L'interazione fra sostenibilità e governance: il percorso di crescita delle imprese

Gabriella Opromolla
08 Marzo 2022

Partendo dalla definizione di “sviluppo sostenibile”, l'Autore ripercorre brevemente le modalità con le quali il tema viene declinato sia all'interno dell'ordinamento che del contesto economico-finanziario, a partire dall'importanza via via acquisita dai criteri ESG, dalla “responsabilità sociale della impresa”, sino alla sua valorizzazione all'interno del Codice di Corporate Governance, alla centralità acquisita grazie all'introduzione della rendicontazione di sostenibilità, della politica di sostenibilità nelle remunerazioni nelle società quotate e degli obiettivi posti nel PNRR. Da ultimo, l'Autore dà atto dell'impatto del concetto di sostenibilità nell'ambito dell'oggetto sociale e con riguardo ai doveri degli amministratori.

Definizione del concetto di sostenibilità e sua declinazione nel mondo delle imprese

La sensibilità verso i temi ecologici e della sostenibilità sociale è in crescendo nel mondo finanziario e societario. In particolare, il termine “sostenibilità” è oramai di uso frequente, ma l'evoluzione non è stata e non è breve.

ll concetto di “sviluppo sostenibile” nel contesto economico aziendale è stato introdotto ufficialmente per la prima volta nel rapporto conosciuto come “Our Common Future”, ovvero il rapporto finale della Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo, istituita in ambito Onu nel 1983 e presieduta da Gro Harlem Brundtland. In esso si definisce “sviluppo sostenibile” ciò che “soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. Ad esso hanno fatto riferimento tutti i documenti e le conferenze globali successive, fino all'adozione, nel settembre 2015, dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile. In sostanza, si può definire “sviluppo sostenibile” la capacità di condurre ad equilibrio la sostenibilità sociale, quella economica e quella ambientale. Si tratta di una responsabilità globale che investe tutti gli attori della scena economica, dagli imprenditori, ai managers, agli intermediari, agli investitori.

Ciò ha determinato, ad esempio nel mondo della finanza, la ricerca di standard comuni per valutare le imprese quotate in base ai criteri ESG (Environmental, Social, Governance). Gli obiettivi ESG sono sempre più radicati anche all'interno delle aziende. Nel mondo dei grandi gruppi societari si tende, in particolare, a raggiungere tali obiettivi con l'elaborazione di piani strategici caratterizzati da una crescita del valore economico sostenibile; si parla quindi di transizione energetica, di e-mobility, di decarbonizzazione, di diversità e di inclusione. E' evidente poi che l'emergenza sanitaria causata dal Covid-19 e le problematiche connesse al climate change, hanno portato negli ultimi tempi a far percepire sempre più la necessità di integrare le tematiche ESG nei processi di business delle aziende, in linea con quanto sostenuto a livello mondiale dall'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Degna di nota è l'importante iniziativa che si è sviluppata, a supporto delle imprese, con la creazione di una apposita piattaforma digitale, “Open-es”, dedicata alla sostenibilità nelle filiere industriali e aperta a tutte le realtà impegnate nel percorso di transizione energetica. Si tratta di una piattaforma aperta a tutte le imprese, frutto della partnership tra Eni, Boston Consulting Group (BCG) e Google Cloud, nella quale il modello dati ESG si basa sulle metriche base definite nell'iniziativa “Stakeholder Capitalism Metrics” del World Economic Forum ed ha l'obiettivo di permettere a tutte le tipologie di società, ivi incluse le PMI, di misurarsi in un percorso di crescita e sviluppo sui valori della sostenibilità.

