La prescrizione presuntiva nel patrocinio a spese dello Stato
15 Marzo 2022
Massima
In caso di crediti vantati nei confronti dell'Amministrazione dello Stato, attesa la necessità di fare applicazione delle regole di contabilità pubblica anche in relazione ai pagamenti, dovendosi a tal fine provvedere mediante appositi mandati, non è possibile invocare la prescrizione presuntiva. Il caso
La pronuncia in esame viene resa all'esito della decisione di ricorrere per cassazione di un avvocato che aveva svolto l'incarico di difensore con patrocinio a spese dello Stato in un procedimento civile e che, formulata domanda di liquidazione dei compensi, se l'era vista respingere dal Tribunale di Asti. A seguito di opposizione il Tribunale aveva confermato il provvedimento impugnato, ritenendo di dover rilevare d'ufficio la prescrizione presuntiva del credito azionato, atteso che il procedimento per il quale era chiesto il compenso si era concluso nel luglio del 2008. Il ricorso per Cassazione viene affidato ad un unico motivo inerente il rilievo d'ufficio della prescrizione presuntiva del credito vantato dall'opponente, in spregio di quanto previsto per la prescrizione estintiva dall'art. 2938 c.c. La questione
In materia di spese di giustizia anticipate dall'erario, al diritto dei professionisti per compensi e rimborso spese si applica l'istituto della prescrizione estintiva, il cui termine ordinario è di 10 anni ai sensi dell'art. 2946 c.c. nonché la prescrizione presuntiva triennale di cui all'art. 2956 c.c. Le due prescrizioni possono essere concorrenti in ragione della loro differente natura (Cass. civ. sez. II, 2 settembre 1963, n. 2421). Il decorso del secondo termine porta solo all'inversione dell'onere della prova dell'avvenuto pagamento in caso di contestazione del medesimo. In riferimento al gratuito patrocinio si è posta la questione – sulla quale è intervenuta da ultimo la decisione in rassegna – circa la rilevabilità d'ufficio dell'avvenuto decorso della prescrizione anche breve del diritto del difensore alla liquidazione del compenso e ciò a cagione della natura particolare del rapporto intercorrente tra il difensore e lo Stato. Le soluzioni giuridiche
Sotto un primo profilo, occorre rilevare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della S.C quello secondo cui anche le prescrizioni presuntive sono sottoposte al divieto del rilievo d'ufficio da parte del giudice (cfr. Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1996, n. 5959), con la precisazione che l'eccezione deve essere specifica, non potendosi estendere quella di prescrizione estintiva alla diversa ipotesi della prescrizione presuntiva (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2017 n. 16486). Né la natura pubblica del debitore (Stato) è stata ritenuta idonea ad incidere su tale regola. Di diverso avviso il Tribunale di Milano che, nell'ordinanza del 20 settembre 2017, ha ritenuto che al giudice, al quale è demandata la liquidazione, è affidato il compito anche di verificare la ricorrenza ed attualità̀ dei presupposti del diritto vantato, tra cui rientra anche quello della maturata prescrizione, escludendo che il Ministero, che non è parte del procedimento di liquidazione, possa sollevare la relativa eccezione. In termini analoghi sulla rilevabilità d'ufficio si era già pronunciato il medesimo Tribunale di Milano, Sez. IX civile, Giudice estensore G. Buffone, ordinanza 2 aprile 2015, sul presupposto che il momento liquidatorio è affidato al magistrato e allo stesso il Legislatore demanda di verificare la «sussistenza dei presupposti» per il compenso: uno dei citati presupposti è che il credito sia stato richiesto, diligentemente, senza far decorrere quel lasso di tempo che legittima la presunzione prescrittiva. La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, non condivide detto assunto ritenendo, al contrario, che la circostanza che il debitore, lo Stato, appunto, non partecipi alla fase di liquidazione e, quindi, non possa sollevare l'eccezione, non vale a giustificare la deroga al principio della necessaria deducibilità dell'eccezione da parte del debitore al quale, inizialmente non partecipe del procedimento di liquidazione, è assicurata la partecipazione tramite il rimedio dell'opposizione, una volta che il decreto di liquidazione sia stato portato a conoscenza del debitore per l'esecuzione. Peraltro, visto che il rapporto di debito credito intercorre esclusivamente fra lo Stato ed il difensore, con l'esclusione di ogni interferenza dell'assistito processuale, e ciò tanto in caso di vittoria che in soccombenza, l'eccezione di prescrizione sarà proponibile, sulla base degli ordinari criteri dell'interesse ad agire, anche dal Ministro della Giustizia nel momento in cui quest'ultimo fosse convenuto per il riconoscimento giudiziale del credito da compenso del precitato difensore in gratuito patrocinio. Inoltre, la mancata prescrizione non