No al “700” a tutela della retribuzione se manca la prova del pregiudizio imminente e irreparabile di un bene della vita infungibile

Marilita Piromalli
06 Aprile 2022

Il ricorso alla tutela cautelare d'urgenza del credito pecuniario (nella specie, retribuzione) può ammettersi a condizione che la stessa sia rivolta a salvaguardare...
La massima

Il ricorso alla tutela cautelare d'urgenza del credito pecuniario (nella specie, retribuzione) può ammettersi a condizione che la stessa sia rivolta a salvaguardare, non la mera situazione patrimoniale in quanto tale, ma situazioni giuridiche soggettive a tale diritto indissolubilmente ed immediatamente correlate (come il diritto all'integrità fisica o alla salute), che potrebbero essere pregiudicate definitivamente dal ritardo nella soddisfazione del diritto di credito.

Il caso

Un docente a tempo indeterminato di una scuola secondaria superiore nonché esercente la professione forense si rivolgeva al Tribunale di Bergamo al fine di ottenere un provvedimento d'urgenza che lo dispensasse dall'adempimento dell'obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 sancito dall'art. 4 ter D.L. 1° aprile 2021, n. 44, e lo autorizzasse a rendere la prestazione lavorativa “in presenza” con la sola presentazione della certificazione verde base (c.d. “green pass”) o, in via subordinata, mediante didattica a distanza.

Da quanto emerge dalla parte motivazionale del provvedimento in commento, l'azione del ricorrente era diretta a scongiurare la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa e, dunque, in ultima analisi, la perdita della retribuzione per tutto il periodo di efficacia della sospensione medesima.

Trattandosi di un giudizio promosso in via cautelare d'urgenza, venivano prospettati in ricorso il “fumus boni iuris” e il “periculum in mora”.

Quanto al primo, il docente avanzava il proprio diritto di obiezione di coscienza affermando di praticare la fede religiosa cristiana-ortodossa, i cui principi, in ipotesi di sottoposizione al vaccino anti Sars-Cov-2, sarebbero risultati violati in considerazione del fatto che, nella prospettazione dell'istante, nelle fasi di ricerca, sperimentazione e produzione dello stesso fossero state utilizzate linee cellulari embrionali di nascituri da aborti.

Il ricorrente, dunque, legittimava il proprio rifiuto a sottostare a una norma dell'ordinamento giuridico - id est, quella impositiva dell'obbligo vaccinale nei confronti del personale della scuola - perché in inconciliabile contrasto con altro principio fondamentale della sua coscienza quale cristiano ortodosso, vale a dire quello che proibiva il trattamento sanitario (inoculazione del vaccino) per le relative modalità di sperimentazione e produzione.

Sulla scorta di tale ragionamento, l'insegnante sollevava in ricorso la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 D.L. 26 novembre 2021, n. 172 – disposizione introduttiva del sopra citato art. 4 ter – in relazione agli artt. 2, 3 e 19 della Costituzione nella parte in cui non prevede a beneficio dei lavoratori destinatari dell'obbligo vaccinale il diritto di obiezione di coscienza in ipotesi di conflitto grave e insormontabile tra l'obbligo imposto e la loro coscienza o le loro convinzioni religiose.

Quanto al “periculum in mora”, il ricorrente asseriva la sussistenza del danno economico derivante dalla perdita della retribuzione quale conseguenza – legislativamente prevista e, comunque, inevitabile nello schema sinallagmatico tipico dei contratti di lavoro in considerazione della mancata prestazione lavorativa per fatto imputabile al dipendente – della sospensione dal lavoro per carenza di un “requisito essenziale”.

La questione

Il decreto in commento è motivo di interesse in quanto si sofferma sulla questione – comune a parecchi casi che hanno occupato la magistratura del lavoro a seguito dell'introduzione, nell'attuale scenario pandemico, dell'obbligo di vaccinazione anti Sars-Cov-2 – dell'ammissibilità dell'azione dispiegata in via cautelare a tutela di un diritto di credito pecuniario.

