Il giudicato per lesioni personali non preclude la successiva condanna per omicidio preterintenzionale
16 Marzo 2022
Massima
Non contrasta con la preclusione del giudicato connessa al principio del ne bis in idem - non ricorrendo l'identità del fatto - la condanna per il delitto di omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto già condannato per lesioni personali con sentenza divenuta irrevocabile in relazione alla stessa condotta, in quanto il fatto concreto di cui all'art. 584 c.p. è caratterizzato dall'evento-morte, che è, invece, assente nel delitto di cui all'art. 582 c.p., la cui tipicità è integrata dal diverso, e meno grave, evento delle lesioni personali, pur se il giudice del secondo procedimento, in ossequio al principio di detrazione, deve assicurare, mediante un meccanismo di compensazione, che “l'importo complessivo delle sanzioni” irrogate sia proporzionato alla gravità dei reati complessivamente considerati. Il caso
La Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di condanna dell'imputato pronunciata dal GUP del Tribunale di Padova, all'esito del giudizio abbreviato, per il reato di omicidio preterintenzionale, ha ridotto la pena, modulando in modo più favorevole il giudizio di bilanciamento delle circostanze e dichiarando “assorbita la pena irrogata all'imputato” con una precedente condanna per il reato di lesioni personali aggravate, pronunciata dalla stessa corte di merito, nelle more divenuta irrevocabile.
Nel caso di specie, l'imputato, nel corso di un alterco, colpiva al capo un altro detenuto, facendolo cadere a terra privo di conoscenza, cagionando allo stesso lesioni personali che, a distanza di oltre otto mesi, ne determinavano il decesso.
Per il reato di lesioni, inizialmente contestato, l'imputato veniva condannato alla pena di due anni di reclusione, con sentenza divenuta irrevocabile. Successivamente, a seguito della morte della persona offesa, veniva instaurato un secondo giudizio per il delitto di omicidio preterintenzionale, conseguente alla medesima condotta di aggressione fisica che aveva prodotto l'evento delle lesioni, all'esito del quale la corte distrettuale irrogava una seconda condanna in ragione dell'evento morte sopravvenuto.
Avverso tale seconda sentenza di condanna, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione denunciando la violazione del divieto di bis in idem sub specie di erronea applicazione dell'art. 50 CDFUE e dell'art. 4 Prot. 7 Cedu, in riferimento all'art. 649 c.p.p. Deduce, in particolare, che l'evento morte previsto dall'art. 584 c.p.p. costituirebbe un "grado" ulteriore rispetto all'evento delle lesioni, uno specifico sviluppo normativo della fattispecie meno grave. Il dichiarato assorbimento della pena già irrogata per il reato di lesioni nella determinazione della pena per il delitto di omicidio preterintenzionale costituirebbe violazione convenzionale del divieto di una seconda condanna per il medesimo fatto, secondo l'interpretazione convenzionale della Corte di Strasburgo in tema di idem factum (Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia, e Corte EDU, 23 giugno 2015, Butnaru et Bejan-Piser C. Romania). La questione
La questione involge il tema dell'efficacia preclusiva, ai sensi dell'art. 649 c.p.p., del giudicato formatosi in relazione a fattispecie che, pur non essendo immediatamente sovrapponibile e riconducibile al concetto di idem factum, si trovi in un rapporto di progressione criminosa rispetto ad altra per la quale si procede (nel caso in esame, di lesioni personali ed omicidio preterintenzionale).
