Integrazione della certificazione notarile ventennale e termine per il deposito della nota di trascrizione

Giulio Cicalese
07 Aprile 2022

Il Tribunale di Verona affronta alcuni rilevanti interrogativi del procedimento espropriativo immobiliare: il g.e. ha il potere di chiedere l'integrazione della certificazione notarile ventennale ritualmente prodotta quando da essa non è possibile ricavare il titolo di provenienza del diritto del debitore sul bene? Il termine di 15 giorni per il deposito della nota di trascrizione previsto dall'art. 557, comma 2, c.p.c. vale anche nel caso in cui alla trascrizione abbia provveduto il creditore?
Massima

Il g.e., sulla scorta del combinato disposto degli artt. 484 e 175 c.p.c., può ordinare l'integrazione del certificato notarile ventennale in tutti i casi in cui esso sia comunque insufficiente per risalire all'atto di acquisto del bene staggito da parte del debitore; l'esercizio di tale potere non costituisce un'indebita rimessione in termini del creditore, poiché l'attuale formulazione dell'art. 567, comma 2, c.p.c. non impone a quest'ultimo di produrre un idoneo titolo di provenienza anche ove esso sia anteriore al ventennio prescritto.

Il termine di 15 giorni per il deposito in cancelleria della nota di trascrizione, previsto dall'art. 557, comma 2, c.p.c. per il caso in cui alla trascrizione del pignoramento vi abbia provveduto l'ufficiale giudiziario, non si applica qualora ad eseguire la trascrizione sia stato direttamente il creditore per il tramite del suo avvocato.

L'errata indicazione del numero civico dell'immobile nell'atto di pignoramento non comporta la sua invalidità, poiché non è uno degli elementi essenziali tassativamente richiesti dal combinato disposto dagli artt. 2826 c.c. e 555, comma 1, c.p.c.

Il caso

Nel corso di un procedimento di vendita forzata immobiliare, il debitore proponeva opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza con la quale il g.e., una volta ricevuta la relazione notarile ventennale relativa a iscrizioni e trascrizioni insistenti sul bene pignorato, ne chiedeva l'integrazione al fine di risalire ad un antecedente titolo di acquisto dell'immobile.

L'esecutato, con il medesimo atto di ricorso, si doleva inoltre del fatto che il g.e. non avesse dichiarato l'estinzione della procedura esecutiva per non aver il creditore depositato entro il termine perentorio di 15 giorni previsto dall'art. 557, comma 2, c.p.c. la nota di trascrizione del pignoramento riconsegnatagli dal conservatore dei registri immobiliari.

Infine, il debitore proponeva un'istanza tesa ad ottenere la declaratoria di improcedibilità dell'esecuzione forzata per l'erronea identificazione dell'immobile nell'atto di pignoramento, essendovi stato indicato un numero civico diverso da quello effettivo.

La questione

In relazione al primo motivo di ricorso, il debitore sosteneva che l'ordinanza di integrazione formulata dal g.e. costituisse un'indebita rimessione in termini del creditore, il quale, nel termine perentorio di 60 giorni previsto dall'art. 567, comma 2, c.p.c., già avrebbe dovuto allegare alla certificazione notarile ventennale l'antecedente titolo di provenienza del diritto dell'esecutato sull'immobile staggito.

Il secondo punto del ricorso, invece, verteva sulla possibilità di applicare il termine di 15 giorni, di norma previsto per il deposito in cancelleria della nota di trascrizione dopo essa sia stata riconsegnata dall'ufficiale giudiziario che abbia personalmente provveduto ai relativi adempimenti, anche alla diversa fattispecie in cui fosse stato l'avvocato del creditore procedente ad effettuare la trascrizione nel vincolo pignoratizio.

Il terzo ed ultimo motivo di ricorso, invece, sottoponeva al g.e. la questione relativa agli elementi essenziali del pignoramento, dovendosi quindi discutere se l'indicazione del numero civico dell'immobile rientrasse tra questi: in caso di risposta affermativa, la conseguenza sarebbe inevitabilmente stata la dichiarazione di chiusura anticipata dall'esecuzione per invalidità del pignoramento.

Le soluzioni giuridiche

Il g.e. ha deciso il ricorso proposto dall'esecutato rigettandolo in tutti i suoi punti, sostenendo innanzitutto che l'allegazione del titolo di provenienza non è un obbligo gravante sul creditore procedente sulla base dell'attuale formulazione dell'art. 567, comma 2, c.p.c. e che il potere officioso di chiedere l'integrazione di una certificazione notarile ventennale già di per sé completa deriva dalla sola necessità di assicurare la stabilità della vendita forzata.

