Pagamenti spropositati al professionista e reato di bancarotta

Ciro Santoriello
18 Marzo 2022

Anche il pagamento da parte di società fallita di compensi spropositati ed ingiustificati ad un professionista può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed in tal caso l'estraneità dell'atto alla ragionevolezza imprenditoriale, come indice di fraudolenza rilevante per la prova della distrazione, può discendere dalla manifesta incongruità del compenso previsto, allorquando, nel quadro degli elementi valorizzati dal giudice di merito, essa denunci il carattere pretestuoso e strumentale della copertura formale data alla concreta distrazione delle risorse.
Massima

Anche il pagamento da parte di società fallita di compensi spropositati ed ingiustificati ad un professionista può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed in tal caso l'estraneità dell'atto alla ragionevolezza imprenditoriale, come indice di fraudolenza rilevante per la prova della distrazione, può discendere dalla manifesta incongruità del compenso previsto, allorquando, nel quadro degli elementi valorizzati dal giudice di merito, essa denunci il carattere pretestuoso e strumentale della copertura formale data alla concreta distrazione delle risorse.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per bancarotta fraudolenta, era adottato un provvedimento di sequestro nei confronti di un professionista che aveva svolto consulenza a vantaggio della società fallita ed a cui, secondo la prospettazione accusatoria, era stato corrisposto un compenso ritenuto eccessivo ed ingiustificato. In particolare, secondo l'accusa, l'assunta antieconomicità del compenso aveva tramutato il rapporto professionale effettivo, tale da garantire importanti risultati alla società, in attività di natura distrattiva, in ragione del carattere ritenuto pretestuoso e strumentale della copertura formale adottata per la concreta distrazione delle risorse, in un alveo considerato estraneo ai canoni di ragionevolezza imprenditoriale

La difesa, ricorrendo in cassazione, eccepiva il vizio di motivazione del provvedimento giacché non si era confrontato con gli accertamenti istruttori relativi alla valutazione dei modelli gestionali e dell'iter di certificazione tecnica da ascriversi all'opera del professionista indagato. Non sarebbe emersa, quindi, la ragione per la quale un contratto, quello stipulato nel 2007, ritenuto effettivo, sarebbe sfociato, con gli accordi successivi, in una mera copertura formale a fini distrattivi, mancando altresì la verifica della sussistenza o meno degli indici di fraudolenza del rapporto, nulla essendo stato detto sulla condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda nel 2009, a fronte della riconosciuta effettività della prestazione resa nel 2008, tanto più considerando il lasso intercorso fra i contratti e il fallimento.

Del pari, sosteneva il ricorrente, il Tribunale aveva mancato di verificare se i compiti che i contratti avevano affidato al professionista fossero effettivi e necessari per l'adempimento degli obblighi societari, nonostante le consulenze prodotte della difesa avessero evidenziato l'esclusiva di uso dell'iter di certificazione tecnica, implicante la consultazione di una serie di documenti partitamente elencata; limitarsi - come avevano fatto i giudici del riesame - all'asserzione che l'indagato aveva percepito il compenso limitandosi a presentare relazioni periodiche, si sarebbe risolto in un'affermazione che non avrebbe tenuto conto del gravoso compito spettante al professionista. Inoltre, secondo il ricorrente, il rapporto, dal Tribunale ritenuto come intercorso effettivamente tra la società e l'indagato fino al dicembre 2008, escludendo la natura fittizia di esso, di per sé integrava una situazione tale da smentire il sospetto di collusione e cointeressenze tra gli imprenditori della società fallita ed il professionista.

Ulteriore e conseguente critica svolta dalla difesa era quella relativa alla rilevata confusione in diritto tra il concetto di distrazione e quello di operazione avente negativa incidenza sul patrimonio della società, la prima rilevando in sé, ai sensi dell'art. 216 l.fall., la seconda dovendo esaminarsi in relazione alla connessione causale con il dissesto, ai sensi dell'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., dissesto, nel caso di specie, insorto soltanto nel 2012.

Con particolare riferimento all'entità dei compensi, l'apparenza della motivazione veniva dalla difesa riferita sia ai criteri tariffari, dettagliatamente illustrati nella consulenza, sia al principio di libera determinazione dell'onorario stabilito dall'art. 2233 c.c..

Ulteriori censure erano mosse con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo della distrazione in capo al professionista, quale extraneus in reato proprio. In particolare, i giudici non avrebbero valutato il controsenso insito nel ritenere sussistente la consapevolezza in capo all'indagato di depauperare la società con il proprio contributo lavorativo, nello stesso tempo ritenuto necessario all'operatività della stessa, per la fase di start up, essendo il dolo dell'extraneus incompatibile con la stipulazione di un contratto essenziale per la vita della società.

La questione

Due sono i temi affrontati nella decisione in esame.

