Le Sezioni Unite definiscono in senso estensivo i requisiti per l'iscrizione all'Inpgi per gli addetti agli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni
11 Marzo 2022
Massima
L'attività svolta nell'ambito dell'ufficio stampa di un azienda sanitaria locale (ente pubblico regionale), avente i contenuti di attività giornalistica, comporta l'obbligo di iscrizione degli addetti all'Inpgi e il versamento della relativa contribuzione previdenziale, restando irrilevante, a tali effetti, l'inquadramento contrattuale collettivo dei lavoratori nell'ambito del Ccnl giornalisti (o in base a situazione assimilabile nell'ambito del Ccnl della p.a.) e l'iscrizione all'albo professionale dei giornalisti, quest'ultima peraltro attuabile ex post, con effetto retroattivo. Premessa
Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione affrontano una problematica sulla quale è destinato a incidere, dal 1° luglio di quest'anno, il riassetto dell'Istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi) che, per effetto della Legge di Bilancio 2022 (L. n. 234 del 2021), viene fatto transitare nell'ambito dell'Inps.
Si tratta di una sentenza adottata in un quadro generale di notevoli difficoltà per l'Ente previdenziale dei giornalisti, che versa in situazione di squilibrio finanziario, come evidenziano i dati statistici riportati dai principali organi di stampa che registrano un rapporto fra iscrizioni e pensionamenti attestatosi, nel 2021, in un rapporto uno a due, con un forte sbilanciamento fra contributi e prestazioni.
Sentenza quindi che realizza l'effetto di ampliare la base soggettiva dei lavoratori iscritti che, svolgendo attività a contenuto giornalistico, il giudice di legittimità ritiene debbano essere iscritti all'Inpgi e non all'Inps, secondo un articolato percorso argomentativo – di seguito richiamato – che attesta l'irrilevanza, a detti fini, della natura del datore di lavoro, del contratto collettivo applicato, della avvenuta iscrizione al relativo ordine. Il Caso: inquadramento della vicenda
La vicenda giudiziale interessa gli addetti all'ufficio stampa di una Asl, ente pubblico strumentale regionale, rispetto ai quali, l'Inpgi aveva contestato, con verbale ispettivo, il mancato versamento della correlata contribuzione previdenziale; contribuzione versata invece all'Inpdap (poi Inps, in seguito alla confluenza in questo nel 2011 dell'Istituto nazionale di previdenza dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche) cui i lavoratori in questione erano stati iscritti.
Riformando la sentenza di primo grado, che aveva affermato la natura non giornalistica dell'attività svolta dai dipendenti interessati dalla vicenda, il giudice d'appello avvalorava la contraria prospettazione, condannando la Asl al versamento di un dato importo all'Inpgi a titolo di contributi, interessi e sanzioni.
La norma attorno a cui ruota la vertenza è anzitutto l'art. 9 della L. n. 150 del 2000 (rubricato “Uffici stampa”) ai sensi del quale le pubbliche amministrazioni privatizzate possono dotarsi di uffici stampa, costituiti da personale iscritto all'albo dei giornalisti e pubblicisti, inquadrati, di norma, quali dipendenti delle amministrazioni pubbliche interessate, con la precisazione che “l'individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva [pubblica di comparto] nell'ambito di una speciale area di contrattazione, con l'intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti”.
A seguito del ricorso per cassazione, promosso dalla Asl innanzi alla sezione lavoro della Suprema Corte, è stato posta e ritenuta coerente l'esigenza di rimettere la questione all'esame delle Sezioni Unite, stante “i profili sistemici della materia” dibattuta, “nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico che derivano dalla scelta”.
Il ricorso dell'Asl si articola sostanzialmente in duplice direzione: da una parte, sul rilievo che condizione unica per il versamento dei contributi all'Inpgi è l'essere il rapporto di lavoro regolato dal Ccnl giornalisti ai sensi dell'art. 17 d.lgs. n. 503 del 1992. Tale condizione, rileva la Asl, non si verifica per gli addetti agli uffici stampa degli enti pubblici – assunti con la qualifica prevista del relativo concorso pubblico – la regolamentazione dei cui profili professionali, come accennato, trova riferimento nella contrattazione collettiva del comparto di competenza (anche se nell'ambito di una speciale area ex art. 9 L. n. 150 cit.) e non nel Ccnl giornalisti.
Per altro verso, la Asl ricorrente, in termini più radicali, contesta la stessa natura giornalistica dell'attività degli addetti all'ufficio stampa degli enti pubblici, la quale si caratterizzerebbe quale mera attività di marketing, informazione e promozione aziendale: ciò anche perché negli uffici stampa incardinati nelle strutture pubbliche, mancherebbe autonomia di informazione e creatività nel reperire e presentare le notizie, tipiche dell'attività giornalistica. La Questione: profili sostanziali e quadro di riferimento generale
Ciò ricordato, da parte del massimo consesso cassazionale la questione viene affrontata effettuando, anzitutto, in termini generali, un esteso esame della normativa succedutasi in materia di tutela previdenziale dei giornalisti, sin dalle prime disposizioni risalenti ai primi decenni dello scorso secolo.
