Società “in house frantumato”: per la giurisdizione contabile è sufficiente il controllo analogo del socio pubblico maggioritario
28 Marzo 2022
Massima
Ai fini della qualificazione di una società in house per la giurisdizione della Corte dei Conti sull'azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo è sufficiente la verifica della sussistenza di un controllo esercitato da un socio pubblico di maggioranza, non essendone necessaria l'estensione in forma congiunta a tutti gli enti pubblici partecipanti al capitale sociale. Il caso
La Procura contabile per la Regione Piemonte agisce nei confronti del presidente e del direttore generale di una società pubblica, invocando il risarcimento del danno erariale cagionato da gravi irregolarità nella gestione della liquidità della società. A sostegno dell'iniziativa la Procura espone che la società in parola è in house in quanto partecipata per il 99,6% dalla Regione Piemonte - che esercita sull'ente il controllo analogo e l'indirizzo strategico - e, per la residua quota, da altri soggetti pubblici. Il direttore generale della società propone ricorso per regolamento di giurisdizione chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario. La difesa della parte privata contesta la qualificazione in house della società, osservando che, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 50/16, richiamato dall'art. 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 175/16 e dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, è necessario che i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, attraverso la partecipazione di ciascuno di essi sia al capitale che agli organi direttivi della società. La ricorrente precisa che a tal fine non assume rilievo l'entità della partecipazione, occorrendo invece che non sia precluso ai singoli enti partecipanti la possibilità di partecipare al controllo della società, come accade invece nel caso in esame in cui il socio di larga maggioranza (la Regione Piemonte) è in grado di imporre le proprie scelte alla minoranza. Più specificamente lo statuto della società in esame non riserva alcuno spazio di controllo ai soci pubblici diversi dalla Regione, attribuendo esclusivamente a quest'ultima la nomina di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e non prevedendo alcuna forma di controllo da parte degli altri soci sull'attività.
Le questioni giuridiche e le soluzioni
Le Sezioni Unite, con la pronuncia in commento, respingono le doglianze della parte ricorrente e devolvono la giurisdizione al giudice contabile. La S.C. muove dall'inquadramento normativo della fattispecie. L'art. 12 del d.lgs. n. 175/16 dispone che “i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”. L'art. 2, lett. o) del predetto d.lgs. definisce in house “le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3”. Nel definire il “controllo analogo”, l'art. 2 lett. d) fa riferimento a “quello esercitato sui propri servizi, esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata”, mentre il “controllo analogo congiunto”, di cui alla successiva lett. e), viene definito “la situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La suddetta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Nella fattispecie, secondo la ricorrente, difetta il controllo analogo dei soci pubblici che non è desumibile dallo statuto sociale, il quale non attribuisce né alla Regione né agli altri enti pubblici partecipanti poteri diversi e più ampi da quelli ordinariamente spettanti ai soci di una società privata. Inoltre, secondo la parte privata, le concrete modalità di svolgimento della vicenda sono caratterizzate dall'assunzione in piena autonomia, da parte dei vertici della società, delle determinazioni relative alla gestione dei fondi alla stessa assegnati. Nel rigettare le tesi dell'istante, la Cassazione enuncia che le modalità di gestione sono del tutto irrilevanti; ciò che rileva sono le disposizioni vigenti all'epoca della commissione dell'illecito. Nel caso di specie, a prescindere dal tenore dello statuto sociale, la legge regionale istitutiva della società la assoggetta ad una forma di controllo non diversa, nella sostanza, da quella che la Regione esercita nei confronti dei propri servizi, in quanto idonea a incidere per la sua ampiezza e intensità sulla programmazione dell'attività aziendale, sulla determinazione e sull'osservanza delle regole di gestione delle risorse assegnate alla società. Si tratta di un controllo che non è in alcun modo assimilabile a quello consentito ai soci dall'ordinaria disciplina civilistica. Inoltre, la S.C. respinge la tesi della parte ricorrente secondo cui trattandosi di società partecipata non solo dalla Regione, sarebbe necessario per configurare l'in house che il controllo congiunto sia esercitato da parte di tutti gli enti partecipanti, tale da consentire a ciascuno di essi di esercitare effettivamente un'influenza determinante sulla gestione sociale. Secondo la ricorrente, tale condizione sarebbe soddisfatta solo se ciascuna delle autorità eserciti un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi. La S.C. enuncia che, ai sensi dell'art. 2, lett. o) del d.lgs. n. 175/16 sono in house “le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto”, laddove comunque la legge regionale costitutiva della società, pur riservando alla Regione il potere di nominare tutti i componenti del cda e del collegio sindacale, prevede che debba essere assicurata la tutela delle minoranze, tenuto peraltro conto che, ai sensi dell'art. 5, comma 5, lett. a) del d.lgs. n. 50/16 singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni partecipanti. La questione, pertanto, viene devoluta alla giurisdizione contabile, atteso che, configurandosi la società a partecipazione pubblica come in house, è immanente il rapporto di servizio tra l'ente pubblico titolare della partecipazione sociale e gli amministratori della società, superandosi la distinzione tra sfere patrimoniali di ente partecipante e società partecipata.
