Le Sezioni Unite tornano sui poteri del CTU

Riccardo Bencini
02 Marzo 2022

Con la sentenza n. 6500 del 28 febbraio 2022, le Sezioni Unite tornano ad affrontare il tema dei poteri e degli spazi di manovra del CTU, nonché quello della struttura rimediale applicabile in ipotesi di violazione del suo operato.

Di seguito vengono ripercorsi i profili essenziali di questa significativa pronuncia corredati dai cinque principi di diritto enunciati in perfetto allineamento alla decisione, sempre emessa dalle Sezioni Unite, n. 3086 del 1° febbraio 2022.

La questione dedotta in lite. Una società a responsabilità limitata, unitamente ai suoi fideiussori, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Monza la Banca di riferimento deducendo la nullità delle pattuizioni in punto di interessi, nonché l'esistenza di ulteriori anomalie contabili in conto corrente. L'istituto di credito resisteva alla domanda reclamando, in via riconvenzionale, la condanna di parte attrice al pagamento delle somme a titolo di saldo passivo. Il Tribunale disponeva consulenza contabile chiedendo all'ausiliario di ricostruire l'andamento dei rapporti tra le parti e riservando «l'acquisizione dei documenti mancanti ed in originale nell'ambito della CTU». Nell'espletamento dell'incarico il CTU rinveniva un documento contrattuale non prodotto in atti. Di questo documento il CTU non informava le parti che ne apprendevano l'esistenza soltanto dalla bozza di relazione. I consulenti di parte non formulavano, tuttavia, alcuna obiezione in ordine alla sua acquisizione. Il CTU redigeva quindi l'elaborato definitivo anche sulla scorta del citato documento. All'udienza fissata per verificare l'avvenuto deposito della CTU il difensore di parte attrice eccepiva la tardiva introduzione del documento senza il consenso dei medesimi e instava per la ricusazione del CTU.

Il Tribunale non mancava di precisare in sentenza che il CTU era stato autorizzato all'acquisizione in corso di perizia di eventuali documenti mancanti e che tale provvedimento non era mai stato contestato, senza poi aver mosso le parti tempestivi rilievi al riguardo alla relazione in bozza ovvero a quella definitiva. Il gravame proposto dai soccombenti veniva dichiarato inammissibile.

Da qui il ricorso per cassazione pervenuto, a seguito dell'ordinanza interlocutoria della Prima Sezione civile n. 8924/2021, al vaglio delle Sezioni Unite involgendo la questione principi fondamentali del processo civile. A seguito di un'ampia motivazione, le Sezioni Unite respingono il ricorso sul presupposto che la parte, a mezzo del proprio consulente, di seguito all'atto dell'acquisizione operato dal CTU ovvero in sede di disamina della bozza di perizia in cui il documento in questione era stato utilizzato, non aveva provveduto a dolersi della violazione del contradditorio nei termini previsti dall'art. 157, comma 2, c.p.c.

I poteri del CTU nel riflesso di quelli del giudice. Ricordano le Sezioni Unite che, pur nella diversità dei ruoli, sul piano ordinamentale si realizza un'oggettiva convergenza di funzioni tra giudice e consulente tecnico. Le attività di entrambi, quando il primo giudichi necessaria quella del secondo, si rivelano, a detta della Corte Suprema, complementari ai fini dell'ufficio giurisdizionale. Depone in tal senso l'esegesi degli artt. 62 e 194 c.p.c. che conduce alla seguente duplice conclusione:

(i) poiché il giudice procede alla nomina del consulente quando reputi necessario disporre di particolari competenze tecniche, le indagini che il consulente è incaricato di svolgere sono quelle stesse indagini che il giudice non avrebbe bisogno di compiere se disponesse delle particolari competenze tecniche richieste nel caso specifico;

(ii) se il giudice e il consulente possono svolgere le indagini insieme, quando il consulente le svolga da sé solo non svolge delle indagini diverse da quelle che il giudice avrebbe svolto insieme a lui.

Le Sezioni Unite ritengono che il consulente tecnico, allorché, nella sua veste di ausiliario fornisca il proprio apporto di competenze specialistiche al giudice, coadiuvi questo nell'esercizio del suo ufficio e ne integri l'operato rendendo possibile la giustizia del caso concreto, così scongiurando il pericolo di una pronuncia di non liquet.

L'accertamento dei fatti fra potere di allegazione e potere di rilevazione. Segnalano le Sezioni Unite che il potere di allegazione, in quanto estrinsecazione del principio della domanda e del correlativo principio dispositivo, compete esclusivamente alla parte; il potere di rilevazione può essere invece oggetto di una condivisione tra la parte, quando la manifestazione della sua volontà sia elevata dalla legge ad elemento integrativo della fattispecie – sicché in tal caso anche il potere di rilevazione compete in via esclusiva alla parte – ed il giudice, atteso che il generale potere che compete a questo di rilevare le eccezioni in senso lato si traduce nella rilevazione anche dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa ove questi, sebbene non precedentemente allegati dalla parte, emergano tuttavia dagli atti del processo.

In una visione del processo orientato alla tendenziale giustizia della decisione nel quale il giudice è autorizzato a rilevare anche officiosamente i predetti fatti, ove essi risultino acquisiti al giudizio indipendentemente dalla volontà dispositiva della parte che ne trae vantaggio, non credono le SS.UU. che nell'esercizio di siffatto potere possa opporsi al giudice che i fatti in parola siano venuti a sua conoscenza non motu proprio, ma attraverso le indagini commissionate al CTU, che lui stesso avrebbe potuto compiere se non avesse avuto la necessità di servirsi di un esperto.