Argomentazioni giuridiche

Nelle controversie di lavoro, è piuttosto frequente il ricorso all'azione d'urgenza, la cui disciplina è quella del procedimento cautelare relativo al giudizio ordinario di cognizione (artt. 669-bis e ss. c.p.c.).

L'accoglimento della domanda cautelare non può prescindere dall'allegazione (e prova) dei seguenti elementi: la presumibile fondatezza della domanda, cioè l'esistenza del diritto di cui si chiede la tutela (cd. “fumus boni iuris”); il pregiudizio imminente e irreparabile che subirebbe l'istante avvalendosi degli strumenti processuali ordinari (cd. “periculum in mora”).

Costituisce ius receptum quello secondo cui il “periculum in mora” – che è il requisito su cui si sofferma il provvedimento in commento – non possa ritenersi sussistente in re ipsa né possa essere ravvisato in una qualsiasi violazione dei diritti del ricorrente in sé considerata, ma solo quando tale lesione, in quanto incidente su posizioni giuridiche soggettive a contenuto non patrimoniale e a rilevanza in genere costituzionale a quel diritto strettamente connesse, sia suscettibile di pregiudizio non ristorabile per equivalente.

Ancorché, di regola, si ritenga insussistente l'elemento dell'irreparabilità della lesione con riferimento ai diritti derivanti dai rapporti obbligatori, la giurisprudenza non nega in senso assoluto la tutela cautelare d'urgenza ai crediti pecuniari.

In materia di lavoro, lo stesso Giudice delle leggi ha chiarito che il provvedimento d'urgenza, sebbene finalizzato a tutelare diritti concernenti un bene infungibile (quale non è il denaro atteso il brocardo “genus numquam perit”), è ammissibile a tutela dei crediti di lavoro (nella misura in cui i relativi proventi siano necessari ad assicurare il bene della esistenza libera e dignitosa presidiato dall'art. 36 Cost.), potendo derivare dal loro ritardato soddisfacimento un pregiudizio non riparabile altrimenti (Cass., Sez. Lav., sent. 2 settembre 1997, n. 8773).

Ne consegue che la privazione della retribuzione non è sufficiente di per sé a integrare l'irreparabilità del pregiudizio nelle more della tutela ordinaria, ma solo in quei casi in cui il venir meno del trattamento retributivo determina una situazione economica complessiva particolarmente pregiudizievole o così precaria da risultare inadeguata a fronteggiare i bisogni del lavoratore e della sua famiglia per il tempo necessario a ottenere un giudizio di merito (Trib. Rimini, ord., 12 dicembre 2008).

Secondo gli ordinari principi della prova (art. 2697 c.c.), spetta al ricorrente dimostrare il rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile e tale onere della prova deve essere assolto mediante allegazioni puntuali che consentano alle parti e al giudice di effettuare un'attenta verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente irrimediabile.

Assolto l'onere di allegazione, grava, poi, sull'istante l'onere di fornire elementi di prova in merito alle circostanze dedotte, il cui soddisfacimento è finalizzato al convincimento circa l'indifferibilità del provvedimento d'urgenza.

Orbene, nel caso di specie, sotto il profilo del “periculum in mora”, il docente si è limitato ad affermare la sussistenza del danno economico connesso alla lesione del suo diritto al lavoro.

Il Giudice, chiamato in prima battuta ad analizzare i requisiti di ammissibilità dell'azione, ha evidenziato, in primo luogo, che eventuali pregiudizi economici sono, per definizione, sempre ristorabili e dato atto del fatto che la relativa tutela possa essere riconosciuta alla sola condizione che la stessa sia rivolta a salvaguardare, non la mera situazione patrimoniale del ricorrente in quanto tale, ma situazioni giuridiche soggettive indissolubilmente e immediatamente ad essa correlate (come il diritto all'integrità fisica o alla salute).

Il Giudice, inoltre, ha dato piena applicazione ai principi sopra richiamati in materia di oneri probatori rilevando che la “prova rigorosa del pregiudizio imminente e irreparabile derivante dalla mancata percezione di somme dovute nelle more del giudizio di merito deve essere ovviamente fornita dal ricorrente” e dando rilievo, in proposito, all'imprescindibilità della valutazione in concreto di siffatti elementi.