In relazione al secondo motivo, il g.e. ha invece asserito, sulla base di un'interpretazione letterale dell'art. 557, comma 2, c.p.c. (il quale apertamente distingue le ipotesi di trascrizione effettuate dall'u.g. o dal creditore) e di un'analisi della giurisprudenza EDU intorno all'art. 6, p. 1 CEDU, che il termine perentorio di 15 giorni per il deposito in cancelleria della nota di trascrizione non fosse applicabile al caso sottoposto alla sua cognizione.

Infine, attraverso una lettura degli artt. 2826 c.c. e 555, comma 1, c.p.c., il giudice non ha chiuso anticipatamente la procedura esecutiva de qua, non rientrando l'indicazione del numero civico tra gli elementi essenziali alla corretta individuazione dell'immobile nell'atto di pignoramento.

Osservazioni

Nel corso della procedura esecutiva, il giudice aveva ritenuto opportuno disporre l'integrazione della certificazione notarile sostitutiva non perché l'avesse ritenuta priva di tutti i crismi richiesti dall'art. 567, comma 2, c.p.c., ma perché non era possibile desumere dalla stessa un sufficiente grado di certezza in relazione all'appartenenza al debitore dell'immobile pignorato.

In dottrina, ci si è sovente domandati quale sia la fonte di tale potere integrativo di norma riservato al g.e. (cfr., per esempi di questa prassi nella giurisprudenza di merito, Trib. Potenza nn. 967/2011 e 427/2010, App. Napoli n. 4474/2008): l'art. 567, comma 3, 2° periodo c.p.c. attribuisce a quest'ultimo la possibilità di assegnare al creditore procedente un termine di 60 giorni per completare la documentazione prodotta, ma è discusso se tale norma si riferisca a casi come quello in esame (in cui la certificazione notarile ventennale era stata ritualmente prodotta senza però includere l'antecedente titolo di provenienza del bene) o alla diversa fattispecie in cui non risultano prodotti tutti i certificati relativi alle iscrizioni e alle trascrizioni effettuate nei 20 anni precedenti.

La giurisprudenza di legittimità, in un suo discusso precedente (cfr. Cass. civ., n. 15597/2019; contra, Cass. civ., n. 11638/2014), ha affermato che l'applicazione del termine perentorio di 60 giorni di cui dall'art. 567, comma 3, 2° periodo, c.p.c. deve intendersi limitata ai soli casi di certificazione ventennale incompleta, per cui il potere di ordinare l'integrazione in tutte le fattispecie analoghe a quella qui considerata andrebbe individuato negli artt. 484 e 175 c.p.c.: la scelta del legislatore di richiedere i certificati relativi ai 20 anni antecedenti alla trascrizione del pignoramento sarebbe frutto di una mera «sintesi verbale», per cui il g.e., dovendo dirigere un procedimento espropriativo i cui esiti siano caratterizzati da un sufficiente grado di certezza, deve altresì imporre al creditore di risalire ad un titolo che affermi chiaramente la provenienza del suo diritto sull'immobile pignorato (cfr. Cass. civ., n. 8792/2000 per l'affermazione dell'anzidetto principio prima della riforma di cui alla l. n. 80/2005).

Secondo la ricostruzione in parola, il termine per la produzione della documentazione ultraventennale avrebbe carattere meramente ordinatorio (e non perentorio come quello di 60 giorni ex art. 567, comma 3, 2° periodo, c.p.c.), anche se l'inosservanza dello stesso comporterebbe comunque la chiusura anticipata (e non l'estinzione, distinzione questa rilevante ai fini della pretesa inapplicabilità dell'art. 2945, comma 2, c.c.) del processo esecutivo stante la concreta impossibilità di porre in vendita il bene.

L'ordinanza in commento condivide quest'impostazione di fondo, apportandovi delle precisazioni in ordine al regime dei rimedi esperibili contro l'ordinanza de qua.

Per la Suprema Corte tale ordinanza, in quanto assimilabile a un provvedimento preparatorio ed interinale, non sarebbe opponibile ex art. 617 c.p.c., potendo essere motivo del reclamo con cui il creditore, che non abbia eventualmente prodotto la documentazione richiesta, a norma dell'art. 630 u.c. c.p.c. contesti la chiusura anticipata del procedimento.

