Nuove conferme sulla natura “sostanzialistica” della disciplina della postergazione del finanziamento soci ex art. 2467 c.c.

Francesco Caselli
02 Marzo 2022

La postergazione del finanziamento soci disposta dall'art. 2467 c.c. costituisce una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio al rimborso, operante già durante la vita della società e non solo nella fase esecutiva, in presenza di un concorso tra creditori.
Massima

La postergazione del finanziamento soci disposta dall'art. 2467 c.c. costituisce una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio al rimborso, operante già durante la vita della società e non solo nella fase esecutiva, in presenza di un concorso tra creditori. In particolare, gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. sono norme sostanziali e non interpretative, che incidono direttamente sugli effetti del negozio di finanziamento. Ne consegue che, in mancanza di una diversa disciplina sulla efficacia nel tempo in deroga all'art. 11 preleggi, le già menzionate norme non si applicano ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma.

Il caso

Il caso affrontato nella sentenza in esame trae origine dalla seguente vicenda. La società ricorrente, una S.r.l. in liquidazione volontaria (di seguito, “Alfa”), aveva ottenuto, prima della riforma del diritto societario del 2003, un finanziamento infragruppo. Il credito derivante dal finanziamento veniva ceduto per due volte, finché, giunto nelle mani della società “Gamma”, ne veniva chiesto il rimborso alla società “Alfa” senza successo. La creditrice tutelava le proprie ragioni in giudizio, chiedendo e ottenendo dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo. “Alfa” si opponeva dapprima avanti al Tribunale e, soccombente, ricorreva anche in appello insistendo sull'inesigibilità del credito ai sensi dell'art. 2467 c.c., tuttavia senza successo. La Corte d'Appello, nel respingere il ricorso, aveva motivato la decisione aderendo all'orientamento giurisprudenziale c.d. “processualistico” dell'art. 2467 c.c. Contro la pronuncia, la soccombente proponeva ricorso per Cassazione, anche in questo caso senza successo. La S.C., infatti, nel respingere il ricorso, confermava il dispositivo della sentenza della Corte d'Appello, ma ne correggeva la motivazione per le ragioni che si esporranno di seguito, riassunte nella massima di cui sopra.

La questione giuridica

La pronuncia in esame affronta una questione che ha impegnato la dottrina e la giurisprudenza fin dalla riforma del diritto societario del 2003 e che presenta degli interrogativi ancora parzialmente irrisolti circa la natura sostanzialistica o processualistica dell'art. 2467 c.c. Come noto, la ratio dell'art. 2467 c.c. risiede nella volontà del legislatore del 2003 di rafforzare la tutela dei creditori sociali, salvaguardando il patrimonio della società contro i depauperamenti di quei soci che, forti delle asimmetrie informative derivanti dalla loro posizione, mediante l'erogazione di un finanziamento alla società, siano portati ad alterare la struttura della partecipazione al rischio d'impresa in modo tale da trasferire la totalità o la parzialità del pericolo della continuazione dell'iniziativa economica in regime di crisi all'esterno della stessa (Cass., 20 maggio 2016, n. 10509, inquesto portale, con nota di Celi, e Cass.7 luglio 2016, n. 14056, in questo portale, con nota di Papini). A tal proposito, la disposizione sanziona con la postergazione i finanziamenti erogati dai soci che preferiscano indebitare ulteriormente la società, piuttosto che effettuare un conferimento di denaro o, in alternativa, provvedere allo scioglimento volontario della società.

Il funzionamento dell'art. 2467 c.c. è basato sulla sussistenza di due circostanze alternative: si deve trattare di un finanziamento, in qualsiasi forma, erogato in un momento in cui risultava un eccessivo indebitamento rispetto al patrimonio netto o di una situazione finanziaria nella quale i soci avrebbero ragionevolmente dovuto effettuare un conferimento. Il principio di corretto finanziamento dell'impresa impone che una volta effettuati i conferimenti inziali e rispettati i requisiti minimi del capitale sociale, non possa essere precluso ai soci di destinare all'attività risorse finanziarie che non sono soggette ai medesimi vincoli del capitale sociale o delle altre poste del patrimonio netto. Tali forme di finanziamento, tuttavia, possono essere impiegate a condizione che siano adeguate rispetto allo scopo e non si verifichi una sostituzione del capitale nominale con altri apporti che finiscano per aumentare il debito della società (M. Campobasso, La disciplina dei finanziamenti dei soci postergati dopo il correttivo del codice della crisi, in Banca borsa, 2021, II, 171 ss.). L'art. 2467 c.c., infatti, fa salve forme di finanziamento anomalo della società non in crisi, ma appone un limite all'autonomia privata, poiché penalizza il socio che non ha deciso di conferire risorse finanziarie quando era necessario. In questo senso, la postergazione del finanziamento assimila il socio finanziatore alla posizione del soggetto che ha effettuato un conferimento nella società durante una crisi finanziaria o una situazione d'insolvenza. Il credito postergato ex 2467 c.c., infatti, rischia, al pari di quello degli altri creditori sociali, di non venir soddisfatto all'esito della distribuzione del patrimonio sociale e ripartizione dell'attivo residuo. Tale circostanza incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti e non opera una riqualificazione delle somme erogate da finanziamento a conferimento (G. Balp, I finanziamenti dei soci sostitutivi del capitale di rischio, in Riv. Soc.,2007., II-III, 345 ss.).