La prima questione che si pone è se l'identità del fatto sussista solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, ovvero se questa presupponga la sola identità della condotta. In particolare, se, nei casi di progressione criminosa, con riguardo a procedimento relativo al reato di omicidio preterintenzionale instaurato a seguito della morte della persona offesa, sopravvenuta dopo che l'agente era stato già condannato in relazione alla medesima condotta per il reato di lesioni personali, possa ritenersi operante la preclusione connessa al principio del ne bis in idem e, in caso di risposta negativa, quale rilevanza assuma e in che termini debba essere considerata, sotto il profilo retributivo complessivo, la pena già inflitta per la fattispecie meno grave. Ove si escluda l'operatività della preclusione ex art. 649 c.p.p., a fronte del possibile formarsi di due diversi titoli, tra loro non inconciliabili, rispetto ad eventi di reato in rapporto di progressiva gravità, perché, sul piano eziologico e normativo, l'evento morte contiene in sé quello di lesioni, deve essere garantito che le sanzioni irrogate risultino, nel loro complesso, proporzionate ai fatti accertati, tali da non realizzare una duplicazione, sia pure parziale, delle sanzioni (sostanzialmente) “penali”. Le soluzioni giuridiche
Il contrasto interpretativo sull'idem factum nella giurisprudenza della Corte EDU
Sulla prima questione, che involge la definizione del concetto di idem factum rilevante ai fini della preclusione derivante dal divieto di bis in idem ex art. 649 c.p.p., in tema di progressione criminosa, la giurisprudenza di legittimità ha fatto propri gli esiti del percorso giurisprudenziale intrapreso dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo.
Il contrasto interpretativo sul tema della nozione rilevante di idem factum, nella sua dimensione internazionale, si è manifestato intorno a tre distinti orientamenti progressivamente maturati in seno alla Corte di Strasburgo.
Secondo un primo orientamento, espresso da Corte EDU, Grande Camera, 23 ottobre 1995, Gradinger contro Austria, l'idem factum si identifica con la nozione di "identico comportamento" nella sua dimensione storico-naturalistica, prescindendo dalla qualificazione giuridica che ne viene data. La Corte EDU, nella specie, ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, in relazione alla condanna per omicidio colposo in conseguenza di una condotta di guida in stato di ebbrezza, cui ha fatto seguito la successiva condanna per l'illecito amministrativo connesso alle condizioni in cui il ricorrente si era posto alla guida della autovettura.
Secondo un diverso - e successivo - orientamento (Corte EDU, Grande Camera, 30 luglio 1998, Oliveira contro Svizzera), pur condividendosi la soluzione dell'identità della condotta materiale da cui scaturiscono le varie sanzioni, si ammette che l'identico comportamento possa fondare plurime infrazioni, con l'apertura di procedimenti distinti, nonché l'applicazione di più sanzioni. In tali casi di concorso formale di reati o di reati e di illeciti amministrativi, tuttavia, la irrogazione di una ulteriore sanzione deve tener conto di quella già inflitta nel separato parallelo procedimento. Nella fattispecie, relativa alla irrogazione di una multa in relazione alla condotta di guida imprudente, e successiva condanna per aver cagionato lesioni gravi al conducente di altra autovettura, la Corte ha escluso la violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu potendo, in ipotesi di concorso formale di reati, una singola condotta o azione integrare reati diversi. La disposizione convenzionale non trova applicazione per reati separatamente giudicati, anche se integrati da una medesima condotta, ove si realizzi l'assorbimento delle pene minori in quelle maggiori (§§ 25-26).
Una terza declinazione del principio è quella espressa da Corte EDU, sez. III, 29 maggio 2001, Franz Fischer contro Austria, che ritiene compatibile la disposizione di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 con una pluralità di procedimenti, in caso di concorso formale di reati, ma richiede la necessità di verificare che le due fattispecie abbiano gli stessi "elementi essenziali", per escludere che si tratti di una semplice differenza di nomen iuris o di un concorso apparente di norme.
Con la sentenza Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia, la Corte di Strasburgo - facendo espresso richiamo alla recente evoluzione giurisprudenziale della Corte di giustizia dell'Unione Europea (Corte giust., 9 marzo 2006, C-436/04, 1/3n Esbroeck, pp. 27-36; Corte giust., 18 luglio 2007, C-367/05, Kraaijenbrink, § 36) e della Corte interamericana dei diritti dell'uomo (CIDU, Loayza-Tamayo c. Perou, 17 settembre 1997, serie C, n. 33, § 66) – è intervenuta per risolvere un contrasto manifestatosi tra le sezioni singole sulla portata dell'art. 4 prot. n. 7 Cedu, affermando che «la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio»(§ 80). Alla luce di tale interpretazione della norma convenzionale, costituisce ormai principio ormai acquisito che debba privilegiarsi «il più favorevole criterio dell'idem factum, a dispetto della lettera dell'art. 4 del Protocollo n. 7, anziché la più restrittiva nozione di idem legale». Viene, in atri termini, valorizzato l'identità dei fatti materiali, al di là delle differenti espressioni linguistiche utilizzate da trattati e strumenti internazionali che sanciscono il divieto del bis in idem ("stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro).
