Gli effetti della sentenza a SS.UU. n. 42093/2021 sulle prestazioni professionali a favore dell'impresa in crisi: non è solo una questione di prededuzione

Luigi Amerigo Bottai
Antonio Pezzano
30 Marzo 2022

Con la decisione di fine anno n. 42039 del 31 dicembre 2021, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno scritto una della pagine più “intense” sulla prededuzione in generale, e del professionista in particolare, peraltro con uno spettro di azione esegetica così ampio da rischiare di impattare pesantemente anche sulla stessa ammissione del credito professionale in sede fallimentare.
I (tanti) quesiti sottoposti al vaglio delle Sezioni Unite

Con la decisione di fine anno n. 42039/2021 (tra i primi commenti cfr. G. Fichera, Le Sezioni Unite stringono i cordoni della borsa sulla prededuzione del professionista nel concordato, in questo portale, 30 marzo 2022; V. Papagni, Il credito professionale va sempre soddisfatto in prededuzione?, in questo portale, 4 gennaio 2022; M. Greggio, La prededuzione dei compensi dei professionisti secondo le Sezioni Unite: per la certezza si rischia l'ingiustizia?, in dirittodellacrisi.it, 18 gennaio 2022; F. Casa, La "quadratura del cerchio"; note minime su una sentenza importante (Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021, n. 42093), in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 24 gennaio 2022), le Sezioni Unite della S. Corte hanno scritto una della pagine più “intense” sulla prededuzione in generale, e del professionista in particolare, peraltro con uno spettro di azione esegetica così ampio da rischiare di impattare pesantemente anche sulla stessa ammissione del credito professionale in sede fallimentare.

Siamo al cospetto di un impianto ricostruttivo, domestico ed unionale, davvero enciclopedico (in dottrina, con lo stesso approccio sistemico sulla prededuzione in generale post riforma 2006 e successive (ante CCII), cfr. R. D'Amora, La prededuzione nell'anno di grazia 2013, in osservatorio-oci.org, 2012; P. Vella, Le nuove prededuzioni nelle procedure concorsuali, Treccani, 2015; S. Leuzzi, Dalla crisi all'emergenza: la prededuzione al tempo del Covid-19, in dirittodellacrisi.it, 18 marzo 2021. Quanto alla tematica specifica della prededuzione del professionista, cfr. P. Vella, Le nuove prededuzioni nel concordato con riserva ed in continuità. I crediti dei professionisti, in Fall., 2014, 1141 ss; M. Fabiani, Il delicato ruolo del professionista del debitore in crisi fra incerta prededuzione e rischio di inadempimento, in Giur. comm., 2017, 720 ss.; S. Ambrosini, Appunti in tema di prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo e nell'eventuale successivo fallimento, in osservatorio-oci.org, 2017; F. Pani, Il credito prededucibile del professionista tra novità normative e giurisprudenziali, in ilcaso.it, 15 novembre 2021).

Le Sezioni Unite erano chiamate a rispondere sui seguenti quesiti, sollevati dall'ordinanza di rimessione della S.C. (Cass. 23 aprile 2021, n. 10885):

“i)se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della «prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali» condivide la medesima ratio che è posta a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell'accesso alla procedura concordataria;

ii) se debba essere ribadito che la prededuzione di detto credito non trova fondamento nel presupposto dell'occasionalità, ma in quelli della funzionalità e/o della espressa previsione legale;

iii) se debba essere ribadito che il criterio della funzionalità va scrutinato ex ante, non considerando in alcuna misura l'utilità della prestazione del professionista;

iv) se la previsione legale si riferisca al solo professionista attestatore o anche agli altri professionisti cui si è fatto cenno;

v) se il preconcordato sia una fase di un'organica procedura o se la procedura di concordato preventivo, anche in caso di concordato in bianco, abbia inizio con il provvedimento di ammissione del tribunale;

vi) se la prededuzione spetti anche in caso di procedura concordataria in bianco che non varca la soglia dell'ammissibilità ovvero in caso di revoca della proposta da parte del proponente;

vii) se la prededuzione spetti al professionista che ha lavorato prima ancora del deposito della domanda di concordato;

viii) se l'esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell'attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell'esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell'accesso alla procedura concordataria“.
Va subito detto che due dei quesiti sollevati dalla Suprema Corte innanzi alla Sezioni Unite esulavano dalla contesa di specie sottoposta al suo vaglio, in cui, infatti, né si discuteva di revocabilità di pagamenti (primo quesito), né di eccezione di inadempimento contestata al professionista per“contrastareil danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell'attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili” (ottavo ed ultimo quesito).

Difatti, il ricorso aveva ad oggetto il mancato riconoscimento della prededuzione “funzionale” a favore di un advisor contabile che era stato ammesso per una minore somma e solo in via privilegiata ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.

Ciò in considerazione del fatto che il preconcordato non era sfociato nel deposito di piano e proposta di cui all'art. 161, comma 6, l. fall., avendo preso atto il debitore, una s.a.s. a base familiare, dell'impossibilità di procedere oltre nel concordato, essendo “venuta meno la disponibilità della famiglia di riferimento ad apportare nuova finanza”.

Dunque, per il giudice di merito, l'attività del professionista doveva ritenersi, oltre che di minore portata rispetto al prospettato, priva di beneficio per la massa, non essendosi verificato alcun “accrescimento dell'attivo e salvaguardia della sua integritàe pertanto, non essendo in tal senso funzionale alla soluzione concordataria cui avrebbe dovuto mirare, non meritevole della prededuzione.

In un tale contesto di fattispecie concreta, pur potendosi condividere l'auspicio della Corte rimettente di far affrontare e dirimere dal suo Massimo Consesso ogni questione collegata e collegabile al tema dei compensi dei professionisti nelle procedure concorsuali , non può non rilevarsene l' eccedentarietà rispetto alle sole finalità cui può mirare una decisione di Cassazione, quand'anche emessa ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c.: pronunciarsi comunque nei limiti delle questione di diritto oggetto del ricorso da decidere.

Con la conseguenza, come vedremo, che alcuni disposti della parte finale del complesso, in quanto unico principio diritto enunciato dagli Ermellini, potrebbero non aver l'efficacia o comunque l' "autorevolezza" nomofilattica prevista dalla Legge (cfr. G. Miccolis, Nomofilachia, Sezioni Unite e questione di "particolare importanza", in questionegiustizia.it, 3 novembre 2020, nel cui abstract l'autore evidenzia le “criticità del dettato normativo, anche per l'uso a volte distorto che ne fa il giudice di legittimità”), tanto da non imporre ai giudici di merito particolari motivazioni per discostarsene, come alle sezioni semplice di dover rimettere la questione alle Sezioni Unite ove non condividano sullo specifico punto il principio di diritto enunciato , come invece dovrebbe accadere dinanzi ad uno vincolante ex art. 374, comma 3, c.p.c.

Il (solo) principio di diritto enunciato

La Corte, pur trattando (ma non risolvendo sempre) nella ciclopica parte motiva le varie tematiche poste dai quesiti dell'ordinanza interlocutoria, enuncia alla fine il seguente principio di diritto: «il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l'accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all'art. 161 l.fall., sia stata funzionale, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l.fall., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all'apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell'art. 163 l.fall., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l'eventuale causa di prelazione e, per l'altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l'inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria».

Deve subito rilevarsi come le Sezioni Unite, probabilmente per quanto sopra osservato circa l'insussistenza nel ricorso della specifica tematica, non hanno dato risposta al primo dei quesiti sottoposti al suo vaglio in tema di eventuale assimilazione di ratio tra, da una parte, l'esenzione da revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, lett. g), l.fall. per i pagamenti effettuati alla scadenza rispetto ai servizi “strumentali” per l'accesso ad una procedura concorsuale e, dall'altra, la prededuzione ex art. 111, comma 2, II parte, l.fall., relativamente ai crediti professionali scaturenti per le attività “in funzione”.

Quantunque, come accennato, scelta processuale formalmente ineccepibile, è indubbio che, una volta determinatasi la Corte a comunque trattare la tematica in parte motiva (par. 36/37, pagg. 26/27 sent.), la stessa poteva essere chiaramente risolta.

Invece, prima si parla di una mera “limitata simmetria tra la funzionalità di cui all'art. 111, comma 2, l.fall. e la strumentalità dei servizi le cui prestazioni siano state remunerate in periodo sospetto ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. g) l.fall. …[tanto che ] la comune attitudine relazionale delle due disposizioni … non può condurre a sovrapporne ogni aspetto, così da rinvenire in ciascuna gli elementi integrativi delle reciproche fattispecie astratte”, mentre poi sembra valorizzarsene il tratto comune dato, secondo la Corte, da una prestazione generatrice comunque l'avvenuta ammissione al concordato : “ sostenere infatti che se i crediti sorti per ottenere servizi professionali strumentali all'accesso al concordato vanno esenti da revocatoria ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. g), l.fall. vuol dire che quegli stessi crediti, ove impagati, diventano prededucibili nel successivo fallimento, a prescindere dall'apertura del concordato, appare il frutto di una petizione di principio; la tesi, come efficacemente annotato in alcuni studi, dovrebbe invero procedere dalla dimostrazione che anche la salvezza dalla revocatoria dei pagamenti operi a prescindere dall'apertura del concordato, presupposto contraddittorio con la constatazione che della strumentalità (quale prius della prestazione da cui sorge il credito) si può predicare la possibile sussistenza anche come fattispecie pienamente compiuta e dunque proprio per il caso di concordato ammesso, cui cioè il debitore abbia acceduto, pena la riduzione a mera intenzionalità della commentata attitudine causale”, pur poi aggiungendosi che “ non va nemmeno sottaciuto che l'esenzione da revocatoria ha riguardo a debiti liquidi e già esigibili pagati alla scadenza, mentre l'ampia gamma delle prestazioni d'ausilio al concordato (e non solo) ben è compatibile con adempimenti parziali, anticipati, in acconto”.

A parte adombrarsi così il fondamento - e quindi il rischio di prossime - revocatorie per pagamenti avvenuti rispetto a concordati poi non ammessi, ci sembra incontestabile che una maggiore chiarezza sarebbe stata senz'altro apprezzabile e di certo apprezzata su una tematica comunque di sicura valenza quanto, appunto, incerta e che rischia di premiare i professionisti, forse pur bravi, ma anche più' solerti, per non dir scaltri, nel pretendere, prima, cospicui acconti e/o saldi di singoli fasi, ben previamente pattuiti (in particolare, v. parr. 36/37, pagg. 26/27 sent., in cui la S.C. sembra propendere solo per una limitata simmetria tra i due fenomeni prededuttivo e dell'esenzione da revocatoria. Sul tema degli acconti, cfr. la compiuta disamina svolta da M.Greggio, op. cit., p. 15/17).

Tutto ciò a maggior ragione, avendo scelto la Corte di dar spazio, nella sua lunga dissertazione sulla prededuzione, anche alla composizione negoziata (visti i richiami in proposito di cui agli artt. 10 e 16 L. 147/2021), considerato “istituto” comunque “con effetti concorsuali” (ed anche solo perciò fonte di possibili benefici effetti in caso di consecutio con successive procedure concorsuali) (In tema, ci sia permesso il rinvio a A. Pezzano, M. Ratti, La conservazione degli effetti in caso di insuccesso della composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 16 novembre 2021).

