Esclusa la responsabilità civile del datore di lavoro se l'infortunato non dimostra la nocività dell'ambiente di lavoro

Andrea Rossi
25 Marzo 2022

Elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. è la colpa...
Massima

Elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore, che deve allegare e provare sia gli indici della nocività dell'ambiente lavorativo cui è esposto, da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia il nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti.

Il caso

Un lavoratore dipendente con il ruolo di “gruista escavatorista” subiva un grave infortunio sul lavoro durante le operazioni di scarico di materiale contenuto in un camion; in particolare, la vittima, a causa della mancata apertura del parapetto posteriore del mezzo, decideva di togliere uno spinotto, forse con un martello, determinando l'apertura repentina della sponda che lo colpiva violentemente al viso, procurandogli una lesione all'integrità psico-fisica nella misura del 75 per cento.

Il lavoratore chiamava in giudizio il datore di lavoro, chiedendo che fosse condannato al risarcimento del danno alla persona riportato.

Il Tribunale respingeva la domanda risarcitoria, che veniva accolta, invece, dalla Corte di Appello, secondo cui la condotta del lavoratore, seppur considerata imprudente, non era sufficiente per escludere la responsabilità datoriale.

Con ricorso per cassazione la vittima si doleva sia della mancata personalizzazione del danno subito sia dell'omessa pronuncia in ordine all'ulteriore violazione allegata a causa dell'inadempimento dell'obbligo di formazione antinfortunistica; a tale ricorso resisteva sia il datore di lavoro sia la compagnia di assicurazione, condannata dalla Corte di Appello a manlevare il datore di lavoro, i quali proponevano, a loro volta, ricorso incidentale per contestare la sentenza di condanna priva di accertamento sull'inadempimento rimproverabile al datore di lavoro ovvero sulla colpa di quest'ultimo a causa della mancata predisposizione delle misure di sicurezza idonee ad evitare l'infortunio.

La questione

Le questioni esaminate e decise dalla Corte di Cassazione sono le seguenti.

La responsabilità datoriale, ai sensi dell'art. 2087 c.c., si fonda necessariamente sull'allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l'inadempimento, degli indici della nocività dell'ambiente lavorativo cui è esposto sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti?

L'assenza di un rischio elettivo a cui si sarebbe esposto il lavoratore è sufficiente per ottenere la tutela risarcitoria?

La soluzione giuridica

La Suprema Corte risponde positivamente alla prima questione e negativamente alla seconda, annullando, in accoglimento di alcuni dei motivi contenuti nei due ricorsi incidentali, la sentenza impugnata, al fine di accertare se effettivamente l'infortunio si fosse verificato a causa della nocività dell'ambiente di lavoro e in conseguenza di un comportamento colposo commesso dal datore di lavoro, non essendo sufficiente la mancata esposizione del lavoratore ad un rischio elettivo.

Premesso che “l'art. 2087 c.c. non delinea un'ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro” (Cass. n. 8911/2019; Cass. n. 14066/2019; Cass. n. 1509/2021) e che “l'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall'art. 41 Cost., comma 2” (Cass. n. 6337/2012), la Cassazione ribadisce ancora una volta quanto già affermato in precedenti sentenze che “il concetto di specificità del rischio, da cui consegue l'obbligo del datore di provare di avere adottato le misure idonee a prevenire ragioni di danno al lavoratore, va inteso nel senso che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di allegare e provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che l'infortunio o la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi” (Cass. nn. 24742 e 26495 del 2018).

Sebbene la Corte di Appello avesse condiviso in via teorica e astratta questi principi, la sua decisione, stigmatizza la Cassazione, non accerta “il rischio specifico esistente né i concreti fattori di pericolo atti a differenziare la situazione lavorativa in cui si trovava ad operare il dipendente rispetto al generico rischio cui va incontro qualunque individuo”; in sostanza, precisa la Cassazione, il giudice del gravame “ha trascurato di individuare la "nocività" dell'ambiente lavorativo, tale da esigere l'apprestamento di misure appropriate alla situazione, e l'eventuale violazione degli obblighi di protezione posti in capo al datore di lavoro”.

Inoltre, osserva la Cassazione, l'assenza di un comportamento abnorme o gravemente imprudente del lavoratore, inteso come assunzione di un rischio elettivo, sufficiente per ottenere la tutela assicurativa obbligatoria, subordinata al requisito dell'occasione di lavoro, non consente l'accesso alla tutela risarcitoria “che richiede l'inadempimento del datore di lavoro a misure di sicurezza nominate o innominate”.

