Pagamenti preferenziali e lesione della par condicio creditorum: presupposti dell'azione risarcitoria promossa dalla curatela fallimentare
01 Aprile 2022
Massime
Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. Nel caso di violazione della par condicio creditorum il danno per i creditori sociali deve essere parametrato in riferimento alla struttura del concorso e, quindi, quantificato nell'ammontare del pagamento ricevuto dai beneficiari solo per la parte superiore a quella alla quale avrebbero avuto diritto in sede di riparto concorsuale. (Trib. Milano, 13 maggio 2021)
Quando una società si trova in uno stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione, quindi in violazione della par condicio creditorum, costituisce un fatto generativo di responsabilità per gli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell'integrità del patrimonio sociale. Il danno da pagamento preferenziale è costituito dalla minor soddisfazione che il credito riceve per effetto del compimento dell'atto illegittimo, e tale criterio di liquidazione è un chiaro sintomo dell'operatività del principio della par condicio creditorum in presenza di insufficienza patrimoniale. (Trib. Milano, 14 settembre 2021) Il caso
Nelle pronunce in rassegna il Tribunale di Milano è stato chiamato a pronunciarsi su un'azione di responsabilità proposta dal curatore del fallimento di una s.r.l. nei confronti dell'ex amministratore per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dagli atti di mala gestio compiuti manente officio. In particolare, in ambedue i casi il Tribunale ha dovuto affrontare (essendo, peraltro, sul punto sorta contestazione tra le parti in lite) la questione afferente la legittimazione attiva del curatore a far valere la responsabilità dell'organo gestorio per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione della regola del pari concorso dei creditori. Una volta risolto in senso positivo il nodo interpretativo relativo alla legittimazione attiva del curatore, anche sulla scorta dei noti arresti giurisprudenziali di legittimità che hanno di recente interessato la materia, il Tribunale ha stabilito che nel caso in cui un amministratore effettui pagamenti preferenziali in una situazione di dissesto della Società, questi è tenuto a risarcire la massa dei creditori lesi dal pagamento preferenziale. Il danno in concreto liquidabile è stato individuato nella misura della differenza tra quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato, ed il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito. Muovendo dai principi sopra esposti ma pervenendo ad opposte conclusioni in ordine al raggiungimento della prova del danno da “maggior falcidia”, il Tribunale in un caso (quello deciso il 13 maggio 2021) ha rigettato la domanda e nell'altro (quello definito il 14 settembre 2021) l'ha accolta. Le questioni giuridiche
Come sopra anticipato, nella parte motiva di entrambe le pronunce in commento il Tribunale di Milano ha innanzitutto avuto modo di affrontare la questione relativa alla legittimazione attiva del curatore a far valere la responsabilità dell'organo gestorio per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione della regola del pari concorso dei creditori. Osservazioni
Sul punto, almeno sino ad un non lontano passato, non si è registrata unanimità di consensi in seno alla giurisprudenza. Alla stregua di un primo orientamento (cfr. Trib. Milano, 18 gennaio 2011) il pagamento preferenziale potrebbe arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla Società, in quanto operazione neutra per il patrimonio sociale (che vede diminuire l'attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all'estinzione del debito); di tal ché, ricorrerebbe il difetto di legittimazione attiva del curatore che può ad agire solo per il ristoro del danno subito dalla massa dei creditori e non anche per quelli causati direttamente ed individualmente al singolo creditore. Muovendo dal contrario orientamento di legittimità espresso da Cass. SU n. 1641/2017 (conforme Cass. n. 25610/2018), nelle due pronunce del 2021 il Tribunale di Milano ha riconosciuto la legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori, tanto sulla scorta della condivisibile considerazione che “il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale, cagionata, appunto, dall'inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale”. A venire in rilievo è, dunque, un pregiudizio per il ceto creditorio complessivamente inteso, presupposto questo che legittima il fallimento ad esercitare “l'azione di massa” contro gli amministratori responsabili dei danni.