Ciò posto, le modalità operative della norma in esame rappresentano una questione interpretativa rilevante. Infatti, un conto è affermare che la postergazione operi soltanto in presenza di un concorso tra creditori, altro è dire che operi anche durante la vita della società. Il dubbio interpretativo affrontato dalla pronuncia in esame nasce dall'inciso ex art. 2467, comma 1, c.c. secondo cui il rimborso del finanziamento è “postergato” rispetto agli “altri creditori”, circostanza che, per una parte della dottrina, allude al momento dell'effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie (G.B Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca borsa tit. cred.,2003, VI, 663 ss.; M. Simeon, La postergazione dei finanziamenti soci nelle S.p.A., in Giur. Comm, 2007, I, 69 ss.). Sul punto, la Suprema Corte, pur confermando il risultato pratico della sentenza di secondo grado che sosteneva la c.d. “tesi processualistica”, ritenendo il credito esigibile ex art. 2467 c.c., è stata attenta a correggerne l'argomentazione. Richiamando una recente giurisprudenza di legittimità, la Corte ha specificato che in tema di finanziamento dei soci, la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale tra creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio al rimborso, sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma (Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, in Foro it., 2019, 7-8, I, 2315). In particolare, la disciplina degli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. avrebbe carattere sostanziale, non certo processuale e né tanto meno interpretativo, incidendo direttamente sugli effetti giuridici del negozio di finanziamento. Sempre in riforma della motivazione della sentenza di secondo grado, la Corte di cassazione, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha precisato che la disciplina sulla postergazione non risulta applicabile ai finanziamenti eseguiti dai soci a vario titolo a favore della società prima dell'entrata in vigore del decreto n. 6/2003 (Cass., 13 luglio 2012, n. 12003, in Giust. civ. Mass. 2012, 7-8, 916). La novella legislativa del 2003, infatti, non ha derogato all'art. 11 delle preleggi e, pertanto, l'art. 2467 c.c. non si applica ai crediti maturati dai soci nei confronti della società prima della data di entrata in vigore della riforma, ossia il 1° gennaio 2004. Poiché nel caso di specie si trattava di finanziamenti infragruppo risalenti agli anni 90, la Corte ha confermato il dispositivo della sentenza di secondo grado, specificando che il diritto al rimborso del finanziamento giunto a scadenza era azionabile in giudizio, in quanto perfettamente esigibile.

Osservazioni

La pronuncia in esame consolida l'orientamento “sostanzialistico” della postergazione del finanziamento soci ex art. 2467 c.c. Il risultato a cui giunge la sentenza è denso di significato se letto in combinato disposto con la novella del D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il c.d. Codice della Crisi e dell'Insolvenza. Contro la tesi processualistica dell'art. 2467 c.c., infatti, si segnala che il legislatore, con la suddetta novella, non ha modificato la collocazione sistematica dell'art. 2467 c.c., rimasta all'interno del Codice civile. Da ciò è possibile inferire che se il legislatore avesse voluto alludere al concorso dei creditori, avrebbe espunto la disposizione dal Codice civile per collocarla nel nuovo CCI (Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, cit.). Inoltre, il CCI è intervenuto direttamente sul testo dell'art. 2467 comma 1, c.c., depurandolo dai riferimenti circa l'obbligo di restituire ai creditori concorsuali il rimborso del finanziamento effettuato nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento. L'inciso in questione ora trova cittadinanza nell'art. 164, comma 2, CCI, il quale predica l'inefficacia, nei confronti dei creditori sociali, dei rimborsi dei finanziamenti dei soci se eseguiti dalla società dopo il deposito della domanda di apertura di una qualsiasi procedura concorsuale o nell'anno anteriore, precisando altresì che resta ferma l'applicabilità dell'art. 2467, comma 2, c.c. Il dato è assai rilevante se si considera che il comma 1 dell'art. 164 CCI, a sua volta, disciplina la revocatoria dei creditinon scaduti, stabilendo che sono privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadano nel giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale o posteriormente, se sono stati eseguiti successivamente rispetto al deposito della domanda cui è seguita l'apertura della procedura concorsuale o nei due anni anteriori. Le due disposizioni, se lette congiuntamente, lasciano intendere che ci sia una matrice comune, tant'è che sono disciplinate nella stessa rubrica dei “pagamenti di crediti non scaduti e postergati”. Ciò deve condurre a ritenere che, se è vero che il finanziamento postergato è sanzionato con l'inefficacia, al pari della revocatoria dei pagamenti di crediti non scaduti ex art. 164, comma 1, c.c., allora risulta evidente che quando il finanziamento è stato rimborsato non era esigibile dal socio, corroborando la tesi sostanzialistica, prevalente nella giurisprudenza di legittimità (M. Campobasso, op. cit., 175-176). Di conseguenza, alla luce del CCI, il legislatore ha riconosciuto l'efficacia della postergazione ex art. 2467 c.c. non solo durante la liquidazione concorsuale o volontaria della società, ma anche in una fase extraconcorsuale, rappresentando la postergazione una condizione sospensiva dell'esigibilità del credito.

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