Dal punto di vista istituzionale, il legislatore italiano, il primo a livello europeo, coerentemente con la strategia adottata dalla Comunità Europea e “dando corpo” al concetto di corporate social responsibility nell'ordinamento giuridico (del quale si dà menzione nel successivo paragrafo), ha regolamentato le c.d. “società benefit”. Non si tratta di nuovi “tipi” sociali, bensì di società che integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull'ambiente, ovvero la riduzione di taluni effetti negativi, accettando di osservare codici etici e/ o di corporate governance. Per raggiungere lo status di “società benefit” è necessario procedere ad effettuare alcune modifiche statutarie, occorre introdurre, accanto alla denominazione sociale, le parole “Società Benefit” (come nella denominazione di Eni Gas e Luce) o l'abbreviazione “SB” ed utilizzare tale denominazione nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi. Nell'oggetto sociale andranno indicate anche le finalità di beneficio comune all'esercizio dell'attività economica e nei confronti di persone, comunità, territori, ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall'attività delle società. Ai sensi dell'art. 1 comma 378 della Legge 208/2015, il beneficio comune è identificabile nel “perseguimento – nell'esercizio dell'attività economica delle società benefit – di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su una o più categorie di cui al comma 376”. La legge impone inoltre la nomina di uno o più “soggetti responsabili cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune”. Dovrà poi essere evidenziato che fra i doveri/poteri degli amministratori vi è quello di bilanciare l'interesse dei soci con il perseguimento di finalità di interesse comune e con gli interessi delle categorie indicate nell'oggetto sociale.

A livello comunitario, invece, il Regolamento UE 2020/852 ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, ovvero la classificazione delle attività che possono essere considerate sostenibili tenendo in considerazione il rispettivo allineamento agli obiettivi ambientali dell'Unione Europea (Agenda ONU 2030) e al rispetto di alcune clausole di carattere sociale. Si segnala peraltro che l'adozione di un Regolamento comunitario ha diretta e immediata applicazione in tutto il territorio dell'UE e quindi in ciascun Stato Membro.

La responsabilità sociale della impresa: le linee guida dell'OCSE e la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021

Dalla fine del ventesimo secolo in Europa e negli Stati Uniti, a seguito dell'introduzione di una serie di riforme sociali, si diffonde sempre più il concetto di “Corporate Social Responsibility” (CSR) come obbligo di un'organizzazione di perseguire il proprio business in armonia con gli obiettivi sociali e ambientali del territorio di riferimento, in un'ottica di sostenibilità. Tale concetto, introdotto dall'economista Howard Rothmann Bowen nel 1953 (poi considerato il padre della CSR), viene successivamente ripreso da altri autori, che enfatizzano l'importanza della sostenibilità verso le problematiche sociali e ambientali, fino a raggiungere un maggiore interesse a livello internazionale alla fine degli anni ‘90: diventa, in tal modo, evidente per le organizzazioni che essere socialmente responsabili rappresenta l'unica strada per fronteggiare le sfide e le opportunità future e conseguire un risultato positivo nel medio e lungo periodo. La CSR, intesa quale fenomeno di self-regulation delle imprese volto a dare rilevanza ad istanze sociali e ambientali nella conduzione del proprio business, si è espressa inizialmente negli Stati Uniti, attraverso l'introduzione del modello societario delle Benefit Corporation e l'attenzione ai criteri ESG, per poi assumere una portata internazionale, ricevendo una significativa attenzione da parte dell'Unione Europea e di riflesso anche dal nostro ordinamento.

Dal punto di vista normativo-regolamentare, la sostenibilità intesa come “dovuta diligenza” delle imprese nella salvaguardia dei diritti umani ha avuto invece una primissima espressione nelle Linee guida OCSE del 25 maggio 2011 destinate alle imprese multinazionali. Si tratta di raccomandazioni non vincolanti sulla condotta d'impresa responsabile che i Governi rivolgono alle imprese multinazionali riconoscendo che le attività imprenditoriali possono avere impatti negativi sui lavoratori, sui diritti umani, sull'ambiente, sulla lotta alla corruzione, sui consumatori ed anche sul governo societario. Tali Linee guida raccomandano che le imprese attuino il dovere di diligenza con un approccio basato sul rischio, al fine di affrontare e, per quanto possibile, evitare gli impatti negativi legati alle proprie attività, alle catene di fornitura e alle altre relazioni commerciali. Trattandosi esclusivamente di strumenti di carattere volontario, tuttavia, in base ad uno studio della Commissione Europea del febbraio 2020, solo il 37% delle imprese ha attuato la dovuta diligenza in materia di diritti umani, benché molte si siano dichiarate favorevoli all'introduzione a livello comunitario di norme che ne tengano adeguata considerazione.