La Grande Camera della Corte EDU, al fine della verifica della identità del fatto, presupposto per l'operatività della preclusione processuale, pone l'accento non solo sulla dimensione naturalistica del fatto, ossia la condivisione degli stessi elementi essenziali (non solo della condotta, § 82) tra i reati od illeciti, eventualmente in concorso formale, ma sul fatto che uno degli illeciti contenga in sé ed esprima il disvalore di tutti gli altri. Per tale via, l'unica interpretazione plausibile dell'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, che fa riferimento ad un dato processuale, è quella che definisce per fatto al quale riferire l'identità «l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale» (§ 84).
In termini omologhi, con la coeva sentenza Corte EDU, sez. I, 25 luglio 2009, Maresti c. Croazia, la Corte ha condannato lo Stato per aver processato l'imputato per lesioni personali dopo che questi era stato giudicato colpevole di aver tenuto una condotta particolarmente offensiva in un luogo pubblico, in quanto aveva insultato e percosso una persona infrangendo la quiete pubblica. La Corte ha osservato che nel caso di specie viene in rilievo l'identità del fatto – e non della condotta – in quanto l'evento lesioni è stato considerato in entrambe le sentenze di condanna, a nulla rilevando la diversità dei beni giuridici lesi dalla condotta del ricorrente (la pubblica quiete e l'ordine pubblico, nel caso della prima condanna; l'incolumità personale nella seconda), la diversa gravità dei reati e della finalità della pena. In presenza di medesimezza dei fatti, a nulla rileva inoltre, il dato che nella seconda condanna sia stata detratta la pena già irrogata con la precedente.
Nello stesso solco, Corte EDU, 23 giugno 2015, Butnaru et Bejan-Piser C. Romania, che ha accertato la violazione del divieto di bis in idem in un caso in cui, terminato il primo processo per lesioni con una assoluzione, era stato avviato un nuovo processo per rapina.
Si tratta di pronunce in cui la valutazione dell'idem factum – e la connessa adozione del criterio dell'assorbimento della pena inflitta per il reato meno grave – investe ipotesi di reato complesso, reato progressivo o di progressione criminosa, per le quali, non potendo trovare applicazione in via diretta la preclusione di cui all'art. 649 c.p.p., per il passaggio in giudicato della sentenza che irroga la pena per il reato meno grave, si pone la questione della coesistenza di una pluralità di titoli, "uno dei quali contenga l'altro”.
Il progressivo assestamento della giurisprudenza di legittimità alla evoluzione del divieto di bis in idem
L'elaborazione della Corte EDU ha trovato piena adesione nella giurisprudenza di legittimità che, nel caso di un procedimento per il delitto di omicidio preterintenzionale ove la medesima condotta abbia causato lesioni alla vittima – per le quali si sia già proceduto – e solo successivamente determinato la sua morte ha escluso l'identità del fatto. Nella specie, la Corte (Cass. pen., sez. V, 1° luglio 2010 (dep. 20 luglio 2010), n. 28548, P.m. in proc. Carbognani) ha affermato, nell'ambito di un giudizio cautelare, che «ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem, l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona». Il medesimo principio risulta espresso dalla Suprema Corte, nella medesima vicenda processuale, in sede di cognizione, da Cass. pen., sez. V, 30 ottobre 2014 (dep. 16 dicembre 2014), n. 52215, P.G. in proc. Carbognani, ed in successive conformi pronunce, anche di altre Sezioni. Tra queste, giova richiamare Cass. pen., sez. IV, 3 novembre 2016 (dep. 14 marzo 2017), n. 12175, P.C. in proc. Bordogna ed altri, che ha ritenuto corretta l'esclusione della violazione del divieto di bis in idem in relazione ad un processo per omicidio colposo di lavoratori morti per mesotelioma pleurico celebrato nei confronti di imputati precedentemente assolti per identica imputazione, avente ad oggetto il decesso di altri lavoratori per la stessa malattia, sul presupposto che il successivo giudizio attiene