rispettiva competenza, sui quesiti formulati nella medesima ordinanza.

Nel caso specifico l‘attività istruttoria disposta dalla Corte si lascia particolarmente apprezzare perché consente finalmente di avere un quadro certo sull'effettiva applicazione della riforma che ha portato alla chiusura degli OPG e alla loro sostituzione con le REMS.

Erano noti i ritardi nell'attuazione della riforma (gli ultimi OPG, come detto, sono stati effettivamente chiusi solo nel 2017, benché la normativa a regime ne avesse previsto la definitiva chiusura nell'aprile 2015); così come era palese il ridotto numero delle REMS realizzate rispetto all'effettivo fabbisogno.

I giudici, in conseguenza di ciò, si erano venuti a trovare di fronte a una situazione di fatto ben diversa da quella presupposta dalla legge: quest'ultima imponeva loro di ricoverare in REMS il soggetto sottoposto al loro giudizio, ma concretamente non vi era disponibilità di posti in tali strutture.

Proprio per far fronte a tali gravissimi problemi, alcuni giudici di merito hanno pensato di ricorrere alla misura di sicurezza della libertà vigilata, prevedendo, però, delle prescrizioni particolari – che includessero anche il ricovero in una struttura residenziale – in grado di soddisfare le esigenze di tutela della collettività di fronte a un soggetto socialmente pericoloso, ma anche (e prima di tutto) di garantire la cura e la risocializzazione del soggetto. In taluni casi, hanno accompagnato la misura con il divieto di allontanarsi dalla struttura (senza essere accompagnati dal personale sanitario) e la Suprema Corte ha ritenuto legittimi tali provvedimenti, sempre che le prescrizioni in questione fossero funzionali al piano terapeutico di recupero e risocializzazione del paziente (cfr. Cass. pen., sez. I, del 12 novembre 2019, n. 50383; Cass. pen., sez. V, 14 settembre 2020, n. 28575).

Il ricorso a tale tipo di provvedimento, tuttavia, è possibile nei soli casi in cui la misura sia idonea a contenere la pericolosità sociale del soggetto e sempre che la prescrizione di non allontanarsi dalla struttura sia comunque coerente con il piano terapeutico.

In tutti gli altri casi, il problema dell'indisponibilità di posti nelle REMS rimane in tutta la sua gravità.

E proprio l'attività istruttoria disposta dalla Corte consente di accertarne l'ampia portata: le REMS realizzate sono solo 36 e un numero di persone compreso tra 670 (secondo i calcoli del Ministero della salute) e 750 (secondo i calcoli del Ministero della giustizia) è in attesa di trovarvi una collocazione; la permanenza media in una lista d'attesa è pari a circa dieci mesi, ma in alcune Regioni i tempi per l'inserimento in una REMS possono essere assai più lunghi; le persone che si trovano in lista d'attesa sono spesso accusate, o risultano ormai in via definitiva essere autrici, di reati particolarmente gravi (maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, violenza sessuale, rapina, estorsione, lesioni personali e persino omicidi, tentati e consumati).

Come ha opportunamente evidenziato la Corte, è inaccettabile la presenza di liste d'attesa per l'esecuzione di provvedimenti che: « []dovrebbero essere immediatamente eseguiti, così come destinate a essere immediatamente eseguite sono le misure cautelari previste dal codice di procedura penale che si fondano sulla necessità di prevenire rischi quale [] il pericolo di commissione di gravi reati da parte dell'imputato ».

Palese è la violazione dei diritti delle potenziali vittime di future aggressioni del soggetto pericoloso socialmente, così come quella del diritto alla salute di quest'ultimo che si vede privato delle necessarie cure finalizzate al suo reinserimento.

Sempre sotto il profilo processuale, appare interessante osservare come la Corte abbia ritenuto che non incida sull'ammissibilità delle questioni sollevate la circostanza che, successivamente all'ordinanza istruttoria n. 131 del 2021, l'imputato nel giudizio a quo sia stato nel frattempo giudicato dal Tribunale di Tivoli, per il reato rispetto al quale il Gip rimettente procedeva in via cautelare, e sia stato assolto con sentenza ormai passata in giudicato, con la quale gli è stata applicata una misura di sicurezza diversa dal ricovero in REMS.

A tal riguardo, il Giudice delle leggi ha rilevato che, dall'art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, si desume un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che come tale non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione; sicché la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse.

Venendo al merito della decisione, occorre osservare che la Corte, sebbene abbia sostanzialmente ritenuto fondate le questioni sollevate dal giudice rimettente, le ha comunque dichiarate inammissibili.

Ha, infatti, ritenuto palese la violazione del principio di riserva di legge – operante rispetto alla misura in esame sia per effetto dell'art. 32 che dell'art. 25 Cost. – essendo la normativa in materia di REMS in gran parte contenuta in fonti secondarie. Così come ha ritenuto palese la violazione dell'art. 110 Cost., avendo la normativa censurata pressoché escluso il Ministero della giustizia da qualsiasi competenza in materia.

Con riferimento al primo profilo, merita di essere segnalata la lettura che la Corte, alla luce dell'art. 13, secondo comma, Cost., ha fornito sia dell'art. 25 che dell'art. 32: la riserva di legge riguarda non solo i “casi” in cui la misura può essere adottata, ma anche i “modi” con cui questa può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto. Riserva palesemente violata nel caso di specie, considerato che la disciplina dei “modi” di applicazione della misura è completamente lasciata alle fonti subordinate alla legge.