Però senza valutarsi se il precetto di cui al comma 2 dell'art. 12 L. 147/2021 in punto di esenzione da revocatoria (rispetto ai pagamenti e alle garanzie “posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti"), sottenda anche, in relazione a quei creditori maggiormente collaborativi/meno “aggressivi” nel pretendere previamente il pagamento per il timore poi di non incassare (e quindi di sicuro più meritevoli), una nuova forma di prededuzione per i relativi crediti sorti “in coerenza”(come potrebbe accadere, ad es., anche rispetto al compenso di un professionista ingaggiato per l'assistenza durante il procedimento ex art. 2 L. 147/2021) ed ancora non riscossi al momento dell'apertura di una procedura concorsuale in consecutio rispetto alla composizione negoziata (per una prima riflessione, ci sia consentito il rinvio a L. Bottai, La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative, in questo portale, 4 ottobre 2021).

Per inciso: di sicuro interesse sulla nuova normativa concorsuale parrebbe l'obiter delle Sezioni Unite che chiarisce come il concordato semplificato non preveda la percentuale minima del 20% pro chirografi, i quali comunque avrebbero diritto a percepire “una misura significativa” (rispetto all'alternativa?) come nel concordato dell'art. 186 bis l. fall. (par. 23, pag. 19 sent. Conclusione forse opinabile, poggiando il concordato in continuità aziendale sul requisito del miglior soddisfacimento dei creditori, mentre il concordato semplificato unicamente sull'assenza di pregiudizio “rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare”, quantunque con l'assicurazione di “un'utilità a ciascun creditore”. Reputa vi sia in ogni caso sostanziale equivalenza fra i due concetti (essendo tutte le procedure concordatarie votate al miglior soddisfacimento dei creditori), G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in dirittodellacrisi.it, 11 novembre 2021).

Dal concordato al fallimento: la chimera della prededuzione del credito del professionista

Visto anche il quesito posto (il vi), il decisum della Corte sulla sorte della prededuzione del professionista - di qualunque professionista ingaggiato per una procedura di concordato preventivo esitata in fallimento – avrebbe potuto limitarsi ad enunciare (Una volta concluso che non poteva più condividersi quel filone giurisprudenziale che riteneva sufficiente, per l'ammissione e la prededuzione, l'operare diligente e non eccedentario del professionista ingaggiato per la presentazione di una domanda di concordato in ipotesi poi non depositata per rinuncia dell'imprenditore ovvero dell'assuntore o per la verifica negativa dei presupposti giuridici e/o economici. Per tutte, e fra le prime di tale equilibrato - ma oggi soccombente – indirizzo, cfr. Cass. n. 280/2017, con nota di L. Bottai, I compensi dei professionisti nel concordato: natura delle prestazioni e disciplina applicabile, in questo portale, 12 settembre 2017; cfr. anche G.P. Macagno, La S.C. conferma la prededucibilità de plano dei crediti dei professionisti per le attività finalizzate all'apertura del concordato, ma all'orizzonte si prospetta una nuova stretta normativa, in Fall., 2017, 389 ss.) che solo con l'apertura della procedura di concordato il professionista è in grado di ambire al conseguimento della “preferenza processuale” de qua (In ciò consistendo la prededuzione a partire dagli insegnamenti di Cass. 11 giugno 2019, n. 15724).

Come cercheremo di spiegare, sarebbe stata già una conclusione non condivisibile, quasi controproducente, almeno rispetto ad alcune tipologie di professionisti, ma le Sezioni Unite sono andate ben oltre:

i) anzitutto il concordato preventivo dovrà risultare, appunto, aperto ex art. 163 l.fall.;

ii) in secondo luogo andrà verificato - e con onere probatorio (come meglio vedremo in appresso) a carico del professionista quale fatto costitutivo della sua pretesa (Tra l'altro, da offrirsi con “più intenso dettaglio” ad opera dell'advisor contabile in quanto figura, a differenza del legale, dell'attestatore ovvero del professionista ex art. 160, comma 2, l.fall., non specificamente prevista come necessaria dal diritto concorsuale (cfr. par. 33, pagg. 24/25 sent.), sebbene - ci permettiamo di rilevare - dovrebbe risultar pacifico che senza un advisor contabile/aziendalistico nessun serio piano concordatario potrebbe mai essere approntato dal debitore) - se, senza eccedentarietà e quindi “con inerenza necessaria” (anche in termini di quantum di compenso richiesto, per non appalesarsi depauperativo, senza giustificazione, del patrimonio dell'impresa), possa reputarsi, con giudizio ex ante, che l'attività “in funzione” (non “in occasione”, né “legalmente” resa) del professionista, finalizzata al concordato, abbia contribuito a far perseguire all'imprenditore in crisi la causa concreta del concordato stesso con “conservazione o incremento dei valori aziendali dell'impresa”; pur chiarendosi meglio in parte motiva che l'attività professionale deve mirare, più che alla tutela dei valori aziendali, alla diversa finalità - francamente più consona a un concordato rivolto a soddisfare al meglio i creditori, rispetto alle divergenti finalità della procedura di amministrazione straordinaria - della ”ristrutturazione del passivo e [de]i progetti di soddisfacimento dei creditori” (Cass. S.U. n. 1513/2013 - par. 23, pag. 19 sent).

Anche perché dimostrare tale conservazione o incremento dei valori aziendali, pur se la valutazione dovrà avvenire con prognosi postuma, non sarà per nulla semplice in concreto.

E non pensiamo di predire un futuro improbabile se assumiamo che non ci sarà piano o attestazione che tenga o domanda di concordato ben congegnata che poi, in caso di intervenuto fallimento, non risulti comunque contestata come inidonea al fine dopo questa pronuncia della Suprema Corte.

iii) Ma per le Sezioni Unite neppure sono sufficienti i predetti due presupposti affinché la prededuzione venga riconosciuta al professionista.

Difatti, sembrano imporre addirittura una terza condizione: il concordato non solo deve essere ammesso, non solo l'attività del professionista deve contribuire con inerenza necessaria alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa, ma la procedura deve giungere anche ad uno stadio in cui sia permesso “istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa”.

Dunque, non deve verificarsi alcuna revoca dell'ammissione (per qualunque ragione decretata) o rinuncia alla domanda di concordato da parte del debitore, affinché così si giunga all'adunanza di voto, luogo in cui in cui i creditori si potranno esprimere istituzionalmente”.

Pertanto, anche se a tali eventi di revoca o di rinuncia il professionista risulti del tutto estraneo, la prededuzione non gli verrebbe comunque riconosciuta, poiché “lo specifico della procedura concordataria si compone di elementi patrimoniali ed al contempo organizzativi, i primi da conservare od incrementare, i secondi da declinare favorendo la partecipazione dei soggetti decidenti cui la proposta è diretta” (par. 36, pag. 27 sent.) (vi è solo da dire che questo terzo presupposto in tema di voto non verrà richiesto nel nuovo concordato semplificato di cui all'art. 18 L. 147/2021, ma verosimilmente solo nel senso che sarà comunque necessario andare oltre, ossia giungere alla fase del giudizio omologazione, quale primo momento in cui i creditori potranno “istituzionalmente” esprimersi).

Francamente una tale ricostruzione, oltre che eccessivamente penalizzante solo per una categoria di creditori (i professionisti), ci sembra non condivisibile sotto più angoli visuali, oggettivi e soggettivi.

Anzitutto perché, quantomeno con riguardo alle figure senz'altro necessarie nel concordato preventivo, tra l'altro agenti anche nell'interesse della massa dei creditori (pur se incaricati dal debitore) (Cass. n. 10752/2018; Cass. 5107/2015) - cioè l'attestatore di cui all'art. 161, comma 3, l. fall. e, ove si stralcino i crediti prelatizi, lo stimatore previsto dall'art. 160, comma 2, l. fall. (tanto da potersi ipotizzare con riguardo alle predette due figure, “assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice” (Cass., S.U., n. 1521/2013), una responsabilità da “contatto sociale qualificato”: cfr. A. Pezzano, L. Bottai, La responsabilità civile dell'attestatore, in Piani di ristrutturazioni dei debiti e ruolo dell'attestatore, opera diretta da S. Ambrosini, A. Tron, Bologna, 2016, 115 ss.) -, è assolutamente interesse del sistema che non siano in alcun modo condizionati rispetto al rilascio di eventuali attestazioni/relazioni negative (invero le stesse problematiche potrebbero porsi rispetto all'avvocato, professionalità anch'essa necessaria nel concordato ma, a differenza delle predette due, operante nell'esclusivo interesse della parte debitrice, quantunque neppure l'advisor legale possa esimersi dallo sconsigliare iniziative concorsuali perniciose per il proprio cliente, anche perché contra ius rispetto ai relativi creditori) (Cass. 30 ottobre 2020, n. 24025).

Invece, è intuitivo che un tale rischio di condizionamento potrebbe porsi se le tre condizioni suddette fossero considerate quali requisiti ineludibili per conseguire la prededuzione (o la stessa ammissione del credito, come vedremo).

In fondo, per evitare tutto ciò, basterebbe far tesoro della chiara disposizione dell'art. 161, comma 7, l.fall. sugli atti di ordinaria amministrazione “legalmente” compiuti dal debitore durante la fase di allestimento di piano e proposta, invece di escluderne l'applicabilità, come fa la Suprema Corte, forse troppo apoditticamente in assenza di un reale appiglio normativo o anche solo logico-sistematico, allorché conclude che la disposizione de qua si riferisce ai soli atti di stretta gestione dell'impresa commerciale/industriale, cui dunque sarebbero estranei quelli propriamente concorsuali come il conferimento di un incarico professionale per affrontare la crisi dell'impresa (par. 15/17, pagg. 14/15 e 18/19 sent.).

Né convince l'adombrare che comunque si tratterebbe di un atto di straordinaria amministrazione (par. 18, pagg. 15/16 sent.) (altra pronuncia delle S. U. Cass. n. 10080/2020, in tema di affidamento di servizi da parte della p.a. ad imprese private), ha sancito che l'assenza di autorizzazione ex art. 161, commma. 7, l.fall. per la proposizione di una domanda giudiziale, in ragione degli oneri e dei rischi connessi all'introduzione di una specifica lite, non spiega effetti sul piano processuale ma soltanto sul piano dei rapporti sostanziali (come la prededuzione dei crediti da essa derivanti), quando, invece, tale statuizione non esclude che il conferimento di un incarico professionale possa considerarsi anche atto di ordinaria amministrazione legalmente reso (M. Fabiani, op. cit ).

Né persuade il rinvio esegetico, ritenuto di contro decisivo dalla Suprema Corte, all'art. 6, comma 1, lett. c), CCII (secondo cui, affinché la futura prededuzione del credito del professionista - peraltro stranamente solo la sua, mentre nessun diverso servizio o bene “funzionale” di altri potrà fruirne, a differenza, invece, di quanto ora accade (condivisibilmente) - possa poi maturare nel successivo fallimento, è sufficiente la funzionalità della relativa prestazione rispetto alla domanda di concordato preventivo, nonché la relativa ammissione (o, nel caso di ADR, l'avvenuta omologazione, come prescritto dall'art. 6, comma 1, lett. b), CCII ).

Difatti, se è assolutamente condivisibile che la nuova normativa del Codice della Crisi possa rappresentare un valido supporto interpretativo rispetto alle attuali disposizioni della legge fallimentare, ciò può avvenire solo qualora vi sia “un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro” (Cass., S.U., 24 giugno 2020, n. 12476, in tema di revocatoria fallimentare).