Non meno importanti risultano le precisazioni compiute dal Giudice meneghino in ordine ai presupposti della responsabilità dell'organo gestorio. In particolare, nella pronuncia del settembre 2021 (ove il tema viene scrutinato in modo approfondito) il Tribunale si sofferma sulla situazione di insufficienza patrimoniale in presenza del quale il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione, quindi in violazione della par condicio creditorum, costituisce un fatto generativo di responsabilità per gli amministratori verso i creditori, evidenziando che la stessa può dirsi integrata “da uno stato di crisi qualificata, assimilabile all'insolvenza, in cui rientra per eccellenza l'insufficienza patrimoniale non riparata ex art. 2447 e 2482 ter c.c.”. In presenza di tali presupposti l'organo gestorio è tenuto ad attuare i principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., “sia per evitare disparità nella gestione di situazioni simili, sia per evitare capricciose distinzioni tra creditori rimesse all'arbitrio del debitore insolvente”. Risultano inoltre degne di nota le considerazioni svolte dal Tribunale in merito al concreto atteggiarsi del principio della par conditio creditorum il quale, lungi dal costituire un “valore assoluto” da salvaguardare sempre e comunque, entra in un rapporto di bilanciamento con gli ulteriori obblighi gravanti sull'amministratore, potenzialmente confliggenti con la necessità di garantire la partita di trattamento dei creditori. Considerato infatti che nella fase della gestione conservativa ex artt. 2484 n. 4 e 2486 c.c. che fa seguito alla erosione del capitale sociale (come anche nella successiva fase liquidatoria) non si versa in una procedura concorsuale giudiziale, il rispetto della par condicio creditorum deve pur sempre essere coniugato con gli altri obblighi gestori concorrenti che sorgono in capo agli amministratori ed, in particolare, quello di gestire la Società in modo conservativo (e di adottare le misure previste dall'ordinamento per superare la crisi e recuperare la continuità aziendale), che possono con quello convergere o divergere sul piano degli effetti economici. In quest'ottica, nel conflitto tra gestione conservativa (ed eventualmente proattiva in chiave di superamento della crisi) e obbligo di rispettare il pari trattamento dei creditori, dovrà, secondo i criteri generali di proporzionalità ed adeguatezza, prevalere la prima quando si possa ritenere che i relativi debiti sono contratti nell'interesse di tutti i creditori (appunto quelli che consentono di conservare l'integrità e valore al patrimonio o magari incrementarlo). In parte qua la pronuncia, che si apprezza per l'intento di evitare che la necessità del rispetto “semper et ubique” della par conditio creditorum vada a pregiudicare la gestione conservativa che gli amministratori sono chiamati ad attuare dopo l'insorgere di una situazione di insufficienza patrimoniale, lascia aperto il problema (non certo secondario) relativo alla concreta individuazione di quei crediti il cui soddisfo sia da ritenersi prioritario per la conservazione del patrimonio sociale e l'eventuale risanamento della società, sì da giustificare uno “strappo” al principio di parità di trattamento tra creditori; tale individuazione non potrà che avvenire avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, considerando debitamente gli effetti che il singolo pagamento è destinato a produrre sul patrimonio sociale, alla stregua di valutazioni di ordine economico, ancor prima che giuridico. Quanto, inoltre, all'elemento soggettivo richiesto ai fini della sussistenza della responsabilità dell'amministratore, la cui condotta integra sul piano oggettivo la fattispecie penale della bancarotta preferenziale (ex art. 216 comma 3 l.fall.), vale evidenziare che l'elemento soggettivo del dolo stabilito per la configurazione del reato non è richiesto anche ai fini del perfezionamento della responsabilità civile; premesso infatti che anche in sede civile l'offensività deve connotare la condotta posta in essere dall'amministratore (qui i pagamenti effettuati, prima dell'apertura della procedura concorsuale, a favore di un creditore ed in danno di altri), perché la fattispecie sia integrata si ritiene sufficiente la colpa dell'agente. Conclusioni
Entrambe le pronunce in rassegna paiono infine di estremo interesse anche per quanto attiene ai criteri di quantificazione dei danni riconducibili alla condotta di mala gestio esaminata. Secondo il Tribunale, nel caso in cui un amministratore effettui pagamenti preferenziali in una situazione di dissesto, questi sarà tenuto a risarcire i creditori lesi dal pagamento preferenziale, ma non per l'intero credito (come pure sostenuto da una parte minoritaria della giurisprudenza), bensì per il danno da “maggior falcidia” dei crediti insinuati al passivo. Questo è rappresentato dalla differenza tra quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato, ed il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito. Sotto il profilo degli oneri probatori e di allegazione gravanti sul fallimento che agisca per il risarcimento di tale danno, vanno richiamati i principi espressi da altra pronuncia del Tribunale di Milano (n. 3090 del 1 giugno 2020), il quale ha evidenziato che deve essere fornita la prova, ma ancor prima e necessariamente l'allegazione: – del passivo fallimentare; – dell'attivo fallimentare; – del riparto effettuato; – del riparto che sarebbe stato effettuato se il pagamento preferenziale non fosse avvenuto ed il creditore preferito si fosse invece insinuato al passivo. In proposito, viene da chiedersi se, almeno nei casi in cui il fallimento non sia in grado di assolvere agli oneri richiesti dalla giurisprudenza per fatto allo stesso non imputabile (si pensi al caso in cui il riparto non sia stato ancora effettuato e non si conoscano i creditori che si insinueranno al passivo, anche alla luce di possibili domande di ammissione tardive) sia possibile effettuare una liquidazione equitativa del pregiudizio che tenga conto - alla luce dei dati disponibili al momento in cui viene introdotta l'azione di responsabilità e di quelli acquisiti successivamente - della probabile misura in cui il credito pagato in violazione del principio di par condicio avrebbe trovato soddisfo in sede concorsuale. Domanda questa che può trovare una risposta di segno positivo a condizione che la curatela fornisca un numero sufficiente di elementi tali da far ritener dimostrato l'an del danno e che il giudice indichi in motivazione, almeno sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del pregiudizio e gli elementi su cui ha basato la sua decisione.
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