Dal punto di vista strettamente istituzionale, è invece soltanto con la risoluzione del Parlamento Europeo del 10 marzo 2021, che la Commissione europea si fa promotrice di una richiesta molto importante: quella di varare nuove norme sulla “dovuta diligenza” e sulla responsabilità delle imprese nel rispetto dei diritti umani, emanando una direttiva per uniformare la legislazione degli Stati Membri. Nella proposta di direttiva europea, il Parlamento definisce la “dovuta diligenza” come l'obbligo di un'impresa di adottare tutte le misure proporzionate e commisurate a scongiurare impatti negativi della propria attività sui diritti umani, sull'ambiente o sulla buona governance, lungo tutte le catene di valore. Secondo il Parlamento, il dovere di diligenza dovrebbe essere una condizione per l'accesso al mercato europeo, e sarà indispensabile che gli accordi commerciali dell'Unione Europea tengano conto del divieto di importazione di prodotti legati a gravi violazioni dei diritti umani.

Il nuovo codice di autodisciplina delle imprese quotate: il valore dato alla sostenibilità

Il Comitato per la Corporate Governance ha approvato, nel gennaio 2020, il nuovo Codice di Autodisciplina delle società quotate sul Mercato Telematico Azionario (“MTA”) gestito da Borsa Italiana. Le società che intendono adottare il “Codice di Corporate Governance” lo hanno dovuto applicare a partire dal primo esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2020, informandone il mercato nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel corso del 2022.

Una delle innovazioni più significative del nuovo Codice è la maggiore centralità data alla sostenibilità come “obiettivo che guida l'azione dell'organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”. Il successo sostenibile diventa quindi un obiettivo che orienta la gestione sociale, che si suddivide in due diverse declinazioni:

(i) la creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti;

(ii) il tener conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società. Ciò comporta che il profitto non può essere circoscritto a visioni speculative di breve termine, ma rimane comunque, in ultima istanza, lo scopo degli azionisti e quindi oggetto di dovere gestorio da parte degli amministratori. Si supera inoltre il paradigma dello shareholder value: gli amministratori devono tener conto degli interessi dei c.d. portatori di interessi (altri stakeholder) e ciò estende la loro discrezionalità verso scelte e politiche che tengano conto del dialogo con gli stakeholder, laddove in precedenza il focus era interamente sugli azionisti. Anche in questo caso, tuttavia, la valutazione e il perseguimento anche di interessi degli altri stakeholder rimane, in ogni caso, sempre profit-oriented. Non si può tuttavia affermare che il Codice risolva la nota contrapposizione fra istituzionalismo e contrattualismo come pure l'antagonismo fra le teorie della shareholder value e della stakeholder value propendendo in modo determinato per l'una o per l'altra. Peraltro, oggi si può affermare che l'antinomia fra contrattualismo e istituzionalismo non è più attuale dal momento che la massimizzazione del valore per gli azionisti (shareholder value) non impedisce il tener conto di obiettivi e di interessi degli altri stakeholders.

In ogni caso, ciò che rileva è che il principio della sostenibilità, ha acquisito un rilievo ufficiale tanto da elevarsi a guida dell'organo di amministrazione il quale, coadiuvato da un comitato consiliare ad hoc, avrà il compito di integrare gli obiettivi di sostenibilità con la predisposizione del piano industriale della società e/o del gruppo di riferimento. Il nuovo piano strategico di A2A, ad esempio, si caratterizza per un forte contributo all'accelerazione della decarbonizzazione del Paese.

La rendicontazione non finanziaria (di sostenibilità)

L'Unione europea nel Libro verde della Commissione (2001) definisce il “bilancio di sostenibilità” come “l'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Anche il Ministero dell'Interno in Italia ha indicato una definizione ufficiale affermando che “il Bilancio Sociale è l'esito di un processo con cui l'amministrazione rende conto delle scelte, delle attività, dei risultati e dell'impiego di risorse in un dato periodo, in modo da consentire ai cittadini e ai diversi interlocutori di conoscere e formulare un proprio giudizio su come l'amministrazione interpreta e realizza la sua missione istituzionale e il suo mandato”.