è un fatto costitutivo del credito ma un successivo fatto estintivo, il cui rilievo è rimesso al monopolio del convenuto. La ratio delle prescrizioni presuntive, che risiede nel fatto che, in relazione a determinati rapporti quotidiani, il pagamento avviene nell'immediato, potendosi quindi presumere l'avvenuto pagamento per il decorso del tempo, non si estende alle obbligazioni dello Stato, che, pur quando non sia previsto un contratto in forma scritta, sono assoggettate a determinate formalità̀, anche per quanto attiene alla fase del pagamento. Sul punto il Tribunale ordinario di Macerata, ordinanza 5 marzo 2018 – Pres. Dott. Gianfranco Coccioli – ha sancito: « …l'art. 2938 c.c., stabilendo che il giudice non può rilevare d'ufficio la prescrizione non opposta, pone una regola generale sulla base della quale il giudice non può mai dichiarare l'estinzione di un diritto di prescrizione, senza che ve ne sia eccezione della parte che possa avvantaggiarsene, rientrando nella scelta autonoma ed incondizionata del debitore sollevarla. Pertanto, dato anche il carattere inderogabile della disciplina della prescrizione, reso palese dall'art. 2936 c.c. a mente del quale è nullo ogni patto diretto a modificarla, deve ritenersi, imprescindibile presupposto di una diversa opzione esegetico‐applicativa, come quella compiuta dal giudice della prima fase, un'espressa previsione normativa derogatoria del divieto del rilievo d'ufficio della prescrizione». (Conforme anche è Trib. Mantova 23 marzo 2017 e 24 febbraio 2017). Con la nota ministeriale nr. 0159106.U del 27/11/2013, è stato ribadito che «… l'ufficio giudiziario non può rifiutare di riceversi le fatture relative ad istanze di liquidazione divenute definitive», analogamente per le richieste ed i solleciti di pagamento, «fermo restando il potere dovere di adottare un provvedimento di diniego del richiesto pagamento, nel caso in cui, una volta assunta la linea interpretativa ritenuta conforme al dettato normativo, si ritenga debba essere opposta l'avvenuta prescrizione». In ogni caso, il diritto al pagamento del quantum già liquidato dal giudice all'ausiliario, oppure al difensore del patrocinio, può essere fatto valere solo a decorrere dalla data di esecutività del provvedimento che costituisce titolo di pagamento delle spese e, pertanto, il termine di prescrizione non può che decorrere dall'esecutività del decreto di liquidazione, salvi atti interruttivi del termine prescrittivo quali, a titolo esemplificativo, il deposito della fattura, la richiesta o il sollecito di pagamento, l'integrazione di dati finalizzata al pagamento; per effetto dell'interruzione inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione. Come già la S.C. ebbe a rilevare – Cass. civ., sez. VI, ord., 20 dicembre 2017 n. 30539 – in un giudizio avente ad oggetto la richiesta di un avvocato che aveva svolto la propria attività professionale a favore di un collaboratore di giustizia, con i relativi oneri a carico del Ministero dell'Interno, l'istituto della prescrizione presuntiva (art. 2956 c.c.) – da coordinarsi con l'art. 2957, comma II, c.c. ove è espressamente previsto che per le competenze dovute agli Avvocati «il termine decorre dalla decisione della lite» – è inapplicabile nei casi in cui il credito sia vantato nei confronti di un'amministrazione dello Stato e più precisamente nei confronti di un Ministero. Infatti, la presunzione di pagamento prevista dagli artt. 2954, 2955 e 2956 c.c. va applicata solo a quei rapporti che si svolgono senza formalità, in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza scritta e non opera quando il diritto, di cui si chiede il pagamento, scaturisce da un contratto stipulato per iscritto (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1995, n. 1304): nel gratuito patrocino il compenso viene liquidato solo in base a un decreto emesso dal giudice competente che implica la presentazione di una richiesta scritta (Cass. civ., sez. I, 7 aprile 2006, n.8200; Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2018 n.10379. E' quindi impossibile, nei rapporti che coinvolgono lo Stato, che ci sia un pagamento cui non faccia riscontro un documento scritto, il che paralizza in radice l'applicabilità della prescrizione. Pertanto, si precisa nella pronuncia in commento, che, essendo il credito vantato nei confronti del Ministero, sottoposto all'applicazione delle regole di contabilità pubblica di cui all'art. 55 del r.d. 2440/1923 e del regolamento di contabilità di cui al r.d. 827/1924, i pagamenti devono essere improntati ad un rigido formalismo e, pertanto, anche il pagamento di liquidazione del compenso al difensore di soggetto ammesso al gratuito patrocinio, non può prescindere dalla formale emissione di un mandato di pagamento (Cass. civ. sez.VI ord. 14 novembre 2019, n. 29543). Solo per completezza è opportuno considerare, sul piano processuale, che ai sensi