Sembra evidente, invece, che con l'art. 6 CCII si sia voluto coniare, rispetto all'art. 111, comma 2, parte II, l.fall., una nuova disciplina della prededuzione “funzionale”, in lapalissiana discontinuità rispetto a quella vigente: non più “aperta” a tutti i crediti “funzionali”, com'è attualmente, bensì rivolta solo ai crediti professionali dell'imprenditore concordatario (o in adr), ridotta in ogni caso nel quantum, ma soprattutto condizionata ad un evento non richiesto sino all'avvento del CCII: (appunto) l'ammissione alla procedura di concordato (ovvero l'omologazione dell'adr).

Tanto che anche la disciplina endoconcordataria della prededuzione ha trovato un suo peculiare regime nell'art. 98 CCII.

Ma soprattutto l'ambito di continuità tra attuale e futuro regime è stato reciso con la rivoluzionaria disposizione del comma 2 dell'art. 6, stranamente del tutto ignorata dalle Sezioni Unite, nonostante, tra l'altro, il puntuale richiamo effettuatovi dal P.G. nella sua requisitoria:

“12. – La risalente (v. Cass. n. 8013 del 1992 nonché Cass. n. 3741 del 1988) regola pretoria da ultima ricordata è destinata a mutare radicalmente con la prossima entrata in vigore del CCI.

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, CCI, infatti, la“prededucibilità permane anche nell'ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali” (art. 6, comma 2, CCI). Il riconoscimento della prededucibilità, con previsione qui chiaramente innovativa, non postulerà più, quindi, in nessun caso, un accertamento di consecutività tra le due procedure diretto a verificare che il presupposto oggettivo dell'ultima sia lo sviluppo di quella stessa crisi/insolvenza posta alla base della prima procedura. Il che è reso evidente dal chiaro tenore letterale della norma e dalla considerazione che la permanenza della prededuzione èestesa anche alle procedure esecutive individuali, procedure nelle quali non sarebbe neppure ipotizzabile una valutazione di continuità/discontinuità tra l'originaria e l'attuale insolvenza.

In definitiva, una volta accertato che quel credito rientra tra quelli che godono della prededuzione ai sensi dell'art. 6 CCII, l'unico criterio che avrà rilevanza sarà quello soggettivo: sarà, cioè, necessario solo che la successiva procedura concorsuale o esecutiva riguardi lo stesso debitore imprenditore”.

Invece, nel lungo excursus delle Sezioni Unite sul tema della consecutio tra procedure (par. 26/32, pagg. 20/24 sent.), nonostante il richiamo al primo comma dell'art. 6 cit. (volto a consacrare per i decidenti il fondamento della prededuzione nella necessità dell'apertura del concordato), il predetto secondo comma viene totalmente ignorato, per così giungersi alla mirata conclusione che, in tanto vi è consecutio ai fini prededuttivi, in quanto “la consecutività - ove la questione riguardi la prededuzione e dunque in assenza di una norma più specifica - non si limita a postulare l'identità dell'elemento oggettivo su cui sono fondate le procedure in sequenza, ma esige che tra di esse non vi sia discontinuità anche organizzativa, ricorrente invece quando la prima non sia avanzata oltre la domanda del debitore ed infatti nemmeno sia stata aperta, così non raggiungendo lo scopo per il cui realizzo abbia cooperato un terzo, ingaggiato dal debitore (quesito v)” (par. 31, pag. 23 sent.).

Dunque, le conclusioni della Corte circa le condizioni per il riconoscimento della prededuzione non sembrano fondarsi su un invocabile appiglio normativo, che - ricordiamolo ancora - allo stato dell'attuale legislazione, e a differenza di ciò che accadrà con il CCII (anche con la disposizione dell'art. 6, comma 2), continua ad attribuire la prededuzione “apertamente”, rispetto cioè ad ogni credito sorto “in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge” (art. 111, comma 2, parte seconda, l.fall.) (dunque, balza agli occhi la differenza di regime della prededuzione “funzionale” - attuale ex art. 111, comma 2, parte II, l.fall. - e futura – ex art. 6, comma 1, lett. b) e c), nonché comma 2, CCII -, mentre ben più omogenee appaiono le discipline (attuale: art. 186 l. fall., e futura: art. 119 CCII) rispetto al fenomeno della risoluzione del concordato preventivo, che può conseguirsi solo in caso di inadempimento di non scarsa importanza e solo su richiesta di uno o più creditori, quantunque in futuro sia diretta che mediata dall'istanza del commissario, esplicitandosi nel CCII il divieto di omisso medio. Nonostante ciò, nel caso della prededuzione la Suprema Corte ha ritenuto, come visto, la continuità tra regime vigente e futuro, mentre nello scenario della risoluzione proprio in questi giorni l'ha esclusa: cfr. Cass., S.U., 14.2.2022, n. 4696).

Quindi, con il chiaro intento di indurre sempre più l'imprenditore in difficoltà verso procedure “in condivisione” massima possibile con ogni parte interessata, che gli consentano di affrontare al meglio, e tempestivamente, il suo stato di crisi/insolvenza, come d'altro canto si è continuato a fare anche in tempi recenti: i) sia con la disposizione di cui all'art. 9 L. 40/2020, con efficacia prorogata dall'art. 21 L. 147/2021 sino al 31 dicembre 2022 (prevedente, come noto, la possibilità di ricorrere al “preconcordato” anche in prospettiva di “uscita” tramite un piano attestato di risanamento); ii) sia con la previsione di nuove e facilitate figure di accordi di ristrutturazione, grazie all'art. 20 L. 147/2021; iii) sia, infine, con la nuova forma di concordato (semplificato) disciplinata dagli artt. 18 e 19 legge cit. Tutte procedure sempre beneficianti della prededuzione “funzionale” di cui all'art. 111 l.fall.

Comunque, ove anche non si volesse riconoscere che è già “funzionale” ogni attività professionale propedeutica all'accesso ad un concordato con riserva (come invece dovrebbe essere, convenendosi sul fatto che trattasi pur sempre, almeno a partire dal 2005, dell'inizio della procedura concorsuale “conservativa” per antonomasia) (e che tale sembra debba restare, oltre che per i citati innesti di cui alla L. 147/2021, anche secondo il Legislatore unionale cui dovrà adeguarsi quello domestico del CCII entro il prossimo 17 luglio 2022. Cfr. in tema l'interessante scritto di P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull'istituto del concordato preventivoin continuità aziendale, in dirittodellacrisi.it, 18 febbraio 2022), quantomeno dovrebbe essere tale quella parte di attività, peraltro spesso la più rilevante e complessa, prestata durante il concordato “in bianco” per la predisposizione di piano e proposta, in quanto prestazioni obiettivamente rese “in funzione“ del concordato “pieno”.

Naturalmente, funzionali purché si tratti comunque di “prestazioni eseguite legalmente ed in conformità agli accordi alla luce del combinato disposto degli artt. 161, comma 7 e 169 bis, comma 2, l.fall.

Dunque, non a sostegno di una procedura “abusiva” o in concorso fraudolento con il debitore o con compensi che, in spregio ai principi ricavabili dall'art. 67, comma 1, n. 1, l.fall., superano di oltre un quarto il giusto compenso, pena, nei primi due casi, non solo il mancato riconoscimento della prededuzione, ma anche dello stesso credito, in quanto contratto professionale nullo ab origine per illiceità della causa ovvero poi viziato da grave inadempimento nelle prestazioni rese dal professionista; mentre, nel terzo caso, previa anche semplice eccezione revocatoria del curatore ex art. 95, comma 1, l.fall., con riduzione, recte rideterminazione del compenso ai sensi dell'art. 2233, comma 2, c.c. (anche perché non va dimenticato che il per il nostro ordinamento la regola è rappresentata dalla libertà di determinazione del compenso ai sensi dell'art.2233, comma 1, c.c., “norma che prevede una gerarchia a carattere preferenziale dei criteri di liquidazione(Cass. 21 maggio 2021, n. 14050 che peraltro, a differenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite - par. 57, pag. 40 -, hanno confermato la riduzione in prededuzione del compenso dell'attestatore, non a causa della parziale utilità per la massa del suo elaborato, anzi rilavatosi proficuo per i creditori trattandosi di un'attestazione negativa, bensì perché opera intellettuale che aveva richiesto minore impegno professionale di quello prospettato nell'incarico ricevuto per un maggior importo da parte del cliente poi fallito.

Solo così operando, i (seri) professionisti della crisi di impresa potranno essere veramente liberi, in scienza e coscienza, di operare nel migliore dei modi, a vantaggio di tutti, senza il timore di essere ingiustamente penalizzati.

Ma se anche non si volesse accedere ad una tale ricostruzione esegetica, non comprendiamo come, dopo aver così tanto valorizzato il richiamo all'art. 6, comma 1, lett. c), CCII (par. 46/50, pagg. 32/35 sent.), la Corte possa concludere che, invero, non basta l'ammissione alla procedura di concordato preventivo (cioè l'unica condizione richiesta dall'art. 6 cit.), ma sono anche necessari gli altri due presupposti sopra elencati e cioè un contributo funzionale tale da possedere, secondo un giudizio ex ante, una “inerenza necessaria (…) alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa” e che permetta altresì un'ammissione al concordato che perduri sino a consentire “istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa”.

Come visto, nonostante il titanico sforzo esplicativo (che peraltro impegna molte pagine della non breve sentenza), le argomentazioni della Suprema Corte non sembrano comunque cogliere nel segno, superando la linearità dell'esegesi - ammessa, ma non concessa, l'opportunità del richiamo interpretativo dell'innovativa normativa sulla prededuzione - offerta dall'art. 6 CCII.

Forse sarebbe risultato più coerente su un piano sistemico e comunque dei reali dettati “posti”, probabilmente favorendosi anche una più semplice applicazione nei casi concreti, concludere che:

- se il concordato preventivo è stato ammesso, l'attività professionale deve potersi ritenere senz'altro funzionale, e quindi prededucibile, ferma comunque la pregiudiziale valutazione sull'ammissione del credito anche per un minor importo o per alcun importo in caso, rispettivamente, di inesatto adempimento/ compenso eccessivo oltre un quarto ovvero incarico nullo per causa illecita/ totale inadempimento in caso di prestazione resa con ricorso abusivo allo strumento concordatario ovvero in concorso con l'attività frodatoria orchestrata dal debitore;

- in caso di mancata ammissione al concordato, e quindi di attività non funzionale, no alla prededuzione, ferma sempre la necessità della previa decisione sull'ammissione del credito anche per un minor importo o per alcun importo in caso, rispettivamente, di inesatto adempimento/ compenso eccessivo oltre un quarto ovvero incarico nullo per causa illecita/ totale inadempimento in caso di prestazione resa relativamente ad un abusivo ricorso allo strumento concordatario ovvero in concorso con l'attività frodatoria orchestrata dal debitore.

Ovviamente, nei nuovi casi di concordati semplificati di cui all'art. 18 L. 147/2021, il decreto di cui al comma 4 equivarrà al difettante provvedimento di ammissione, come suggerisce anche il disposto del successivo comma 8 in tema di sub-procedimento ex art. 173 l. fall.

Una notazione finale.

Se mai l'inseguimento della Chimera (il terribile mostro, somma dei vizi, come oramai appare l'irraggiungibile prededuzione) sortirà successo, almeno il fortunato Bellerofonte beneficerà anche di un (ulteriore) premio: l' “iperprivilegio” di cui al combinato disposto degli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c., alla stessa stregua dei crediti dei professionisti organi di giustizia o nominati ausiliari (ovviamente se ed in quanto espressamente richiesto in sede di istanza di ammissione al passivo).