Il primo profilo attiene alla possibilità di qualificare come ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale la dazione di somme a titolo di corrispettivo per lo svolgimento di una attività professionale asseritamente svolta a vantaggio della società poi fallita – ovviamente in presenza, come nel caso di specie, di elementi che facciano sospettare della liceità o effettività o utilità di tale prestazione.

Una tale condotta potrebbe integrare la condotta di dissipazione, espressione che indica la scelta dell'imprenditore di sperperare le proprie risorse patrimoniali senza che l'impresa ne tragga alcuna utilità; secondo la giurisprudenza i requisiti di tale condotta sono, sotto il profilo oggettivo, un'incoerenza assoluta fra le operazioni poste in essere e le esigenze imprenditoriali nonché, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza del soggetto agente di diminuire il patrimonio della società per scopi del tutto estranei alla medesima.

Si ricorda che la legge fallimentare prevede un ulteriore illecito avente ad oggetto un incongruo utilizzo dell'attività del patrimonio aziendale e cioè, secondo l'art. 217, comma 1, n. 3 l.fall., l'ipotesi di effettuazione di operazioni manifestamente imprudenti da cui derivi la perdita di una parte significativa del patrimonio: in proposito si sostiene che in tale ultima circostanza il comportamento dell'imprenditore, per quanto antieconomico e produttivo di un dissesto aziendale, deve comunque risultare coerente con l'attività svolta dall'azienda (Cass. sez. V, 17 settembre 2014, Franzoni, n. 5317), per cui la perdita di ricchezza per operazioni manifestamente imprudenti deve discendere da un errore di valutazione, non da un ineliminabile profilo pregiudizievole per le sorti dell'impresa. In ogni caso, la condotta dissipativa - per quanto irragionevole e sicuramente produttiva di un futuro dissesto - non presenta alcun aspetto di illiceità se considerata limitatamente al suo profilo materiale: il titolare del bene può utilizzare lo stesso in modo da ottenere ricavi o goderne senza alcuna considerazione per le sue potenzialità reddituali future.

Sotto altro profilo, la medesima condotta può essere qualificata come distrazione in cui rientra una molteplicità di comportamenti, sia di carattere prettamente materiale la cui qualificazione in termini di illiceità (o quanto meno come evento pregiudizievole per le disponibilità economiche dell'impresa) è di immediata evidenza – si pensi ad esempio all'impossessamento di un assegno postdatato o ad un accordo con ditte fornitrici per il pagamento di beni in maniera superiore al prezzo effettivo con retrocessione di parte del prezzo all'amministratore -, che maggiormente articolati e la cui connotazione delittuosa presuppone una maggiore attenzione nella lettura della vicenda – come potrebbe sostenersi con riferimento a compensi professionali spropositati. Proprio la circostanza che la nozione di distrazione non indica con precisione alcuna condotta tipica da parte del soggetto agente né ha un referente semantico ben determinato, rende necessario porre in via interpretativa un argine al possibile utilizzo della nozione di distrazione quale modalità per sanzionare il singolo per ogni atto di disposizione dei propri beni che risulti anomalo e censurabile in un'ottica imprenditoriale (CAVALLINI, La bancarotta patrimoniale fra legge fallimentare e codice dell'insolvenza, Padova 2019, 33; INGRASSIA, Rischio d'impresa come rischio penale? Il sindacato giudiziale sulle scelte di gestione della crisi, Pavia, 2018, 3); in particolare occorre considerare che l'espressione “distrazione” si affianca ad altre - quali quelle di dissipazione, distruzione, occultamento, ecc. - che richiamano in maniera indiscussa una diminuzione della consistenza del patrimonio dell'imprenditore in assenza di qualsiasi vantaggio ed in mancanza di qualsiasi giustificazione economica; di conseguenza, la valutazione circa la portata distrattiva o meno di un'opzione dell'imprenditore nella gestione dei propri beni o dei beni aziendali va operata non limitando l'analisi all'esito del singolo atto di disposizione ma riguardando la consistenza del patrimonio nel suo complesso ed in particolare verificando – anche in ragione del fatto che l'attività di impresa si caratterizza per lo scambio continuo di beni/servizi in un'ottica di profitto o di conservazione quantitativa del patrimonio - se alle immediate conseguenze negative determinate dalla condotta tenuta dall'imprenditore non abbiano poi fatto seguito effetti ulteriori ed indiretti che abbiano contribuito ad incrementare, contrariamente a quanto opinabile in prima battuta, il patrimonio dell'azienda.

