Profili applicativi in tema di esterovestizione

02 Marzo 2022

La disciplina dell'esterovestizione consente all'Amministrazione finanziaria di presumere, salvo prova contraria, l'esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia, quando, alternativamente sono controllati, anche indirettamente da soggetti residenti nel territorio dello Stato o sono amministrati da un consiglio di formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato. Se la società non detiene partecipazioni in società italiane e non svolge funzioni di holding la presunzione non si può comunque applicare.
Premessa

La disciplina dell'esterovestizione consente all'Amministrazione finanziaria di presumere, salvo prova contraria, l'esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia, quando, alternativamente sono controllati, anche indirettamente da soggetti residenti nel territorio dello Stato o sono amministrati da un consiglio di formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Se la società non detiene partecipazioni in società italiane e non svolge funzioni di holding la presunzione non si può comunque applicare.

La casistica

L'Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 27 del 17 gennaio 2022, ha chiarito alcuni rilevanti profili applicativi in tema di esterovestizione.

Nel caso di specie, la società istante, ALFA, era una società, fiscalmente residente all'estero, costituita con lo scopo di riunire in un unico soggetto le competenze di due importanti gruppi del settore in cui operava: il Gruppo BETA e il Gruppo EPSILON.

In particolare, ALFA era controllata dalla società italiana DELTA, con una partecipazione pari al 51 per cento del capitale sociale.

La restante quota del 49 per cento del capitale di ALFA era detenuta da Caio, fiscalmente residente all'estero e socio ed amministratore della società EPSILON, operante nel medesimo settore di ALFA.

ALFA era a sua volta gestita da un consiglio di amministrazione, composto da due membri: Tizio, residente in Italia, socio e amministratore di DELTA, che rivestiva la carica di Presidente; e il già citato Caio, che, come detto, era residente all'estero, con la carica di Segretario.

L'importanza e i poteri dei due soggetti all'interno del CdA di ALFA erano assolutamente paritari.

Tuttavia, lo Statuto della Società ALFA stabiliva che, in caso di situazione di stallo, vale a dire in una situazione di conflitto tale da generare una paralisi della governance societaria, il voto del Presidente Tizio fosse prevalente.

ALFA, infine, non era una holding e non deteneva partecipazioni in altre società, italiane o estere e, fino ad oggi, a causa dell'emergenza sanitaria, non aveva comunque ancora iniziato a svolgere la propria attività.

Ciò premesso, l'Istante ALFA chiedeva chiarimenti riguardo alla possibile applicazione nei suoi confronti della disciplina sulla c.d. esterovestizione, di cui all'articolo 73, comma 5-bis, del Tuir, precisando che il quesito non riguardava la prova contraria da fornire in caso di esterovestizione di una società estera, né la residenza dei soggetti descritti nell'istanza di interpello, ma si riferiva esclusivamente ad alcuni chiarimenti di tipo interpretativo relativi al comma 5-bis dell'articolo 73 cit.

In particolare, la Società Istante poneva due quesiti:

  1. se la disciplina dell'esterovestizione di cui al comma 5-bis dell'articolo 73 del TUIR potesse essere applicata a ALFA, dal momento che la medesima società non possedeva partecipazioni in società italiane;
  2. se il requisito previsto dalla lettera b) del citato comma 5-bis, nel descrivere la condizione dell'organo di gestione "composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato", si riferisse esclusivamente a una prevalenza "quantitativa" dei consiglieri residenti in Italia (ad esempio, tre consiglieri su cinque), escludendo quindi una possibile valutazione della prevalenza "qualitativa", riferita ai poteri dei vari amministratori.
Soluzione prospettata dal contribuente

L'Istante, nel prospettare la soluzione a suo avviso corretta, evidenziava ancora, in primo luogo, che ALFA non deteneva partecipazioni in società italiane né estere.

Per questo motivo, riteneva che non dovesse applicarsi la disciplina antielusiva in materia di esterovestizione, laddove, a parere dell'Istante, affinché si applichi l'esterovestizione di cui al comma 5-bis dell'articolo 73 del Tuir, la società localizzata all'estero deve necessariamente detenere partecipazioni di controllo in società o enti residenti nel territorio italiano.

Un'interpretazione della norma che estenda la prova contraria sulla residenza fiscale in Italia anche ad ipotesi in cui la società estera non detiene partecipazioni in società italiane andrebbe infatti oltre il tenore letterale dell'articolo 73, comma 5-bis, cit. e sarebbe eccessivamente penalizzante per i contribuenti, coinvolgendo anche società che non si trovano in una situazione di rischio di elusione.

Inoltre ALFA riteneva che il comma 5-bis, lettera b), dell'art. 73 del Tuir, nel fare riferimento all'organo di gestione composto prevalentemente da soggetti residenti in Italia, si riferisse comunque alla mera prevalenza "quantitativa" o "numerica" dei membri del CdA con residenza fiscale italiana.

