Il blocco dei licenziamenti non opera nei casi di superamento del periodo di comporto

Teresa Zappia
25 Marzo 2022

Non può ritenersi rientrante nel divieto di licenziamento di cui all'art. 46 D.L. n. 18/2020 quello che sia stato motivato dal superamento del periodo di comporto...
Massima

Non può ritenersi rientrante nel divieto di licenziamento di cui all'art. 46 D.L. n. 18/2020 quello che sia stato motivato dal superamento del periodo di comporto, essendo tale fattispecie autonoma rispetto a quello oggetto delle disposizioni richiamate dalla normativa emergenziale (artt. 3 e 7 L. n. 604/66).

Il fatto

Alla lavoratrice, assente per malattia dal 9 marzo 2020 al 3 marzo 2020, veniva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il provvedimento datoriale veniva dalla stessa impugnato con ricorso, lamentandone la nullità per violazione dell'art. 46 D.L. n. 18/2020. L'applicabilità di tale ultima disposizione, ad avviso della ricorrente, doveva ritenersi estesa anche all'ipotesi di cui all'art. 2110, co. 2, c.c., rientrando essa nella categoria del licenziamento per gmo.

In subordine, la ricorrente chiedeva l'applicazione dell'art. 26, co. 2, D.L. n. 18/2020 in quanto “lavoratore fragile”, essendo il periodo di assenza per malattia dovuto ad una patologia fonte di particolare sensibilità ad eventuale esposizione al virus Covis-19.

Chiedeva, pertanto, l'applicazione dell'art.2 D.lgs. n. 23/2015.

Costituitosi in giudizio, il datore sosteneva la legittimità del licenziamento in quanto non rientrante in quelli oggetto del divieto di cui all'art. 46 D.L. 18/2020.

La questione

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è incluso nel perimetro applicativo del divieto di cui all'art. 46 D.L. n. 18/2020?

La soluzione del tribunale

Il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso, reputando il recesso datoriale motivato dal superamento del periodo di comporto escluso dal c.d. blocco dei licenziamenti imposto dalla normativa emergenziale.

Richiamando e condividendo l'orientamento ermeneutico espresso dal Tribunale di Milano, il giudice veneziano ha evidenziato come suddetta esclusione trovi conferma in elementi testuali e sistematici, in particolare: nel fatto che il divieto è previsto per i licenziamenti di cui all'art. 3 L. n. 604/66, rispetto ai quali quello per superamento del periodo di comporto può esservi ricondotto solo per determinati e limitati fini (Cass. n. 19661/2019); nella sospensione delle procedure di cui all'art. 7 L. n. 604/66 le quali non trovano applicazione ai licenziamenti per superamento del periodo di comporto; nella ratio della normativa emergenziale, tendente ad ovviare al rischio che le difficoltà economiche patite dal datore possano riverberarsi sulla platea dei lavoratori, nonostante la legittimità dei licenziamenti per gmo.

Relativamente alla domanda subordinata, il Tribunale di Venezia ha rilevato il difetto di una idonea certificazione medica circa le condizioni di salute della lavoratrice, condizioni che, è stato evidenziato, non risultavano attestate prima delle assenze, laddove l'art. 26 D.L. n. 18/2020 risponde alla ratio di legittimare specifiche categorie di lavoratori, in presenza di determinati presupposti, ad assentarsi dal posto di lavoro pur non presentando i requisiti per porsi in malattia.

Osservazioni

A partire dall'art. 46 D.L. n. 18/2020, il Legislatore ha posto in atto alcune misure dirette a contrastare le possibili conseguenze negative derivanti dal periodo epidemiologico. Il c.d. blocco dei licenziamenti, in particolare, è connotato da una forte spinta solidaristica, concretizzatesi in un bilanciamento ope legis dei diversi interessi coinvolti, sub specie quelli facenti capo ai datori di lavoro, colpiti dalle restrizioni disposte durante la fase emergenziale, e quelli riconducibili ai lavoratori, potenziali “vittime” direttamente colpite dagli interventi organizzativi necessari per fronteggiare la sospensione o riduzione dell'attività datoriale.

