Morte non causata dalle lesioni: i criteri di liquidazione del danno da premorienza fra tabelle pretorie e principi giurisprudenziali dopo la Cass. 41933/2021

08 Marzo 2022

Nel caso in cui la vittima di lesioni personali muoia per cause diverse dalle stesse, il diritto al risarcimento del danno si conserva e si trasferisce agli eredi secondo le rispettive quote. Dalla Tabella di Milano tale danno è definito “da premorienza” sulla base della considerazione che la vittima decede per cause diverse dalla lesione prima della fine del giudizio o di ottenere la liquidazione del risarcimento a seguito di una transazione. A prescindere dalle definizioni che a tale danno possano essere date, la questione più spinosa, oggetto del presente focus, riguarda i criteri di liquidazione.
Introduzione

Nel caso in cui la vittima di lesioni personali muoia per cause diverse dalle stesse, il diritto al risarcimento del danno si conserva e si trasferisce agli eredi secondo le rispettive quote.

Dalla Tabella di Milano tale danno è definito “da premorienza” sulla base della considerazione che la vittima decede per cause diverse dalla lesione prima della fine del giudizio o di ottenere la liquidazione del risarcimento a seguito di una transazione.

A prescindere dalle definizioni che a tale danno possano essere date, la questione più spinosa, oggetto del presente focus, riguarda i criteri di liquidazione.

Il punto di partenza per ogni ragionamento è che il danno biologico alla salute, oggi definito dinamico-relazionale, viene comunemente liquidato attraverso tabelle che tengono conto dell'età della vittima ritenendosi che il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età di chi lo subisce: si ritiene infatti che una cosa sia convivere con la menomazione conseguente alla lesione per pochi anni ed altra cosa sia conviverci per la maggior parte della vita.

Quindi il valore monetario del punto di invalidità è ricavato da una funzione che tiene conto dell'età della vittima al momento del sinistro e presuppone che essa vivrà per tutta la durata media (82 per gli uomini ed 85 per le donne) convivendo con quella menomazione.

La differenza che pertanto sussiste con l'ipotesi in cui la vittima deceda per cause diverse dalla lesione è che, mentre normalmente viene presunta la durata della vita, in tal caso, il periodo di tempo in cui la vittima ha convissuto con i postumi conseguenti alla lesione costituisce invece un dato noto.

Sulla base di tale considerazione la giurisprudenza ormai pacifica ha affermato il principio secondo il quale nella aestimatio del danno il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta (fra le varie si veda Cass., n. 489/1999; Cass. n. 22338/2007).

Il principio è talmente pacifico che nel panorama giurisprudenziale si registra un solo ed isolato precedente della Sezione Lavoro, in cui la Cassazione ha affermato che la valutazione del danno biologico va commisurata alla speranza di vita futura, e quindi alla durata della vita media “restando priva di rilievo la durata effettiva della vita” (Cass. civ. n. 2357/2003).

Nella vacatio legis ed anche in mancanza di tabelle pretorie, il giudice non poteva far altro che elaborare il criterio ritenuto più opportuno per decidere il caso concreto con il solo limite imposto dal dovere di fornire un'adeguata e logica motivazione.

I criteri maggiormente utilizzati sono stati sostanzialmente tre:

  1. il criterio della riduzione equitativa del valore monetario risultante dall'applicazione pura e semplice delle tabelle (Cass. n. 5366/1998; Cass. n. 3561/1998; Cass. n. 4991/1996) che soffre del fatto di essere soggetto al libero arbitrio e rischia di non garantire l'equità delle decisioni intesta come uniformità liquidativa di fronte a casi analoghi (Cass. n. 12408/2011);
  2. il criterio della proporzione, attraverso il quale ridurre il risarcimento in misura corrispondente al rapporto fra il tempo in cui si è sopportato il danno e quello per il quale si sarebbe dovuto sopportare se la vittima fosse sopravvissuta per tutta la durata della vita media. Tale criterio, però, conduce a risultati che gratificano maggiormente i soggetti anziani rispetto ai giovani. Difatti considerando, ad esempio, un'invalidità del 30%, una sopravvivenza di 5 anni dall'evento, ed un'aspettativa di vita per le donne di 85 anni, ad una bambina di 10 anni spetterebbe un importo di €. 12.013,46 [(180.202/75)x5], mentre ad una settantenne quello di €. 41.198,00 [(123.594/15)x5];
  3. il criterio che pone alla base del calcolo non il valore del punto corrispondente all'età della vittima, ma quello corrispondente ad un soggetto di età pari alla differenza fra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuti. Con tale criterio, riprendendo l'esempio appena fatto, la bambina di dieci anni e la settantenne, avrebbero lo stesso risarcimento di €. 114.159,00 ossia quello che spetta ad una vittima di anni 80 (85-5), con il limite di non considerare l'età in cui le menomazioni conseguenti alla lesione abbiano inciso sugli aspetti dinamico relazionali della vittima né il sesso.

