Le azioni degli utenti di ripetizione della rivalsa dell’imposta addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica

16 Marzo 2022

La Corte di appello di Milano, con le prime due sentenze pronunciate, sul punto ha condiviso l'orientamento maggioritario del Tribunale di Milano ed ha riconosciuto il diritto degli utenti (o “consumatori finali” secondo la definizione della disciplina di riferimento) a ripetere a titolo di indebito dal fornitore di energia elettrica quanto pagato al medesimo negli anni 2010 e 2011 a titolo di rivalsa dell'imposta addizionale all'accisa sull'energia elettrica. In particolare, la Corte ha ritenuto il contrasto della norma nazionale che istituiva l'addizionale provinciale con il diritto unionale, chiarendo che non si verte in ipotesi di disapplicazione della norma interna per contrasto con una direttiva UE, e quindi di efficacia orizzontale delle direttive self executing, ma di applicazione del diritto UE fondato sulle sentenze della CGUE; il diritto di ripetizione si estende a quanto pagato per IVA sull'addizionale provinciale e si applicano gli interessi legali ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda giudiziale al saldo.

Con la sentenza n. 329 del 1° febbraio 2022 e con la sentenza gemella n. 277 del 27 gennaio 2022, la Corte di appello di Milano si è pronunciata per la prima volta su un nuovo contenzioso, conosciuto tra gli addetti ai lavori come “recupero delle addizionali provinciali”, originatosi da una serie di sentenze delle Corte di legittimità, Sezione V, Tributaria, che sta dividendo i giudici di merito.

Breve excursus dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale. Il d.l. n. 511 del 28 novembre 1988 (art. 6) ha istituito un'imposta addizionale all'accisa sull'energia elettrica, con previsione di gettito a favore degli Enti locali (Province e Comuni), e con facoltà dei destinatari passivi dell'imposta (i venditori di energia) di traslare l'imposta sul cliente mediante rivalsa.
La disciplina nazionale è stata progressivamente integrata con la disciplina comunitaria: in particolare, le direttive n. 1992/12/CEE, n. 2003/96/CE ed infine la direttiva n. 2008/118/CE (con termine di recepimento entro il 1° gennaio 2010) hanno imposto agli Stati Membri regole volte all'armonizzazione delle accise sui prodotti (anche) energetici, stabilendo inter alia che l'imposta deve avere una “finalità specifica”.
Il d.lgs. 29 marzo 2010 n. 48 - nell'implementare la direttiva n. 2008/118/CE - non ha abrogato l'art. 6 succitato, onde la Commissione Europea avviò una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, ritenendo il contrasto di tale norma con la disciplina armonizzata sulle accise: la procedura è stata archiviata a seguito dell'abrogazione dell'art. 6 a decorrere dal 1° gennaio 2012.

La Corte di Giustizia dell'UE, con le sentenze del 5 marzo 2015 resa nella causa C-553/13 e del 25 luglio 2018 resa nella causa n. C-103/17, ha stabilito che le norme di due Stati Membri (l'Estonia e la Francia rispettivamente), di contenuto consimile all'art. 6 sopra citato, erano in contrasto con il diritto unionale.