Incoraggia tale conclusione, oltre il riferimento nel principio di diritto “alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa [pro] creditori, cui la proposta è rivolta” (tanto evocativo del comune nucleo degli artt. 2755 e 2770 c.c. in tema di spese di giustizia), il seguente, focale, passaggio decisionale: “la funzionalità può dirsi sussistente allora quando l'attività originante il credito sia ragionevolmente assunta, nella prospettazione delle circostanze ad essa coeve, proprio per assecondare, con l'instaurazione o lo svolgimento della specifica procedura concorsuale cui è volta, le utilità (patrimoniali, aziendali, negoziali) su cui può contare tipologicamente, cioè secondo le regole del modello implicato, l'intera massa dei creditori, destinati a prendere posizione sulla proposta del debitore; ciò ne permette l'assimilazione ad una nozione di costo esterno sostenibile al pari di quelli prodotti dalle attività interne degli organi concorsuali, se e quando potranno operare (quesito iii)” (par. 21, pag. 17 sent.).

Ma tale aspettativa sulla prededuzione (con o senza l' ”iperprivilegio” ipotizzato), intanto potrà divenir diritto, in quanto, pregiudizialmente, un credito risulterà ammesso.

Cosa, invece, tutt'altro che scontata, come meglio vedremo nel proseguo, anche alla luce dell'onus probandi posto dalle Sezioni Unite inopinatamente a carico del professionista.

Il contratto d'opera del professionista con l'impresa in crisi: tra tutela del cliente e causa concreta del concordato

L'intervento delle Sezioni Unite sulla valutazione dell'operato dei professionisti nella rilevazione e nella proposta di regolazione della crisi d'impresa merita una ricostruzione del contesto ordinamentale in cui gli stessi si trovano a prestare i loro servizi, contesto che vale a connotare altresì la causa del contratto che stipulano con l'impresa cliente.

Il moderno diritto della crisi ha ritagliato per il professionista chiamato ad assistere il debitore e/o a redigere o asseverare i piani di ristrutturazione o risanamento dei debiti aziendali un ruolo che tende a soddisfare le due fondamentali esigenze di qualunque mercato (e di quello delle imprese in crisi o insolventi, in particolare):

a) assicurare la massima trasparenza della situazione patrimoniale, economica e finanziaria in cui versa il soggetto proponente (che si rivolge al mercato) e, al contempo,

b) fornire il più vasto spettro di informazioni utili a valutare l'effettiva realizzabilità del progetto di superamento della crisi presentato ai creditori.

Ancora più a monte, il professionista deve saper anzitutto individuare quale sia lo strumento normativo più idoneo a disciplinare la crisi del proprio assistito, convincendolo ad agire in maniera tempestiva ed efficace. E tale scelta dipende anche dalla competenza dei professionisti scelti all'uopo.

Un mercato opaco e avvolto da asimmetrie informative non può svolgere appieno le sue funzioni. Rimuovere del tutto tali asimmetrie informative comporta, però, dei costi, anche ingenti - motivo per cui i deficit informativi non potranno essere eliminati in toto (J. Stiglitz rammenta, in Economia e informazione, The Noble Foundation, 2005, trad. it. Datanews, 2006, 40 s.) che “l'economia deve, in realtà, scegliere tra due diverse imperfezioni: imperfezioni delle informazioni o imperfezioni della concorrenza. Alla fine, naturalmente, ci saranno entrambe”) -, che non possono essere trascurati o, peggio, considerati “indebiti” e, quindi, eliminati sic et simpliciter mediante una comoda eccezione di inadempimento, che qualunque sedulo curatore ritenesse di sollevare in sede verifica del passivo, prescindendo dalle peculiarità del caso specifico.

Vivendo nell'era dell'informazione, la scienza giuridica che studia il paradigma dell'impresa quale centro del sistema produttivo ha preso coscienza, fra l'altro, del fatto che il mondo della materia cede il passo al mondo della conoscenza, quale nuova fonte di ricchezza. Ma nel quotidiano agire delle imprese le informazioni (o la loro assenza), affinché non danneggino i destinatari, necessitano di continui controlli, che durante la fisiologica vita aziendale sono rimessi al collegio sindacale e/o ai revisori legali; mentre nella fase di crisi i soggetti a ciò preposti si ampliano fino a ricomprendere i professionisti che coadiuvano l'imprenditore nel redigere il piano di ristrutturazione e nel predisporre la domanda di accesso ad uno degli strumenti offerti dalla legge – oggi divenuti assai numerosi e appropriati per ciascun tipo di crisi sofferta -, al pari di quello chiamato ad asseverare la veridicità dei dati aziendali sui quali si fonda il piano di ristrutturazione e la fattibilità del medesimo.

Tutte qualità assicurate dalle norme della legge fallimentare e dal Codice della crisi, tali da configurare ormai l'informazione - specifica, completa e dettagliata - non solo come un metodo di formazione del consenso, bensì alla stregua di un vero e proprio bene (rectius, diritto) suscettibile di essere scambiato e di generare responsabilità: in ciò risiede la ragione essenziale della prededuzione, con la quale i creditori “pagano” i professionisti dell'impresa e l'attestatore.

Così si dovrebbe pervenire alla “allocazione efficiente, ma anche equa delle risorse a tutela del soggetto portatore di deficit informativo” (nella fattispecie della crisi, i creditori), realizzando al contempo un risultato ottimale per l'economia, che sia anche equo eticamente e giusto per il diritto (E. Bocchini, Diritto commerciale nella società dell'informazione, vol. I, Padova, 2011, 4 ss.).

Da qui il passo per valutare la sussistenza della causa del contratto d'opera professionale nel caso concreto appare breve: causa che – è stato notato (F. Casa, La "quadratura del cerchio"; note minime su una sentenza importante (Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021, n. 42093), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 24 gennaio 2022) - si collega a quella attribuita al concordato preventivo proposto dal debitore sin dalla sentenza n. 1521 del 2013 delle Sezioni Unite, atteso che è la causa del procedimento concorsuale che impone la “funzionalità” dell'attività dei professionisti allo scopo economico-sociale che lo strumento del concordato preventivo è chiamato a svolgere (la regolazione della crisi del debitore). L'obbligazione professionale rimane “di mezzi” e non si deve più discettare di ”utilità pratica” di essa per i creditori, in quanto è il provvedimento di apertura della procedura a confermare il rapporto di funzionalità (v. par. 22 della sent. 42093/21) tra l'opera dei professionisti del debitore e l'interesse dei creditori (In proposito A. Pazzi, L'espressione del principio di inerenza delle spese processuali all'interesse tutelato a mezzo delle regole della tara del ricavato e della prededuzione, in Riv. esec. forz., 2020, 459 ss., § 7., ha approfondito il tema dell'inerenza dei crediti prededucibili (anche professionali) agli interessi tutelati nella procedura concorsuale, nella prospettiva del Codice della crisi, il cui art. 6, comma 2, fissando il principio della permanenza della prededuzione “anche nell'ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali”, conduce a “sconvolgere il sistema fino ad ora adottato” perché assicura quel superprivilegio processuale anche in altre procedure e a distanza di lustri “a prescindere dal principio di inerenza della spesa all'interesse tutelato”, innescando una gara a “trovare il modo di giocare la carta più alta nel concorso fra i creditori”, con il rischio di “invasioni di campo di prededuzioni pellegrinanti” da una procedura all'altra).

Tuttavia, è proprio in questo passaggio alla causa concreta (su cui, criticamente, cfr. soprattutto V. Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, Riv. dir. civ., 2013, 957 ss.; e P. Montalenti, Il diritto commerciale oggi: appunti, rivistaodc.eu, 2015), che il dibattito dottrinale e l'atteggiamento giurisprudenziale ha assunto una “dimensione ideologica”, nell'accentuazione dell'interpretazione (della funzione) della causa quale strumento di controllo pubblico dell'autonomia privata, con riguardo a contratti che dovrebbero rimanere “socialmente indifferenti”. Si assiste ad una tendenza all'analisi del contratto quale veicolo di una positiva e specifica utilità sociale, in assenza della quale l'accordo andrebbe “disapprovato e represso” (V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2011, 345).

Si tratta all'evidenza di una “concezione dirigistica e paternalistica dell'autonomia privata, in definitiva negatrice dell'autonomia stessa” (v. V. Roppo, ibidem, 346).

I contratti d'opera professionale sono il terreno d'elezione di tale tendenza e, particolarmente, quelli stipulati per la regolazione della crisi delle imprese, ove si agisce in contesti di scarsità di risorse e di “comunità di pericolo”, perché numerosi sono i soggetti coinvolti come creditori e colpiti dall'inadempimento del comune debitore e dall'incapienza del suo patrimonio.

Nella corsa ad accaparrarsi le poche attività a disposizione i professionisti che assistono il debitore partono indubbiamente da una condizione di vantaggio, posto che conoscono meglio degli altri la reale situazione dell'impresa in difficoltà e possono articolare di conseguenza i termini e l'ammontare degli acconti per le loro prestazioni. Essi offrono servizi essenziali, previsti per legge, a beneficio diretto dell'impresa e indiretto dei creditori (come sottolinea la sentenza n. 42093 in commento), ma talvolta accade – è ciò che ha destato, non senza ragioni, la predetta reazione giurisprudenziale - che i compensi pattuiti in una sorta di “stato di bisogno” dell'imprenditore eccedano il buon senso e i parametri tariffari normalmente applicabili in casi analoghi.

Al riguardo si deve rimarcare come il Codice della crisi avesse già espressamente previsto, sull'abbrivio della legge delega n. 155/2017 (che sul tema dei professionisti privati ha prescritto, agli artt. 2 e 6, il contenimento dei compensi e la riduzione delle ipotesi di prededuzione, con un tono alquanto “moraleggiante” (v. F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2018, 28 s.), quanto le recentissime Sezioni Unite della Suprema Corte hanno sancito sulla prededuzione, “trasformando, di fatto, obbligazioni che sono per loro natura di mezzi in prestazioni di risultato”, con un connesso arretramento della tutela professionale (Cfr. S. Ambrosini, I “principi generali” nel codice della crisi d'impresa, 11, ilcaso.it, il quale reputa la disposizione dell'art. 6, comma 1, CCI, che fissa la soglia massima di riconoscimento della prededuzione al 75% del compenso pattuito nei casi ivi disciplinati, “non immune da una sensazione di arbitraria afflittività”).

Già da tempo si era constatato in dottrina come le corti di merito avessero emesso “segnali di forte sfiducia” nei confronti dei professionisti della crisi d'impresa, sovente peraltro non immeritata; ma è ovviamente da escludere che il sol fatto che l'impresa, poi, fallisca sia prova dell'inesattezza della prestazione, atteso che se la crisi non si sia risolta come auspicato “può derivare da una molteplicità di fattori, uno solo dei quali può corrispondere all'inadeguatezza della prestazione professionale assunta” 8 M. Fabiani, op. cit.., il quale conclude il saggio proponendo di affidarsi al principio di proporzionalità ed enumerando un dodecalogo di regole di buon senso, che inter alia ritiene esperibile l'eccezione di inadempimento “quando la prestazione professionale si sia rivelata causa o concausa dell'insuccesso del progetto regolativo della crisi”. Lo stesso A. ha ulteriormente indagato il tema dei costi professionali in La variabile dei costi nei procedimenti di regolazione della crisi, in Fall., 2017, 1091).