La risposta delle Tabelle di Milano e Roma

L'assenza di criteri certi ha prestato il fianco a liquidazioni disomogenee e quindi contrarie al principio equitativo che, come inteso da Cass. 12408/2011, svolge la funzione di garantire la certezza e l'equivalenza risarcitoria in tutto il territorio nazionale ossia la cd. uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi.

Per far fronte a tale problematica, l'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha elaborato un criterio che è stato inserito nelle Tabella pubblicata nel 2018 e riproposto, aggiornato secondo gli incidi Istat, nell'edizione del 2021.

Per liquidare il danno che viene definito da premorienza, l'Osservatorio, scartando le tesi formatesi in giurisprudenza e dottrina, ha elaborato un criterio proprio sulla base dei seguenti principi:

1. inidoneità del dato anagrafico ai fini della differenzazione dei risarcimenti visto che tale fattore è funzionale a calcolare l'aspettativa di vita, ossia il probabile tempo durante il quale la lesione subita dispiegherà i suoi effetti dannosi e pertanto rileva solo nel caso in cui non sia nota la data del decesso;

2. individuazione di un valore risarcitorio medio annuo attraverso il rapporto fra la media matematica per ogni percentuale di invalidità, (tra il quantum liquidabile ad un soggetto di anni 1 ed uno di anni 100) e il valore ricavato dalla media matematica tra le aspettative di vita di ogni soggetto compreso fra 1 e 100 anni;

3. funzione decrescente del risarcimento che è tanto maggiore quanto più si è in prossimità dell'evento, per poi diminuire con il passare del tempo e con lo stabilizzarsi della lesione.

Sulla base di tali principi è stato elaborato un criterio che individua per ogni percentuale di invalidità, un importo uguale per tutti, a prescindere dall'età e dal sesso, valevole per il primo anno, al quale ne segue un altro di importo inferiore che vale per i primi due anni, superati i quali si aggiunge per ogni anno successivo un risarcimento fisso di importo ancora inferiore rispetto ai precedenti.
Il risultato ottenuto è aumentabile con una personalizzazione fino al 50% in ragione dell'età della vittima e delle peculiarità del caso concreto.

Così, alla vittima che ha riportato un'invalidità del 30% e sia sopravvissuta 5 anni dopo l'evento dannoso, spetterà l'importo di €. 14.200,00 per i primi due anni e quello di €. 4.057,00 per ognuno dei successivi tre anni, per un importo risarcitorio complessivo di €. 26.371,00 da personalizzare in ragione dell'età e delle peculiarità del caso, al massimo, con ulteriori €. 13.185,50.

Il Tribunale di Roma, intervenendo immediatamente dopo la pubblicazione della Tabella milanese, ha invece elaborato un diverso criterio per la “Liquidazione del danno biologico in caso di decesso intervenuto nel corso del giudizio o prima di esso per causa diversa dalle lesioni oggetto di risarcimento” che, pur condividendo con quello meneghino il principio giurisprudenziale che nega la possibilità del risarcimento pieno ove sia nota la durata della vita, si fonda tuttavia, su presupposti diversi che possono essere cosi riassunti:

1. il danno non è una funzione costante crescente con il tempo. Ciò significa che non si acquisisce giorno per giorno una frazione del danno complessivo perché una sua parte, che corrispondente all'adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta, si acquisisce al momento stesso della lesione mentre la parte del danno correlata con i pregiudizi fisici e psichici che il soggetto incontrerà, si acquisisce nel tempo;

2. l'importo corrispondente alla parte di danno che si acquisisce immediatamente viene quantificato in un valore compreso fra il 10% ed il 50% in relazione alla entità del danno biologico secondo una determinata tabella;

3. la parte restante è pari al rapporto fra la somma tabellare ridotta dell'importo già considerato, per il numero di giorni di sopravvivenza rispetto alla vita media da moltiplicare per il periodo di sopravvivenza concreta;

4. per rendere più realistico il calcolo si tiene conto della durata della vita per fasce di età.

