L'efficacia vincolante del contratto collettivo, per recepimento implicito da condotta concludente

Paolo Patrizio
31 Marzo 2022

I contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959, n. 741...
Massima

I contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto.

Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compite di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata.

Il caso

Un dipendente di una nota Società laziale propone ricorso dinanzi al Tribunale di Viterbo lamentando l'illegittima disapplicazione, da parte della datrice di lavoro, del contratto integrativo interaziendale ed, in particolare, della clausola relativa al pagamento di un premio di partecipazione.

La Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Viterbo, accoglieva la domanda del lavoratore con conseguente condanna della società al pagamento della parte variabile del premio di partecipazione previsto nel contratto aziendale disapplicato.

Secondo la Corte territoriale, infatti, dagli elementi istruttori, di fonte documentale, emergeva chiaramente che la società, anche dopo aver receduto dall'associazione nazionale di rappresentanza datoriale, aveva continuato ad erogare ai lavoratori diverse voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie previste dal contratto integrativo interaziendale, sicché risultava illegittimo il rifiuto di pagare l'ulteriore voce del premio di partecipazione.

Inoltre, secondo la Corte, il contratto integrativo interaziendale aveva un termine annuale di efficacia (con clausola di rinnovo anno per anno, salvo disdetta) che lo qualificava come contratto a tempo determinato, avverso il quale non era configurabile la libera recedibilità.

La società datrice di lavoro decideva pertanto di ricorrere alla Suprema Corte per sopporre il caso al vaglio giudiziale in sede di legittimità, invocandone la cassazione.

Per la società ricorrente, invero, la Corte distrettuale avrebbe, da un lato, trascurato che i contratti collettivi sono contratti di diritto comune e che il recesso dall'associazione datoriale comporta una legittima e automatica disapplicazione del contratto integrativo interaziendale, non avendo, la società, mai sottoscritto quest'ultimo; e, dall'altro, come in ogni caso la scelta di continuare ad applicare alcune voci retributive previste dal suddetto contratto integrativo interaziendale non legittimasse le aspettative del lavoratore circa l'applicazione di tutte le clausole del contratto.

La questione

La decisione in esame involge la tematica della vincolatività o meno della contrattazione collettiva, non avente efficacia erga omnes, per l'ipotesi in cui le parti della vicenda lavorativa, pur se non iscritte alle associazioni stipulanti, abbiano implicitamente recepito i patti collettivi attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto.

La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso presentato dalla società datrice di lavoro, ha confermato la validità della decisione assunta dai giudici di secondo grado, evidenziandone il rispetto dei principi di diritto più volte sanciti in materia.

In particolare, la Corte di merito aveva rilevato come la società datrice di lavoro, anche dopo l'intervenuta disdetta dall'associazione sindacale dei datori di lavoro (Confindustria), avesse continuato ad erogare al dipendente tante e significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste proprio dal contratto integrativo interaziendale (come "ex ristrutturazione salariale", "premio di produzione", "premio di produttività e qualità", "premio di partecipazione - parte fissa", "buoni pasto").

Per gli Ermellini, dunque, il Giudice d'appello avrebbe correttamente desunto, dalla costante e prolungata applicazione di tali istituti, come la società datrice, pur non appartenendo più all'associazione sindacale dei datori di lavoro (Confindustria), implicitamente avesse mantenuto l'applicazione della contrattazione collettiva, non senza sottolineare, in ogni caso, come la valutazione che porta a ritenere sussistente l'implicito recepimento di un contratto collettivo attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole al singolo rapporto costituisca un accertamento di fatto spettante al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

La Suprema Corte, dunque, conclude richiamando il proprio orientamento per cui “…i contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compite di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata …”.

Osservazioni

La pronuncia in commento ci consente di avanzare alcune osservazioni in merito alla tematica sempreverde dell'efficacia vincolante del contratto collettivo di diritto comune, alla luce della evoluzione post corporativa che ne ha caratterizzato l'incedere.

Come è noto, il previgente sistema corporativo riconosceva ai sindacati registrati la rappresentanza istituzionale dei propri iscritti, in quanto appartenenti a determinate categorie che venivano individuate in sede amministrativa in relazione a tipologia, numero ed estensione.

Era, dunque, di diretta promanazione legislativa il potere attribuito ai sindacati registrati di stipulare contratti collettivi aventi efficacia vincolante nei confronti di tutti i soggetti appartenenti alle varie categorie e da considerarsi, dunque, all'interno di tali comparti, con valenza erga omnes, quale fonte di regolamentazione obbligatoria dei sottostanti rapporti di lavoro.

Con il superamento del sistema corporativo, tuttavia, il contesto generale viene a mutare completamente, in quanto i sindacati perdono la loro investitura istituzionale ed il conseguente potere di rappresentanza e vincolatività categoriale attribuito per legge, sul presupposto, sotteso all'estensione massima del principio di libertà sindacale, di poter individuare l'ambito delle categorie di cui intendono farsi espressione e l'ambito di efficacia del contratto collettivo.

Mediante il ricorso a tale previsione strutturale di efficacia delegata fondata sul rinvio alla contrattazione collettiva nella disciplina dei rapporti di lavoro, si è dunque tentato di adeguare l'assetto della negoziazione sindacale, articolandola come strumento socialmente in termini di flessibilità, vicinanza agli interessi concreti coinvolti e, quindi, di capacità di attirare consenso alle norme da parte dei relativi destinatari.