La Suprema Corte, infine, dichiara inammissibile per carenza di interesse il motivo di ricorso del lavoratore mosso sul mancato accertamento della violazione relativa alla mancata formazione antinfortunistica, trattandosi di doglianza che non poteva proporsi dalla parte risultata vincitrice e che comunque può riproporsi nel giudizio di rinvio, e assorbiti i motivi riguardanti la quantificazione dell'entità del danno da risarcire.

Osservazioni

Con una motivazione ineccepibile e pienamente condivisibile, la Suprema Corte fa corretta applicazione dei principi regolatori di accertamento della responsabilità datoriale per infortuni sul lavoro, i cui requisiti di accesso sono diversi rispetto a quelli richiesti per la tutela previdenziale.

E' noto, infatti, che le condizioni per la tutela risarcitoria, che presuppone la responsabilità per colpa del datore di lavoro, non possono essere eguali a quelle previste per la tutela assicurativa, “sufficienti per riconoscere l'indennizzabilità del sinistro, e, quindi, la responsabilità del datore di lavoro per rischio professionale” (Cass. 27 marzo 2012, n. 6002).

Nonostante l'ampiezza dell'obbligo generale di sicurezza, dettato dall'art. 2087 c.c., la giurisprudenza di legittimità ha da sempre escluso la responsabilità oggettiva del datore di lavoro, collegata alla semplice verificazione dell'infortunio sul lavoro o della malattia professionale, essendo indispensabile la dimostrazione della colpa del datore di lavoro (Cass. 29 marzo 2019, n. 8911; Cass. 27 febbraio 2015, n. 3989; Cass. 13 gennaio 2015, n. 340; Cass. 17 dicembre 2014, n. 26590; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1312; Cass. 7 agosto 2012, n. 14192).

Non si può automaticamente presupporre dal semplice verificarsi del danno, infatti, l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (Cass. 15 giugno 2016, n. 12347; Cass. 10 giugno 2016, n. 11981).

Per questa ragione, la Cassazione impone al lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (Cass. n. 1509/2021; Cass. n. 23921/2020; Cass. nn. 24742 e 26495 del 2018).

Gli indici della nocività dell'ambiente lavorativo, che devono essere allegati nel ricorso introduttivo dal lavoratore, non sono altro che “i concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa; tale allegazione rientra nell'ambito dei fatti che devono essere indicati da colui che agisce deducendo l'inadempimento datoriale” (Cass. 6 novembre 2019, n. 28516).

In alcuni casi la giurisprudenza di legittimità ha esonerato il creditore della prestazione di sicurezza dall'allegazione delle concrete misure di sicurezza, che il debitore avrebbe dovuto adottare e che sono state invece omesse, non richiedendo l'art. 2087 c.c. tali specificazioni, posto che incombe sul datore di lavoro dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla persona, onde evitare a carico del danneggiato un eccessivo quanto ingiusto aggravio dell'onere probatorio, di fatto ostativo ad una tutela effettiva del diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. (Cass. 11 agosto 2020, n. 16869).

Ciò tuttavia non comporta, come evidenzia la Suprema Corte, proprio nella sentenza da ultimo citata, che il lavoratore sia esonerato dall'allegazione degli indici della nocività dell'ambiente di lavoro, indispensabili per ottenere l'accesso alla tutela risarcitoria.

Infatti, anche quando la Cassazione, rifacendosi alla prova presuntiva della colpa del datore di lavoro, in base alla quale “il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di esso con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa non imputabile, e cioè deve avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno” (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184; Cass. 10 gennaio 2007, n. 238; Cass. 8 maggio 2007, n. 10441; Cass. 7 aprile 2008, n. 8973; Cass. n. 10529/2008; Cass. 14 aprile 2008, n. 9817), nelle più recenti decisioni ha ritenuto indispensabile assolvere all'onere di allegare e provare, oltre l'esistenza del danno, anche la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altra (Cass. n. 1045/2018; Cass. n. 1918/2015; Cass. n. 22827/2014; Cass. n. 26293/2013).

Stando così le cose, la Cassazione ha annullato correttamente la sentenza in esame, priva di una compiuta identificazione della concreta fattispecie e delle specifiche modalità del fatto, da cui ricavare la derivazione causale dell'infortunio dalla nocività dell'ambiente di lavoro, non ritenendo legittimo l'accertamento della responsabilità datoriale fondato solo sull'assenza di un comportamento abnorme o di una clamorosa imprudenza commessa dalla vittima.