Nel decreto in commento, si legge che il docente si fosse limitato a dedurre, in via del tutto generica, di svolgere l'attività di insegnamento per sole 18 ore settimanali e di esercitare, al contempo, e da parecchi anni, anche la professione forense, senza, tuttavia, rendere nota quale delle due attività fosse da considerarsi prevalente in termini di ritorno economico.

Ad ogni modo, secondo il Giudice, la sospensione dal lavoro di insegnante per mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale non avrebbe precluso al ricorrente di esercitare l'attività di avvocato “posto che per gli accessi in Tribunale è richiesto solo il green pass cd. base, ottenibile semplicemente a seguito di tampone negativo”.

Secondo il Magistrato, dunque, il ricorrente quanto meno avrebbe dovuto chiarire quale fosse la propria condizione familiare e dare conto dell'esistenza o meno di familiari conviventi, nonché degli ulteriori redditi propri e degli eventuali familiari” in quanto, solo così facendo, avrebbe potuto mettere al suo vaglio l'esistenza del pregiudizio imminente e irreparabile – potenzialmente suscettibile di tutela cautelare - connesso alla sospensione temporanea dalla retribuzione.

In base a tali ragionamenti, il Giudice ha ritenuto certamente inesistente il requisito del “periculum in mora”, ciò rendendo superflua la sua indagine sul “fumus boni iuris”, atteso che la carenza di anche solo uno dei due requisiti rende inammissibile il ricorso alla tutela cautelare.

Chiuso così il caso, anche l'esame della questione di legittimità costituzionale posta dal ricorrente è risultata non necessaria.

Osservazioni

La pronuncia in commento rappresenta un esempio di come il giudice, nei procedimenti cautelari, sia chiamato a eseguire un'indagine molto rigorosa – che si giustifica anche alla luce del carattere di tendenziale stabilità che ha acquisito il provvedimento cautelare con la riforma in materia – sul requisito del “periculum in mora”, non potendosi prescindere, a tale fine, dall'accertamento della sussistenza concreta e attuale del pregiudizio grave e irreparabile del diritto fatto valere.

Il decreto in commento si pone in continuità con la giurisprudenza più recente che si discosta da quelle - meno recenti - decisioni giurisprudenziali in materia di lavoro che, avuto riguardo alla posizione del lavoratore quale “contraente debole” della relazione contrattuale e al potenziale impatto delle vicende lavorative (quali licenziamenti, demansionamenti, trasferimenti, sospensioni, procedimenti disciplinari) su aspetti anche non patrimoniali, affidandosi a clausole di mero stile, tendevano a ritenere sempre presente il requisito del “periculum in mora” nelle controversie di lavoro.

In conclusione, il decreto in commento dimostra come il processo cautelare d'urgenza, quand'anche azionato in relazione a diritti discendenti dai rapporti di lavoro, non possa sfuggire alla funzione che gli è propria, che è quella di assicurare la tutela di diritti che in concreto sono suscettibili di essere concretamente pregiudicati in attesa dell'esito del giudizio di merito (e tali non possono essere i diritti strettamente patrimoniali la cui lesione non sia idonea a incidere su altra sfera soggettiva del lavoratore) e non già quella di servire da comoda scorciatoia ai, senz'altro più dilatati, tempi del processo ordinario.

In senso conforme:

- in tema di legittimità della sospensione dall'attività lavorativa per rifiuto del vaccino non giustificato da un accertato pericolo per la salute e in assenza di mansioni alternative disponibili: cfr. Tribunale Roma, sez. lav., 20 agosto 2021, n. 79835;

- in tema di legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro adottato da una RSA nei confronti di lavoratori renitenti al vaccino: cfr. Tribunale Modena, sez. lav., 23 luglio 2021, n. 2467;

- in tema di infondatezza del ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. esperito da una infermiera professionale avverso il provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione in conseguenza del rifiuto di sottoporsi alla profilassi vaccinale: cfr. Tribunale Catanzaro, Sez. I Civ., 17 dicembre 2021.

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