Ebbene la Corte, sebbene abbia ritenuto sostanzialmente fondate le questioni sollevate e nonostante abbia ritenuto accertato il grave malfunzionamento strutturale del sistema di assegnazione alle REMS, non ha comunque dichiarato l'incostituzionalità delle norme censurate,poiché una pronuncia di accoglimento avrebbe prodotto un risultato incongruo rispetto all'obiettivo perseguito.

La Corte, invero, ha rilevato che l'eventuale pronuncia di incostituzionalità non solo sarebbe palesemente inidonea a garantire il risultato pratico cui mirava il giudice rimettente, ma determinerebbe l'integrale caducazione del sistema delle REMS, « che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG; e produrrebbe non solo un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, ma anche un risultato diametralmente opposto a quello auspicato dal rimettente, che mira invece a rendere più efficiente il sistema esistente ».

Il Giudice delle leggi, però, non si è limitato a dichiarare inammissibili le questioni sollevate, ma ha anche verificato le strade percorribili per superare la situazione di grave malfunzionamento del sistema di assegnazione alle REMS, escludendo che la soluzione possa essere trovata nell'assegnazione delle persone in lista d'attesa in soprannumero alle REMS esistenti (« un simile rimedio finirebbe soltanto per creare una situazione di sovraffollamento di queste strutture, snaturandone la funzione e minandone in radice la funzionalità rispetto ai propri scopi terapeutico-riabilitativi ») oppure nella collocazione provvisoria in istituti penitenziari di queste persone, le quali necessitano di terapie e di un percorso riabilitativo che il carcere non è in alcun modo idoneo a fornire.

L'unica strada percorribile, a parere della Consulta, è quella di una complessiva riforma di sistema, che assicuri un'adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza, il coinvolgimento del Ministro della giustizia nell'attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS nonché la realizzazione e il buon funzionamento, sull'intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni.

Merita particolare attenzione il riferimento che la Corte ha dedicato agli « altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata », con l'invito al legislatore all'opportuno potenziamento di essi.

La libertà vigilata, accompagnata dal ricovero in strutture residenziali e dalle altre prescrizioni coerenti con il pianto terapeutico di recupero, infatti, costituisce una misura che (a prescindere dalla problematica di carattere pratico dell'indisponibilità di posti nelle REMS), spesso, può fornire una più adeguata risposta alle esigenze di cura del soggetto senza sacrificare quelle di contenimento della sua pericolosità sociale; consentendo così di lasciare la più afflittiva misura dell'assegnazione alla REMS ai casi più gravi, in conformità al principio di residualità delle misure di sicurezza detentive. Per consentire la più ampia portata applicativa della misura in questione, appare, però, necessario potenziare anche il numero e il personale delle strutture residenziali nelle quali disporre il ricovero del soggetto sottoposto alla libertà vigilata.

Nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni, la Consulta ha posto in rilievo l'urgenza dell'intervento del legislatore, sottolineando che non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi della sua inerzia in ordine ai gravi problemi individuati dalla pronuncia in commento.

Ci troviamo, in definitiva, di fronte a una pronuncia particolare, nella quale le questioni sollevate, in sostanza, vengono ritenute fondate, ma vengono dichiarate inammissibili perché il loro accoglimento produrrebbe un risultato incongruo rispetto all'obiettivo perseguito.

Si tratta di un tipo pronuncia non frequente, ma non inedita (la stessa Corte espressamente richiama alcune sue recenti sentenze: la n. 21 del 2020, la n. 239 del 2019 e la n. 280 del 2016) e che può essere forse ricompresa in quella categoria che la dottrina definisce di “Incostituzionalità accertata ma non dichiarata.

Il loro principale carattere distintivo è rappresentato dalla presenza di una più o meno evidente discrasia tra la parte motiva della decisione, laddove la Corte riconosce chiaramente la presenza di profili di incostituzionalità, e la parte dispositiva, che non è di accoglimento (come sarebbe apparso logico) ma di rigetto (seppur momentaneamente) della questione.

Guida all'approfondimento

BALBI, Infermità di mente e pericolosità sociale tra OPG e REMS, in DPC, 20.7.2015;

CIRILLO, La libertà vigilata con obbligo di residenza in comunità terapeutica quale misura di sicurezza finalizzata alla cura e al recupero del soggetto socialmente pericoloso, in Il Penalista, 23.12.2020;

GATTA, OPG e REMS: a che punto siamo? Le relazioni del commissario unico per il superamento degli OPG, Franco Corleone, in DPC, 27.12.2016;

ONIDA, Giudizio di costituzionalità delle leggi e responsabilità finanziaria del Parlamento, in Le sentenze della Corte costituzionale e art. 81, u.c., della Costituzione, Atti del seminario svoltosi in Roma, Milano, 1993, 19 e ss.

PINARDI, L'inammissibilità di una questione fondata tra moniti al legislatore e mancata tutela del principio costituzionale, in Giur. Cost., 2013, 377 e ss.

RAGONE, L'attivazione del potere istruttorio tra forme consolidate e scelte innovative: riflessioni a margine della sentenza costituzionale n. 197 del 2019, in Osservatorio Costituzionale, fasc. 1, 2020, 226 e ss.

Sommario