Alcune vicende anomale della procedura per esecuzione dell'obbligo di fare

Giuseppe Lauropoli
16 Marzo 2022

In presenza di un'esecuzione forzata per obbligo di fare o di non fare, può accadere di trovarsi di fronte al «dilemma» circa l'eseguibilità o meno dell'obbligo posto in esecuzione. Nel focus vengono perciò esaminati alcuni presupposti perché l'obbligo di fare sia eseguibile in sede esecutiva e i rimedi contro la pronuncia del giudice dell'esecuzione che si esprima per l'improcedibilità dell'esecuzione.
Il quadro normativo

L'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare all'apparenza non crea particolari problemi, tanto è vero che il Codice di procedura civile le dedica davvero poche e sintetiche disposizioni.

Nel migliore dei casi, infatti, il giudice dell'esecuzione, a fronte del ricorso promosso dalla parte che intenda ottenere l'esecuzione coattiva dell'obbligo, si limita a designare l'ufficiale giudiziario competente per l'attuazione del titolo, individuando una impresa incaricata di eseguire le operazioni materiali già puntualmente indicate nel titolo posto in esecuzione.

Ma sono tanti, in realtà, i problemi che possono porsi nel corso di tali procedure, a partire, solo per elencarne alcuni, dalla stessa indagine in merito alla eseguibilità del titolo posto in esecuzione, passando poi per la individuazione delle modalità di attuazione in quei casi nei quali la statuizione di condanna comporti l'esecuzione di opere particolarmente onerose e complesse, per giungere infine alla liquidazione delle spese dovute all'ausiliario che abbia eventualmente svolto la propria attività in corso di procedura.

Il Codice civile prevede espressamente la possibilità che un soggetto sia tenuto ad adempiere un proprio obbligo di fare, disponendo che l'esecuzione coattiva di un tale obbligo debba avvenire nelle forme previste dal Codice di procedura civile (art. 2931 c.c.).

Similmente, il Codice civile prevede che un soggetto che sia tenuto ad un obbligo di non fare possa essere condannato a distruggere quanto eseguito in violazione di tale obbligo, sempre che la distruzione di tale bene non si risolva in un pregiudizio per l'economia nazionale (art. 2933 c.c.).

Quanto alla modalità di esecuzione coattiva di tali obblighi, la stessa è rinvenibile negli artt. 612 e ss. c.p.c.

Viene così previsto che «chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalità di esecuzione» (art. 612, primo comma, c.p.c.).

Alla luce di quanto precede, dovrebbe concludersi che un obbligo di fare o di non fare in tanto possa essere eseguito coattivamente in quanto sia stabilito in una sentenza di condanna.

Tuttavia, è stato osservato come un tale riferimento, contenuto nella norma in questione, alla sentenza, vada interpretato in senso estensivo, con riferimento a qualsiasi provvedimento giurisdizionale recante una condanna (importante, nel senso di avvalorare tale interpretazione estensiva, è la posizione espressa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 336/2002, nella quale la Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 c.p.c., optando per una interpretazione della norma in questione che consenta di far ricorso al procedimento di cui all'art. 612 c.p.c. anche in presenza di un verbale di conciliazione intervenuto tra le parti di una lite).

Non tutti gli obblighi di fare statuiti da un titolo giudiziale sono poi idonei ad essere posti in esecuzione nelle forme previste dagli artt. 612 e ss. c.p.c.

Occorre infatti che venga in rilievo un obbligo di fare esattamente individuato nel titolo posto in esecuzione ed occorre inoltre che tale obbligo abbia il carattere della fungibilità, ossia che sia suscettibile di essere conseguito attraverso la prestazione di un terzo.

Similmente, non tutti gli obblighi di non fare possono essere eseguiti coattivamente mediante demolizione del bene posto in essere in violazione dell'obbligo, dal momento che, come accennato in precedenza, in quest'ultimo caso l'esecuzione coattiva potrebbe essere esclusa ove ci si trovasse di fronte alla distruzione di un bene che possa costituire pregiudizio per l'economia nazionale.

Ciò posto, il procedimento disegnato dall'art. 612 c.p.c. è estremamente snello: l'esecuzione per obbligo di fare o non fare viene attivata, una volta notificati il titolo ed il precetto, mediante deposito di ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione del Tribunale del luogo in cui deve essere eseguito l'obbligo di fare o di non fare.

Questi, una volta convocate le parti, provvede con ordinanza alla designazione dell'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione, individuando la persona o l'impresa che debba dare compimento alle opere previste nel titolo.