ad eventi naturalistici diversi, in quanto perpetrati in danno di differenti persone offese; Cass. pen., sez. II, 31 ottobre 2018 (dep. 22 novembre 2018), n. 52606, Biancucci Stefano, che, ritenendo non sufficiente la generica identità della sola condotta ai fini della preclusione processuale, ha escluso la ricorrenza dell'"idem factum" tra la contestazione di cui all'art. 632 c.p. e il giudicato per illeciti di natura urbanistica ed ambientale, sul presupposto della diversità degli eventi conseguiti alla medesima condotta; Cass. pen., sez. III, 1° febbraio 2018 (dep. 18 maggio 2018), n. 21994, Pigozzi, in cui la Corte, richiamando i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7, Cedu, ha escluso la sussistenza di un rapporto di identità del fatto tra condotte di bancarotta fraudolenta e di omesso versamento di IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74; Cass. pen., sez. IV, 6 dicembre 2016 (dep. 23 gennaio 2017), n. 3315, Shabani, in cui, con riferimento alla eccepita improcedibilità dell'azione penale per reati in materia di stupefacenti per essere intervenute sentenze definitive da parte del giudice straniero (assolto in parte e condannato in altra), la Corte ha escluso la sussistenza della medesimezza del fatto, sotto i profili di tempo, spazio ed oggetto materiale, rispetto alle condotte per le quali era già stato giudicato dall'autorità straniera; Cass. pen., sez. IV, 24 ottobre 2017 (dep. 7 dicembre 2017), n. 54986, Montagna, che, in tema di concorso formale di reati, ha ritenuto corretta l'esclusione della preclusione stabilita dall'art. 649 c.p.p. in riferimento al reato di incendio colposo, cagionato mediante la realizzazione di un abusivo allacciamento alla rete elettrica, a carico di imputata già giudicata per il delitto di furto aggravato, contestato come commesso mediante il medesimo allacciamento abusivo; da ultimo, Cass. pen., sez. VII, 20 ottobre 2021 (dep. 23 novembre 2021), n. 42994, C., ove è stata esclusa la violazione del ne bis in idem processuale per l'insussistenza dell'identico fatto, nella sua dimensione storico-naturalistica, tra la minaccia consistita nell'invio di un messaggio minatorio ed una serie di altre e distinte minacce, sia pur commesse nello stesso periodo oggetto di contestazione nel processo in corso e già giudicate definitivamente in altro processo.
Si tratta di un approdo pacifico e consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, mutuato pedissequamente da quello espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza Cass. pen., sez. un., 28 giugno 2005 (dep. 28 settembre 2005), n. 34655, P.G. i proc. Donati ed altri, che, in relazione al fatto del rinvenimento, in diversi luoghi, di merci nella disponibilità di due persone, ha affermato l'identità del fatto di ricettazione perseguito in due distinti giudizi aperti a carico degli interessati, sebbene nel primo fosse configurata una responsabilità concorsuale per la ricezione di tutto quanto sequestrato e nel secondo, invece, fosse contestata a ciascuno la ricettazione della sola merce da lui materialmente detenuta. La Corte ha ritenuto che la sfasatura delle imputazioni dipendesse da una differente qualificazione giuridica del titolo di imputazione della responsabilità, e non dall'individuazione di fattispecie ontologicamente autonome per una diversità delle rispettive componenti strutturali.
La soluzione interpretativa del dettato convenzionale trova espressa applicazione nella sentenza Corte. cost. n. 200/2016, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. La Corte costituzionale ha chiarito che la suddetta disposizione convenzionale impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una dimensione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente. Deve tenersi conto, in proposito di «indizi» che possono comprendere anche l'oggetto fisico su cui verte la condotta, come nel caso del mutamento della vittima, che comporta anche la variazione del fatto); ovvero, ove strutturalmente previsto, «l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale».
