Divieto di licenziamento: dirigenti sì, dirigenti no? La ricerca della voluntas legis

Teresa Zappia
03 Marzo 2022

Durante il periodo emergenziale da Covid-19, il divieto di licenziamento deve essere esteso anche al lavoratore con qualifica dirigenziale ...
Massima

Durante il periodo emergenziale da Covid-19, il divieto di licenziamento deve essere esteso anche al lavoratore con qualifica dirigenziale, essendo il richiamo all'art. 3 L. n. 604/1966 limitato alla individuazione della tipologia di recesso datoriale interessato dal suddetto divieto (i.e. licenziamento c.d. economico), con conseguente esclusione di una delimitazione soggettiva da parte del Legislatore.

Il fatto

Il ricorrente veniva licenziato il 5 agosto 2020. Il recesso datoriale era fondato su motivi di carattere organizzativo ed economico, connessi all'esigenza di ridurre i costi a seguito delle minori entrate dovute all'emergenza epidemiologica.

Il lavoratore impugnava il licenziamento chiedendo l'accertamento della natura non dirigenziale delle mansioni esercitate e la conseguente nullità del recesso datoriale per violazione dell'art. 46 D.L. n. 18/2020, come modificato dal D.L. n. 34/2020, con conseguente reintegra nel posto di lavoro. In caso di diniego circa la natura non dirigenziale del ruolo svolto, il ricorrente richiamava ulteriori disposizioni normative a sostegno della propria domanda, al fine di ottenere una tutela reale o, subordinatamente, risarcitoria.

La questione

Può il divieto di licenziamento durante il periodo emergenziale da Covid-19 estendersi anche ai lavoratori con qualifica dirigenziale?

La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Milano ha ritenuto fondata la domanda del lavoratore finalizzata all'accertamento della nullità del recesso datoriale.

In via preliminare è stato evidenziato che il divieto di licenziamento durante il periodo emergenziale è applicabile anche alla categoria dei dirigenti. Una diversa interpretazione – ad avviso del giudice meneghino – non potrebbe trovare riscontro in una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 14 D.L. n. 104/2020. Suddetto divieto, infatti, opererebbe pacificamente per i dirigenti in ipotesi di licenziamento collettivo, sicché analogamente dovrebbe dirsi laddove il recesso sia individuale e motivato da ragioni economiche. Il rinvio da parte della normativa emergenziale all'art. 3 L. n. 604/66 sarebbe finalizzato alla identificazione della tipologia di licenziamento interessato dal blocco, rectius quello motivato da ragioni oggettive, connesse all'organizzazione aziendale e/o all'attività datoriale. Secondo il Tribunale, pertanto, non acquisterebbe rilievo la circostanza che la disciplina contenuta nella Legge richiamata non trovi applicazione ai dirigenti (art. 10), essendo l'intentio legis quella di evitare, durante la pandemia, i licenziamenti c.d. economici, il che verrebbe confermato anche dal richiamo al solo art. 3 della L. n. 604/1966 e non indistintamente all'intero testo legislativo. L'applicabilità della disciplina afferente il licenziamento collettivo alla figura dirigenziale, unitamente alla sua inclusione nel divieto fissato dalla L. n. 104/2020, renderebbe illogica l'esclusione del licenziamento individuale del dirigente.

Tale conclusione, precisa il Tribunale di Milano, verrebbe suffragata dalla applicabilità della tutela reale anche ai dirigenti in ipotesi di licenziamento nullo, nonché dalla necessaria giustificatezza oggettiva del recesso datoriale, la quale sarebbe in rapporto di continenza rispetto al meno ampio giustificato motivo oggettivo.

Secondo il giudice meneghino la differenziazione di trattamento risulterebbe incoerente con una lettura costituzionalmente orientata della disciplina in relazione al principio di eguaglianza, anche sotto il profilo della ragionevolezza. L'esigenza posta alla base del divieto di licenziamento durante il periodo emergenziale, recte ovviare provvisoriamente al rischio che le conseguenze economiche della pandemia si riversino automaticamente sui lavoratori, dovrebbe ritenersi comune ai dirigenti, tenuto anche conto della maggiore elasticità della disciplina negoziale ad essi applicata in caso di licenziamento.

Essendo il richiamo dell'art. 3 L. n. 604/1966 finalizzato ad identificare la natura delle ragioni potenzialmente giustificanti il licenziamento e condividendo la “giustificatezza oggettiva” il substrato sostanziale del giustificato motivo oggettivo, non potrebbe individuarsi una delimitazione soggettiva del divieto di licenziamento a svantaggio del dirigente. Diversamente il Legislatore non avrebbe optato per una tecnica normativa incentrata sulla tipologia di recesso datoriale.