Diversi consumatori finali hanno quindi agito contro l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, chiedendo la restituzione dell'imposta traslata su di essi. La Corte di Cassazione, Sezione V Tributaria, competente per l'ultimo grado delle controversie (decise in primo e secondo grado dalle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali rispettivamente), nelle cause in cui l'Agenzia non aveva validamente eccepito la carenza di legittimazione attiva dei consumatori finali, ha stabilito che l'art. 6 d.l. n. 511/1988 prevede un'imposta autonoma priva di finalità specifica e, in quanto in contrasto con la direttiva n. 2008/118/CE, deve essere disapplicato, accogliendo quindi le domande svolte (Cass. 15198/2019, 27101/2019, 10691/2020, 16142/2020 e 22343/2020).
Di contro, nelle liti in cui l'Agenzia aveva validamente sollevato l'eccezione di carenza di legittimazione attiva dei consumatori finali, la Corte di Cassazione ha stabilito la fondatezza di tale eccezione e sancito che il destinatario passivo dell'imposta è solo il fornitore di energia, unico soggetto legittimato attivo a ripetere l'imposta dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Quanto al consumatore finale, nei casi in cui il fornitore di energia abbia esercitato il suo diritto di rivalsa ed abbia traslato l'imposta sul cliente finale in bolletta, quest'ultimo ha diritto di ripetere la rivalsa dell'imposta dal fornitore di energia elettrica, esperendo un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c.
Il fornitore di energia, a sua volta, ove destinatario di una sentenza che lo condanni a restituire la rivalsa, ha diritto -ai sensi dell'art. 14 TUA, Testo Unico Accise, entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della detta sentenza- di richiedere all'Agenzia delle dogane e dei Monopoli la ripetizione dell'imposta, anche ove sia decorso il termine biennale di decadenza per proporre la domanda di restituzione dell'imposta alla P.A. (Cass. 15199/2019, 27099/2019, 27306/2019, 3233/2020).

Alla luce di tali pronunce, sono state promosse, avanti ai Tribunali di tutta Italia da parte dei consumatori finali e contro i fornitori di energia, numerose azioni dirette al recupero dei denari pagati negli anni 2010 e 2011 a titolo di rivalsa dell'addizionale: si stima che il contenzioso riguardi diversi miliardi di euro di imposte. Il Tribunale di Milano, investito della questione, è stato il primo a pronunciarsi, accogliendo le domande di ripetizione: tale orientamento, tuttavia, benché maggioritario, non è uniforme tra i vari Tribunali, né all'interno dello stesso Tribunale di Milano e da ciò la rilevanza della decisione della Corte d'appello distrettuale, trattandosi probabilmente della prima pronuncia di secondo grado intervenuta sulla questione.

L'eccezione di inefficacia orizzontale delle direttive ed i difformi orientamenti sul punto. Nel provvedimento impugnato e sottoposto all'esame della Corte d'appello milanese, il fornitore di energia ha sollevato in punto di an debeatur la seguente eccezione, largamente diffusa in questo contenzioso. Segnatamente, l'eccipiente non ha contestato il contrasto tra la norma interna e la direttiva UE ma gli effetti del contrasto: in particolare, ha eccepito che le direttive UE, anche quando sono self-executing (cioè quando contengono una disciplina sufficientemente precisa che non lasci alcuna discrezionalità attuativa allo Stato membro), comunque non hanno “efficacia orizzontale” ma solo “verticale”, non essendo consentita la disapplicazione della legge nazionale per contrasto con la direttiva nelle liti tra privati ma solo nei rapporti verticali tra cittadino e Stato/PP.AA.. Sul punto, l'orientamento largamente maggioritario del Tribunale di Milano e degli altri Tribunali è stato nel senso di reputare che l'eccezione dell'efficacia solo verticale delle direttive autodeterminate sia mal posta, atteso che nel caso di specie vi è contrasto tra la norma interna ed il diritto unionale, costituito dalle sentenze della CGUE in punto di interpretazione del diritto UE sulle accise armonizzate: stante l'obbligo dei giudici degli Stati Membri di adeguarsi alle pronunce interpretative della CGUE, da ciò discende la necessità di disapplicare la norma interna in contrasto con le sentenze della CGUE. Un orientamento minoritario del Tribunale di Milano e di altri Tribunali ha invece reputato fondata l'eccezione, assumendo che le sentenze della CGUE consentono un'interpretazione adeguatrice del diritto interno, ma non la disapplicazione del medesimo, e concludendo nel senso che l'unico rimedio esperibile dal consumatore finale che abbia pagato una rivalsa per una imposta indebita sia semmai un'azione di risarcimento del danno verso lo Stato Italiano per l'omessa abrogazione dal 1° gennaio 2010 dell'art. 6 d.l. n. 511/1988, in contrasto con la direttiva n. 2008/118/CE.