La limitata operatività del vincolo derivante dalla interpretazione convenzionale ha consentito di connotare il diritto vivente secondo una lettura conforme all'attuale stadio di sviluppo dell'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu, che include nella valutazione della identità del fatto, secondo canoni storico-naturalistici, la condotta e l'evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima, così valorizzando la triade condotta-nesso causale-evento naturalistico. Il fatto oggetto del nuovo giudizio è lo “stesso” del precedente solo ove vi sia coincidenza di tutti i citati elementi.
L'idem factum in relazione ad eventi di gravità progressiva
Applicando le coordinate ermeneutiche elaborate dalla interpretazione convenzionale, secondo la Suprema Corte, al mutare dell'evento, anche in un rapporto di progressiva gravità, da lesioni in morte della vittima derivanti da un'unica condotta, corrisponde diversità dei fatti, perché vi è un nuovo evento in senso storico.
Non è sufficiente, infatti, la sola generica identità della condotta produttiva dei due eventi, ma è necessario che l'interprete proceda ad analizzare tutti gli elementi costitutivi, seppure riferendosi a un confronto fra fatti materiali e non semplicemente a un confronto fra disposizioni sanzionatorie.
Ne deriva, come osservato nella sentenza in commento, che «in tema di divieto di un secondo giudizio, le nozioni di bis in idem processuale e di bis in idem sostanziale non coincidono in quanto la prima, più ampia, ha riguardo al rapporto tra il fatto storico, oggetto di giudicato». Infatti, il nuovo giudizio, prescindendo dalle eventuali differenti qualificazioni giuridiche, preclude una seconda iniziativa penale là dove il medesimo fatto, nella sua dimensione storico-naturalistica, sia stato già oggetto di una pronuncia di carattere definitivo; la seconda, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte e prescinde dal raffronto con il fatto storico (cfr. Cass. pen., sez. VII, 1° ottobre 2020, n. 32631, Barbato, che, in applicazione del principio, nonostante la qualificazione sostanziale del fatto storico consentisse il concorso formale tra il delitto di cui all'art. 642 c.p. e quello di cui all'art 497-bis c.p. e, quindi, la non operatività del bis in idem sostanziale, ha ravvisato il bis in idem processuale, in quanto il precedente giudizio aveva riguardato il medesimo fatto storico, qualificato ex art. 642 c.p.).
Come sopra osservato, la duplicazione di procedimenti o delle sanzioni non necessariamente è in contrasto con la garanzia convenzionale di cui all'articolo 4 del Protocollo n. 7 Cedu ma solo se lo Stato convenuto non dimostri in modo convincente che i due (o più) procedimenti in questione siano stati «strettamente connessi da un punto di vista sostanziale e temporale», risultando combinati in modo integrato, tanto da lasciar ritenere che costituissero parte di un unico insieme, perseguendo finalità complementari (sul tema, Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, caso A. e B. c. Norvegia; Corte EDU, 18 maggio 2017, caso Jòhannesson ed altri c. Islanda; analoga garanzia si ritrova nell'art. 50 CDFUE, e nell'applicazione di Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenze Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate SA ed altri contro Consob (C-537/16) e Di Puma contro Consob e Consob contra Zecca (C-596/16 e C-597/16).
Nella sentenza Corte EDU, Grande Camera, A. e B. contro Norvegia, la Corte, nell'escludere che in un caso di irrogazione di sanzione amministrativa tributaria seguita da condanna per frode fiscale vi sia stata una duplicazione della pena per lo stesso reato, ha precisato che non costituisce violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu la previsione di norme interne che consentano di avviare separatamente ed in modo parallelo per la repressione del medesimo fatto-reato il procedimento penale e quello amministrativo, ovvero di dare priorità nella trattazione al più grave e socialmente riprovevole aspetto concernente illecito penale o la frode, con la possibilità di irrogare sanzioni di tipo diverso, tra loro variamente cumulate o combinate.
Del resto, è insito in ciascun sistema processuale la previsione di separati piani sanzionatori e non può essere suscettibile di sindacato la scelta del legislatore interno di prevedere un duplice binario processuale, penale ed amministrativo, per la medesima condotta illecita, intesa nel senso dello “stesso fatto” come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU (cfr., sul punto, le decisioni Corte EDU, V Sezione, 27 novembre 2014, nella causa Lucky Dev contro Svezia, e la citata Corte EDU, Grande Camera, del 10 febbraio 2009, nella causa Zolotukin c. Russia). Le scelte normative dei singoli Stati in tema di doppio binario sanzionatorio non violano il principio del ne bis in idem di derivazione convenzionale quando in concreto l'ordinamento interno realizzi una connessione tra le procedure, sia con riferimento all'identificazione del medesimo fatto sia allo sviluppo cronologico dei procedimenti, tale che le plurime sanzioni irrogate possano essere considerate come facenti parte di un complesso sistema retributivo interno.