Secondo il Tribunale, inoltre, tale tesi ermeneutica non verrebbe incisa dalla esclusione dei dirigenti dalle norme in materia di prestazioni indennitarie Covid-19, facendo l'art. 1, co. 305, L. n. 178/2020 espresso e generico riferimento ai “lavoratori” dipendenti, al 1° gennaio 2021, dei datori richiedenti la prestazione, senza operare alcuna delimitazione soggettiva.

Ulteriore conferma è individuata dal Tribunale nel messaggio n. 4464/2020 dell'INPS, in occasione del quale i dirigenti sono stati inclusi tra i possibili aderenti agli accordi collettivi di incentivo all'esodo. La società datrice, nel caso di specie, aveva stipulato con le oo.ss. un accordo riguardante esclusivamente la posizione dei dirigenti, così avvalorando la estensione del divieto di licenziamento anche alle figure dirigenziali.

Nel caso esaminato il giudice ha accertato, infine, che il ricorrente risultava aver operato come “pseudo-dirigente”, difettando lo stesso, nell'esercizio delle sue mansioni, dell'autonomia e delle discrezionalità caratterizzanti la qualifica dirigenziale, fatto non contestato dalla società datrice. Pertanto, il licenziamento del ricorrente era stato, in ogni caso, intimato in violazione di Legge (art. 46 D.L. n. 18/2020, come modificato dal D.L. n. 34/2020). Alla dichiarata nullità del licenziamento seguiva l'applicazione delle tutela reale a favore del dipendente, non integrando il conseguimento della pensione di anzianità una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro.

Osservazioni

La sentenza in commento affronta nuovamente il problema relativo alla possibilità o meno di includere i dirigenti nel perimetro soggettivo in cui opera il blocco dei licenziamenti “causa Covid-19”.

Sembra opportuno evidenziare come, nel succedersi della normativa emergenziale, il divieto posto a carico dei datori di lavoro sia divenuto da “generale” a “condizionale” e “mobile”, come da taluni definito.

L'art. 46 D.L. n. 18/2020, infatti, disponeva, a partire dal 17 marzo 2020, una temporanea preclusione dell'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 L. n. 223/1991 e, per lo stesso arco temporale, vietava, indipendentemente dal numero dei dipendenti, i licenziamenti per g.m.o. ai sensi dell'art. 3 L. n. 604/1966. Il termine finale di tale divieto, come è noto, è stato successivamente spostato in avanti dal Legislatore, fissando, tuttavia, a partire dall'art. 14 D.L. n. 104/2020 una condizione alla quale la preclusione del recesso datoriale, nelle medesime ipotesi, era subordinata, ossia l'integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (nonché dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'art. 3 del medesimo Decreto Legge).

Già la prima formulazione del divieto, priva di alcuna condizione, aveva fatto sorgere alcune perplessità circa la sua possibile delimitazione soggettiva e, nello specifico, sulla esclusione o meno dei dirigenti dal blocco.

Uno scontro di posizioni interpretative, a distanza di pochi mesi, ha interessato il Tribunale di Roma. Ad una iniziale apertura a favore dei dirigenti, inclusi nel blocco dei licenziamenti (sent. 26 febbraio 2021), è seguita (sent. 19 aprile 2021) una netta chiusura, strettamente legata al dato letterale della disposizione normativa.

Le argomentazioni fondanti la delimitazione soggettiva del blocco dei licenziamenti possono essere così compendiate: il rinvio della legislazione di emergenza all'art. 3 L. n. 604/1966 determinerebbe la necessità di considerare la connessione di tale articolo con le altre disposizioni della medesima Legge e, in particolare, con l'art. 10 che, espressamente, esclude i dirigenti dall'applicazione della disciplina relativa al licenziamento per gmo; la nozione di giustificatezza si discosterebbe da quella di giustificato motivo oggettivo, poggiando essa, da un lato, sul rapporto di fiducia esistente tra dirigente e datore, dall'altro, sullo sviluppo delle strategie dell'impresa laddove sussistano esigenze economicamente apprezzabili, fondate su elementi oggettivi (Cass. n. 396/2020; Cass. n. 9665/2019); la diversità di trattamento per i dirigenti, inclusi nel blocco limitatamente alle procedure di licenziamento collettivo, sarebbe giustificata dalla non coincidenza di tale ultima ipotesi con quella di recesso datoriale per gmo, considerato quanto previsto dall'art. 11 L. n. 604/1966 (“la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni della presente legge”), per cui la discrasia tra i due divieti, con riferimento alla figura dirigenziale, sarebbe soltanto apparente; il blocco dei licenziamenti sarebbe stato posto in stretto collegamento con la possibilità per i datori di richiedere l'accesso agli ammortizzatori sociali (art. 46 co. 1-bis D.L. n. 18/2020, come modificato dal D.L. n. 34/2020; nonché D.L. n. 41/2021) sicché, non potendo i dirigenti accedere a suddette forme di sostegno dell'occupazione, la tutela non sarebbe a carico della collettività ma del solo datore il quale, pur in presenza di motivi configuranti la giustificatezza del recesso, non potrebbe procedere al licenziamento, con restrizione irragionevole della sua libertà economica (art. 41 Cost.).