Oggi, però, si è definitivamente acquisito un dato importante: la tutela della sopravvivenza dell'impresa è (divenuto) un principio informatore dell'ordinamento – sancito nel Codice della crisi - ed è la “concretizzazione di principi presenti nei Trattati e nelle direttive dell'Unione europea” (cfr. A. Gentili, Una proposta sui contratti d'impresa al tempo del coronovirus, in giustiziacivile.com, 29.4.2020), affermatisi grazie alla consapevolezza che l'impresa è fonte di lavoro, sviluppatrice di nuove tecnologie, risolutrice di bisogni (o desideri) della collettività, generatrice di imposte e contributi previdenziali, creatrice di ricchezza per molti (V., da ultimo, C. Mayer, Prosperità, trad. it., Milano, 2021. Ma già la Direttiva UE 2019/1023, sulla scia della Raccomandazione della Commissione UE risalente al 2014, illustra compiutamente i vantaggi derivanti dal sistema imprenditoriale).

Ergo il rimedio meritoriamente individuato dalla Commissione Pagni (per un'anticipazion del programma cfr. I. Pagni, Crisi d'impresa e crisi del contratto al tempo dell'emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 349) - di introdurre nuovi strumenti suscettibili di essere adottati dagli imprenditori in crisi o insolventi a seconda delle rispettive peculiarità – nobilita l'apporto consulenziale e assistenziale dei professionisti, conferendo loro un ruolo sociale insopprimibile, dal momento che le imprese da sole non sono in grado di districarsi in siffatto mutato contesto, specie dopo questa devastante pandemia.

Quando il debitore non riesce a superare la crisi e finisce in fallimento i conflitti fra creditori devono essere filtrati da curatore e giudice delegato nella verifica dello stato passivo; non di rado, tuttavia, viene sollevata aprioristicamente l'eccezione di inadempimento delle prestazioni professionali, sol perché il tentativo concordatario non ha avuto esito favorevole, che merita qui un'approfondita disamina interpretativa sia per la natura dell'opera dei professionisti coinvolti – che è di un facere non fungibile e non coercibile –, sia per gli effetti che produce tanto sul piano generale dell'approccio alla crisi delle imprese, col pericolo di generare un fenomeno di adverse selection, quanto sull'iniquità del singolo risultato cui può giungere, atteso che il professionista ha già eseguito per intero la sua prestazione e potrebbe non essere stato remunerato neppure parzialmente (in tal caso per P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2018, 54 ss., e V. Roppo, Il contratto, op. cit., 920, la reazione di autodifesa mediante la sospensione o negazione totale del proprio adempimento, da parte del cliente, sarebbe sproporzionata e contraria a buona fede).

Non si deve obliterare, infatti, che la Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione preventiva delle imprese - che costituisce la nuova filosofia cui il Codice della crisi deve ispirarsi – pone agli Stati membri l'obiettivo (per quanto qui interessa) di “mantenere e migliorare la trasparenza e la prevedibilità con cui le procedure permettono di conseguire risultati che sono favorevoli alla preservazione dell'impresa” (Considerando 85) (il quale raccomanda altresì agli Stati di “provvedere affinché i membri delle autorità giudiziarie e amministrative competenti per la ristrutturazione preventiva, insolvenza, ed esdebitazione siano adeguatamente formati e possiedano le competenze necessarie per adempiere alle loro responsabilità”, di guisa che “le decisioni aventi ripercussioni economiche e sociali potenzialmente significative siano adottate in modo efficiente” (Considerando 86) e a tal fine sancisce all'art. 27 la necessità che gli Stati prevedano “appropriati meccanismi di vigilanza e regolamentazione per garantire che il lavoro dei professionisti sia oggetto di una vigilanza efficace, in modo da assicurare che i loro servizi siano prestati in modo efficace e competente” (1° paragrafo) e la loro remunerazione sia regolamentata da norme coerenti con l'obiettivo di un espletamento efficiente delle procedure, fino all'istituzione di “procedure adeguate per risolvere eventuali controversie in materia di remunerazione” (4° par.), incoraggiando l'elaborazione di codici di condotta da parte delle associazioni professionali (Sul tema si v. S. Zenati, I professionisti della crisi nella Direttiva (UE) 2019/1023, in questo portale, 28 gennaio 2022).

L'inadempimento professionale nelle sue varie sfaccettature "concorsuali"

Premettendo che l'ampio ventaglio di soluzioni delle crisi offerto dalla legislazione vigente e dalle modifiche innovative cui sta per essere assoggettato il Codice della crisi (secondo la bozza attuativa predisposta dalla Commissione Pagni) non può essere affrontato dalla sola impresa in difficoltà, occorrendo l'indispensabile assistenza di professionisti all'altezza di un ‘sì gravoso impegno, che sappiano scegliere e allestire lo strumento più adeguato alla specifica fattispecie, esaminiamo ora partitamente le possibili eccezioni di inadempimento che le curatele possono sollevare nei confronti delle domande di credito dei professionisti dell'impresa fallita per le attività svolte nella precedente procedura di regolazione della crisi.

Anzitutto si deve distinguere il ruolo e i compiti demandati agli advisors da quelli riservati all'attestatore (su cui, non a caso, si sono concentrate la maggior parte delle decisioni giurisprudenziali edite): mentre i primi svolgono una funzione “di parte”, ossia volta a favore dell'impresa committente affinché possa superare la crisi mediante i piani e le proposte da essi individuati e predisposti, gli attestatori hanno un insostituibile ruolo di garanzia del ceto creditorio, che consente di ravvisare nelle varie disposizioni di legge (finanche penale) che li riguardano l'attribuzione di specifici obblighi c.d. di protezione a tutela di una cerchia predeterminata di soggetti (un'interessante fattispecie di attestazione negativa è stata affrontata da Cass. 21.5.2021, n. 14050, cit.), piuttosto che generici doveri riconducibili al generale precetto aquiliano del neminem laedere.

Del pari, si deve discernere fra inadempimento tout court, che giustifica la sospensione o il rifiuto della controprestazione (quali potrebbero essere la presentazione di atti non conformi ai modelli standard richiesti dalla legge (piani e proposte manifestamente infattibili o inammissibili) ovvero privi dei basilari requisiti di legittimità e correttezza), e inesatto adempimento di obblighi principali o accessori della prestazione professionale, per i quali il mancato pagamento totale potrebbe apparire sproporzionato e contrario a buona fede (come sopra anticipato).

Se poi il curatore solleva l'eccezione come terzo non può limitarsi all'allegazione, pur sempre necessariamente dettagliata, del fatto modificativo od ostativo, dovendo invece provare quale specifica prestazione sia mancata totalmente o parzialmente; mentre se agisce come successore del debitore, subentrando nella sua posizione contrattuale (Cass. 4.5.2018, n. 10752, in tema di inadempimento dell'attestatore di un concordato, contiene una summa di principi di comportamento lodevolmente declinati), potrà avvantaggiarsi del regime probatorio più favorevole (su cui si rinvia al par. seguente), ma incorrerà nella fattispecie di “reciproco inadempimento” di entrambe le parti (per Cass. 12.3.2021, n. 7061, in tali casi spetta al giudice stabilire quale inadempimento possa effettivamente giudicarsi causa dell'altro attraverso un esame del comportamento complessivo delle parti in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti (v. anche Cass. 9.2.2021, n. 3009; Cass. 11.2.2020, n. 3273).

Occorre, poi, considerare i motivi che hanno condotto alla decisione di inammissibilità della proposta concordataria - oggettivi o discrezionalmente assunti dal tribunale - e che potrebbero essere censurati in sede di appello o di cassazione. E rammentare che si tratta di eccezione di parte, qualificata come fatto modificativo o impeditivo della controprestazione ex art. 95 l. fall., necessariamente proponibile dal curatore e non rilevabile d'ufficio dal giudice (in proposito per Cass. 7.6.2021, n. 15807, il giudice non può negare l'ammissione sul fondamento di una diversa ragione di inadempimento, trattandosi di eccezione rimessa all'esclusiva iniziativa di parte (nella specie la curatela contestava al professionista l'inadempienza per aver attestato una proposta concordataria palesemente inadeguata, mentre il tribunale aveva respinto la domanda di insinuazione al passivo in quanto l'ammissione al concordato era stata revocata per frode).

In generale l'ultimo arresto delle Sezioni unite permette di discernere meglio il tema dell'inadempimento del professionista, distinguendo sia il tipo di eccezione sollevabile ex art. 1460 c.c. – d'inadempimento totale ovvero di inesatto adempimento (l'exceptio non rite adimpleti contractus) (chiaramente illustrate da V. Mariconda nel commento a S.U. n. 13533/2001, in Corr. Giur., 2001, 1578 ss., il quale, richiamando dottrina e giurisprudenza allora prevalenti, ricorda che il creditore della prestazione non può limitarsi ad allegare l'inesatto adempimento altrui, ma ne deve fornire la prova, poiché in tale eventualità il creditore ammette l'avvenuto adempimento, ma lamenta vizi, difetti o difformità della prestazione eseguita rispetto a quella dovuta, dei quali deve dare la prova. Concludendo che quella pronuncia a S.U. (la n. 13533/01), così scarsamente argomentata sul punto dell'inesatto adempimento (in fattispecie di facere fungibile, qual era l'insonorizzazione delle camere di un hotel), avrebbe comportato “effetti pratici addirittura devastanti nella direzione esattamente contraria alle «esigenze di certezza» per gli operatori pratici del diritto cui le Sezioni Unite hanno mostrato di voler dare ampia considerazione”) -, sia il tipo d'incarico conferito (di legale o di attestatore o di advisor contabile-finanziario), perché le eccezioni di inadempimento devono essere basate (e tarate) sulle specifiche carenze mostrate da ciascuno dei professionisti (Cass. 9.4.2021, n. 9464, ha affermato che l'attività svolta dal legale sia diversa e limitata alla redazione del ricorso ex art. 161, comma 6, l.fall. e alla partecipazione agli atti di detto procedimento, così legittimando compensi inferiori).

Le questioni connesse all'inesatto adempimento sono, invero, eterogenee e relative a circostanze ulteriori rispetto all'inadempienza della prestazione principale, circostanze che debbono qualificarsi come “costitutive” della fattispecie, per le quali non può valere la stessa regola probatoria; altrimenti si accollerebbe al contraente professionista l'onere di dimostrare l'inesistenza del vizio, della difformità o dell'inesattezza in genere: onere che logica e diritto pongono, per contro, a carico della parte che alleghi l'inesattezza (V. Mariconda, ibidem, 1580, secondo cui ragioni di ordine pratico connesse al brocardo negativa non sunt probanda e ai principi di riferibilità e di vicinanza della prova non possono assolutamente valere pure nel caso di allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, per le quali è davvero incredibile che si sia potuto asserire il carattere negativo, essendo di tutta evidenza che ogni caso di allegata inesattezza consiste (e non può non consistere) in un contenuto positivo, qual è quello insito nei concetti di vizio, difetto, difformità tra qualità promesse e qualità effettive ovvero di violazione delle regole della buona tecnica professionale”).

Del resto, lo stesso Autore ha ben rilevato che i contratti a prestazioni corrispettive “individuano, prima che un creditore e un debitore, contraenti ciascuno dei quali titolare di contrapposti e interdipendenti crediti e debiti”.