L'art. 46 prefato, così come la successiva normativa emergenziale sul punto, nel delineare i confini operativi del blocco dei licenziamenti, richiama espressamente alcune disposizioni legislative tra le quali, ai fini che qui interessano, gli artt. 3 e 7 L. n. 604/66.

Gli operatori del diritto si sono interrogati sulla valenza più o meno restrittiva di un tale richiamo normativo “specifico”, non limitandosi il Legislatore a porre un divieto generale con riferimento ai licenziamenti motivati da ragioni economiche. Tra le perplessità affrontate vi è stata anche quella di stabilire se, a fronte di assenze del lavoratore prolungatesi oltre il periodo di comporto massimo, il datore fosse libero di procedere al licenziamento ex art. 2110 co. 2 c.c., ovvero se anche tale ipotesi dovesse ritenersi inclusa nel blocco disposto dall'art. 46 D.L. n. 18/2020.

Su tale ultimo punto sembrano opportune alcune precisazioni.

Facendo leva sull'art. 26 D.L. n. 18/2020 – così come anche confermato da recenti sentenze dei giudici di merito (Tribunale Asti, 5 gennaio 2022; Tribunale Palmi, ord. 13 gennaio 2022) – qualora sia risultato positivo al virus Covid-19 o, comunque, per il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, il lavoratore è considerato in malattia ai fini del trattamento economico e – aspetto qui rilevante – tale arco temporale non è computabile ai fini del periodo di comporto. In tal modo si è voluto evitare di far ricadere sul lavoratore gli effetti pregiudizievoli di assenze sostanzialmente imposte in via autoritativa, con impossibilità di rendere la prestazione per tempi che prescindono dall'evoluzione della malattia, ma che dipendono dalla positività o meno al virus.

Qualora le assenze non siano riconducibili all'ipotesi di cui sopra, al lavoratore sarebbe comunque possibile dimostrare che lo stato di morbosità è eziologicamente riconducibile ad un inadempimento datoriale (art. 2087 c.c.), con conseguente illegittimità dell'eventuale licenziamento intimato ex art. 2110, co. 2, c.c. Il recesso datoriale dovrebbe, invece, essere dichiarato nulla qualora, nel caso specifico, sia dimostrata la sussistenza di elementi denotanti una discriminazione indiretta del lavoratore (si vd.: Cass. n. 2413/2022).

Da considerare è anche il diverso caso in cui il licenziamento sia giustificato dall'inidoneità sopravvenuta alla mansione. Secondo l'interpretazione fornita dall'INL (nota n. 298 del 24 giugno 2020) tale ipotesi dovrebbe ritenersi ricompresa tra le fattispecie del licenziamento per gmo ex art. 3 L. n. 604/66, in considerazione del fatto che l'inidoneità sopravvenuta alla mansione impone al datore la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, con la conseguenza che per esso troverebbe applicazione la disciplina sul blocco dei licenziamenti (si vd.: Cass n. 13649/2019; Cass. n. 6678/2019).

Tornando all'ipotesi “fisiologica”, ossia a quella in cui il lavoratore si assenti per malattia non riconducibile ai casi sopra menzionati, come evidenziato dal Tribunale di Venezia, il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso, ossia una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all'art. 2119 c.c., e agli artt. 1 e 3 della L. n. 604/1966 (si vd.: Cass., sez. un., n. 12568/2018 e Cass., n. 19661/2019). La giurisprudenza di legittimità, si rammenta, ha evidenziato la “assimilabilità” – ma non la “identificazione” - della fattispecie di cui all'art. 2110 co. 2 c.c. a quella di licenziamento per gmo: sebbene, infatti, la vacanza del posto di lavoro dovuta alla morbosità del dipendente possa concretamente incidere sull'attività datoriale e determinare specifiche scelte di riorganizzazione, il superamento del periodo di comporto consente al datore di recedere ad nutum, senza dunque dover precisare le ragioni a fondamento della propria decisione, né valutare – e dimostrare di aver a tal fine operato – la possibilità di una ricollocazione del lavoratore in seno all'azienda (c.d. repêchage). La stessa previsione del periodo di comporto, d'altronde, rappresenta la predeterminazione del punto di equilibrio fra l'interesse del lavoratore a disporre d'un congruo periodo di assenze, per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio, e quello del datore di non doversi fare carico sine die delle conseguenze che tali assenze possono cagionare all'organizzazione aziendale (si vd.: Cass., sez. un., n. 12568/2018).