Il g.e. del Tribunale di Verona, invece, investito di un'opposizione agli atti esecutivi dal debitore che sosteneva la sostanziale illegittimità dell'ordinanza di integrazione della documentazione prodotta poiché consistente in un'indebita rimessione in termini del creditore, ha risolto la questione nel merito con ordinanza, probabilmente dando prevalenza alla forma prevista dall'art. 630, comma 3, c.p.c. per la decisione sulle eccezioni di estinzione/chiusura anticipata; in essa ha affermato che il creditore, producendo la certificazione infraventennale, ha rispettato la lettera della legge, per cui, una volta scaduto il termine all'uopo previsto e verificata l'insufficienza della documentazione depositata ai fini dell'accertamento del diritto di proprietà del debitore, è stato disposto un termine per l'allegazione dell'ulteriore documentazione necessaria.

Come accennato, nella medesima ordinanza il g.e. ha risolto altresì la questione relativa al termine per il deposito in cancelleria della nota di trascrizione del pignoramento da parte dell'avvocato del creditore. In essa il g.e. si è schierato in aperto contrasto nei confronti di quell'unico precedente di legittimità (Cass. civ., n. 4751/2016) che, seppur in obiter, ha avuto occasione di prendere posizione sul tema dei termini per il deposito della nota di trascrizione da parte dell'avvocato del creditore che vi abbia personalmente provveduto a norma dell'art. 555, u.c., c.p.c.: per la Cassazione, tra la prima e la seconda parte del comma 2 dell'art. 557 c.p.c. non vi è alcuna differenza e, anzi, per esigenze di «raccordo» tra le due disposizioni, il termine di 15 giorni imposto al legale rappresentante del creditore ove della trascrizione si fosse occupato l'ufficiale giudiziario deve esser riferito anche alla diversa ipotesi di trascrizione ad opera del creditore stesso.

Per il Tribunale di Verona, invece, tale assunto va disatteso facendo innanzitutto leva sul tenore letterale dell'art. 557, comma 2, c.p.c., il quale si limita ad affermare che il creditore, avendo provveduto alla trascrizione a norma dell'art. 555, u.c. c.p.c., deve depositare la relativa nota «appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari» (e non entro il più preciso e stringente termine di 15 giorni; cfr. ex pluribus, Trib. Napoli, 3 febbraio 2021 e 9 dicembre 2020, Trib. Bari, 1 luglio 2019, Trib. T. Annunziata, 15 gennaio 2019 – tutte citate in ordinanza – e C. d'App. Napoli n. 3044/2007); tale tesi troverebbe conforto argomentando dall'ultimo periodo del medesimo ultimo comma dell'art. 557 c.p.c. stesso, il quale, riconducendo l'inefficacia del pignoramento unicamente al mancato deposito de «la nota di iscrizione a ruolo e le copie dell'atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto» nel termine di 15 giorni dalla consegna dell'ufficiale giudiziario al creditore presuppone il riconoscimento, da parte del legislatore, della possibilità che la nota di trascrizione venga consegnata direttamente dal conservatore al creditore in un momento successivo alla restituzione dei citati atti da parte dell'u.g. senza che, però, ciò rilevi ai fini dell'iscrizione a ruolo del pignoramento.

Ed infatti, nell'ipotesi presa in considerazione, il termine ultimo per il deposito della trascrizione del pignoramento non andrebbe identificato con quello della sua iscrizione a ruolo; piuttosto, tenuto conto dell'essenziale funzione della trascrizione (inopponibilità alla procedura esecutiva degli atti dispositivi del bene staggito trascritti successivamente al pignoramento), sembra ad ogni buon conto condivisibile la posizione tenuta dal g.e. nell'ordinanza in commento, secondo il quale è necessario che la nota di trascrizione sia allegata al fascicolo dell'esecuzione almeno entro l'udienza di vendita, poiché per potersi disporre la vendita ex art. 569 c.p.c. è quantomeno necessario che non residui alcun dubbio sul fatto che all'assegnatario non finisca per essere opposto l'acquisto effettuato da un terzo nel corso delle operazioni di vendita (cfr. Cass. civ., nn. 17367/2011 e 7998/2015).

Diverso è invece il discorso, come giustamente viene rilevato in ordinanza, relativamente al termine entro il quale il creditore debba provvedere alla trascrizione presso il conservatore dei registri immobiliari: visto il richiamo presente all'art. 567, comma 2, c.p.c. (che impone al creditore di depositare successivamente all'istanza di vendita «i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento»), non sembra che possa configurarsi alcuno sbarramento in corrispondenza proprio dell'istanza di vendita; più correttamente, invece, la trascrizione del pignoramento deve essere effettuata prima del deposito del certificato delle iscrizioni gravanti sull'immobile pignorato, poiché è dalla trascrizione stessa che si può calcolare a ritroso il periodo ventennale a cui la norma fa riferimento.