L'inesatto adempimento è per definizione non un fatto negativo - qual è invece il mancato adempimento -, ma un fatto positivo che presuppone l'adempimento (almeno parziale) e, su questo presupposto, esige di confrontare la prestazione data a quella dovuta al fine di far emergere l'inesattezza quantitativa o qualitativa; il tutto sulla base di parametri di valutazione dell'esattezza dell'adempimento coerenti con la struttura del rapporto obbligatorio e della prestazione in esso dedotta: valutazione estesa al conseguimento del risultato finale sperato dal creditore, nel caso di obbligazioni di risultato; valutazione invece limitata allo svolgimento dell'attività del debitore funzionale al conseguimento del risultato, nel caso di obbligazioni di mezzi (V. Mariconda, Tutela del credito e onere della prova: la Cassazione è a una svolta?, in Corr. Giur., 1998, 791. Cfr. anche F. Canazza, L'eccezione di inadempimento quale motivo ostativo all'ammissione allo stato passivo del credito dell'attestatore, in Fall., 2021, 966).

Ne discende che l'onere della prova dell'inesattezza dell'adempimento grava, sia nelle obbligazioni di mezzi sia in quelle di risultato, sul creditore (in tesi il fallito o la curatela) (cfr. Cass. 17.5.2021, n. 13207), perché l'eccezione sollevata si fonda proprio sulle circostanze ulteriori costituite dai vizi e dai difetti ovvero dalla mancanza di qualità della prestazione resa rispetto a quella dovuta in base alle richiamate regole della buona tecnica professionale (V. Mariconda, ibidem. Da ultimo Cass. 26.2.2021, n. 5429, richiamando propri precedenti (Cass. n. 974/2007 e Cass. n. 20828/2009), ha ribadito che “l'indagine giudiziale circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo” va svolta “sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire”).

Naturalmente è ben possibile ricorrere alle presunzioni semplici, di non corretta esecuzione della prestazione, nei casi di prestazioni collaudate, nelle quali l'esperienza fa emergere uno stretto collegamento tra corretta applicazione delle regole tecniche e conseguimento del risultato.

Non si dimentichi, poi, come il principio di proporzionalità, che esige rimedi adeguati al vizio rilevato, tenda sempre alla “salvaguardia del vincolo contrattuale contro i tentativi di scioglierlo in modo pretestuoso e ingiustificato”: senza quel principio, la parte onerata del pagamento “potrebbe prendere a pretesto qualunque trascurabile inesattezza della prestazione” ricevuta per svincolarsi dal proprio obbligo (V. Roppo, op. cit., 899, il quale richiama il principio fondamentale di buona fede, che domina la materia (v. anche l'art. 1460, comma 2, c.c.).

Con riguardo al detto principio di proporzionalità mette conto rilevare che la clausola di compenso a forfait, che prevede l'erogazione dell'intero corrispettivo pattuito a prescindere dal completamento dell'opera professionale (per essersi la procedura concordataria fermata anticipatamente rispetto all'esito naturale), è nulla in quanto “non solo contrasta con il principio di imprescindibile correlazione fra prestazione e corrispettivo” stabilito dall'art. 2233, comma 2, c.c., “ma soprattutto prescinde e dissona con la causa concreta che ispira l'intera pattuizione negoziale (…) rendendo tale prestazione del tutto acausale e svincolata dalla ragione concreta perseguita con la conclusione del contratto” (Così Cass. 30 marzo 2018, n. 7974).

D'altro canto, è noto che la struttura dei contratti professionali è ben diversa da qualunque altra prestazione di facere avente ad oggetto beni o servizi ben individuati, poiché il giudizio circa l'(in)adempimento si articola in due passaggi: i) il primo riguarda il concreto compimento dell'attività in se stessa; ii) il secondo l'averla compiuta secondo il canone della diligenza professionale prescritta, e si deve sindacare se venga contestato l'inadempimento al mandato in toto, ovvero solo un'errata valutazione dell'incidenza di alcuni fatti, in guisa tale da poter stabilire se dalla contestazione derivi il venir meno dell'obbligo di pagamento del compenso oppure solo una decurtazione di esso (da ultimo v. Cass. 17.5.2021, n. 13207, cit., in tema di opposizione allo stato passivo proposta da un sindaco, che richiama Cass. n. 24794 del 9.10.2018).

Il principio consolidato in materia ribadisce, invero, che l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui occorre individuare, da parte del cliente, “il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo (Cass. n. 16846/2005; ; conf. Cass. n. 974/2007; Cass. n. 20828/2009), con l'effetto che l'eccezione d'inadempimento, ex art. 1460 c.c., può essere opposta dal cliente al professionista purché la negligenza sia idonea a incidere sugli interessi del primo, essendo contrario a buona fede l'esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell'attività del professionista, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato il possibile risultato positivo” (Così da Cass. 13207/2021 a Cass. 15032/2021, da Cass. 5429/2021 a Cass. 25464/2020, da Cass. 7309/2017 (che valuta se siano state pregiudicate le chance di vittoria in giudizio e la proporzionalità fra i rispettivi inadempimenti) a Cass. 25894/2016. Diverso discorso vale per le prestazioni di ingegneri e architetti laddove incaricati della redazione di progetti edilizi o di ristrutturazione, considerati obbligazioni di risultato: v. Cass. 3052/2020, Cass. 13880/2018, Cass. 1214/2017).

Non per caso si è sostenuto che la forma intermedia dell'inesatto adempimento rappresenta una categoria dogmatica autonoma, il cui presupposto essenziale consiste in una prestazione non aderente ad un modello di condotta (l'adempimento) - ovvero nei “vizi, difetti o difformità del risultato” oppure nella “inosservanza delle regole della buona tecnica o di massime di esperienza che governano quel tipo di attività” (secondo la configurazione del Mengoni, che prescinde dalla colpa) -, ma la cui “mera allegazione da parte del cliente si pone in evidente contrasto sia con il microsistema complesso sia con la struttura del giudizio di responsabilità” (Per M. Guastadisegni, La responsabilità dell'avvocato per l'inesattezza dell'adempimento: analisi critica e prospettive, in Danno e Resp., 4/2021, 491 ss., “Sotto il primo aspetto, perché degrada a semplici clausole di stile tutti i riferimenti della giurisprudenza alla misura di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c. Sotto il secondo aspetto, il rischio è che il giudizio di responsabilità professionale dell'avvocato estenda il proprio oggetto oltre gli specifici profili di errore, investendo la complessiva attività professionale svolta e disvelando, solo in fase decisionale, l'esistenza di nuovi e specifici obblighi dell'avvocato).

Vi sono, peraltro, molteplici precisazioni che è opportuno segnalare. Anzitutto, vertendosi in contesti nei quali la tutela dei creditori si appalesa prioritaria, i professionisti del debitore e l'attestatore devono, come primo obbligo, saper individuare il più adeguato strumento procedurale apprestato dalla legge per il caso concreto e per il tipo di crisi dell'impresa loro cliente (Trattasi di obblighi di competenza e informativi, pienamente esigibili dai professionisti del settore. Sul tema della competenza si v. Cass. 10289/2015, secondo cui ove la violazione consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, ancorché sollecitati dal cliente stesso, è “compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale; peraltro essendo tenuto l'avvocato ad assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente ed essendo tenuto, tra l'altro, a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole”).

I legali dovranno assicurare che le proposte di regolazione della crisi o dell'insolvenza non contengano aspetti di illegittimità formale e sostanziale e profili obiettivi di inammissibilità, senza che però le questioni di stima e di fattibilità economica possano riverberarsi a proprio danno (per non aver saputo cogliere tali aspetti), dal momento che gli avvocati normalmente ricevono i piani e le asseverazioni nelle ultime ore antecedenti il termine di deposito e, pertanto, non hanno alcuna possibilità di interferire o modificare alcunché.

In ordine al piano da predisporre, sembra utile enunciare il principio (affermato per i medici ma trasponibile alla proposta di soluzioni tecniche per la crisi d'impresa) secondo cui le c.d. linee guida sono solo un parametro di valutazione della condotta del professionista, ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (Cass. 30.11.2018, n. 30998).

Per quanto concerne gli attestatori si è chiarito un punto finora rimasto incerto nella pratica e, cioè, che essi debbano indicare anche i rilevanti atti di disposizione patrimoniale pregiudizievoli per i creditori, commessi in precedenza e ben evincibili dalla contabilità, ove incidano sulla prospettiva della continuità aziendale o siano astrattamente revocabili nel successivo fallimento, onde consentire ai creditori di ponderare gli effetti della procedura alternativa (Cass. 10752/2018, cit.).

Parimenti saranno oggetto di eccezione di inadempimento i comportamenti dei professionisti che abbiano taciuto (conoscendole o dovendole conoscere) condotte fraudolente del proprio cliente, emerse in sede di revoca del concordato ex art. 173 l. fall. (Cass. 15.5.2020, n. 9027).

Non si può, peraltro, sottacere che la sentenza n. 42093/2021 produrrà una serie di conseguenze allarmanti, che qui possono solo accennarsi (Altre considerazioni nella stessa direzione si leggono, proprio con riferimento alle implicazioni della sentenza delle S.U. in commento, in M. Greggio, op.cit.):

a) in primis, la decisione (par. 33, pag. 24) opera una distinzione tra figure professionali tipicamente coinvolte nella ristrutturazione (il legale per la proposizione della domanda, l'attestatore e lo stimatore dei beni oggetto di prelazione) e le altre per le quali la valutazione della strumentalità dell'apporto sarebbe tutta da dimostrare (addirittura l'advisor/finanziario contabile è reputato “professionista all'evidenza aggiuntivo rispetto alle attività di indispensabile allestimento della domanda, così come del piano, della proposta e dei documenti”), con “spostamento ancora più accentuato, in capo al creditore, della rappresentazione e prova di quale sia stata l'adeguatezza del suo ingaggio rispetto all'iniziativa del debitore";

b) le S.U. (par. 37 e 61) lasciano aperto il problema della revocabilità dei pagamenti dei compensi per servizi professionali strumentali all'accesso al concordato, che sarebbero esenti da revocatoria ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. g), l. fall. solo se il successivo concordato venga almeno aperto. Ma così si avrà una diffusa sperequazione, poiché taluni professionisti, più scaltri di altri nel farsi pagare anticipatamente, potranno evitare l'eventuale azione della curatela sol perché un tribunale (magari più sensibile alle istanze economico-sociali di un territorio) è stato “magnanimo” nell'ammettere il concordato, mentre quegli stessi crediti funzionali al c.p. non ammesso (perché il vaglio giudiziale è stato rigoroso) non diventeranno prededucibili nel successivo fallimento, con evidente svantaggio per chi è stato rispettoso verso la massa. Eppure l'art. 18 Direttiva 2019/1023 e il Considerando 69 – “al fine di promuovere una cultura che incoraggi la ristrutturazione preventiva precoce” - prescrivono agli Stati membri di escludere la caducazione (per invalidità o inefficacia o inopponibilità) delle operazioni condotte per le trattative sul piano di ristrutturazione;

c) altro punto foriero di sicure dispute (adombrato nel par. 57 sentenza) è nella instabilità dei crediti prededotti - al contrario di quanto dispone l'art. 6 CCII, che al comma 2 stabilisce che "La prededucibilità permane anche nell'ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali" -, apparendo iniquo che laddove la procedura di concordato preventivo si concluda negativamente per ragioni indipendenti dall'operato del professionista, questi veda nuovamente messo in discussione il suo diritto al compenso da un curatore poco corretto;

d) ma dove si annida il rischio maggiore per le future interpretazioni giurisprudenziali è nell'arbitrario utilizzo dell'eccezione di inadempimento che curatori “questurini” riterranno di sollevare in sede di esame dello stato passivo, sulla scorta di quanto enunciato nei par. 56 e 57 della decisione (si rinvia a quanto sopra descritto, notando come già oggi si assista talvolta nelle verifiche dei crediti all'uso strumentale (così anche M. Greggio, op. cit.) delle argomentazioni delle Sezioni Unite da parte di curatori che neppure conoscono le problematiche dell'istituto di cui all'art. 1460 c.c.).