Solo in presenza delle evidenziate condizioni, ossia della previsione di un sistema processuale integrato, che consenta all'autorità giudiziaria o amministrativa di tener conto della sanzione già inflitta nel separato procedimento per il medesimo fatto illecito, può ritenersi garantito il rispetto del criterio di proporzionalità della sanzione complessivamente inflitta (del tutto aderente è, del resto, l'interpretazione della Corte di Giustizia in CGUE, sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA).
La soluzione nel caso concreto: il principio della “detrazione” della pena irrogata con precedente sentenza definitiva
Nel caso in esame, stante la diversità dell'evento tipico della fattispecie per la quale si procede, pur se connotato da progressiva gravità rispetto a quella oggetto di giudicato, il criterio moderatore della proporzionalità della sanzione complessiva non investe il profilo della legittimità del doppio binario sanzionatorio, atteso che i due procedimenti sono stati definiti nell'ambito del medesimo sistema sanzionatorio penale, né viene in rilievo una ipotesi di concorso formale di reati, per la incompatibilità sostanziale – che non si riflette sul piano processuale – tra le fattispecie di reato connesse dal vincolo della progressione, che non investe anche il piano processuale. Vi è una differenza strutturale (oltre che di bene interesse tutelato) tra il fatto concreto dei due reati contestati nei procedimenti posti in successione, atteso che l'evento-morte che caratterizza il delitto di omicidio preterintenzionale è assente nel delitto di cui all'art. 582 c.p., in cui l'evento tipico, meno grave, sono le lesioni personali.
Nessun ostacolo, dunque, alla possibile instaurazione di una pluralità di procedimenti, ove l'evento morte non segua immediatamente la condotta di lesioni, ma l'esigenza di valutare il profilo della proporzione sanzionatoria.
Sul tema, di recente, Corte EDU, Sez. I, 31 agosto 2021, Galovic c. Croazia, ha ribadito, in continuità con la pronuncia sul caso A. e B. c. Norvegia, che «Il divieto di bis in idem, previsto dall'art. 7 Prot. addiz. n. 7 Cedu non è violato nel caso in cui, in ordine ad un idem factum, sia instaurata una pluralità di procedimenti penali e/o amministrativi, anche nel caso in cui alcuni di essi siano complementari (avendo ad oggetto reati di minore gravità) rispetto al procedimento penale avente ad oggetto il reato più grave, purché tra essi sussista un nesso di connessione temporale o materiale, e le sanzioni irrogate risultino, nel loro complesso, proporzionate ai fatti accertati».Nel caso di specie, il ricorrente, che aveva subìto numerose denunce per violenze domestiche, era stato sottoposto ad una pluralità di procedimenti penali aventi ad oggetto reati gravi e reati accessori di minore gravità, riportando conclusivamente una condanna alla pena complessiva di anni cinque di reclusione (ad una prima condanna in un procedimento per reati minori in relazione a due distinti incidenti era seguita una successiva per quattro capi di violenza domestica commessi contro i suoi familiari). La Corte, per effetto del riconoscimento della connessione sostanziale e temporale tra i singoli procedimenti, ha preso atto che il secondo giudice aveva considerato nel computo della pena da irrogare la pena inflitta con le condanne per reati minori, così rispettando il principio di detrazione e assicurando che l'importo complessivo delle sanzioni irrogate al ricorrente fosse complessivamente proporzionato alla gravità del reato in questione.
A tale principio di proporzione della risposta sanzionatoria appare essersi ispirato, nel caso in esame, la Corte territoriale, che con una formula empirica ha dichiarato «assorbita la pena irrogata all'imputato con sentenza della Corte d'appello di Venezia del 27.10.2015, irrevocabile il 30 maggio 2017».