Nei fatti, poi, il procedimento finalizzato a dare seguito all'esecuzione coattiva dell'obbligo di fare o non fare assume talvolta caratteri più articolati, passando per una fase preliminare nella quale viene dato incarico ad un ausiliario per la redazione di un progetto e di un capitolato dei lavori, nonché per l'eventuale reperimento di diversi preventivi da parte di imprese ritenute idonee a svolgere le attività previste nel titolo esecutivo, per poi arrivare alla vera e propria fase di designazione dell'ufficiale giudiziario e dell'impresa incaricata di svolgere l'attività esecutiva.

In corso di esecuzione l'ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica per vincere la resistenza opposta dall'esecutato o da terzi allo svolgimento delle operazioni e può chiedere al giudice dell'esecuzione disposizioni per la risoluzione di difficoltà che si presentino in corso di attività (art. 613 c.p.c.).

Il giudice dell'esecuzione provvede, inoltre, a fronte della nota spese (vistata dall'ufficiale giudiziario) presentata dalla parte procedente al termine della procedura o anche nel corso di essa, a liquidare tali spese in favore del creditore, ingiungendone con decreto di cui all'art. 642 c.p.c. il pagamento all'esecutato (art. 614 c.p.c.).

L'esatta individuazione dell'obbligo di fare o di non fare e l'ipotesi di obbligo di fare infungibile

E' utile, a questo punto, soffermarsi sui presupposti, ai quali in precedenza si accennava, perché possa aver luogo l'esecuzione di un obbligo di fare.

Si è accennato, infatti, in precedenza che la procedura coattiva ai sensi dell'art. 612 c.p.c. presuppone una pronuncia giudiziale recante un obbligo di fare o non fare esattamente individuato nel titolo, con l'ulteriore precisazione che debba trattarsi di un obbligo fungibile, ossia di un obbligo che possa essere eseguito da un soggetto diverso dall'esecutato che vi sarebbe tenuto.

Se è vero che la verifica in merito alla portata dell'obbligo di fare e alla fungibilità dello stesso costituisce normalmente oggetto di esame nella sentenza che si pronuncia sull'obbligo di fare o di non fare (così si esprime Cass. civ., 13 gennaio 1997, n. 258, fermo restando che la giurisprudenza di legittimità riconosce la possibilità di emettere pronunce di condanna ad un obbligo di fare infungibile, dal momento che tale obbligo potrebbe comunque essere attuato spontaneamente dall'esecutato oppure, in caso di mancata conformazione spontanea, la parte creditrice potrebbe legittimamente agire in via risarcitoria – Cass. civ., 23 settembre 2011, n. 19454), è altresì vero che non di rado anche in sede esecutiva si pone l'esigenza di verificare l'esatto contenuto dell'obbligo di fare dedotto nel titolo e della fungibilità dello stesso.

Può essere utile, allora, elencare, in modo inevitabilmente piuttosto sommario ed esemplificativo, alcuni casi che nella prassi degli uffici giudiziari si possono porre.

Un primo caso di interesse può essere quello nel quale il titolo posto in esecuzione si limiti ad indicare un obiettivo da raggiungere, senza tuttavia individuare le concrete modalità per pervenirvi.

Si pensi, ad esempio, al caso della pronuncia che abbia imposto al soggetto esecutato (sia esso la società di gestione di una strada o di una ferrovia) di ridurre le immissioni acustiche provenienti da un tratto di strada o di ferrovia, senza però indicare le concrete modalità per ottenere tale risultato (ad esempio mediante realizzazione di sistemi di controllo della velocità dei mezzi su tale tratto, oppure mediante realizzazione di barriere anti-rumore sui bordi della strada o del tratto di ferrovia, o ancora mediante altri accorgimenti tecnici).

In un caso come quello appena enunciato (ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi) si pone, almeno in una certa misura, un problema di liquidità dell'obbligo previsto nel titolo, dal momento che le concrete modalità di attuazione dell'obbligo rischiano di essere rimesse, nella sostanza, alla fase esecutiva, con ricadute che possono avere effetti importanti sia sugli oneri posti a carico dell'esecutato in relazione all'attività da svolgere, sia sul concreto risultato che verrà infine conseguito.

Si tratta di una indagine non sempre agevole: di certo, deve ritenersi che una pronuncia di ineseguibilità del titolo per mancata o incompleta individuazione dell'obbligo di fare possa costituire solo una soluzione estrema, laddove abbia avuto luogo un esame attento e scrupoloso non solo del titolo, ma anche della documentazione versata in atti nel corso del giudizio dal quale tale titolo sia scaturito (sulla possibilità di interpretazione extra-testuale del titolo e sui suoi presupposti si vedano, tra le molte, Cass. civ., sez. un., 2 luglio 2012, n. 11066 e Cass. civ., 5 giugno 2020, n. 10806), al fine di poter ricavare dalla stessa utili indicazioni non solo in merito al risultato da ottenere, ma anche alle modalità di conseguimento delle stesse.

Diverso, ma non meno problematico, è il caso in cui l'obbligo di fare sia esattamente individuato nel suo contenuto, ma debba ritenersi tuttavia infungibile, non essendo suscettibile di attuazione da parte di un soggetto diverso dall'esecutato.