La diffusione della cultura della prevenzione e del salvataggio dell'impresa in crisi, che impegna gli Stati UE a fornire alle imprese in difficoltà l'accesso a uno o più quadri di ristrutturazione preventiva “al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica”così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale (art. 4 della Direttiva 1023), introduce i principi di semplificazione, celerità, economicità e modernizzazione delle discipline e di prevalenza delle soluzioni negoziate (Cfr. A. Nigro, I principi generali della nuova riforma “organica” delle procedure concorsuali, in Riv. Dir. banca, 1/2020, 12 s.).

Non vorremmo che tali nobili finalità venissero frustrate.

Per chi "suona la campana" dell'onere probatorio in caso d'eccezione di inesatto adempimento da parte del curatore ?

In un contesto di tal guisa, in cui il rischio non tanto, non solo è il mancato riconoscimento della prededuzione, ma ancor prima la stessa ammissione del credito professionale, assume non poco rilievo, come già supra accennato, indagare come la Suprema Corte si ponga rispetto al tema dell'onus probandi.

Anzitutto, per come prospettate anche nel principio di diritto, la prova delle tre condizioni per aspirare alla prededuzione (apertura della procedura, che resti tale sino a permettere ai creditori di potersi esprimere istituzionalmente sulla stessa ed infine funzionalità dell'attività professionale rispetto alla causa concreta di tale procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso al giudice, alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali) compete al professionista, quale complesso dei fatti costituivi della relativa domanda di ammissione al passivo.

Dimostrare tale conservazione o incremento, pur se la valutazione dovrà avvenire con prognosi postuma, non sarà per nulla semplice in concreto.

E, come dicevamo supra, non pensiamo di predire un futuro improbabile se assumiamo che non ci sarà piano o attestazione che tenga o domanda di concordato ben congegnata che poi, in caso di intervenuto fallimento, non risulti comunque contestata come inidonea in proposito dopo questa pronuncia delle Sezioni Unite.

Se il concordato, pur ammesso, non risulterà poi omologato, anche solo per mancato raggiungimento delle maggioranze, nella prassi non sarà per nulla semplice per i relativi professionisti aspiranti alla prededuzione (e, come vedremo, ancor prima alla stessa ammissione) dimostrare il predetto “contributo”, salvo in quei pochissimi casi in cui, pur non omologato, la gestione caratteristica del concordato abbia germinato utili o si sia mantenuta in equilibrio.

Salvo non sentirsi contestare che, comunque, l'entità dei compensi prededucibili o comunque delle maturate prededuzioni andrebbero ad elidere tali vantaggi.

In fondo, il passo sarebbe breve quanto facile da compiere dinanzi ad una Suprema Corte nel suo massimo consesso, che svilisce in modo sensibile tutti gli effetti conseguenti al deposito della domanda di concordato preventivo (par. 24, pagg. 19/20 sent.), invece obiettivamente vantaggiosi per il concorso: dal blocco delle azioni esecutive e dell'efficacia delle formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, comprese le ipoteche iscritte nei 90 giorni antecedenti al concordato (e quindi alla garanzia di pariteticità nel concorso) alla cristallizzazione dei crediti (anche in punto di blocco dei gravosi interessi ex D.Lgs. 231/2002), passando da un controllo giurisdizionale sugli atti frodatori ante e durante il concordato, come su quelli di straordinaria amministrazione (anche in chiave di favor massimo della competizione in caso di atti ablativi) e comunque su tutti gli atti generanti prededuzione ove non “legalmente” compiuti, fermo in tutti i casi il “faro” penalistico di cui agli artt. 236 ss l. fall.); peraltro senza dimenticare che solo con la presentazione della domanda di concordato preventivo si ha l'immediato effetto del blocco dei termini per le azioni revocatorie, che invece continuano a decorrere durante l'istruttoria prefallimentare ove non preceduta dalla predetta domanda.

E spiace dover leggere anche che uno dei principali problemi sarebbe rappresentato dal maturare di ulteriori prededuzioni endoconcordatarie, tra l'altro come se i presidi di legge al riguardo non esistessero: dalla necessaria autorizzazione per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione di cui all'art. 161, comma 7, l.fall., alla necessità che si tratti di atti comunque “legalmente” (Cass., 29.5.2019, nn. 1471314733, in ilcodicedeiconcordati.it) resi, ove di natura ordinaria, oppure concernenti la prosecuzione di rapporti ex art. 169-bis, comma 2, l. fall. (e volendo tralasciare le autorizzazioni giudiziali per i vari finanziamenti) (autorizzazioni endoconcordatarie che comunque ne garantiscono la stabilità anche in sede fallimentare; cfr. Cass. 41772/2021. Sembra, invero, orientarsi in senso opposto Cass. 13537/2017).

E poi in un contesto in cui il Tribunale può bloccare in ogni momento la procedura ai sensi dei commi 6 e 8 dell'art. 161 cit. e in cui i creditori sono attori tanto sempre informati, con le varie relazioni mensili di cui al comma 8 cit., quanto attivi con eventuali denunce ex artt. 161, comma 6 - 173 l. fall. o richiesta di ascolto ai sensi del medesimo comma 8.

Fortunatamente la Suprema Corte, pur se a sezione semplice, si è già pronunciata post Sezioni Unite, tornando a valorizzare l'indubbia valenza a tutela del concorso rappresentata già del deposito di una domanda di concordato preventivo: “in proposito, si è evidenziato anche, richiamandosi un'affermazione compiuta in riferimento ad altri aspetti dell'istituto in esame, che la presentazione della domanda di concordato risulta di per sé sufficiente a determinare l'acquisto dello status di debitore concordatario, indipendente- mente dalla successiva pronuncia del decreto di cui all'art. 163 l.fall. , in quanto comporta,oltre alla costituzione del rapporto processuale con il giudice chiamato a pronunciare su di essa, l'instaurazione di un regime di controllo sull'amministrazione e di relativa insensibilità del patrimonio alle iniziative di terzi” (Cass. 5 gennaio 2022, n. 215).

Passando ora all'aspetto pregiudiziale rispetto alla prededuzione, cioè al tema dell'ammissione del credito professionale, e segnatamente alla problematica della prova dell'adempimento, recte dell'esatto adempimento, con prestazioni prive di eccedentarietà e in ogni caso di intenti frodatori, le Sezioni Unite, pur non essendo il tema in disputa oggetto del ricorso, precisano che (par. 56/60, pagg. 39/43 sent.):

i) trattandosi di eccezione in senso stretto, non rilevabile dunque d'ufficio, grava sul curatore, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l'onere di precisa allegazione dell'eccezione “che il prestatore ha causalmente contribuito all'allestimento di un concordato in realtà privo della sua causa concreta, cioè inidoneo al superamento della crisi d'impresa attraverso la regolazione cui è vocata la procedura, in tal modo giustificando la non ammissione al passivo, totale o parziale, essendosi interrotto il nesso funzionale tra prestazione professionale e procedura stessa”;

ii) eccezione che comunque può essere sollevata dal curatore anche “contestando la non corretta esecuzione della prestazione o anche la sua inutilità per la massa o la solo parziale utilità (con riduzione del quantum ammissibile: Cass. 14050/2021) o l'incompleto adempimento (sulla base del criterio di corrispettività ed essendo parzialmente nulle le clausole di insindacabilità del compenso a forfait: Cass. 7974/2018)”;

iii) di contro, sul professionista istante “- al di fuori di una obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura - ricade l'onere di dimostrare l'esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l'imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili dell'evoluzione dannosa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento”;

iv) come sempre sul professionista grava l'onus probandi in ordine alla ricorrenza dell'esimente di cui all'art.2236 c.c. sui problemi tecnici di speciale difficoltà, “e, considerato che la stessa norma appare specificativa dell'art. 1176, comma 2, c.c., ciò conduce ad affermare che la perizia esigibile dal professionista della crisi sia quella della completezza informativa e proporzionalità dell'apporto rispetto alle finalità specifiche della proceduraconcorsuale cui il debitore intende accedere o che si propone di completare, in tale limite consistendone la qualità media, andando esente da responsabilità ove quella richiestagli sia eccedente, ma dovendo egli a sua volta dimostrare tale circostanza di ingaggio (Cass. 10752/2018)”.

Alcune notazioni si impongono.

Anzitutto sembra indubbio che le considerazioni sub i) appaiono in qualche modo sovrapponibili rispetto alla tematica della funzionalità finalizzata alla (però) succedanea valutazione sulla prededuzione, a conferma quasi di un “fuoco di sbarramento“ avverso i crediti professionali pro imprenditore in crisi ogni qual volta il tentativo concordatario non vada a buon fine, anche a prescindere dall'imputabilità dell'inadempimento, recte del raggiungimento del risultato dell'omologazione del concordato (evento ovviamente ben diverso dall' obbligazione di rendere adeguate prestazioni intellettuali in relazione al tentativo di superamento della crisi, cui solo sono invece tenuti, come già visto supra, i professionisti a vario titolo chiamati a supportare l'imprenditore in crisi), perché seguendo questa linea interpretativa a questo esito si rischierà di giungere, almeno nella prassi dei Giudici di merito, peraltro spesso già inclini in tal senso (emblematica in tal senso è una recente statuizione di legittimità, in cui l'attestatore, non ammesso, si era limitato a richiedere il privilegio: “Per concludere, il tribunale, nel sostenere che le due relazioni attestative risultano «ab origine prive di alcuna utilità per la massa dei creditori», sembra fare una qualche confusione tra il piano dell'inadempimento o inesatto adempimento dell'obbligazione dell'attestatore: cfr. Cass. 14050/2021 in caso di adempimento solo parziale) e quello della funzionalità dell'attestazione alle finalità istituzionali della procedura concordataria, che giustifica, secondo un giudizio di utilità ex ante, la prededucibilità del credito”: Cass. 18.1.2022, n. 1492, enfasi aggiunta).

Va detto che la Corte sembra avere piena consapevolezza del “rischio” di un tale scenario da miscellanea di concetti, allorché aggiunge le predette considerazioni sub ii) - peraltro anch'esse fonte di commistione tra tutele di interessi propri del debitore e interessi della massa dei creditori, che dovrebbero essere demandate a soggetti diversi dal professionista debitoris (quantomeno ove si pensi agli advisors legale, aziendale e contabile, i quali hanno di mira – recte, come causa concreta a base del loro contratto di ingaggio - la tutela del solo interesse (e non potrebbe essere diversamente) del proprio cliente in crisi, fermo ovviamente il non concorrere con lui nel compimento di atti che si appalesino fonte di illeciti pregiudizi a danno dei creditori, anche durante la fase concordataria per violazione dei disposti degli art.2086 c.c. e artt. 3 e 4 CCII, considerato comunque l'obbligo di indirizzamento del cliente a scelte conformi a legge: cfr. Cass. 20379/2013).

