Riforma processo civile: i procedimenti de potestate tra vecchia e nuova disciplina

Mauro Di Marzio
23 Marzo 2022

I procedimenti de potestate sono stati fortemente innovati dalla l. 206/2021, con cui il legislatore si è proposto di riformare il processo civile nel quadro del PNRR. Il focus si propone di inquadrare complessivamente la materia, indicando lo stato attuale della più recente giurisprudenza e dando altresì conto degli interventi che, di qui a pochi mesi, modificheranno il quadro normativo.
Inquadramento

Si discorre tuttora convenzionalmente di procedimenti de potestate, formula tuttavia evidentemente inattuale ed inappropriata, ove si consideri che la potestà genitoriale non esiste più da anni, ed è stata sostituita dalla responsabilità genitoriale prevista dall'art. 316 c.c.: segno che i genitori non hanno poteri sui figli, bensì responsabilità nei loro confronti. Ma tant'è: il lettore che abbia interesse a riflettere sulla difficoltà di sradicare espressioni sedimentate nel linguaggio comune non avrà che da fare una ricerchina in Internet sulla «patria potestà», per scoprire che esistono siti, a bizzeffe, che ne discorrono come di qualcosa che la legge ancora oggi prevede e regola (mentre, è detto per i più giovani, è sparita con la riforma del diritto di famiglia del 1975).

In generale, il legislatore va sempre più rafforzando la gamma dei doveri-poteri posti a carico dei genitori per la cura dell'interesse dei figli: di pari passo è disciplinato un ampio potere di intervento giudiziale volto a verificare se i genitori medesimi siano incorsi in violazioni, dovute a condotte commissive od omissive, di maggiore o minore gravità, nell'esercizio di quei doveri-poteri, così da porre in essere condotte pregiudizievoli nei confronti dei figli.

A seconda della natura delle violazioni, e della loro gravità, le reazioni dell'ordinamento si atteggiano diversamente.

E così, la reazione è pesantissima nell'ipotesi disciplinata dall'art. 330 c.c.: se il genitore viola o trascura i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale, o abusa dei relativi poteri, e se ciò arreca grave pregiudizio al figlio, il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale, nel qual caso, per gravi motivi, può altresì ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. L'art. 332 c.c. prevede la reintegrazione della responsabilità genitoriale se e quando le ragioni che hanno determinato la pronuncia di decadenza sono venute meno.

Se, invece, la condotta del genitore non è così grave da giustificare la pronuncia di decadenza, ma nondimeno è nociva per il figlio, il giudice, in applicazione del successivo art. 333 c.c., «secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento». Ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c. non occorre che la condotta del genitore abbia causato danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l'obiettiva attitudine di quest'ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore (Cass. civ., 11 ottobre 2021, n. 27553).

L'intervento giudiziale è previsto anche quando il patrimonio del minore è male amministrato: in tal caso, secondo l'art. 334 c.c., il genitore (o i genitori: con la nomina per tale eventualità di un curatore) può essere rimosso dall'amministrazione e privato dell'usufrutto legale. La riammissione nell'esercizio dell'amministrazione è regolata dall'art. 335 c.c..

Dopodiché, all'art. 336 c.c. regola ― in modo decisamente scheletrico ― il procedimento volto all'adozione di provvedimenti indicati negli artt. 330-335 c.c.. In breve:

― i provvedimenti sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato;

― il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento;

― nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito;

― in caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio;

― i genitori e il minore sono assistiti da un difensore.

Competenza

Giudice competente per i provvedimenti previsti dagli artt. 330, 332, 333, 334 e 335 c.c. è il tribunale dei minorenni, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c.. La norma, nel testo vigente, stabilisce che per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c. ― dunque per i soli procedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, e non per quelli ablativi di cui all'art. 330 c.c. ― resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c. (contrasto tra genitori); in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario.

La materia sarà a breve fortemente innovata dalla novella dell'art. 38 citato, contenuta nella l. 206/2021, comma 28 dell'art. 1.