In secondo luogo, la pronuncia ricostruisce gli estremi per ipotizzare un concorso nel fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale del terzo beneficiato dall'attività delittuosa dell'imprenditore in quanto beneficiario del profitto derivante dalla sottrazione del bene dal patrimonio aziendale. Perché ciò si verifichi occorre un accordo fra imprenditore ed extraneus (accordo che costituisce l'elemento differenziale fra il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed il delitto di “ricettazione fallimentare” - Cass., sez. V, 15 marzo 2017. n. 12589), ma non è richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, essendo sufficiente la volontarietà di partecipare al comportamento delittuoso dell'intraneus con la consapevolezza che in questo modo viene a determinarsi un depauperamento del patrimonio sociale dei creditori (Cass., sez. V, 19 ottobre 2017, n. 48203; Cass., sez. V, 7 ottobre 2016, n. 42572, secondo cui in tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell'evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l'imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell'impresa).

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato rigettato dalla Suprema Corte.

Riprendendo l'ipotesi di accusa secondo cui l'imputato, commercialista che aveva stipulato con la società fallita tre progressivi contratti di consulenza, con riferimento all'esecuzione degli ultimi due contratti, dal 2009 alla decozione, fosse stato destinatario di compensi professionali del tutto sganciati dall'entità delle prestazioni rese, concordati e, per quanto corrisposti, erogati al di fuori di ogni ragionevolezza imprenditoriale, la Cassazione afferma che l'estraneità dell'atto alla ragionevolezza imprenditoriale, come indice di fraudolenza rilevante per la prova della distrazione, può anche discendere dalla manifesta incongruità del compenso previsto, allorquando, nel quadro degli elementi valorizzati dal giudice di merito, essa denunci il carattere pretestuoso e strumentale della copertura formale data alla concreta distrazione delle risorse.

Riconosciuta la liceità dei compensi corrisposti con riferimento al primo contratto, che conferiva un importante incarico al professionista nella fase di start up dell'impresa, si è rilevato che per il tempo successivo l'indagato si era limitato a inviare relazioni trimestrali o semestrali sull'attività svolta, la quale però si era esaurita nel mero riversamento del risultato di operazioni già eseguite e perfezionate nelle relazioni sul controllo della gestione, risultando retribuita in modo privo di razionalità sul piano della ragionevolezza imprenditoriale, in quanto, per il mero, sporadico ritrasferimento di dati considerato come svolto dal professionista, dunque in assenza di adeguata controprestazione, gli erano stati devoluti compensi esorbitanti, prassi agevolata dall'omissione di verifiche periodiche dell'adempimento da parte del medesimo degli obblighi contrattuali.

In questo senso è stata riscontrata l'estraneità alla ragionevolezza imprenditoriale delle progressive erogazioni, ritenute prive di causa, effettuate dalla società fallita al suo professionista indagato, considerandole, anche per la loro durata ed entità, come indice di fraudolenza rilevante per la prova della distrazione, in quanto la manifesta incongruità del compenso assicurato al professionista è stata ritenuta connotata dall'univoca valenza sintomatica di strumento di copertura formale alla corrispondente distrazione delle risorse sottratte alla garanzia creditoria; il tutto conformemente al principio secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di indici di fraudolenza, rinvenibili, fra l'altro, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, nonché all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396).

Né è stato ritenuto liberatorio per la posizione del professionista, inquadrato come percettore consapevole di rilevanti importi risultati avere avuto efficienza distrattiva rispetto alla susseguente decozione della società, il riferimento alla fonte dell'obbligazione civilistica, come disciplinata dall'art. 2233 c.c.. Questa previsione conferisce alle parti del contratto l'autonomia nella pattuizione dell'onorario, quale criterio gerarchicamente sovraordinato, ma non giustifica l'erogazione di compensi del tutto fuori misura, rispetto alle prestazioni in concreto rese, e tali da determinare un contributo causale efficiente per la verifica della distrazione.

Quanto all'elemento soggettivo della prefigurata bancarotta fraudolenta, in merito al quale è stato annesso rilievo alla qualificazione professionale dell'indagato, si rileva che questi, partecipando da estraneo beneficiario alla distrazione, in relazione alla sua sfera di competenza e, al contempo, alla sua concreta conoscenza della situazione finanziaria della società, è stato considerato consapevole dell'effetto determinato dal progressivo dirottamento - senza titolo effettivo - di quelle risorse al di fuori delle casse sociali, in termini di concreto pregiudizio alla garanzia creditoria.

Circa l'ulteriore obiezione sviluppata dalla difesa in merito al fatto che il credito del professionista aveva trovato conforto nell'esito del lodo arbitrale emesso nella controversia per l'accertamento del relativo credito promossa dall'indagato, la Cassazione richiama il principio secondo cui le sentenze irrevocabili pronunciate in un giudizio civile o amministrativo non sono vincolanti per il giudice penale che, pertanto, deve valutarle a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, c.p.p. ai fini della prova del fatto in esse accertato, posto che, secondo il principio generale fissato dall'art. 2 c.p.p., al giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito (Cass., sez. III, 13 marzo 2019, n. 17855), dovendo quindi evidenziarsi la libera valutabilità del contenuto e dell'esito scaturente da decisioni (costituite da sentenze o provvedimenti alle stesse assimilati dall'ordinamento) emesse all'esito di procedimento diverso da quello penale, anche in ragione delle obiettive asimmetrie contemplate nei diversi ordinamenti processuali, anzitutto in tema di valutazione delle prove (Cass., sez. V, 17 giugno 2016, n. 41796).