A parere dell'Istante, una valutazione sui poteri dei consiglieri ed un'analisi "qualitativa" della loro prevalenza andrebbe infatti al di là della finalità della norma, restando peraltro, in ogni caso, ferma la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di sindacare i casi in cui vi siano consiglieri residenti all'estero con funzioni "fittizie", la cui presenza sia finalizzata esclusivamente ad aggirare l'ambito applicativo della norma in questione.

Il parere dell'Agenzia delle Entrate

L'Agenzia delle Entrate, nel rispondere al quesito, evidenzia che oggetto dell'istanza di interpello riguardava in sostanza l'applicazione della presunzione (relativa) contenuta nell'art. 73, comma 5-bis, del Tuir, in capo alla società ALFA.

Tale disposizione, rileva l'Amministrazione finanziaria, stabilisce che, salvo prova contraria, “si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

La norma in esame, volta a contrastare il fenomeno delle cosiddette "esterovestizioni", ha dunque ad oggetto le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia, ossia partecipazioni nei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'art. 73 del Tuir.

Come affermato con Circolare 4 agosto 2006, n. 28/E, par. 8, la disciplina dell'esterovestizione consente pertanto all'Amministrazione finanziaria di presumere (salvo prova contraria) l'esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti, che, in presenza dei sopradetti presupposti, detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia.

Dalle informazioni contenute nell'istanza di interpello, tuttavia, non risultava che la società ALFA detenesse partecipazioni in società italiane. La stessa società non svolgeva inoltre funzione di holding.

La soluzione interpretativa rappresentata dall'Istante con riferimento al primo quesito interpretativo, secondo l'Agenzia delle Entrate, appariva quindi condivisibile e, pertanto, l'art. 73, comma 5-bis, del Tuir non poteva trovare applicazione nel caso in esame.

La risposta positiva, riguardante l'assenza del presupposto principale per applicare la normativa in materia di esterovestizione, risultava poi assorbente rispetto al secondo quesito posto nell'istanza di interpello e dunque la Società Istante non era tenuta ad applicare la lettera b) del comma 5-bis dell'art. 73 73 del Tuir e a valutare la "prevalenza" dei consiglieri residenti in Italia rispetto a quelli residenti all'estero.

Pur considerando che il secondo quesito posto dalla Società Istante perdeva di concretezza, e non esprimendo pertanto l'Amministrazione finanziaria, al riguardo, alcun giudizio, al tempo stesso, l'Agenzia si premura di evidenziare che la soluzione proposta dal contribuente non poteva comunque ritenersi ex se condivisa sulla base della formazione del silenzio-assenso di cui all'articolo 11, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente).

Inoltre, si evidenzia che il parere riguardava esclusivamente la presunzione legale relativa di cui al comma 5-bis dell'art. 73 del Tuir (richiamata nell'istanza) e non conteneva dunque alcuna valutazione degli elementi idonei ad individuare una eventuale residenza fiscale in Italia della società costituita all'estero, laddove, sottolinea l'Agenzia, con specifico riferimento alla fattispecie rappresentata, poteva infatti assumere eventualmente rilievo il disposto del comma 3 dell'art. 73 del Tuir, secondo cui si considera residente la società che, per la maggior parte del periodo d'imposta, ha la sede dell'amministrazione nel territorio dello Stato.

In conclusione

A tal ultimo proposito e a prescindere dallo specifico caso prospettato nell'istanza, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

Ai fini della contestazione di una esterovestizione societaria, il concetto fiscale di sede dell'amministrazione, indicato dall'art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986, come uno dei criteri alternativi ai fini della residenza dell'ente, va assimilato a quello civilistico di sede effettiva della società, intendendosi quest'ultima come il luogo in cui si svolge in concreto la gestione e la direzione dell'attività d'impresa (cfr., Cass. n. 15424 del 03/06/2021).

Tale fattispecie ha peraltro costituito oggetto di ampia disamina in sede di legittimità, con, tra le altre, le sentenze 07/02/2013, n. 2869, 21/12/2018, n. 33234, 21/06/2019, n. 16697, e, da ultimo, 09/03/2021, n. 6476, dovendosi comunque prendere le mosse dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd, la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, ha affermato che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà, ma che, per contro, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa «se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato».

Tali concetti sono stati poi ribaditi anche dalla sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, in causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl.

In conclusione, la nozione di «sede dell'amministrazione», in quanto contrapposta alla «sede legale», deve ritenersi coincidente con quella di «sede effettiva» (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari, in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente.

Il contrasto al fenomeno della esterovestizione deve avere quindi lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

E, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 73, comma 5-bis, Tuir, introdotto dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella L. 4 agosto 2006 n. 248, la prevalente residenza nel territorio nazionale dei componenti del consiglio di amministrazione di una società estera, che detiene partecipazioni di controllo, può fare presumere - salvo prova contraria – la residenza della stessa società nello Stato.

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