Qui occorre aprire una breve parentesi su quest'ultima legge, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata»: come si comprende già dalla lettura del titolo, la legge contiene disposizioni di delega al Governo, che richiederanno l'adozione del o dei decreti delegati, e disposizioni direttamente applicabili, ai sensi del comma 37 dello stesso articolo 1, ai procedimenti introdotti a far data dal 180° giorno successivo alla entrata in vigore della legge, che va fissata al 24 dicembre 2021, tenuto conto che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è avvenuta il 9 dicembre 2021, considerati cioè i 15 giorni di vacatio previsti ex art. 73, comma 3, Cost.: sicché le norme direttamente applicabili sono tali a far data dal prossimo 22 giugno 2022.

La nuova norma ora in esame è tra quelle direttamente applicabili ai procedimenti dal 22 giugno 2022 in poi, e prevede (come adesso) la competenza del tribunale per i minorenni in relazione agli artt. 330, 332, 333, 334 e 335, ma innova in caso di pendenza di altri giudizi. Prevede in particolare che sono di competenza del tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli artt. 330, 332, 333, 334 e 335 c.c., anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt. 250, comma 4, 268, 277, comma 2, e 316 c.c., dell'art. 710 c.p.c. e dell'art. 9 della l. 898/1970. In questi casi il tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, senza indugio e comunque entro il termine di quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale ordinario.

All'attualità, l'art. 336 c.c., nel testo vigente, si interpreta, in generale, nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. civ., 11 febbraio 2021, n. 3490). La vis actractiva del tribunale ordinario non opera in tema di pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, riservata in ogni caso al giudice minorile (Cass. civ., 11 giugno 2021, n. 16569: e qui con la riforma il quadro cambia); non opera in caso di pendenza del giudizio di riconoscimento della paternità, in forza di una scelta legislativa del tutto ragionevole, che lascia illesi i diritti di difesa e al giusto processo, poiché, in sede minorile, le parti fruiscono di una tutela comunque garantistica ed anche più rapida (Cass. civ., 15 luglio 2021, n. 20248); non opera se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio (Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20202); opera anche se ad assumere l'iniziativa è il P.M. presso il tribunale per i minorenni, attesa la possibilità di attivare meccanismi di raccordo e trasmissione degli atti tra i diversi uffici del pubblico ministero (Cass. civ., 10 giugno 2021, n. 16339).

Le parti

Legittimato ad instare per la pronuncia dei provvedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 334 è, ai sensi dell'art. 336, l'altro genitore, unitamente ai parenti a al pubblico ministero, mentre la legittimazione a chiedere la revoca dei provvedimenti adottati in forza di tali norme, secondo quanto prevedono gli artt. 332 e 335 spetta, oltre che ai soggetti indicati, anche al genitore che ne sia stato destinatario: in tal sensi dispone lo stesso art. 336 c.p.c. I parenti si individuano ai sensi dell'art. 77 c.c., sicché non sono legittimati gli affini. Si ritiene trattarsi dei parenti sia dei genitori che del figlio.

Anche i nonni possono avere parte nel procedimento. L'adozione, nel corso dei procedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, di provvedimenti che incidano, in concreto, su situazioni giuridiche degli ascendenti, ai quali l'art. 317-bis c.c. riconosce il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, legittima infatti il loro intervento nel processo, cui consegue il potere di impugnare le statuizioni ad essi pregiudizievoli (Cass. civ., 30 giugno 2021, n. 18607).

Gli affidatari di minori, ex art. 5, comma 1, della l. 184/1983 (affido eterofamiliare), così come sostituito dalla l. 173/2015, devono essere convocati a pena di nullità anche nei procedimenti in tema di responsabilità genitoriale ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore oltre a poter rivolgere segnalazioni o richieste al pubblico ministero affinché attivi il procedimento de potestate ma non hanno la qualità di parti dal momento che il nuovo regime giuridico dell'affido non incide direttamente sulla norma (art. 336 c.c.) che individua i soggetti legittimati ad agire. Essi, tuttavia, sono legittimati a far valere la violazione degli artt. 315-bis e 336-bis c.c. per la mancata audizione del minore nel medesimo procedimento, in quanto tale censura attiene al diverso aspetto della proroga dell'affidamento eterofamiliare per cui hanno presentato richiesta (Cass. civ., 10 luglio 2019, n. 18542).