Sennonché, il g.e. ha comunque ritenuto opportuno innestare nell'ordinanza un complesso excursus al fine di perorare la tesi appena esposta, suffragandola con argomentazioni attinte dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di diritto di accesso alla giustizia ex art. 6, p. 1 CEDU. L'iter argomentativo seguito, così come le conclusioni proposte, è senz'altro condivisibile, giacché ipotizzare un termine perentorio prima dell'udienza di autorizzazione alla vendita per il deposito in cancelleria della nota di trascrizione da parte del creditore configurerebbe un'irragionevole preclusione in capo a quest'ultimo, con l'indesiderabile conseguenza di complicare la realizzazione di un credito legittimamente vantato; d'altro canto, però, da un'analisi della dottrina e della giurisprudenza sviluppatesi intorno alla trascrizione del pignoramento e al deposito della relazione ventennale, non sembra potersi rilevare alcuna opinione che sostenga la necessità di effettuare la trascrizione in un termine perentorio antecedente al deposito della relazione ventennale così che, pur in mancanza di un'espressa indicazione normativa, la tesi esposta nell'ordinanza sembra essere indiscutibilmente suffragata dalla formulazione dell'art. 567, comma 2, c.p.c. supra ricordata.

Interessante poi è il fatto che il g.e. abbia precisato come, per il computo dei termini per il deposito della nota di trascrizione, il dies a quo andasse calcolato prendendo in considerazione la seconda delle due diverse note di trascrizione consegnate dal conservatore al creditore, giacché la prima conteneva l'inesatta indicazione degli identificativi catastali della pertinenza dell'immobile: pur senza esplicitarlo, è evidente in tal senso il richiamo effettuato ad un risalente precedente di legittimità, secondo il quale deve essere necessariamente rinnovata (e rettificata) ogni trascrizione carente o erronea, non potendo questa esser in alcun modo produttiva di effetti ai fini di una procedura esecutiva stabile e rispettosa del principio del contraddittorio (cfr. Cass. civ., 12429/2008).

Il creditore, però, era incorso in errore anche nell'individuare l'immobile nell'atto di pignoramento, avendo egli indicato un numero civico di poco diverso rispetto a quello reale; il g.e. dell'esecuzione, però, ha giustamente ritenuto che ciò non fosse sufficiente affinché venisse dichiarata l'invalidità del pignoramento e, conseguentemente, l'estinzione dell'intero processo esecutivo.

Tale posizione si colloca perfettamente nel solco degli orientamenti in tema della Suprema Corte, secondo la quale si può concretamente discorrere di errore di identificazione dell'immobile solo qualora esso riguardi gli elementi essenziali richiesti dal combinato disposto degli artt. 2826 c.c. e 555 c.p.c., e cioè «l'indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, nonché i dati di identificazione catastale» (cfr. Cass. civ., nn. 19123/2020, 6833/2015 e 2110/2014): solo gli elementi testé richiamati, infatti, sono indispensabili ai fini della corretta e certa individuazione del bene staggito.

Va però ricordato che, a ben vedere, la Corte di Cassazione ammette perfino la derogabilità delle disposizioni codicistiche appena richiamate, a patto però che nei successivi atti dell'espropriazione sia comunque possibile risalire all'oggetto della vendita forzata: così, anche ove l'errore avesse riguardato i dati catastali dell'immobile (ad es., errata indicazione del subalterno), il procedimento esecutivo avrebbe comunque potuto stabilmente giungere alla sua conclusione una volta individuata e corretta l'inesattezza ad opera del giudice o dei suoi ausiliari nel corso della perizia di stima ovvero nell'ordinanza di vendita.

Riferimenti
  • Farace, Note sulla trascrizione del pignoramento immobiliare, in NGCC, 2013, IV, 391;
  • Montanaro, C'era una volta la funzione della documentazione ipo-catastale (e del certificato notarile sostitutivo) di cui all'art. 567, 2° co., c.p.c., in Riv. esec. forz., 2006, I, 5;
  • Pilloni, L'iscrizione a ruolo nel processo esecutivo e l'efficacia del pignoramento effettuato in violazione della relativa disciplina: le novità introdotte nel c.p.c. e nelle disposizioni di attuazione, in Nuove leg. civ. comm., 2015, III, 481;
  • Ruffini, La «chiusura anticipata» dell'espropriazione immobiliare per assenza di documentazione relativa alla trascrizione, di almeno vent'anni anteriore al pignoramento, di acquisti in favore dell'esecutato o dei suoi danti causa, in Riv. dir. proc., 2020, III, 1301;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, VII ed., Milano 2019, 1311;
  • Tarzia, Il bene immobile nel processo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1989, 344.

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