Il licenziamento ex art. 2110, co.2, c.c., pertanto, sfugge alle logiche proprie del licenziamento per gmo: la malattia non è un addebito disciplinare né il suo protrarsi, pur determinando una scelta discrezionale del datore a valle, è un presupposto della risoluzione (con conseguente nesso causale tra il licenziamento e le ragioni organizzativo-produttive). La tradizionale dicotomia tra licenziamento disciplinare e per gmo non potrebbe consentire, sic et simpliciter, la riconduzione del recesso datoriale per superamento del periodo di comporto alla seconda categoria per il solo fatto di non essere stato determinato da un comportamento addebitabile al lavoratore. In sintesi, sebbene si possa sostenere che il licenziamento ex art. 2110, co. 2, c.c. sia assimilabile, quanto alla procedura, al licenziamento per gmo, non richiedendo ad esempio la previa contestazione, esso deve essere guardato, sotto il profilo della disciplina sostanziale, come un'ipotesi autonoma, rappresentando il dato fattuale del superamento del periodo di comporto una condizione sufficiente a legittimare il recesso datoriale, senza che sia necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo, né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (si vd.: Cass. n. 31763/2018).

In conclusione, pur prescindendo dalla diversità ontologica delle due tipologie di licenziamento, tenuto conto dei riflessi che il blocco dei licenziamenti ha avuto sulla libertà dell'attività economica datoriale (art. 41 Cost.), in assenza di un richiamo specifico all'art. 2110 c.c., l'art. 46 D.L. n. 18/2020 non potrebbe essere interpretato estensivamente fino a ricomprendevi tale fattispecie. La peculiarità (ed eccezionalità) della normativa emergenziale porta a ritenere, piuttosto, che essa debba trovare applicazione nei limiti di quanto espressamente previsto, senza possibilità di estensione a fattispecie non espressamente menzionate (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

Non preteribile, d'altronde, è l'aspetto strettamente teleologico del blocco dei licenziamenti, atto a mantenere i livelli occupazionali in presenza di una situazione di crisi eccezionale, causata da fattori esogeni alle normali dinamiche economico-finanziarie e del mercato del lavoro. Le riorganizzazioni dell'attività datoriali, determinate dagli impatti negativi dell'epidemia, ben avrebbe legittimato una serie difficilmente contenibile di licenziamenti, con conseguente necessità di intervento, in veste di deus ex machina, del Legislatore.

Una tale ratio non potrebbe essere agevolmente estesa all'ipotesi del superamento del periodo comporto che- fatto salvo il caso di positività al virus Covis-19 – rappresenta una circostanza diversa, la quale potrebbe verificarsi anche a prescindere dalla situazione di emergenza epidemiologica.

Per approfondire:

F. Scarpelli, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, in Riv. It. Dir. Lav., fasc. 2, 1° giugno 2020, pp. 313 ss.

A. Pileggi, Una riflessione sul diritto del lavoro alla prova dell'emergenza epidemiologica, in Il diritto del lavoro dell'emergenza epidemiologica, a cura di A. Pileggi, Suppl. n. 3-4/2000 di Lav. prev. oggi, 4.

G. Guarini, Il licenziamento per inidoneità alla mansione rientra nel blocco dei licenziamenti Covid 19, in Ilgiuslavorista.it, 17 marzo 2021.

R. Voza, Licenziamento e malattia: le parole e i silenzi del legislatore, in Working Paper CSDLE “Massimo D'Antona” – IT, 2015, n. 248, pp. 3 ss.