Il comma 26 dell'art. 1 della citata l. 206/2021, è intervenuto sulla legittimazione nei procedimenti de potestate, stabilendo che essa spetta anche al curatore speciale del minore, qualora già nominato: ma qui si tratta di disposizione di delega, sicché occorre attendere i decreti delegati, da adottarsi entro il 24 dicembre 2022.

Il giudizio si svolge nel contraddittorio con i genitori ed il minore (v. Corte cost., 30 gennaio 2002, n. 1). In tal senso viene attribuito rilievo al dettato dell'art. 336, comma 4, il quale espressamente richiede che, nei procedimenti de potestate, i genitori ed il minore siano assistiti da un difensore. Quanto al minore, in particolare, ove non sia già rappresentato da un tutore, deve necessariamente essere nominato un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., in mancanza del quale il giudizio è nullo e la nullità è rilevabile d'ufficio, per mancata costituzione del rapporto processuale e violazione del contraddittorio. In tali procedimenti, infatti, come in tutti gli altri per i quali sia prescritta la difesa tecnica del minore, quest'ultimo è parte in senso formale ed il conflitto di interessi deve ritenersi presunto, a differenza dei giudizi in cui il minore sia soltanto parte in senso sostanziale, ove la sussistenza del conflitto di interessi ai fini della nomina del curatore speciale deve essere valutata caso per caso (Cass. civ., 6 dicembre 2021, n. 38719; Cass. civ., 5 maggio 2021, n. 11786; Cass. civ., 26 marzo 2021, n. 8627; Cass. 25 gennaio 2021, n. 1471; contra, nel senso che il minore è parte in senso sostanziale ma non formale, Cass. civ., 30 luglio 2020, n. 16410).

È utile dar conto, qui, che anche la figura del curatore speciale è stata oggetto dell'attenzione del legislatore, nella l. 206/2021. Il comma 26 dell'art. 1 dispone che il tribunale, sin dall'avvio del procedimento, nomina il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento: anche in questo caso siamo in presenza dell'esercizio della delega, e dunque occorre attendere i decreti delegati. Inoltre, il comma 30, applicabile invece dal 22 giugno 2022, modifica l'art. 78 c.p.c., dedicato al curatore speciale, aggiungendovi due commi: secondo il primo, il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento: 1) con riguardo ai casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro; 2) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell'art. 403 c.c. (intervento della pubblica autorità a favore dei minori) o di affidamento ai sensi degli artt. 2 ss. della legge sull'adozione 184/1983; 3) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori; 4) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni; per il secondo comma aggiunto all'art. 38, in ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. In collegamento con l'art. 78 la legge del 2021, comma 31 dell'art. 1, ha modificato anche l'art. 80 c.p.c., con operatività dal 22 giugno 2022. Qui interessa in nuovo comma 3, secondo cui: «Al curatore speciale del minore il giudice può attribuire nel provvedimento di nomina, ovvero con provvedimento non impugnabile adottato nel corso del giudizio, specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto. Il minore che abbia compiuto quattordici anni, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possono chiedere con istanza motivata al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile, la revoca del curatore per gravi inadempienze o perché mancano o sono venuti meno i presupposti per la sua nomina». Il curatore diviene dunque strumento fondamentale di tutela degli interessi del minore, in vista dei quali è tenuto al suo ascolto.

E, quanto all'ascolto, non possiamo fare a meno di richiamare l'art. 336-bis c.c., secondo cui il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L'ascolto va assumendo un rilievo sempre maggiore. Esso è previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda (Cass. civ., 25 gennaio 2021, n. 1474; Cass. civ., 30 luglio 2020, n. 16410).