Quindi, seguendo l'esempio di prima, alla vittima di 10 anni che ha subito un'invalidità del 30% e che muore dopo 5 anni dalla lesione, spetta il seguente risarcimento: danno biologico tabellare = €. 121.741,59; per un'invalidità dal 21 al 40% la quota di danno immediato varia dall'11 al 20%, sicché considerando il 15% si ottiene un importo risarcitorio pari alla componente immediata di €. 18.261,15. A tale somma si devono aggiungere €. 6.898,69 per la quota variabile calcolata nel seguente modo: 121.741,59 – 18.261,15= 103.480,44 da dividere per 75 che è l'importo pari alla differenza fra la durata statistica della vita (85) e l'età al momento del decesso (10) ed il risultato si moltiplica per i 5 anni di sopravvivenza. L'importo del risarcimento complessivo è dunque pari ad €. 25.159,84.

Alla settantenne, invece, spetterebbe l'importo di €. 12.524,72 come danno immediato ed €. 23.657,81 per la parte variabile e quindi un risarcimento complessivo di €. 36.182,53, maggiore di quello spettante alla vittima più giovane.

La posizione della Cassazione sui criteri di liquidazione del danno da premorienza

Il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità è il seguente: “ove la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, l'ammontare del danno spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrata alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella probabile, in quanto la durata della vita futura, in tal caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica, ma è un dato noto; e, d'altra parte, non è giuridicamente configurabile un danno risarcibile in favore della persona per il tempo successivo alla sua morte” (Cass. 14767/2003; Cass. 22338/2007; Cass. 2297/2011; Cass. 23739/2011; Cass. 679/2016; Cass. 12913/2020).

Ribadito tale principio, che sta alla base di entrambe le proposte tabellari sopra menzionate e mai da alcuno posto in dubbio (se non da quella menzionata sentenza della Sezione Lavoro), la Cassazione con una recente decisione del 29 dicembre 2021, la n. 41933, ha bocciato il criterio milanese, in favore del criterio proporzionale.

La questione riguardava il caso di un investimento di un pedone deceduto durante il giudizio di merito per cause diverse dalle lesioni subite.

La vittima aveva riportato un'invalidità permanente del 62% ed era deceduta dopo 5 anni dall'evento sicché in applicazione della Tabella di Milano sulla premorienza, la Corte di merito aveva accordato un risarcimento che, personalizzato nella misura massima consentita, ammontava ad €. 141.258,00.

Gli eredi della vittima ricorrevano per cassazione rilevando un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi sopravviva sino alla fine del giudizio rispetto a chi venga a mancare prima del suo esito, evidenziando come il risarcimento per un 62% di invalidità riconosciuto ad un 72enne, la cui aspettativa di via (tenuto conto che per le donne l'età media è di 87 anni) sia di 15 anni, fosse pari ad €. 434.674,00, e quindi ad un importo ben superiore di quello, calcolato con il criterio della premorienza, per colui che sopravviva per 15 anni con la stessa invalidità, il cui importo ammonta infatti ad €. 239.052,00.

La Suprema Corte, ritenendo il motivo di ricorso ammissibile perché relativo alla coerenza della Tabella di Milano col principio di equità e, quindi, di dover vagliare il criterio tabellare da premorienza alla luce dell'art. 1226 c.c., ha criticato lo stesso sul piano logico, giuridico e medico legale per aver utilizzato una funzione decrescente del risarcimento, essendo il danno biologico permanente, per sua stessa definizione, destinato a rimanere stabile nel tempo a differenza di quello da sofferenza che, comunque entro certi limiti, può affievolirsi grazie alla capacità di adattamento dell'essere umano.

Eliminata la funzione decrescente del risarcimento e postulato il suo valore costante nel tempo, la Cassazione ha ritenuto che per poter essere equa, la tabella debba garantire che a parità di durata della vita residua debba corrispondere, ovviamente in caso di invalidità permanente, un risarcimento uguale.

Se infatti gli €. 434.674,00 vengono riconosciuti ad un 72enne che abbia riportato un 62% di invalidità sul presupposto che debba convivere con la menomazione per altri 15 anni significa che ogni anno vale €. 28.976,00 sicché 5 anni devono valere €. 144.880,00 e non l'importo inferiore risultante dall'applicazione della tabella per la premorienza indicato dalla Corte di merito in €. 94.172,00, a nulla valendo che, con la massima personalizzazione accordata, l'importo sia stato riconosciuto in complessivi €. 141.258,00, poiché la possibilità di personalizzare del danno è prevista anche dalla tabella per la sopravvivenza.

Omettendo di garantire parità di trattamento risarcitorio a parità di durata di sopportazione della menomazione conseguente alla lesione, la Tabella di Milano sulla premorienza deve ritenersi contraria all'equità e deve preferirsi il criterio della proporzionalità, peraltro già sancito da Cass. 13331/2015, secondo il quale il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni effettivamente vissuti.

