E' nulla l'ordinanza della «terza via» anche nel gratuito patrocinio
03 Marzo 2022
Massima
Rigettata, per intervenuta prescrizione, l'istanza di liquidazione presentata dal difensore, ove il Tribunale adìto in sede di opposizione ex art. 170 del d.P.R. 115/2002, confermi tale statuizione sulla base, però, del diverso rilievo, compiuto d'ufficio, circa la mancanza di prova, all'attualità, dei siffatti requisiti, la questione va sottoposta al contraddittorio delle parti, pena nullità dell'ordinanza che su di essa si fondi, in conseguenza della violazione del diritto di difesa, quante volte la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato. Il caso
L'avvocato J. M., nella qualità di difensore di fiducia di V. E., ammesso al patrocinio a spese dello stato in relazione ad un procedimento penale che lo vedeva coinvolto, chiedeva al Tribunale di Bologna la liquidazione dei compensi maturati in ragione dell'attività svolta. Il Tribunale rigettava la richiesta sul presupposto dell'intervenuta prescrizione del diritto. Avverso tale provvedimento il ricorrente proponeva opposizione ed il Tribunale adito, ritenuto di soprassedere in merito ai motivi di opposizione con i quali si contestava la possibilità di rilevare la prescrizione, potendosi al più fare applicazione della prescrizione ordinaria decennale, riteneva, per il principio della ragione più liquida, di confermare il rigetto ma sulla base di una diversa motivazione. In tal senso osservava che, poiché la liquidazione era stata richiesta in un anno diverso da quello in cui era avvenuta l'ammissione al beneficio, il difensore avrebbe dovuto fornire la prova della capacità reddituale attuale della parte assistita, dimostrando quindi la permanenza dei requisiti per la detta ammissione. Infatti, occorreva tenere conto non solo del quadro reddituale esistente alla data in cui si è ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ma anche di quello successivamente maturato, non potendosi procedere alla liquidazione nel caso in cui sussistano i presupposti per la revoca dell'ammissione. M. J. ha proposto ricorso avverso tale ordinanza sulla base di cinque motivi. In particolare, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge ex art. 111 Cost., e precisamente per la violazione dell'art. 101 c.p.c., in quanto il giudice ha deciso sulla base di una questione sulla quale non aveva invitato la parte ad interloquire, nonostante il rilievo d'ufficio. Osserva che il motivo di opposizione avverso il decreto di rigetto dell'istanza di liquidazione si fondava sull'insussistenza della rilevata prescrizione, laddove l'ordinanza gravata ha ritenuto che non potesse accedersi alla richiesta di liquidazione in quanto, essendo la stessa stata avanzata in un anno successivo a quello in cui vi era stata ammissione al patrocinio, il richiedente avrebbe dovuto dimostrare la persistenza delle condizioni reddituali per il beneficio. Si tratta di questione che non era mai stata posta dalle parti né oggetto del provvedimento opposto e che avrebbe dovuto essere, quindi, sottoposta al contraddittorio delle parti ex art. 101 c.p.c. Tale omissione implica, quindi, ad avviso del ricorrente la nullità della decisione oggetto di causa. La questione
Con l'ordinanza in rassegna la Suprema Corte – accogliendo il ricorso in relazione al secondo motivo e cassando con rinvio il provvedimento impugnato – si occupa di un tema che è di recente stato oggetto anche di un importante intervento delle Sezioni Unite, quale quello relativo al principio del contraddittorio. Le soluzioni giuridiche
In particolare, i Supremi Giudici hanno richiamato l'orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., n. 22778/2019) per cui, ove il giudice decida una controversia sulla base di una questione mista di fatto e di diritto rilevata d'ufficio dal giudice, senza essere indicata alle parti, ciò comporta la nullità della sentenza (c.d. «della terza via» o «a sorpresa») che su tale questione si fondi, per violazione del diritto di difesa, quante volte la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (conf. Cass. civ., n. 15037/2018). La ragione che ha indotto il Tribunale al rigetto dell'opposizione, diversa da quella che ha invece era stata posta in evidenza dal decreto opposto, non risulta che fosse stata prospettata dalla difesa erariale, atteso che il Ministero era rimasto contumace anche in sede di opposizione. Peraltro la necessità per il difensore, che chiede la liquidazione dei compensi per l'attività prestata in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di dover documentare la persistenza dei requisiti reddituali del cliente per godere del beneficio, anche per la diversa annualità in cui interviene la richiesta, se costituisce una questione di diritto implica altresì all'evidenza accertamenti di fatto, in quanto presuppone il convincimento che la persistenza dei limiti reddituali debba essere comprovata, con una verifica in fatto demandata al giudice. La decisione della controversia è, quindi, intervenuta sulla base di una questione rilevata d'ufficio dal giudice e che invece andava sottoposta al contraddittorio della parte che, ove avesse avuto contezza della sua rilevanza, avrebbe potuto documentare l'effettivo reddito del proprio cliente anche per gli anni successivi a quello cui risaliva l'ammissione al patrocinio, come peraltro puntualmente dedotto nel motivo. Osservazioni
Il tema oggetto della pronuncia è quello del rispetto del principio del contraddittorio, principio che viene ad essere violato in ipotesi di decisioni cosiddette della «terza via». Sulla questione l'orientamento giurisprudenziale è, ormai, costante nell'affermare che «Ai sensi dell'art. 101, secondo comma, c.p.c. il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione». La norma sancisce il dovere di evitare sentenze cosiddette «a sorpresa» o della «terza via», poiché adottate in violazione del principio della «parità delle armi», principio già enucleabile dall'art. 183 c.p.c., che al terzo comma (oggi quarto, in virtù di quanto disposto dall'art. 2, comma terzo, lettera c-ter, d.l. 35/2005, convertito con l. 263/2005) fa carico al giudice di indicare, alle parti, «le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione». Pertanto, l'omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d'ufficio, sulla quale si fondi la decisione, priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e, pertanto, comporta la nullità della sentenza (c.d. «della terza via» o «a sorpresa») per violazione del diritto di difesa tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato» (Cass. civ., sez. II, n. 11440/2021; Cass. civ., sez. III, sent., n. 11308/2020). La questione relativa alle pronunce della «terza via o a sorpresa» attiene al rispetto del principio del contraddittorio. Principio sul quale – sia pure sotto altra angolatura – sono di recente intervenute le Sezioni Unite affermando che «L'art. 111, secondo comma, considera e tutela il diritto al contraddittorio per tutto l'arco del processo, salve eventuali eccezioni dettate dalla garanzia associata al diritto di azione, come accade per esempio nel rito cautelare ante causam – anche in questo caso da contemperare, peraltro, in vista del recupero dei contraddittorio nelle fasi immediatamente successive (per esempio per la conferma, modifica o revoca di un provvedimento assunto inaudita altera parte) –. Il diritto al contraddittorio è insito nel diritto di difesa, che a sua volta è garantito dall'art. 24 Cost. Si è dinanzi a quelli che í grammatici chiamerebbero elementi di una tautologia perfetta, qui intesa nei suo significato base come viene definito nella logica formale classica di «proposizione vera per definizione»: il diritto al contraddittorio è insito nel diritto di difesa e il diritto di difesa richiede che il processo si strutturi, nelle varie fasi, secondo il principio del contraddittorio. In ciò si realizza la più elementare concretizzazione della garanzia del giusto processo. Che questo equivalga a dire che il processo che risulti celebrato in violazione del principio del contraddittorio (nelle sue varie espressioni) dia corso a una sentenza nulla è allora assolutamente ovvio» (Cass. civ., sent., n. 36596/2021). Riferimenti
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