Ragion per cui viene ritenuta immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne faccia propri e ne valorizzi anche quei profili di essa che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa che, ancorché non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal consulente nell'espletamento dell'incarico. Puntualizzano, inoltre, le Sezioni Unite che, stante il potere del CTU di procedere nei limiti dei quesiti sottopostigli alla investigazione dei fatti accessori, il consulente possa estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili, non essendovi ragione di vietare in tal caso al CTU, pur se ne maturi la conoscenza aliunde, di esaminare in guisa di fatti accessori e dunque in funzione di rendere possibile la risposta ai quesiti, i fatti conoscibili da chiunque.

Da qui il primo principio di diritto: "in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d'ufficio”.

Superabili le preclusioni processuali nell'ottica di fare conoscere al giudice la verità. A detta delle Sezioni Unite non si è lontani dal vero nel dire, in via generale, che al consulente tecnico non si applichino le preclusioni processuali ordinariamente vigenti a carico delle parti. In particolare, anche il consulente potrà procedere, nei limiti sopra esposti, a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, nel segno caratterizzante della indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell'interrogazione giudiziale.

Questo, chiarisce la Corte Suprema, non vuol dire che il consulente nell'espletare il mandato affidatogli dal giudice possa servirsi dei mezzi di prova titolati che solo il giudice può disporre in via ufficiosa, ma lo "scopo di fare conoscere al giudice la verità", che il consulente assume al momento del conferimento dell'incarico e che ne permea perciò le attività, è segno, per un verso, della speciale sensibilità del legislatore per le difficoltà a cui il processo può essere talora esposto quando si trova al bivio di importanti questioni tecnico-scientifiche che il giudice non è in grado di affrontare con le sue sole forze; per altro verso, del campo largo che il legislatore ha voluto assicurare al teatro delle investigazione peritali, non confinabili perciò, dal punto di vista istruttorio, entro lo steccato delle attività deduttive riservate alle parti.

Da qui il secondo principio di diritto: “In materia di consulenza tecnica d'ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio".

La specialità dell'art. 198 c.p.c. nel rispetto del principio del contraddittorio. Le Sezioni Unite hanno premura di salvaguardare, nell'interpretazione dell'art. 198 c.p.c., la sua specialità. Specialità che risiede nel consentire espressamente al consulente contabile l'esame di documenti non prodotti in giudizio, anche se questi riguardino fatti principali ordinariamente soggetti ad essere provati per iniziativa delle parti. Nell'espletamento dell'incarico il consulente deve rispettare il principio del contradditorio.

In breve, precisano i Giudici di legittimità, il consulente non potrà deflettere nell'attività che comporta l'accertamento dei fatti e la raccolta dei documenti significativi ai fini dell'espletamento del mandato peritale, la cui introduzione nel giudizio non è rituale opera di parte, dalla necessità che su di essi il confronto tra le parti si esplichi nel modo più idoneo a garantirne il diritto di difesa.

Da qui il terzo principio di diritto: «in materia di esame contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c. il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni».

CTU viziata: il rimedio corretto è soltanto quello della nullità relativa. Passando alla struttura rimediale da applicare in ipotesi di vizio di acquisizione nell'elaborato peritale per avere il consulente fondato il proprio convincimento anche sul documento irritualmente introdotto nel processo, le SS.UU. reputano che nell'operare la qualificazione del ridetto vizio non possa che guardarsi al sistema delle invalidità processuali di cui agli artt. 156 e segg. c.p.c.

Si applicano dunque i rimedi endoprocessuali studiati dal legislatore per porre correttivo alle anomalie che si verificano nel corso del processo e che non sfociano in ragioni di nullità della sentenza, in relazione alle quali si impone il più specifico rimedio dell'impugnazione. Ne deriva che i vizi che infirmano l'operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell'art. 157, comma 2, c.p.c.

Difatti il CTU che, nei limiti delle indagini, estenda il perimetro delle proprie attività e proceda ad accertare fatti non oggetto di diretta capitolazione di parte o ad esaminare documenti, del pari, non introdotti nel giudizio delle parti, senza darsi previamente cura di attivare su di essi il necessario confronto processuale, non lede un interesse del processo, in guisa del quale quella attività possa giudicarsi affetta da un vizio di nullità assoluta, ma lede un interesse, pur primario, delle parti in quanto posto a tutela del diritto di difesa delle medesime, di cui le parti possono tuttavia pur sempre disporre, poiché compete solo al loro il potere farne valere la violazione e di eccepire la nullità dell'atto che ne è conseguenza a mente della richiamata norma.

Da qui il quarto principio di diritto: «in materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso».

Il rispetto del principio della domanda. Fondamentale è, infine, il rispetto da parte del CTU del limite della domanda che costituisce, ricordano le Sezioni Unite, un vincolo insormontabile anche per il giudice che non può infrangere il principio ne procedat iudex ex officio e deve attenersi al comando secondo cui iudex iudicare debet iuxta alligata partium.
Quando la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all'oggetto della domanda e pervenga al risultato di stimare la fondatezza della pretesa esercitata dall'attore in base a fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dal medesimo, l'accertamento così operato si colloca al di fuori dei limiti della domanda e contrasta con essa, scaturendone una ragione di nullità che, in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice, è rilevabile d'ufficio o che, diversamente, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

Da qui il quinto principio di diritto: «in materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.».

(Fonte: Diritto e Giustizia)