La decisione della Corte d'appello di Milano. Con la sentenza n. 329/2022 la Corte di appello distrettuale ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando l'appello incentrato sul motivo dell'inefficacia orizzontale delle direttive: in particolare, la Corte d'appello ha sancito espressamente che “alle pronunce della Corte di Giustizia va infatti riconosciuto il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, così come sancito anche dalla Corte di Cassazione (Cass. 5381/2017; 13425/2019)”.
La Corte ha richiamato il costante orientamento di legittimità nel senso che “indipendentemente dal carattere self executing o meno dell'art. 1 par. 2 della direttiva n. 2007/118/CE, va disapplicata, in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultano in contrasto o incompatibili con essa” ed ha corroborato tali conclusioni con una dettagliata descrizione ed interpretazione del quadro normativo di riferimento e con richiamo di numerose pronunce di legittimità. Del pari, è stata confermata la decisione del primo giudice anche in punto di quantum, riconoscendosi il diritto dell'utente alla ripetizione dell'imposta a far data dal 1° gennaio 2010, coincidente con il termine entro cui lo Stato italiano avrebbe dovuto implementare la direttiva n. 2008/118/CE e non dal 1° aprile 2010, data entro cui la direttiva è stata effettivamente implementata (in maniera incompiuta) dallo Stato italiano. Infine, la Corte ha confermato la decisione del Tribunale nella parte in cui ha reputato applicabile il tasso di interesse di cui all'art. 1284, c. 4, c.c. a far data dalla domanda giudiziale.

Le ulteriori questioni del contenzioso in materia di addizionali provinciali. Nel contenzioso in parola sono state poste e dibattute anche nuove eccezioni e questioni. In particolare, viene largamente proposta dai fornitori di energia convenuti un'ulteriore eccezione, cd di “assenza dell'autonomia dell'addizionale”: il fornitore di energia nega l'esistenza di un contrasto tra la norma interna e la direttiva UE, eccependo che l'addizionale non sia un'imposta autonoma ma, come si ricaverebbe dal nomen juris, sia una mera maggiorazione dell'aliquota dell'accisa “principale” sull'energia; ora, siccome l'accisa soddisfa i requisiti comunitari, da ciò discenderebbe la legittimità dell'addizionale. In aggiunta, molto frequentemente il fornitore chiede la sospensione del processo ex artt. 295 c.p.c., in ragione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 TUA sollevata dal collegio arbitrale di Verona. Ora, quanto all'eccezione fondata sull'asserita non autonomia dell'addizionale provinciale, la stessa allo stato è stata disattesa dal Tribunale meneghino, alla luce delle valutazioni sul punto già svolte dalle numerose pronunce della Corte di legittimità, Sezione V Tributaria (Cass. 15198/2019, 27101/2019, 10691/2020, 16142/2020, 22343/2020) che si sono occupate di vagliare la legittimità dell'art. 6 d.l. n. 511/1988.
Del pari, l'istanza di sospensione del processo ad oggi non è stata accolta, quanto meno dal Tribunale milanese, in ragione della ritenuta irrilevanza dell'art. 14 TUA ai fini della decisone della causa.
Da ultimo, deve registrarsi che di recente i provvedimenti decisori del Tribunale milanese presentano un ulteriore passaggio motivazionale a sostegno del rigetto dell'eccezione di inefficacia orizzontale delle direttive: in particolare, è stata valorizzata la natura meramente incidentale della delibazione di illegittimità della norma interna per contrasto con la direttiva UE compiuta dal giudice ordinario. Difatti, per verificare se il pagamento a carico del consumatore finale della rivalsa dell'imposta sia assistito da idonea causa solvendi o meno, il giudice civile non può che delibare, in via meramente incidentale, il rapporto tributario tra soggetto passivo dell'imposta e Agenzia delle Dogane, avendo quindi riguardo solo incidenter tantum al rapporto (verticale) tra tali soggetti, concludendo nel senso della non debenza dell'imposta per contrasto tra la norma che impone il tributo e la direttiva UE.

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