Con il bilancio di sostenibilità una impresa, un ente pubblico, un'associazione, comunica periodicamente, in modo volontario, i risultati della sua attività, non limitandosi ai soli aspetti finanziari e contabili, ma rendicontando i risultati sociali e ambientali generati dall'azienda nello svolgimento della sua attività. Nell'ambito profit, la rendicontazione delle informazioni non finanziarie è obbligatoria per le aziende quotate e del settore bancario-assicurativo, di grandi dimensioni (ex d.lgs. n. 254/2016 che recepisce la direttiva europea 2014/95/UE), mentre è volontaria per la restante platea di aziende. Più in dettaglio, il d.lgs. 246/2016 richiama cinque ambiti di rendicontazione:

(i) lotta alla corruzione attiva e passiva;

(ii) ambiente;

(iii) personale;

(iv) sociale;

(vii) diritti umani.

Si precisa, inoltre, che le aziende devono rendicontare anche su temi specifici e rilevanti per loro. In relazione a tali ambiti, l'azienda deve mettere in evidenza modalità di gestione, rischi, politiche e performance, come pure rendicontare sul modello di business. Da notare è che la dichiarazione non finanziaria prevista dal d.lgs. n. 254/2016 è soggetta all'iter approvativo e pubblicitario previsto per il bilancio civilistico. Il documento è quindi depositato presso il Registro delle imprese e reso pubblico attraverso i canali istituzionali (sito internet).

Il bilancio di sostenibilità ha diversi vantaggi per le aziende:

(i) in primis, un impatto ambientale e sociale, in quanto comunicare agli stakeholders, interni ed esterni, quali sono le azioni sostenibili attuate dalla azienda e volte al miglioramento dell'impatto ambientale e sociale migliorano la sua reputazione; inoltre,

(ii) l'utilizzo di nuove metodologie e tecnologie nei diversi processi produttivi dà la possibilità alle imprese di avvicinarsi a nuove forme di finanziamento e di investimento, oltre che di scoprire nuovi ambiti di business legati alla sostenibilità;

(iii) vengono poi eliminati i costi operativi inefficienti e messo in atto un monitoraggio e un miglioramento continuo delle performance. oltre che di maggiore efficienza nella gestione dei rischi;

(iv) infine, poiché la redazione del bilancio di sostenibilità è un processo che coinvolge in maniera diretta i dipendenti dell'azienda, ciò implicitamente aumenta la fidelizzazione, la motivazione e l'efficienza dei dipendenti.

La politica di sostenibilità nelle remunerazioni nelle società quotate

Un altro aspetto rilevante dell'orientamento delle imprese verso la sostenibilità è dato dall'integrazione di parametri di performance non finanziaria all'interno delle politiche di remunerazione degli amministratori, in particolare di quelli esecutivi. In particolare, con l'entrata in vigore della Direttiva (UE) 2017/828 (Shareholders' Rights Directive 2, “SHRD 2”) oltre che della pubblicazione del nuovo Codice di Corporate Governance (menzionato nel paragrafo che precede), le società quotate italiane stanno focalizzando sempre di più la loro attenzione sugli aspetti relativi alla sostenibilità nella gestione aziendale, alla trasparenza delle strutture organizzative e alle attività di engagement degli azionisti. Più precisamente, il Codice di corporate governance 2020 incoraggia le società quotate italiane verso una sostenibilità di lungo periodo anche attraverso specifiche raccomandazioni relative alle politiche di remunerazione degli amministratori esecutivi e del top management di quest'ultime, prevedendo che una parte significativa della loro remunerazione variabile sia legata alle performance della società anche in termini di requisiti ESG. La Direttiva (UE) 2017/828 è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 49/2019 e rappresenta la novità legislativa di maggiore impatto per quanto riguarda l'allineamento degli interessi degli azionisti con quelli delle società. Il D. Lgs. 49/2019 ha, di fatto, trasposto nel sistema legislativo italiano le disposizioni della SHRD 2 relative alla remunerazione degli amministratori e dei key manager delle società quotate italiane, introducendo in particolare il diritto dei soci ad esprimersi obbligatoriamente in maniera vincolante in merito alla politica di remunerazione in sede assembleare. A seguito della promulgazione della SHRD 2 e della conclusione del relativo procedimento di consultazione pubblica, CONSOB ha altresì modificato la normativa in materia di remunerazione, intervenendo, in particolare, sul formato della “Relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti” che le società quotate sono chiamate ad approvare in occasione dell'assemblea annuale (la “Relazione sulla Remunerazione”). Le società devono pertanto redigere la Relazione sulla Remunerazione sulla base dei nuovi schemi e gli azionisti sono inoltre tenuti ad esprimere due voti separati in merito alle due sezioni della relazione sulla remunerazione.