Il Tribunale di Milano, con la sentenza in esame, affronta nuovamente la questione, ponendo l'accento sulla intentio legis, nel contesto storico-sociale in cui la normativa emergenziale è venuta ad operare, piuttosto che sulla lettera delle disposizioni esaminate.

In particolare si è evidenziato che la limitazione della libertà economica ex art. 41 Cost. ha avuto lo scopo di ovviare al rischio che le conseguenze economiche generalizzate, derivanti dall'interruzione o dalla limitazione delle attività datoriali durante la pandemia, potessero ripercuotersi automaticamente sui lavoratori, cui licenziamento, diversamente, ben potrebbe essere legittimo in quanto giustificato da riorganizzazioni aziendali e/o riduzioni dei costi. In tale prospettiva teleologica, il giudice meneghino ha ritenuto non conforme ad una lettura costituzionalmente orientata, specie sotto il profilo della ragionevolezza, l'esclusione dei dirigenti dal perimetro operativo del blocco dei licenziamenti individuali. Ulteriore obiezione, di carattere logico, è stata fondata sul fatto che il datore, per le medesime ragioni di natura economica, sebbene non potrebbe procedere ad un licenziamento collettivo includente il dirigente, non incontrerebbe alcuna limitazione nel procedere individualmente nei confronti di quest'ultimo.

Le diverse basi argomentative poste a fondamento della tesi opposta a quella perorata dal Tribunale di Milano sono state singolarmente oggetto di vaglio critico. In particolare, il richiamato art. 3 L. n. 604/1966 non dovrebbe essere inteso come piano rinvio alla Legge nella sua interezza, ma esclusivamente alle ragioni suscettibili di essere poste a fondamento del licenziamento. Una delimitazione oggettiva, dunque, e non anche soggettiva del blocco, dal quale i dirigenti non potrebbero essere esclusi.

A questo si aggiunga che, secondo una parte della dottrina facente richiamo ad una sentenza della Corte Costituzionale (sent. n. 121/1972), l'esclusione ex art. 10 L. n. 604/1966 riguarderebbe solo la disciplina limitativa dei licenziamenti, tenuto conto del rapporto di fiducia esistente tra datore e dirigente. Il limite applicativo, invece, non si estenderebbe alle ulteriori disposizioni contenute nella medesima Legge e, nello specifico, all'imprescindibilità della giustificazione del recesso datoriale.

I concetti di “giustificatezza” e di “giustificato motivo oggettivo”, si è sottolineato, non potrebbero essere posti su piani assolutamente distinti, tenuto conto che l'ampiezza del primo includerebbe il secondo, così individuandosi un rapporto di continenza che confermerebbe l'estensione del divieto di licenziamento anche alla figura dirigenziale: le ragioni poste a fondamento del recesso, infatti, potrebbero essere le medesime, mutando solo la tutela riconosciuta al dirigente.

Con riferimento all'esclusione dei dirigenti dal campo operativo degli ammortizzatori sociali con causale Covid-19 e, dunque, al venire meno dello stretto collegamento tra questi ed il blocco dei licenziamenti, ad avviso del giudice meneghino l'art. 1, co. 305, L. n. 178/2020, facendo espresso e generico riferimento ai “lavoratori” che risultino alle dipendenze dei datori richiedenti la prestazione al 1° gennaio 2021, non opererebbe alcuna delimitazione soggettiva, sicché dovrebbero ritenersi inclusi anche i dirigenti occupati a tale data. Sul punto, tuttavia, non sembra preteribile una osservazione: la disposizione richiamata rinvia al comma 299 che, a sua volta, fa riferimento all'art. 19 D.L. n. 18/2020. In base al comma 8 dell'art. 19, i lavoratori destinatari delle disposizioni a sostegno dell'occupazione non solo devono risultare alle dipendenze dei datori richiedenti le prestazioni alla data del 23 febbraio 2020, ma per essi non trova applicazione l'art. 1, co. 2, D.lgs. n. 148/2015. Proprio tale ultimo articolo, al primo comma – non oggetto di espressa disapplicazione -esclude dall'ambito operativo della normativa i dirigenti (ed i lavoratori a domicilio).