La Quinta Sezione penale, rilevando come, alla luce della giurisprudenza ‘convenzionale' e costituzionale (Corte. cost., n. 43/2018) non ricorra l'idem factum tra le lesioni personali e l'omicidio preterintenzionale, in quanto il fatto concreto di cui all'art. 584 c.p. è caratterizzato dall'evento-morte, che è, invece, assente nel delitto di cui all'art. 582 c.p., la cui tipicità è integrata dal diverso, e meno grave, evento, delle lesioni personali, ha ritenuto che in tali casi la proporzione sanzionatoria complessiva possa essere assicurata dal cd. “principio di detrazione”. Tale principio, in assenza di una disposizione ad hoc nel nostro ordinamento, trova applicazione attraverso la commisurazione della pena, pur nel rispetto dei limiti edittali, di cui all'art. 133 c.p.
Si tratta di statuizione contenuta nel solo dispositivo, che la Suprema Corte dubita possa essere applicazione dello strumento processuale previsto dall'art. 657 c.p.p. (revoca della condanna), pur richiamato dal giudice di appello in un passaggio motivazionale privo di adeguato sviluppo argomentativo, idoneo a fondare un meccanismo di compensazione della pena.
Il principio di detrazione, secondo la Corte, può essere applicato attraverso il ricorso al criterio più duttile, della commisurazione della pena di cui all'art. 133 c.p., nel rispetto dei limiti edittali. In tal modo, «il giudice del secondo procedimento ha tenuto conto della pena già inflitta all'esito del primo procedimento, e, ritenendola assorbita nella pena inflitta con la sentenza impugnata, e dunque nella gravità del reato di omicidio preterintenzionale, ha assicurato che "l'importo complessivo delle sanzioni" irrogate fosse proporzionato alla gravità dei reati complessivamente considerati». Osservazioni
La soluzione adottata, pur se si sostanzia in una impropria applicazione processuale del principio, in concreto assicura una proporzione sanzionatoria complessiva, tale da escludere la paventata violazione del divieto di bis in idem.
Assume particolare rilevanza, nel ragionamento della Quinta Sezione la valorizzazione del principio della “detrazione” della sanzione già irrogata nel precedente procedimento, nel caso in cui, per effetto del rapporto di sostanziale progressione criminosa tra reati ontologicamente incompatibili oggetto di separata contestazione in più procedimenti
La pacifica ammissibilità – e compatibilità con la disciplina convenzionale –, sul piano processuale, della instaurazione di un secondo procedimento per effetto della sopravvenienza dell'evento morte, a seguito delle lesioni prodotte dalla medesima condotta, comporta la necessità che il giudice del secondo procedimento, per il reato di omicidio preterintenzionale, assicuri la adeguatezza e proporzionalità della sanzione complessivamente irrogata (sul tema del reato complesso e del rapporto di continenza necessaria od occasionale di fattispecie in concreto connotate da identità di condotta, cfr. il recente arresto delle Sezioni Unite, che, con sentenza 15 luglio 2021, (dep. 26 ottobre 2021), n. 38402 M., hanno affermato che «Il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 5.1 c.p., commesso a seguito di quello di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, integra, in ragione della unitarietà del fatto, un reato complesso circostanziato ai sensi dell'art. 84, comma 1, c.p.»).
In tali casi, non potendo operare la preclusione del giudicato, formatosi su un fatto strutturalmente diverso, il criterio della “detrazione” della pena in precedenza inflitta, che è diretta applicazione del criterio di proporzionalità della sanzione elaborata dalla giurisprudenza europea, rappresenta una soluzione empirica che consente di superare i limiti ontologici derivanti dalla non configurabilità del concorso formale di reati.
Il rapporto di potenziale assorbimento delle condotte in progressione criminosa, oggetto di separati procedimenti penali, trova una valida risposta nella garanzia di proporzionalità della pena complessivamente irrogata.
Non sussistendo, infatti, spazio applicativo per la revoca della precedente condanna ex art. 657 c.p.p., il giudice penale conserva un margine di intervento sul piano sostanziale e retributivo nel ricorso ai criteri flessibili della commisurazione della pena di cui all'art. 133 c.p.
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