Le azioni di recupero nel post-pandemia: quale ruolo per la Guardia di Finanza?

Gina Caggiano
01 Aprile 2022

Il 31 marzo è terminato lo “stato di emergenza”; tuttavia, gli effetti per le imprese potrebbero essere importanti e dopo due anni la tendenza potrebbe nuovamente invertirsi, costringendo i curatori ad effettuare con molta più frequenza le c.d. “azioni recuperatorie di massa”.
Premessa

Il 31 marzo è terminato lo “stato di emergenza” e con esso, si auspica, lo Stato italiano tornerà a riappropriarsi di una rinnovata normalità, che tanto è mancata.

Tuttavia, gli effetti per le imprese potrebbero essere importanti dato che tutti i benefici, le proroghe e gli aiuti dei quali hanno beneficiato negli ultimi due anni ragionevolmente verranno meno.

Difatti, anche se la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto significativo sull'economia italiana, con un calo del PIL dell'8,9% nel 2020, rispetto al 2019 l'anno seguente si sono verificati meno liquidazioni giudiziali e, più in generale, meno uscite dal mercato, un trend confermato anche nel 2021, come segnalato dalla nota "L'impatto del Covid-19 sui fallimenti e le uscite dal mercato delle imprese italiane", curata da ricercatori della Banca d'Italia e diffusa il 24 gennaio scorso.

Le cd. azioni recuperatorie di massa

Dopo due anni la tendenza potrebbe nuovamente invertirsi, costringendo i curatori ad effettuare con molta più frequenza le c.d. “azioni recuperatorie di massa”.

Più in generale, si parla di “azioni recuperatorie” in tutti quei casi in cui i creditori trovano una soddisfazione dei propri interessi creditori a seguito dell'intervento del curatore fallimentare, il quale prende l'iniziativa nei confronti di terzi e ricostruisce il patrimonio dell'imprenditore liquidato.

Questo può accadere solo qualora le azioni protettive del patrimonio non siano state attuate per tempo ovvero non siano state proprio poste in essere.

Le azioni di recupero più tipiche sono le azioni revocatorie ordinarie e fallimentari, di inefficacia, di nullità o di simulazione di atti traslativi compiuti dal debitore, di impugnazione della rinuncia all'eredità, di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci: le medesime che i creditori possono assumere a tutela dei propri diritti secondo il Codice civile, salvo il caso della revocatoria fallimentare.

In questo quadro di rinnovata necessità di una tutela “satisfattiva” dei creditori potrebbe inserirsi anche l'operato della Guardia di Finanza.

Tuttavia, il nuovo Codice della crisi d'impresa, nel Titolo V, quello dedicato alla liquidazione giudiziale, esattamente come la precedente legge fallimentare non fa alcuna menzione della Guardia di finanza quale possibile soggetto attivo delle procedure legate alla ricostruzione del patrimonio, tantomeno ne delinea gli obblighi o le funzioni in relazione all'attività del giudice delegato.

Con la Circolare 7 aprille 2017, n. 109651, il Comando Generale della Guardia di finanza si è espresso escludendo la possibilità di fornire riscontro alle richieste di accertamenti patrimoniali e finanziari nell'ambito dei giudizi riguardanti procedure concorsuali, originate in modo ricorrente da parte di diversi curatori fallimentari, alludendo in particolare a quelle istanze con le quali essi richiedono accertamenti presso i creditori della società liquidata, propedeutici all'azione di recupero crediti del curatore fallimentare.

Le due motivazioni principali risiedono: in primis nel fatto che le indagini finanziare, a causa della loro incisività, sono esperibili soltanto in presenza di un'espressa disposizione normativa e, non meno importante, nella mancata attribuzione al giudice delegato dei poteri di ingerenza e direzione della procedura, essendogli riservati solo poteri di controllo e vigilanza sul procedimento, non potendo di conseguenza richiedere (analogamente ai curatori fallimentari) nessun tipo di indagine finanziaria alla Guardia di Finanza.

Ma il suo contributo sarebbe fondamentale anche e ancor di più nella fase post-pandemica.

Solo che, in definitiva, l'unica modalità per garantire il prezioso contributo dei finanzieri sarebbe ipotizzare la sussistenza di uno dei “reati della crisi d'impresa”, disciplinati dal titolo IX del CCII.

A questo punto interverrebbe, essendo investito del potere di indagine, il Pubblico Ministero, il quale può delegare i militari della Guardia di Finanza nello svolgimento di tutti gli accertamenti e le indagini finanziarie finalizzati a verificare la sussistenza o meno dell'ipotesi di reato, con uno strumento (certo invasivo, ma) di grande utilità ai fini della tutela dei creditori .

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