Il caso di scuola, per così dire, è quello in cui la prestazione dedotta nell'obbligo di fare sia strettamente legata alla persona del debitore (si pensi alla performance alla quale sia tenuto un artista di fama internazionale), ma sono diverse le ipotesi che possono porsi in concreto.

In particolare, viene trattato dalla giurisprudenza di legittimità il caso di condanna, emessa dal giudice del lavoro, alla reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro: la Cassazione ha evidenziato come in questo caso la prestazione posta a base dell'obbligo di fare non possa che ritenersi infungibile, dal momento che viene in rilievo una condotta che comporta «un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo da parte del datore di lavoro» (Cass. civ., 4 settembre 1990, n. 9125).

Altro caso di infungibilità dell'obbligo di fare sul quale si è soffermata anche di recente la giurisprudenza di legittimità è quello concernente il diritto/dovere di visita del figlio minore da parte del genitore non collocatario (Cass. civ., 6 marzo 2020, n. 6471).

Ma i casi che possono porsi in concreto sono davvero numerosi e sarebbe impossibile anche solo tentarne una elencazione.

Di certo, anche la valutazione in merito alla fungibilità o meno della prestazione deve seguire criteri particolarmente stringenti: non è sufficiente la oggettiva difficoltà realizzativa dell'obbligo di fare a configurare una infungibilità dello stesso, ma occorre che l'obbligo dedotto nel titolo sia di impossibile realizzazione senza la collaborazione dell'esecutato.

Ancora diverso, infine, è il caso in cui il titolo abbia imposto all'esecutato un obbligo di non fare, perché anche in questo caso può risultare tutt'altro che agevole, in concreto, l'attuazione coattiva dell'obbligo in questione.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui la sentenza posta in esecuzione abbia condannato il proprietario di un appartamento a non adibire lo stesso alla attività di bed and breakfast. Come garantire il rispetto di tale obbligo da parte dell'esecutato ? Oppure si pensi al caso in cui una parte sia stata condannata a consentire il passaggio attraverso il proprio fondo: anche in questo caso si pone il problema circa la concreta attuazione dell'obbligo.

Non viene in rilievo, in questi casi, una ipotesi di infungibilità dell'obbligo, perché di per sé nulla impedisce di garantire, se del caso mediante l'ausilio della forza pubblica, il rispetto di tale obbligo anche in assenza della collaborazione dell'esecutato.

Il problema, però, è che risulta impossibile, attraverso lo strumento dell'esecuzione apprestato dall'art. 612 c.p.c., garantire il rispetto di un tale obbligo di astensione per una durata indeterminata di tempo.

Non a caso, allora, le ipotesi di obbligo di fare infungibile e di obbligo di non fare sono terreno di elezione della previsione contenuta all'art. 614-bis c.p.c. (norma introdotta, nella sua originaria formulazione, dall'art. 49, comma 1, della l. 69/2009).

Tale disposizione, rubricata come «Misure di coercizione indiretta», prevede oggi che con la pronuncia di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme il giudice possa, su richiesta della parte, determinare la somma di denaro che la persona obbligata dovrà corrispondere per ogni violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento.

Cosa fare, però, nel caso in cui il titolo che abbia stabilito la condanna ad un obbligo di fare o di non fare non rechi alcuna previsione a riguardo?

Di certo una condanna come quella prevista dall'art. 614-bis c.p.c. non potrà essere comminata in sede esecutiva, in considerazione della chiara formulazione della norma.

E allora non resterà, in caso di non spontanea conformazione dell'esecutato all'obbligo dedotto nel titolo, che la via di una azione risarcitoria, che troverà il suo presupposto nella precedente condanna all'adempimento di un obbligo di fare o non fare e nell'inadempimento di tale prestazione (si veda Cass. civ., 1 dicembre 2020, n. 15349), con la sola precisazione che, laddove sia impossibile ottenere l'esecuzione spontanea di un obbligo infungibile, l'equivalente monetario della prestazione dovuta non potrà essere ottenuto azionando direttamente in sede esecutiva il titolo recante la condanna all'obbligo di fare o non fare, ma occorrerà necessariamente passare attraverso un nuovo processo di cognizione che accerti l'esistenza del diritto e liquidi l'importo spettante (Cass. civ., 18 dicembre 2019, n. 33723).

Il provvedimento che dispone la chiusura anticipata della procedura

Per concludere, è utile soffermarsi sul provvedimento che conclude anticipatamente la procedura esecutiva (in ragione della ravvisata impossibilità di realizzare l'obbligo di fare o della ritenuta infungibilità dello stesso) e sui rimedi che possono essere esperiti contro tale provvedimento.