Le tappe fondamentali di tale percorso sono scandite a partire dalla istituzione, contrattuale collettiva, nel 1925, della previdenza obbligatoria per giornalisti; alla successiva attribuzione all'Inpgi, negli anni cinquanta, della natura di ente previdenziale “sostitutivo” (dell'Ago-Inps) tenuto a erogare, oltre i trattamenti pensionistici, anche le prestazioni temporanee (la L. n. 1564/1951; L. n. 416/1981); alla susseguente privatizzazione dell'ente, nel corso degli anni novanta (L. n. 537/1993 e D.lgs. n. 509/1994), con mantenimento per tutti gli assicurati del più vantaggioso calcolo retributivo delle pensioni (sino al 2016); e poi, nel 2000 (art. 76 n. L. 388/2000, che modifica l'art. 38 della L. 416 cit.), all'estensione della copertura ai giornalisti pubblicisti.
Oltre al quadro normativo, le Sezioni unite richiamano i principali sviluppi della giurisprudenza di legittimità in materia (e dei conseguenti orientamenti seguiti dalle amministrazioni competenti, fra cui v. parere del Ministero del lavoro n. 80907 del 2003), evidenziando come sia - via via - maturata la convinzione della centralità, ai fini di determinare l'inserimento degli interessati nell'ambito dell'Inpgi, la verifica della sussistenza di un rapporto di lavoro avente ad oggetto lo svolgimento di attività giornalistica.
In pratica, a prescindere dalla natura, privata o pubblica, del datore di lavoro (Cass. n. 16147/2007; n. 11407/2016; n. 15162/2019; n. 112/2020) e dal contratto collettivo applicato (Cass. n. 14391/2021), l'indagine, ai fini dell'inquadramento previdenziale nell'Inpgi, è venuta a essere focalizzata sull'attività svolta dai lavoratori, al fine di accertarne la riconducibilità, per contenuti, all'attività di informazione tipica del lavoro giornalistico. Osservazioni e rilievi delle Sezioni Unite
Venendo più direttamente alle implicazioni connesse alla istituzione degli uffici stampa nelle p.a. ex L. 150 cit., le S.U. rammentano anzitutto come non vadano sovrapposte le attività di informazione e quelle di comunicazione svolte nell'ambito della p.a. (entrambe richiamate dall'art. 9), solo le prime essendo afferenti all'attività giornalistica, espletata dai richiamati uffici (l'attività di comunicazione è invece quella attuata degli sportelli “rapporti con il pubblico”).
Inoltre, viene rammentato che, ai sensi della medesima legge, l'individuazione e regolazione dei profili professionali degli addetti agli uffici stampa è affidata alla contrattazione collettiva nell'ambito di una speciale area di contrattazione con l'intervento delle organizzazioni di rappresentanza dei giornalisti e che tale previsione non ha ancora trovato attuazione, in luogo di essa essendo state previste e disciplinate - nei contratti di comparto delle varie amministrazioni - specifiche figure professionali per le attività di informazione negli uffici stampa, relative a specialisti nei rapporti con i media, giornali (al riguardo viene richiamato il contratto di comparto 2016-18 enti locali e quello della sanità, sovrapponibili sul punto).
Tale soluzione, ad avviso delle S.U., realizza una sostanziale equivalenza, e ciò anche in considerazione del fatto che, per i dipendenti pubblici, la contrattazione di comparto è dinecessaria e obbligatoria applicazione, non essendovi la possibilità, per le parti, di optare per differenti inquadramenti contrattuali (appunto in favore del Ccnl giornalisti).
Ribadita ad ogni modo, anche con riguardo al caso de quo, la centralità dell'accertamento delle mansioni giornalistiche, le Sezioni Unite sottolineano come la Corte d'appello – ritenendo di non condividere il diverso assunto dell'Asl – abbia ravvisato nell'attività degli addetti all'ufficio stampa (secondo accertamento non questionabile nel giudizio di legittimità) quei caratteri di creatività ed originalità, indipendenza di valutazione e giudizio che devono caratterizzare l'attività giornalistica.
In tal senso, la Cassazione rammenta altresì come l'informazione giornalistica, con la L. n. 150 cit. (e i correlati Dpr n. 422 del 2001, nonché Direttiva Presidenza del Consiglio dei ministri 7 febbraio 2002), abbia assunto il ruolo di elemento costitutivo della complessiva attività delle pubbliche amministrazioni, in una prospettiva in cui, al fine di realizzare il soddisfacimento del buon andamento e imparzialità amministrativa (art. 97 Cost.), acquista rilievo anche assicurare trasparenza, chiarezza e tempestività di comunicazione e informazione, attraverso gli uffici stampa, in favore dei cittadini, cui va riconosciuto un correlato diritto (di qui la metafora della “casa di vetro”).
Nel richiamare i contenuti dell'attività di informazione posta in essere dagli uffici stampa delle p.a., le Sezioni unite ritengono non decisivi i rilievi afferenti, da una parte, alla posizione di subordinazione gerarchica, quindi di non indipendenza, in cui si trovano a operare gli uffici medesimi, e, d'altra parte, al carattere di riservatezza dell'operato della pubblica amministrazione, che inibisce la diffusione di notizie piene, complete, esaustive.
Si tratta, osservano le S.U., di limiti non decisivi in quanto, i primi, sono riferibili all'attività di tutti i giornalisti rispetto alla linea editoriale della testata; i secondi non possono avere un impatto decisivo nell'ambito di una amministrazione pubblica deputata a soddisfare l'obiettivo della trasparenza, rispetto a cui l'esigenza di riservatezza non può comportare la diffusione di notizie compiacenti ed edulcorate (in senso opposto invece: Cass. n. 11543/2020). |