Sotto altro profilo, tuttavia, è immediatamente sorto il problema di dare adeguata copertura giuridica al meccanismo di vincolatività a caduta del contratto stipulato a livello collettivo tra associazioni sindacali, rispetto alla sfera giuridica dei singoli protagonisti dell'effettivo rapporto di lavoro, ovvero datore e lavoratore.

Ecco allora che si è fatto riferimento al contratto collettivo di lavoro come atto di natura negoziale e privatistica e, pertanto, alla figura del contratto di diritto comune, che non ha efficacia generalizzata (ossia erga omnes) e che, in base al principio di libertà sindacale (di cui all'art. 39, co. 1, Cost.) ed ai principi del diritto comune (artt. 1321 e 1372 c.c.), non può vincolare i datori di lavoro ed i lavoratori in mancanza di un loro atto di volontà (iscrizione sindacale, adesione, recepimento) idoneo a manifestare la comune intenzione di accettare che il rapporto di lavoro tra essi intercorrente sia sottoposto alla disciplina del contratto collettivo.

Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti «il contratto collettivo ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione» (Cass. SS.UU., 26 marzo 1997, n. 2665), posto che «…dal principio della libertà sindacale, tutelato non soltanto dal richiamato art. 39 Cost. ma anche dal precedente art. 2 poiché il sindacato rientra fra le “formazioni sociali” ivi previste, deriva l'impossibilità di applicare un contratto collettivo di diritto privato, vale a dire non imposto erga omnes, a persone che non vi abbiano direttamente o indirettamente aderito e che vi sarebbero assoggettate in base a definizioni o delimitazioni autoritative».

Il primo presupposto di “vincolatività derivata” del contratto collettivo affonda, dunque, le proprie radici nella figura giuridica della rappresentanza e nello strumento del mandato che, con l'adesione all'organizzazione sindacale, il soggetto va a conferire alla propria associazione stipulante.

Ne consegue, in prima battuta, che solo il datore di lavoro iscritto all'organizzazione sindacale dei datori di lavoro è tenuto all'applicazione del contratto collettivo nei confronti dei lavoratori sindacalmente associati, con l'ulteriore conseguenza che il datore di lavoro che receda dalla propria organizzazione si libera dall'obbligo di applicare i contratti collettivi stipulati successivamente al recesso, se pur vincolato fino alla scadenza all'applicazione di quello vigente nel momento in cui il recesso si è verificato.

Dunque, qualunque rinvio normativo alla contrattazione collettiva deve essere interpretato come operato ad un'autonomia che può esplicarsi solo nei confronti degli iscritti alle organizzazioni stipulanti ed ai non dissenzienti. Una diversa soluzione ermeneutica, che sostenesse l'efficacia erga omnes di tale contrattazione, potrebbe essere legittima costituzionalmente solo in presenza dell'attuazione della seconda parte dell'art. 39 cit. o di una sua modifica o abrogazione.

Anche in mancanza del requisito dell'iscrizione alle organizzazioni sindacali stipulanti, tuttavia, il contratto collettivo può esplicare efficacia regolamentare diretta nel singolo rapporto di lavoro sottostante è ciò si verifica per l'ipotesi in cui le parti individuali vi abbiano dato esplicita o implicita adesione.

Il primo caso si verifica normalmente quando il contratto individuale rinvia alla disciplina collettiva. Avendo accetto il contratto collettivo quale fonte regolatrice, il datore non si può più liberare unilateralmente dal vincolo, indipendentemente dalle proprie vicende associative.

Il secondo caso si verifica, invece, quando il contratto collettivo è spontaneamente e concretamente applicato dalle parti, le quali regolano la propria vicenda lavorativa mediante l'inserimento di varie clausole e previsioni di fonte collettiva, da cui consegue la necessaria operatività di tale disciplina pattizia nella sua integralità, non essendo a questo punto ammissibili deroghe in pejus derivanti da richiami parziali a singole opzioni attuative.

E' proprio in tale ultimo contesto che si iscrive, dunque, la pronuncia in commento, con cui la Cassazione, facendo seguito al proprio costante orientamento, riconferma come “…i contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto…”.

Se è condivisibile, invero, che i contratti collettivi sono contratti di diritto comune e che il recesso dall'associazione datoriale comporta, di norma, una legittima e automatica disapplicazione del contratto integrativo interaziendale; è altrettanto vero che, nella fattispecie in esame, la società datrice di lavoro, anche dopo l'intervenuta disdetta dall'associazione sindacale dei datori di lavoro (Confindustria) ha continuato ad erogare al dipendente tante e significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste proprio dal contratto integrativo interaziendale (come "ex ristrutturazione salariale", "premio di produzione", "premio di produttività e qualità", "premio di partecipazione - parte fissa", "buoni pasto"), così da determinare il mantenimento implicito e per fatti concludenti dell'applicazione della contrattazione collettiva.

Ancora una volta, dunque, l'esercizio implicito della libertà sindacale, sotto forma di recepimento indiretto delle previsioni di matrice negoziale a carattere collettivo ad opera delle parti individuali non iscritte alle organizzazioni stipulanti, consente di rilevare una “vincolatività derivata” della disciplina pattizia delle parti sociali sottratta alla disponibilità dei singoli, a conferma della visione espansiva del sistema di regolamentazione collettiva in epoca post corporativa.

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