Osservazioni
La sentenza in commento applica l'art. 12 del d.lgs. n. 175/16 che, venendo a dirimere un contrasto interpretativo, dispone che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, fatta salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. La disciplina di eccezione è legata alla considerazione che la società in house è una forma di autoproduzione, una sorta di ufficio interno dell'amministrazione partecipante con la conseguenza che viene a crearsi, con la costituzione della società, un'alterità formale, ma non sostanziale. Le società in house - alla luce delle peculiari caratteristiche che le connotano - non costituiscono un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna, come se altro non fosse che una longa manus dello stesso. La società in house non può ritenersi terza rispetto all'amministrazione controllante, ma è anzi considerata come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. Da ciò consegue che gli organi di tali società non possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato. Essi, al contrario, essendo preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, risultano a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non diversamente da quanto accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. Non potendosi configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. In questo caso, quindi, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti degli amministratori è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico. Si tratta di un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità. Nel caso di specie emerge la particolare ipotesi di una società in house frantumato (detto anche frazionato o pluripartecipato) dove ad una partecipazione quasi totalitaria della Regione Piemonte si associano partecipazioni di modeste entità di altri enti pubblici. La giurisprudenza comunitaria ha ammesso l'in house frantumato, riconoscendo che possano sussistere i requisiti dell'in house anche laddove la società non sia integralmente partecipata da un unico soggetto pubblico, fornendo però alcune precisazioni. A tal proposito è significativa la pronuncia Econord della Corte di Giustizia del 29 novembre 2012 (C-182 e 183/2011) che riguardava una società partecipata (in grande parte) dal Comune di Varese e (in minima e residua parte) da altri Comuni limitrofi. Il giudice nazionale si chiedeva se, al fine di riconoscere in capo alla società i requisiti dell'in house ai fini di un affidamento senza gara bastasse la mera partecipazione pubblica, essendo irrilevante la quota di partecipazione (financo una sola azione), oppure occorresse una partecipazione effettiva. Il giudice comunitario muove dal presupposto che sia ammissibile l'in house frantumato, caratterizzato da un controllo analogo di tipo sinergico esercitato congiuntamente dagli enti di riferimento, ma evidenzia che tale controllo deve essere effettivo perché altrimenti verrebbe elusa la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Sulla base di tali indicazioni la giurisprudenza nazionale ha affermato che una partecipazione pulviscolare è, in principio, inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, ma, per fronteggiare tale debolezza, possono essere stipulati patti parasociali oppure previsti, negli atti costitutivi della società, organi speciali deputati ad esprimere la volontà dei soci pubblici (cfr. Cons. St. 23.1.2019, n. 578). L'art. 11, comma 9, lett. d del d.lgs. n. 175/16 ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”. Tale divieto è stato, però, escluso per le società in house in quanto non è ripetuto nell'art. 16, dedicato proprio alle società in house, la cui disciplina appare speciale e derogatoria (cfr. Cons. Stato. 22.10.2021, n. 7093). La ricorrente invoca la mancanza di un effettivo controllo analogo per escludere che la società sia in house e, dunque, operi la giurisdizione contabile, ma le Sezioni Unite, con la pronuncia in commento, respingono tale versione in quanto è sufficiente che la gestione della società sia assoggettata a una forma di controllo non diversa da quella che la Regione esercita nei confronti dei propri servizi.
Conclusioni
Secondo quanto enunciato dalla giurisprudenza eurounitaria, un controllo analogo è congiunto quando è effettivo. Dunque, se un ente pubblico ha acquistato una minima partecipazione al capitale di una società, occorre accertare se l'ente con una minima partecipazione abbia la possibilità di esercitare a sua volta un'influenza determinante sulla gestione della società. In caso di accertamento negativo, viene meno l'esonero (tipico dell'in house) dall'obbligo di indire una gara ai fini dell'affidamento di un appalto. Tale conseguenza, però, non coinvolge l'amministrazione socia maggioritaria e tanto meno incide sul sindacato del giudice contabile, in quanto, ai fini della qualificazione di una società in house per la giurisdizione della Corte dei Conti sull'azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo, è sufficiente la verifica della sussistenza di un controllo esercitato da un socio pubblico di maggioranza, non essendone necessaria l'estensione in forma congiunta a tutti gli enti pubblici partecipanti al capitale sociale. Operata, infatti, una verifica in concreto che il controllo sia stato esercitato anche da un solo ente di riferimento che, nel caso di specie, deteneva la quasi totalità del capitale sociale, emerge un vero e proprio rapporto - fra Regione e società in parola - di delegazione interorganica che induce a riferire il danno direttamente all'amministrazione, di cui la società è, in definitiva, una mera articolazione interna, dotata di un'alterità esclusivamente formale. |