Morte a seguito di trombosi: la responsabilità medica tra prova del nesso di causa e della colpa

16 Marzo 2022

La Cassazione fa il punto su due aspetti nell'individuare e nel ripartire le responsabilità tra più medici: in primis, il nesso di causa tra le omissioni e l'evento dannoso; in secundis, l'accertamento della rilevanza colposa delle omissioni.

Quali responsabilità sanitarie per la morte di una persona a seguito di trombosi dovuta ad omessa adozione di presidi farmacologici? In particolare, se a seguito di una frattura alle ossa del bacino in occasione di un sinistro stradale, il paziente decede a causa di una trombosi conseguenza della stasi imposta al paziente, chi risponde? Il medico radiologo che non ha rilevato la fattura e/o i medici del pronto soccorso che avrebbero dovuto prevedere la prolungata immobilità del paziente e il rischio di trombo-embolia polmonare?

Il caso. I parenti di una vittima citano in giudizio il medico radiologo, i medici del pronto soccorso e la struttura ospedaliera per vedere riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni a seguito del decesso del loro congiunto per asserita responsabilità sanitaria.

Il paziente accedeva al pronto soccorso in occasione di un sinistro stradale. I medici avrebbero trascurato colpevolmente di diagnosticare la frattura delle ossa del bacino e così avrebbero omesso le adeguate cure farmacologiche (somministrazione di eparina) idonee a prevenire il decesso del paziente a seguito di trombosi polmonare conseguente alla stasi imposta al paziente per la successiva rilevata frattura ossea.

Da qui la pretesa responsabilità del medico radiologo per l'omessa diagnosi e dei medici del pronto soccorso per l'omessa somministrazione farmacologica, unitamente alla responsabilità della struttura sanitaria.

In sede penale la CTU avrebbe evidenziato la non colpevolezza dei sanitari, non potendosi ragionevolmente rilevare, da parte di un professionista del pari livello dei sanitari coinvolti, l'esistenza della frattura ossea.

Così in sede civile la Corte di Appello faceva proprie le risultanze del processo penale e riteneva non ascrivibile ai medici alcuna responsabilità per colpa e, comunque, non dimostrato il nesso di causa tra le omissioni contestate e l'evento morte.

La decisione della Corte. La Cassazione fa chiarezza sulle questioni poste, distinguendo le diverse posizioni del radiologo e dei medici di pronto soccorso in ordine alle omissioni ascritte di diagnosi della frattura e di terapia farmacologica.

Sulla responsabilità del medico radiologo per omessa diagnosi della frattura ossea. Innanzitutto, è da vagliare la posizione del medico radiologo che non ha riscontrato la frattura a seguito del sinistro stradale.

La sua responsabilità colposa astrattamente sarebbe certa per errata o omessa diagnosi. Nel caso concreto, tuttavia, era stato accertato che gli esami radiografici eseguiti non evidenziavano alcuna frattura delle ossa del bacino tali da suggerire indagini più approfondite. Quindi, non era possibile configurare alcuna colpa del professionista.

In particolare, pur essendo stata disposta una radiologia a campo allargato sino al bacino, la frattura della branca ileo-pubica non era visibile, poiché non vi era allontanamento dei margini ossei.

Detta frattura fu sospettata solo successivamente nei diagrammi eseguiti presso l'abitazione del paziente, con le proiezioni oblique che evidenziavano il margine inferiore della frattura. Insomma, la possibilità di accertare radiologicamente la frattura era emersa solo successivamente.

Dunque, la diagnosi iniziale del medico radiologo (negativa per la frattura) doveva ritenersi corretta e rientrante nella media della preparazione professionale dello specialista, sia per il momento temporale in cui fu formulata, sia per la documentazione allora disponibile.

Consegue l'assenza di colpa e, quindi, di responsabilità del medico radiologo.

Sulla responsabilità dei medici del pronto soccorso. Teoricamente, se non vi fu colpa del medico radiologo nell'omessa diagnosi della frattura, ci si aspetterebbe il riconoscimento dell'assenza di colpa anche per gli altri medici (diversi dal radiologo) del pronto soccorso. Infatti, se il decesso è avvenuto a seguito di trombosi per la stasi cui fu costretto il paziente per la frattura (non diagnosticabile in quel momento), dovrebbe venir meno anche la responsabilità degli altri medici.

Non è così. E qui risiede l'interesse della decisione in esame.

La Cassazione accoglie il motivo di ricorso, sia pure entro limiti ben precisi attinenti due elementi della responsabilità civile: la prova della colpa e la prova del nesso di causa.

Si pone la questione dell'accertamento della responsabilità dei medici (diversi dal radiologo) per condotta omissiva colposa per mancata somministrazione di eparina. Infatti, occorre verificare la sussistenza di elementi oggettivi di valutazione che avrebbero richiesto e reso necessaria l'adozione del presidio farmacologico in considerazione della stasi cui il paziente sarebbe stato sottoposto a seguito del sinistro stradale e, quindi, indipendentemente dal fatto che la stasi sarebbe stata imposta dalla frattura o da altra causa.

I medici del pronto soccorso, sulla base della condizione clinica, avrebbero dovuto comprendere la prospettiva verosimile di una persistente condizione di stasi del paziente per un tempo ragionevolmente prolungato in considerazione della rilevantissima sintomatologia dolorosa riportata dal paziente stesso?

Questo è dirimente per accertare la colpa e il nesso di causa nella condotta dei medici. Infatti, la prevedibile formazione di una trombo-embolia polmonare dovuta alla prolungata immobilità del paziente a causa del trauma subito avrebbe dovuto necessariamente indurre i medici ad assumere le idonee terapie farmacologiche (tra cui la somministrazione di eparina) indipendentemente dalla frattura ossea non diagnosticata o diagnosticabile: l'immobilizzazione del paziente costituisce un fattore di rischio di trombosi. La trombosi è stata accertata dai giudici di merito come causa del decesso.

Secondo la Cassazione, correttamente la decisone impugnata, sulla base della relazione tecnica in sede penale, aveva ritenuto che un'eventuale terapia eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e, quindi, la morte del paziente.

Non correttamente, invece, il giudice del merito aveva svolto un ulteriore passaggio, cassato dalla Suprema Corte: poiché il consulente aveva anche ritenuto la terapia eparinica fosse idonea a proteggere il paziente nel 68/70% dei casi e che residuava la possibilità che la terapia non evitasse l'esito nefasto, non vi era la prova certa che la terapia avrebbe evitato la trombosi e la morte. Mancando il nesso di causa (ricostruito anche in termini controfattuali, nel senso della prova che l'adozione della terapia avrebbe evitato in termini causali il verificarsi dell'evento così come si era realizzato), il giudice del merito aveva escluso la responsabilità dei medici.

Sul punto la Cassazione evidenzia come la decisione si ponga in contrasto con il consolidato insegnamento del giudice di legittimità in materia.

In tema di responsabilità civile, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell'accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del "più probabile che non", conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana) (Cass. civ., n. 23197/2018).

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. civ., n. 42104/2021; Cass. civ., n. 21939/2019; Cass. civ., n. 3704/2018; Id., n. 18549/2018; Id., n. 29853/2018; Id., n. 29315/2017).

Dunque, la sentenza impugnata aveva errato nel richiedere la prova certa in luogo della maggior probabilità del successo della terapia.

Una volta stabilita questa relazione causale, il giudice di merito avrebbe dovuto affrontare l'ulteriore questione della esigibilità della condotta ossia la concreta colpa nel giudizio di responsabilità.

Pertanto, la decisione viene cassata con rinvio.

(Fonte:

Diritto e Giustizia

)

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