Infine, quanto al profilo del concorso del terzo beneficiario della distrazione e dell'elemento soggettivo che ha caratterizzato la sua condotta di reiterate percezioni di rilevanti importi non dovuti, viene richiamato il principio di diritto in virtù del quale, nell'ambito della verifica del concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può, invece, rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Cass., sez. V, 14 ottobre 2019, n. 4710).

Considerazioni conclusive

La decisione della Cassazione pare pienamente condivisibile.

A prescindere dai principi formulati con riferimento alla responsabilità dell'extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta – che richiamano una giurisprudenza consolidata -, l'affermazione sintetizzata nella massima, giusta la quale può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta anche la corresponsione di somme a terzi giustificate quale compenso per prestazioni svolte da questi ultimi a vantaggio della società, pare corretta ed è coerente con la posizione assunta dalla giurisprudenza e più ancora dalla dottrina per selezionare le ipotesi che, fra i molteplici comportamenti che sotto un profilo materiale paiono rientrare nella descrizione del fatto vietato, debbono ritenersi rilevanti ai sensi dell'art. 216, comma 1, n. 1, l.fall..

Tale disposizione, infatti, descrive una serie di condotte, alcune delle quali chiaramente connotate da atteggiamenti delinquenziali - si pensi al caso di distruzione dei beni aziendali o alla dissipazione delle risorse dell'impresa o ancora alla conclusione di negozi simulatati intesi ad occultare beni della società -, rispetto alle quali un problema di individuazione dei fatti penalmente rilevanti non ha ragion d'essere, in quanto i caratteri materiali dei comportamenti presi in considerazione dal legislatore depongono in senso inequivocabile per l'intenzione del singolo di sottrarre illecitamente risorse all'azienda a lui facente capo.

Diverso è il quadro che invece si pone con riferimento alle molteplici condotte che possono farsi rientrare nella categoria della “distrazione”, formula linguistica che descrive atteggiamenti che di per sé possono anche non presentare alcun profilo di illiceità ed in cui, come si è visto in precedenza, vengono fatti rientrare atti con cui il singolo gestisce il proprio patrimonio (o il patrimonio dell'impresa a lui affidata), la cui rilevanza penale è determinata non dai caratteri materiali della condotta assunta, ma dall'esito della stessa, essendone derivata una diminuzione del patrimonio aziendale con effetti negativi per la posizione dei creditori dell'impresa. Detto altrimenti, con riferimento all'ipotesi della distrazione – di gran lunga la fattispecie cui fa maggior ricorso la giurisprudenza fra quelle descritte dall'art. 216, comma 1, n. 1, l.fall. - il giudizio circa la sussistenza dell'illecito non dipende dalle modalità con cui la consistenza delle disponibilità aziendali è aggredita (essendo in presenza di scelte apparentemente lecite ed espressione dell'esercizio di una facoltà spettante al singolo, senza ricorso ad atti simulati, mezzi fraudolenti, false rappresentazioni della vicenda, ecc.), ma dall'esito finale dell'esperienza imprenditoriale del singolo (ZANCHETTI, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta? Vecchi quesiti e nuove risposte (o magari viceversa), alla luce della giurisprudenza di legittimità sul ruolo del fallimento della bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2014, 111; PERDONO', I reati fallimentari, in MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell'impresa, Padova 2010, 361).

Per individuare l'eventuale rilevanza penale di tali comportamenti – e differenziarli da altre condotte che, pur essendo state dannose per la consistenza del patrimonio aziendale, sono comunque penalmente irrilevanti -, dunque, è necessario far ricorso a quelli che la decisione in commento denomina come “indici di fraudolenza” da individuarsi nella manifesta incongruità del compenso previsto, allorquando essa denunci il carattere pretestuoso e strumentale della copertura formale data alla concreta distrazione delle risorse, specie considerando la condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda al momento in cui la scelta imprenditoriale è stata assunta, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, nonché all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396).

Tale valutazione è per l'appunto stata condotta dalla Cassazione nella pronuncia in commento, essendo irrilevante la circostanza che le somme asseritamente distratte siano state corrisposte ad un soggetto che ha svolto attività professionale a vantaggio della società: non è certo la circostanza che la corresponsione di denaro avvenga in esecuzione di un tale titolo negoziale a poter modificare un orientamento granitico.