La correlazione fra la remunerazione variabile di breve (ovvero quella annuale) e quella di lungo periodo ai fattori ESG è la modalità per guidare i comportamenti verso il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, in quanto significa riporre fiducia e responsabilità nel top management che, accanto ai tradizionali indicatori di performance economico-finanziari e patrimoniali, trova indicatori con riguardo ad ambiti non tradizionali quali quelli legati alla sostenibilità. Inizialmente i fattori più utilizzati all'interno dei sistemi incentivanti appartenevano all'area ambientale (environment) (ad esempio, la riduzione delle emissioni di CO2, l'approvvigionamento da fonti di energia pulita e il concetto di economia circolare) e all'area di governance (con modelli e strutture che presidino le tematiche di distribuzione di poteri, con un efficace controllo dei rischi, con la fluidità dei processi, con l'efficacia dei comitati endo-consiliari), ma oravengono presi in considerazione anche i fattori sociali, ovvero quelli che riguardano le tematiche di “diversità” e di “inclusione” (ad esempio, perseguendo obiettivi di equità retributiva e su sistemi HR che riconoscano e valorizzino il talento indipendentemente da genere, etnia, orientamento sessuale o qualsiasi altro elemento potenzialmente discriminante, oppure con il raggiungimento della parità di genere su posizioni di responsabilità).

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”)

Obiettivi di sostenibilità per le aziende derivano anche dal cd. “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (“PNRR”), un piano strategico elaborato dal Governo italiano per poter accedere ai fondi stanziati dal “Next Generation EU” (NGEU), il programma che l'Unione Europea ha approvato per far fronte alla crisi provocata dall'epidemia COVID-19. Il PNRR prevede una serie di investimenti e attività da realizzare e sviluppare in vari settori per poter far riprendere l'economia italiana, duramente provata dalla pandemia. Tra i focus strategici del piano vi sono la transizione ecologica, che si realizza attraverso la riduzione degli inquinanti, il dissesto territoriale, l'impatto delle produzioni sull'ambiente, il miglioramento della qualità di vita e la sicurezza ambientale, e l'inclusione sociale che include la promozione della parità di genere, la valorizzazione dei giovani come risorsa di sviluppo, il superamento delle differenze nel territorio italiano. In generale, l'orientamento delle imprese è quello di una sempre maggiore consapevolezza di quanto sia importante mettere a bilancio, svilupparsi e crescere nel pieno rispetto della sostenibilità. Tutto ciò si riflette anche sulla governance mediante l'istituzione di comitati o di organi che riportano al consiglio di amministrazione circa i temi di sostenibilità, ovvero adottando all'interno dei propri piani industriali un piano strategico orientato alla piena neutralità climatica o ad un percorso di decarbonizzazione.

L'impatto della sostenibilità sulle clausole statutarie e/o sui doveri degli amministratori

Il diritto societario italiano attualmente non contempla una specifica previsione che comporti un obbligo di considerare nella gestione sociale gli interessi di soggetti diversi dagli azionisti (i cd. stakeholders). Tuttavia, come si evince dai precedenti paragrafi, il percorso verso la sostenibilità è chiaramente stato delineato dai provvedimenti che via via sono stati adottati, quali ad esempio, fra quelli citati, la disciplina delle società benefit, il bilancio di sostenibilità, il codice di autodisciplina delle società quotate. E' peraltro vero che, per le loro funzioni, tipicamente gestorie, gli amministratori devono in ogni caso valutare i vari interessi coinvolti (anche quelli ambientali e sociali), al fine di evitare i rischi che potrebbero compromettere la redditività della impresa. Come ampiamente delineato dal Rapporto Assonime del giugno 2021 “Doveri degli amministratori e sostenibilità”, si discute quindi sulla modalità migliore per dare ufficialità con un adeguato fondamento normativo a tali principi nel diritto societario. In particolare, la scelta può essere incidere a livello statutario contemplando direttamente nell'oggetto sociale temi relativi alla sostenibilità (come ad esempio è stato fatto nello statuto di Snam o di Hera) oppure richiamando nei poteri di gestione degli amministratori il principio secondo il quale il consiglio deve guidare la società perseguendo il successo e la crescita sostenibile a beneficio degli azionisti (come ad esempio, è stato proposto dal C.d.a. di Sesa). E' evidente che inserire specifici doveri in materia di sostenibilità nello statuto, comporta da un lato un impegno forte da parte della società, impegno che operativamente si riflette sui manager che gestiscono la società stessa e dall'altro, una visibilità ed attrazione maggiore per gli investitori che sono sempre più esigenti su tali temi.