Si orientano invece verso una tutela diretta anche dei creditori sociali gli interventi dell'attestatore, nonché del professionista di cui all'art.160, comma 2, l.fall., essendo palese che le loro relazioni abbiano contenuti posti (anche) a loro salvaguardia, impegnando dunque ben più ampiamente la loro responsabilità, che potrebbe qualificarsi, come già accennato, da “contatto sociale qualificato” (pur non esprimendosi negli esatti termini, giunge sostanzialmente alla stesse conclusioni Cass. 10752/2018, cit., (quantomeno ove si pensi agli advisors legale, aziendale e contabile, i quali hanno di mira – recte, come causa concreta a base del loro contratto di ingaggio - la tutela del solo interesse (e non potrebbe essere diversamente) del proprio cliente in crisi, fermo ovviamente il non concorrere con lui nel compimento di atti che si appalesino fonte di illeciti pregiudizi a danno dei creditori, anche durante la fase concordataria per violazione dei disposti degli art. 2086 c.c. e artt. 3 e 4 CCII, considerato comunque l'obbligo di indirizzamento del cliente a scelte conformi a legge (cfr. Cass. 20379/2013) -, tra l'altro precisando che al professionista incombe, pur se alternativamente rispetto all' “esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera”, l'onere di dimostrare “l'imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili dell'evoluzione dannosa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento”.

Cioè richiamando un concetto, quale quello dell'imprevedibilità, che sarà ben difficilmente configurabile e che, in sostanza, presuppone una “presunzione” (almeno per come la Corte pone l'assunto) di colpa grave o dolo nell'agire del professionista al lume di quanto argomentabile ex art. 1225 c.c. in tema di risarcimento del danno, che però, come è intuitivo, nulla ha a che vedere con l'eccezione di inesatto inadempimento ex art. 1460 c.c., tesa solo a paralizzare il totale o parziale diritto alla controprestazione del professionista (M. Fabiani, op. cit.).

D'altro canto, la pretesa risarcitoria, oltre a presupporre la sussistenza di un inadempimento, impone anche la prova del danno subito dal debitore concordatario poi fallito (visto che il Curatore normalmente agisce in sua vece resistendo alle pretese del professionista) (e, visto l'art. 81 c.p.c. - anche in relazione all'eccezionalità della previsione dell'art. 146 l. fall. -, non potrebbe essere altrimenti anche in sede di accertamento del passivo, salvo che per le eccezioni di inefficacia/inopponibilità, di cui alla parte finale del primo comma dell'art. 95 l.fall., invocabili dal curatore quale terzo rappresentante gli interessi della massa dei creditori (e neppure sempre e comunque: v. ad es. Cass. 22666/2021). Ovviamente fermo il diritto di ogni creditore concorrente di direttamente invocare, ex artt. 95 e 98 l.fall. e con gli oneri probatori del caso, eventuali eccezioni per cui assuma e dimostri di essere portare di un diretto interesse a contraddire rispetto alle pretese del professionista, naturalmente in aggiunta a tutte le eccezioni proponibili tipicamente dal curatore in sede di accertamento del passivo: cfr. ex multis, Cass.36543/2021), prova indubbiamente non sempre di agevole dimostrazione ma che, rappresentando un elemento costitutivo della pretesa dannosa opposta in compensazione, dovrà essere offerta dal Curatore (Ove anche la si voglia ritenere offribile per il danno provocato alla massa dei creditori, come ricavabile implicitamente, quantunque acriticamente, da parte motiva di Cass. 24.9.2018, n. 22467 (ove anche la si voglia ritenere offribile per il danno provocato alla massa dei creditori, come ricavabile implicitamente, quantunque acriticamente, da parte motiva di Cass. 24.9.2018, n. 22467), il quale comunque potrà giovarsi del vantaggio che il risarcimento del danno può essere riconosciuto, qualora dimostrato, ove pure l'inadempimento risulti di scarsa importanza (Cass. 25.2.2022, n. 2223, secondo cui l'art. 1455 c.c. consente al contraente di risolvere il contratto nel caso d'inadempimento di non lieve entità dell'altra parte, ma la condanna del debitore inadempiente al risarcimento del danno può essere pronunziata anche quando, per la scarsa importanza dell'inadempimento, non possa farsi luogo alla risoluzione).

Comunque, ciò che sorprende di più è che le Sezioni Unite abbiano omesso di riferire che sul delicato tema dell'onere della prova, almeno allorché si discetta, come spesso accade, di eccezione di inesatto adempimento (e quindi non di mancato adempimento della prestazione professionale), esiste un nutrito filone giurisprudenziale, in linea assolutamente contrapposta a quella fatta propria, peraltro senza alcuna particolare motivazione o rinvio, dalla decisione in commento, formatosi semprerispetto alle attività rese dai professionisti nella crisi d'impresa, secondo cui le prestazioni dell'attestatore, dello stimatore titolato, del professionista redattore o coadiutore del piano in preparazione, del legale redigente la domanda (con crediti nella fattispecie pagati), per un verso integrano attività almeno astrattamente collocabili in relazione alla procedura instauranda o pendente (già con il deposito della domanda giudiziale) e per altro verso interrogano un preliminare e parallelo quesito sulla ragione per la quale dovrebbero essere considerate eccedenti l'ordinaria amministrazione. Non basta invero nè il loro costo assolto in modo diretto dal debitore (…), nè la datazione temporale del pagamento (a concordato pendente) per trasformare i relativi atti solutori in straordinaria amministrazione. Dovendo dunque incentrarsi la presente disamina su tale ultima tipologia, avendo la censura investito la pronuncia di inammissibilitàL. Fall., ex art. 173,si può sostenere che vi rientrano le spese e gli impegni propri di una attività non corrente dell'impresa, nè intrinsecamente coerenti con un complessivo allestimento degli atti necessari all'instaurazione o all'ordinata evoluzione della procedura concorsuale; vi fuoriescono invece, dunque non necessitando di alcuna autorizzazione giudiziale, le operazioni - come accaduto nella specie - enunciativamente richieste dalla legge stessa e ragionevolmente proprie di una prassi attinente all'obbligatorio complessivo corredo della domanda di apertura della procedura concorsuale, competendo all'organo concorsuale che ne invochi l'eccedentarietà rispetto a tale scopo dimostrarne(anche solo per una eventuale parte) superfluità ovvero casualità di assunzione quanto al profilo debitorio che ne sia scaturito oltre che l'intento frodatorio” (Cass. 280/2017, cit. In senso conforme Cass. 9.10.2018, n. 24794; Cass. 17.5.2021, n. 13207; contra, Cass. 12.6.2019, n. 15823, nel solco tracciato da Cass. S.U. 30.10.2001, n. 13533, cit., pur se con riferimento, come già accennato, ad una fattispecie afferente una tipologia di prestazione ben diversa (realizzazione di un manufatto) da quella professionale).

D'altra parte, diversamente opinando, verrebbe posta a carico del professionista la prova, quasi diabolica, su fatti essenzialmente negativi: assenza di superfluità, di casualità o di intento frodatorio, per restare alle assunzioni della predetta decisione (Cfr. Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533, cit., secondo cui nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative la prova dell'inadempimento stesso, anziché essere a carico del debitore (il professionista nel nostro caso) come di regola, ricade sempre sul creditore (il cliente, recte il curatore nel nostro caso) anche nell'ipotesi in cui agisca per l'adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).

Peraltro giova anche ribadire che “l'eccezione d'inadempimento, ex art. 1460 c.c., può essere opposta dal cliente al professionista che abbia violato l'obbligo di diligenza professionale, purché la negligenza sia idonea a incidere sugli interessi del primo, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole della sua attività ed essendo contrario a buona fede l'esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell'attività del professionista, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato il possibile risultato positivo” (Cass. 17.5.2021, n. 13207, cit.).

Conclusioni

Naturalmente - e per tirare così le fila di questo lungo excursus - si impone il doveroso rispetto del decisum della Suprema Corte nei suoi massimi Consessi.

Ma faremmo un pessimo servizio al Diritto Concorsuale - e prima ancora al Diritto dei Contratti - se non evidenziassimo quelli che potrebbero esserne anche i limiti.

Per come, infatti, proposta, l'irta scalata alla prededuzione, sommessamente non sempre per versanti che appaiono praticabili, rischia di attentare all'essenza stessa della causa del contratto professionale (Che anche nella crisi d'impresa non perde la sua autonomia, quasi a confondersi con la “causa concreta” dello strumento concorsuale prescelto dal debitore nel confronto con i suoi consulenti. Come non accade, non può accadere rispetto ai contratti di chiunque altri nell'ordinarietà legalmente operi con l'imprenditore in crisi, dispensando fiducia e richiedendola. Anche perché l'attività d'impresa “diviene criterio di selezione degli interessi da tutelare, attraverso (nuove) disposizioni sul diritto della crisi e dell'insolvenza, organizzate in una normativa autonoma e dunque “speciale” rispetto al diritto comune, cui non si può tuttavia non dover rendere ragione sul piano sistematico complessivo”; enfasi nostra: v. F. Macario, La funzione del contratto nella gestione della crisi: atti di autonomia privata e attività d'impresa, in Questionegiustizia.it, fasc. 2/2019), con un sostanziale obbligo di risultato per le “partite iva” che, pur se formalmente abiurato, nella sostanza vi aleggia a più riprese, sino a rischiare di compromettere, non solo il diritto alla prededuzione, ma ancor prima la stessa ammissione del credito, anche per un improprio accollo dell' onere probatorio a carico del professionista che pur solo a questo aspiri.

Dinanzi al profilarsi di interessi in conflitto e delle conseguenti controversie sulla questione del più o meno esatto adempimento professionale non è fuori luogo evocare il dilemma posto oltre 40 anni orsono da Guido Calabresi e Phil Bobbit, attinente alla scelta che l'ordinamento o gli interpreti sono chiamati a compiere in condizioni di contrapposizione di valori e/o interessi; in un recente saggio Denozza (F. Denozza, Tragic choices in Covid times: reaping the bitter fruits of social inequality, in rivistaodc.eu, fasc. 3/2020) ha aggiornato l'insegnamento del noto Giurista italo-americano, precisando che, in un contesto in cui domina un senso di ragionevolezza e di solidarietà – che probabilmente la comunità italiana deve recuperare più di altre -, le decisioni devono essere giudicate non solo per il rapporto tra i costi e i benefici che generano, ma soprattutto per il modo in cui li distribuiscono.

Se assumiamo fin da oggi che i sacrifici debbano essere equamente condivisi, la prospettiva cambia radicalmente e una discussione possibilmente pacata sulle ragioni a favore dell'una o dell'altra opzione può sostituire lo scontro quasi ideologico tra interessi che appaiono incompatibili e che comunque restituiscono una visione contrapposta della gestione del diritto della crisi d'impresa, anche nelle sue inevitabili interferenze con quello dei contratti, spesso non funzionale alle finalità di fondo che lo sottendono e quindi, in ultima analisi, alle stesse scelte legislative poste. Con il che, anche in questo campo, verrebbe ad affermarsi una “concorsualità liquida”, di cui nessuno sente il bisogno.

*L'articolo è frutto del comune pensiero degli Autori, così come le conclusioni; solo per completezza si precisa che ad A. Pezzano sono attribuibili i par. 1-3 e 6, mentre a L.A. Bottai i par. 4 e 5.

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