A sostegno della propria tesi, il Tribunale cita inoltre un messaggio pubblicato dall'INPS, dove l'Istituto ha esteso ai dirigenti la possibilità di beneficiare della Naspi a seguito della loro adesione ad accordi aziendali incentivanti l'esodo. L'art. 14 D.L. n. 104/2020, infatti, al comma terzo, include tali accordi tra le possibili eccezioni al blocco dei licenziamenti. Suddetta estensione, pertanto, potrebbe avallare un'interpretazione favorevole alla applicabilità del divieto anche a favore dei dirigenti. Tale messaggio dell'INPS, tuttavia, sembra opportuno precisare, non è vincolante, non costituendo una fonte del diritto e potendo, pertanto, solo orientare l'interpretazione.

Tenuto conto di quanto sopra, sembra evidente che il dibattito sul tema non possa dirti sopito.

Tuttavia, a parare di chi scrive, appare difficile discostarsi dal dato letterale della normativa emergenziale in punto di licenziamenti. Il Legislatore, infatti, ben avrebbe potuto far riferimento al licenziamento c.d. economico tout court, anziché richiamare una disposizione non applicabile al lavoratore-dirigente. Suddetta limitazione, inoltre, deve essere logicamente ricollegata ad una libertà della quale, a monte, sia già titolare il datore. Orbene, come evidenziato dal Presidente di Sezione presso la Corte di Cassazione Giuseppe Bronzini, le norme sul blocco inibiscono l'esercizio di un potere del datore (i.e. recedere legittimamente), il che non potrebbe verificarsi per rapporti che, ab origine, non sono regolati dalla legge “sospesa”, non essendo essa applicabile ai dirigenti, diversamente dalla L. n. 223/1991 (come modificata dalla L. n. 161/2014). La differenza di trattamento esisterebbe ancora prima dell'entrata in vigore della normativa emergenziale, sicché l'operatività del divieto a favore delle figure dirigenziali solo nelle ipotesi di licenziamento collettivo costituirebbe un mero effetto rifletto, non anche una conseguenza diretta del blocco in esame.

Per approfondire

M. Agostini e M. Ercoli, Licenziamento del dirigente ai tempi del Covid- nota a Tribunale Roma, sez. lav., 26 febbraio 2021, in Lavoro diritti Europa LDE, n.4/2021.

M. De Luca, Blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 un anno dopo: è tempo di bilanci (nota a margine di Trib. Roma 26 febbraio 2021 e Trib. Ravenna 7 gennaio 2021, http://csdle.lex.unict.it/Archive/OT/From%20our%20users/20210413-013938_De_Lucapdf.pdf

A. Maresca, Divieti di licenziamento e tutela dell'occupazione nell'art. 8, D.L. n. 41/2021, in Lavoro diritti Europa LDE n. 2/2021

M. De Luca, Per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, che in genere è quella sbagliata: il licenziamento dei dirigenti nel blocco Covid, in Labor, Il lavoro nel diritto, n. 5/2021, pp. 611 ss.

E. Morrico, Il blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19, relazione – Webinar AGI, 28 giugno 2021

A. Zambelli, Il blocco dei licenziamenti vale anche per i dirigenti, in Sole 24 ore - 2 marzo 2021

F. Scarpelli, I licenziamenti economici come (temporanea) extrema ratio: la proroga del blocco nel D.L. n. 104/2020, Conversazioni sul lavoro dedicate a Giuseppe Pera dai suoi allievi, www.rivistalabor.it

F. Scarpelli, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, in RIDL, 2020, I, pp. 309 ss.

F. Chietera, Covid-19 e licenziamenti, in A. Pileggi (a cura di), Il diritto del lavoro dell'emergenza epidemiologica, Edizioni LPO, Supplemento al n. 3-4/2020 di Lavoro e Previdenza Oggi, pp. 147 ss.

M. Miscione, Il Diritto del lavoro ai tempi orribili del coronavirus, in Lav. nella giur., n. 4/2020, pp. 321 ss.

A. Bottini, Naspi ai dirigenti senza effetto sui licenziamenti, in Sole 24 ore - 15 dicembre 2020

Franco Toffoletto, Il divieto di recesso non vale peri dirigenti, in Sole 24 ore - 24 giugno 2020

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