Il procedimento

La domanda di cui all'art. 336 c.c. si propone con ricorso, da ricondursi alla previsione generale degli artt. 737 ss. c.p.c.. Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero.

In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio. Su questo punto interviene il comma 26 della l. 206/2021, che contiene una disposizione di delega, secondo cui, con il provvedimento con cui adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, il tribunale deve fissare l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio, procedere all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e all'esito dell'udienza confermare, modificare o revocare i provvedimenti emanati.

I provvedimenti del Tribunale minorile sono suscettibili di reclamo davanti alla corte d'appello (art. 739, comma 1, c.p.c.).

Ciò che desta maggior interesse, con riguardo alla impugnazione dei provvedimenti de potestate è senz'altro il tema della ricorribilità per cassazione con ricorso straordinario di cui all'art. 111 Cost. Per lunghissimo tempo la S.C. ha escluso che, contro il provvedimento reso dalla corte d'appello in sede di reclamo, potesse essere proposto ricorso per cassazione, trattandosi di provvedimenti sempre revocabili e modificabili: difatti il ricorso straordinario per cassazione è esperibile avverso provvedimenti simultaneamente dotati dei caratteri della definitività e della decisorietà, ossia dell'attitudine per acquistare autorità di giudicato in senso sostanziale.

Questo ragionamento, per la verità piano e lineare, è stato rimesso in discussione e, ormai, a quanto pare, totalmente ribaltato, nel 2016. Si è detto, in breve, che, sì, i provvedimenti de potestate possono essere sempre revocati e modificati, ma solo se cambiano le condizioni di fatto, sicché, se queste non cambiano, non c'è nulla da fare. Ha così fatto ingresso il concetto di giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabile o modificabile salva la sopravvenienza di fatti nuovi, con la conseguenza che il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica il provvedimento, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (Cass. civ., 21 novembre 2016, n. 23633; successivamente Cass. civ., 25 luglio 2018, n. 19780; Cass. civ., n. 12 novembre 2018, n. 29001; Cass. civ., sez. un., 13 dicembre 2018, n. 32359).

La dottrina ha acclamato la svolta sotto il titolo «and she opened the door and went in», richiamando così Alice che entra nel paese delle meraviglie. In effetti, l'idea di incontrare per i corridori del Palazzaccio la Regina di cuori o il Coniglio bianco o il Cappellaio matto, è piuttosto suggestiva. Certo è che, aperta la breccia, potrebbe rischiare di trasformarsi in un definitivo smottamento dei limiti, già piuttosto scivolosi, al ricorso straordinario per cassazione.

Attualmente, il punto di frizione concerne la ricorribilità non del solo provvedimento definitivo ex artt. 330 e 333, ma anche dei provvedimenti interinali che, sostanzialmente, finiscano per incidere sul diritto in contesa. È stato così affermato che, in materia di provvedimenti de potestate, il decreto pronunciato dalla Corte d'appello sul reclamo avverso quello del tribunale per i minorenni è impugnabile con il ricorso per cassazione, avendo, al pari del decreto reclamato, carattere decisorio e definitivo, in quanto incidente su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, ed essendo modificabile e revocabile soltanto per la sopravvenienza di nuove circostanze di fatto e quindi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, anche quando non sia stato emesso a conclusione del procedimento per essere stato, anzi, espressamente pronunciato «in via non definitiva», trattandosi di provvedimento che riveste comunque carattere decisorio, quando non sia stato adottato a titolo provvisorio ed urgente, idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sull'esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. civ., 24 gennaio 2020, n. 1668).

Si affermerà questa soluzione? Si potrebbe affidare la risposta ad una vecchia meravigliosa canzone ispirata proprio ad Alice nel paese delle meraviglie: «When logic and proportion / Have fallen sloppy dead, / And the White Knight is talking backwards / And the Red Queen's "off with her head!" / Remember what the dormouse said: / "Feed your head. Feed your head. Feed your head"».

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