Con l'applicazione di tale formula, secondo la Suprema Corte, si garantisce coerenza risarcitoria e quindi equità fra il risarcimento che spetta a colui che sopravvive alla liquidazione e quello di colui che, invece, per causa diversa dalla lesione, deceda prima di ottenerla.

Per mera completezza, è da notare come la stessa Terza Sezione solo tre mesi prima, con la decisione del 29.09.2021 n. 26300, abbia avvallato l'applicazione del criterio della Tabella di Milano per il danno da premorienza andando a cassare con rinvio una decisione in cui la Corte di merito ne aveva fatto scorretta applicazione.

Conclusioni

Con l'ordinanza n. 41933/2021, la Terza Sezione assesta un altro duro colpo alla tabella Milanese già cassata da recenti decisioni con riferimento ai criteri di liquidazione del danno da perdita di congiunto (Cass. 10579/2021; Cass. 7770/2021; Cass. 33005/2021) che prevederebbero una forbice inidonea a garantire equità liquidativa, in favore di un criterio a punti che Cass. 26300/2021 ha espressamente individuato in quello previsto dalla Tabella di Roma.

Il colpo è ancora più duro se si considera che con tale ordinanza, la Suprema Corte ha ritenuto ammissibili anche altri criteri, oltre a quello proporzionale pieno, richiamando, in particolare quello che applica il criterio proporzionale soltanto alla parte residua, riconoscendo che una quota del risarcimento si maturi immediatamente mentre l'altra in modo proporzionale al numero di anni effettivamente vissuti che, a ben vedere, altro non rappresenta se non quello proposto dalla Tabella di Roma.

Come notato, però, il criterio proporzionale, che sia pieno o limitato ad una parte del danno, conduce a premiare le vittime più anziane rispetto a quelle più giovani, senza alcun apparente supporto logico, giuridico e medico legale, comportando liquidazioni ugualmente criticabili sotto il profilo dell'incoerenza con il principio di equità.

E se si considera che la recente ordinanza non ritiene “dissonante” con il principio affermato il precedente n. 25157/2018, secondo il quale il principio proporzionale è applicabile “solo nel caso in cui il decesso sia intervenuto in età precoce rispetto all'ordinaria aspettativa di vita, atteso che, nel caso opposto, il punto base di riferimento per la liquidazione tiene già conto delle ridottissime aspettative di vita del danneggiato, sicché nessuna ulteriore riduzione deve essere applicata in considerazione dell'avvenuto decesso”, si comprende come, a prescindere dalla coerenza fra la liquidazione con la tabella per la sopravvivenza e quella della premorienza, venga trascurato l'aspetto della coerenza del risarcimento fra vittime di età diverse a parità di sopravvivenza perché ad un 96enne per un 30% di invalidità può essere riconosciuto l'importo pieno di €. 99.064,00, senza alcuna detrazione quando al giovane di 10 anni che deceda a 15, può essere riconosciuto solo l'importo di €. 12.013,46.

Tra l'altro, alla luce della critica che la S.C. muove alla funzione decrescente del risarcimento, è intuibile presagire un'imminente attacco al criterio meneghino sul danno terminale che, al pari di quello da premorienza, è anche esso fondato sulla funzione decrescente, tanto che riconosce agli ultimi giorni di vita della vittima in stato terminale un importo inferiore di quello invece accordato al momento corrispondente all'inizio della lucida agonia, in questo caso però con evidente illogicità ed erroneità giuridica, logica e medico legale.

Oggi pertanto, come ho già segnalato nel commento a Cass. 11719/2021 dal titolo “Perdita del rapporto parentale: marcia indietro della Cassazione sulla validità della tabella di Milano?su questa Rivista, nell'attesa della tabella di legge che risolverà ogni questione, nonostante tutti auspichino l'utilizzo di una sola tabella di riferimento qualunque essa sia, si ha la paradossale conclusione che per la liquidazione del danno biologico la tabella di Milano è quella a cui riferirsi mentre per il danno parentale ci si dovrà riferire alla tabella di Roma che potrà essere utilizzata, anche, per il danno da premorienza in alternativa al criterio proporzionale pieno, con buona pace della chiarezza che deve guidare l'interprete nel difficile compito di liquidare le poste di danno con conseguente rischio di incentivo del contenzioso.

Quindi, un ritorno al passato ed una pluralità di criteri che il più attento degli interpreti dovrà conoscere, gestire e proporre, a seconda dei casi concreti, suggerendo al giudice l'applicazione di quello ritenuto più equo a risarcire quella determinata vittima.