I provvedimenti assunti dal giudice dell'esecuzione nel corso della procedura esecutiva di cui all'art. 612 c.p.c. assumono normalmente la forma dell'ordinanza, sia quando abbiano ad oggetto la predisposizione di quanto necessario in vista dell'esatta individuazione delle operazioni materiali da eseguire ai fini della corretta esecuzione dell'obbligo previsto nel titolo posto in esecuzione (si pensi, così, all'ordinanza con la quale venga nominato, nel caso di attività esecutiva di una certa complessità, un ausiliario allo scopo di predisporre un progetto e un computo metrico relativo alle attività da eseguire e venga incaricato lo stesso di fornire indicazioni in merito ad una o più imprese idonee a svolgere tale attività), sia quando si risolvano nella designazione dell'ufficiale giudiziario e nella individuazione della impresa che dovrà eseguire le operazioni materiali finalizzate alla realizzazione dell'obbligo di fare o di non fare.

Si tratta di provvedimenti modificabili o revocabili da parte del giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 487 c.p.c., fintanto che gli stessi non abbiano avuto esecuzione e comunque suscettibili di opposizione nelle forme previste dall'art. 617 c.p.c.

Analoghe considerazioni possono svolgersi con riguardo a quella ordinanza, resa dal giudice dell'esecuzione, che risolva questioni interpretative poste dal titolo messo in esecuzione, superando profili di genericità o incertezza presenti nello stesso.

Si atteggia però in modo diverso il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, ritenendo impossibile l'esecuzione dell'obbligo di fare previsto nel titolo, ponga fine all'attività esecutiva, dichiarando improcedibile l'esecuzione.

Una posizione consolidata della giurisprudenza di legittimità si muoveva nel senso di qualificare il provvedimento che avesse chiuso anticipatamente la procedura esecutiva sul presupposto della infungibilità dell'obbligo (ovvero della impossibilità di eseguire il titolo), come una statuizione avente contenuto sostanziale di sentenza, come tale suscettibile di impugnazione con i relativi mezzi e, segnatamente, con l'appello (si vedano, tra le molte, Cass. civ., 17 gennaio 1968, n. 124, Cass. civ., 24 febbraio 1987, n. 1926 e, più di recente, Cass. civ., 23 giugno 2014, n. 14208).

Altro indirizzo giurisprudenziale aveva invece affermato che il provvedimento del giudice dell'esecuzione che avesse definito una questione insorta tra le parti in merito alla ammissibilità dell'esecuzione o alla sua proseguibilità, non avrebbe dovuto essere qualificato alla stregua di una sentenza, quanto meno ogni qual volta lo stesso non avesse avuto un contenuto inequivocabilmente definitivo, essendo piuttosto tale provvedimento emendabile ai sensi dell'art. 289 c.p.c., mediante assegnazione alle parti di un termine per l'introduzione del giudizio di merito relativo all'opposizione (Cass. civ., 16 settembre 2010, n. 19605).

Più di recente, però, si va delineando una diversa posizione della Cassazione, che sembra raccogliere le elaborazioni portate avanti sul punto da una parte della dottrina.

Si afferma, così, che il provvedimento del giudice dell'esecuzione che si pronunci sulla portata sostanziale del titolo o sulla ammissibilità dell'esecuzione per obbligo di fare o di non fare sia suscettibile di reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c. laddove lo stesso sia stato reso in sede di sospensione dell'esecuzione all'esito di una opposizione, mentre ogni qual volta il giudice, anche facendo uso di un proprio potere officioso, dichiari l'improcedibilità dell'esecuzione o comunque la sua estinzione “atipica” tale provvedimento che pone definitivamente fine alla procedura esecutiva sarà impugnabile unicamente nelle forme previste dall'art. 617, comma 2, c.p.c. (si veda, tra le diverse pronunce di recente espressesi in tali termini, Cass. civ., 28 giugno 2019, n. 17440).

Così facendo la Cassazione pone condivisibilmente l'accento sul fatto che l'ordinanza che dichiari improcedibile l'esecuzione si risolva pur sempre in un atto che sancisce l'estinzione atipica della procedura, come tale suscettibile di opposizione nelle forme previste dall'art. 617 c.p.c., onde evitare la stabilizzazione di tale provvedimento estintivo.

Riferimenti
  • Monica Pilloni, Cognizione del g.e. e opposizioni esecutive, in Riv. Trim. di Diritto e Procedura Civile, dic. 2020, pagg. 1323 e ss. (in de iure)
  • Codice di Procedura Civile Commentato a cura di Claudio Consolo, Vol. III, pp. 1312 e ss., 2018, Milano
  • Soldi Anna Maria, Manuale dell'esecuzione forzata, 2017, pp. 1857 e ss.
  • Diritto Processuale Civile a cura di Lotario Dittrich, Tomo III, 2019, Milano, pagg. 4019 e ss.

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