dell'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma 783, l. 208/2015, «il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta». La S.C. - Cass. civ., sez. VI, 22 settembre 2020, n. 19733 – ha avuto modo di chiarire che nel patrocinio a spese dello Stato non sia prevista alcuna decadenza per l'avvocato che depositi l'istanza di liquidazione dei compensi in un momento successivo alla pronuncia, così ponendo fine ai contrasti nella giurisprudenza di merito sorti all'indomani della novella del 2015 (analogamente Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2019, n. 22448 e Cass. civ., sez. VI, 20 novembre 2020, n. 26507). La tesi della decadenza dal diritto al compenso si è scontrata con la mancanza di un'esplicita previsione normativa. Il d.P.R. 115/2002, art. 83, comma 3-bis, per il quale il decreto di pagamento deve essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento, ha lo scopo di raccomandare la sollecita definizione delle procedure di liquidazione del compenso del difensore, senza tuttavia imporre alcuna decadenza a carico del professionista. Tanto si evince dalla lettura coordinata della normativa, in seguito alla modifica apportata alla l. 208/2015, art. 1, comma 738 e, in particolar modo, dall'espressa previsione di un termine di decadenza per l'ausiliario del giudice in caso di mancata presentazione dell'istanza di liquidazione nei cento giorni dal compimento delle operazioni (in termini identici Cass. civ., 9 settembre 2019, n. 22448): norma della quale non poteva esser operata una estensione analogica stante il pacifico principio della tassatività delle decadenze ai sensi dell'art.14 disp. prel. c.c. Pertanto, l'istanza di liquidazione del compenso da parte del difensore potrà essere presentata dopo la pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui la richiesta stessa inerisce, né è impedito al giudice di potersi pronunziare su di essa dopo aver statuito definitivamente sul merito, avendo tale norma la finalità, in chiave acceleratoria, di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente al provvedimento che chiude il giudizio. Anche il Ministero ha convalidato tale tesi con la Circolare Ministeriale 10 gennaio 2018. Sappiamo, poi, che recentemente la S.C. – Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2021, n.40971– ha precisato che al difensore spetta la sola legittimazione ad agire, ove il menzionato beneficio non sia venuto meno, per ottenere la liquidazione del compenso eventualmente ad esso spettante, non essendo al predetto consentito di proporre opposizione, in via diretta ed esclusiva, avverso il decreto di revoca. Certamente, il difensore che chiede la liquidazione dei compensi in relazione all'attività prestata in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato dovrà – secondo Cass. civ., sez. VI, 23 novembre 2021, n. 36347 – documentare la sussistenza, anche con riferimento alla diversa annualità in cui interviene la richiesta, dei requisiti reddituali del cliente per godere del beneficio. Osservazioni
Il rapporto obbligatorio che lega Amministrazione erariale e difensore del non abbiente può̀ essere collocato nel genus delle obbligazioni pubbliche (o obbligazioni di diritto pubblico), in particolare nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie dei privati verso lo Stato. E' stato sottolineato come spesso, impropriamente, si definisca l'istituto in esame ancora come «gratuito patrocinio», così come lo qualificava il r.d. 3282/1923 imperniato sull'attività onorifica degli avvocati a favore dei non abbienti, mentre oggi, nel vigore del d.P.R. 115/2002, in tutta evidenza la prestazione legale non è gratuita, ma pagata dallo Stato. Ne consegue che diversi (e maggiori) sono gli ambiti del giudizio rimessi all'Autorità̀ Giudiziaria chiamata a disporre delle citate obbligazioni, se non altro per la rilevanza che siffatto giudizio assume non solo tra le parti, ma nei confronti della collettività̀ tutta, venendo in rilievo denaro pubblico alimentato direttamente e indirettamente dai contribuenti. Nel tessuto normativo di cui al d.P.R. 115/2002 si rintraccia in modo evidente questa specialità̀ di giudizio, soprattutto nel regime giuridico dedicato alla liquidazione. Ad esempio, il giudice titolare del procedimento in cui è speso il beneficio di Stato può̀ sempre e comunque revocare (anche ex tunc) l'ammissione della parte al patrocinio e ciò̀ a prescindere da un sollecito (v. art. 136 d.P.R. 115/2002). Trattandosi di obbligazioni pubbliche si giustifica infatti una attività̀ officiosa del giudice che interviene per farsi carico della protezione degli interessi pubblici coinvolti che non può spingersi tuttavia – come ci ricorda la pronuncia in commento – fino a derogare ai principi codicistici – come quello in tema di fattispecie estintiva dei diritti – in assenza di una espressa previsione normativa. Riferimenti
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