In tale ambito lo studio Assonime citato conclude sostenendo l'opportunità di una Raccomandazione europea che chieda agli Stati membri di assicurare che i relativi ordinamenti nazionali (i) riconoscano il dovere fiduciario degli amministratori delle imprese di grandi dimensioni di tener conto della sostenibilità ambientale e sociale dell'attività d'impresa nel perseguimento della creazione di valore a lungo temine, come già affermato nel nuovo Codice italiano sulla Corporate Governance per le società quotate; (ii) affidino agli amministratori il compito di ponderare gli interessi degli stakeholder rilevanti nell'ambito della loro responsabilità gestoria; (iii) salvaguardino l'esclusiva responsabilità dei soci di agire per la violazione dei doveri fiduciari, anche in funzione dell'adeguata considerazione degli interessi degli stakeholder.

Attualmente, pertanto, non si può ragionevolmente affermare che sorga una vera e propria responsabilità degli amministratori per il mancato conseguimento degli obiettivi di sostenibilità, anche perché, come è noto, la responsabilità degli amministratori sorge in relazione a violazioni di specifiche norme, quali ad esempio gli obblighi informativi, e vige in linea di principio la regola della c.d. business judgement rule che si basa sulla concezione, prettamente anglosassone, secondo cui il rapporto tra amministratori e soci di una società si fonda essenzialmente sui concetti di trust e di agency. Nei confronti degli amministratori si applica in sostanza una presunzione – superabile esclusivamente nella ipotesi in cui gli attori provano il contrario (ad esempio, si deve dimostrare l'assenza di "procedural due care", se il consiglio ha deliberato senza avere informazioni essenziali che era ragionevole ottenere, oppure dedicando un tempo palesemente insufficiente alla materia) - che gli amministratori abbiano, agito informati, in buona fede, e nell'onesto convincimento che l'azione intrapresa fosse nel migliore interesse della società. Anche nella ipotesi in cui gli obiettivi di sostenibilità trovassero spazio nello statuto, non si può pensare di imputare di per sé agli amministratori che non li conseguono una responsabilità a meno che non si provi in sede di azione di responsabilità che dalla condotta dell'amministratore ne sia derivato un pregiudizio in termini di lesione della integrità patrimoniale della società.

In conclusione

Come si evince dal percorso di cui si è fatto cenno nel presente contributo, la sostenibilità non è solo una questione etica, ma ha assunto anche rilievo dal punto di vista economico, diventando un obiettivo delle imprese di ogni dimensione e un elemento di competitività sul mercato. Sostenibilità significa per le imprese raggiungere un grado di efficienza e rispondere alle richieste del mercato che, rappresentato dai consumatori e dagli investitori ed operatori, sempre più esige dalle imprese il conseguimento di obiettivi di sostenibilità. La sostenibilità, pertanto, orienta sia le scelte di investimento che quelle di finanziamento. Il rispetto dei criteri ESG, di conseguenza, è diventato fondamentale per le imprese. Il passo successivo nel lungo percorso che ha portato il concetto di sostenibilità ad essere ora come un faro per le imprese, è quello di individuare le corrette modalità di enforcement di questi nuovi “doveri” (ad oggi tali a livello teorico) degli amministratori. Si presume, tuttavia, che tale processo potrà applicarsi in modo limitato al mondo delle imprese; sostanzialmente sarà limitato alle società di grandi dimensioni (che siano o meno quotate), considerando il fatto che a livello di governance e di processi tale nuovo assetto difficilmente potrebbe essere conseguito, perché eccessivamente oneroso, da aziende di dimensioni minori.

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