Questioni in tema di liquidazione del compenso degli ausiliari nelle procedure concorsuali

07 Aprile 2022

In tema di procedure concorsuali, il rinvio compiuto dall'art. 165, comma 2, l.fall. all'art. 39 della medesima legge – il cui comma 3 prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga al termine della procedura – comporta che alla liquidazione del compenso invocato dal commissario giudiziale di un concordato preventivo ammesso, non giunto alla sua omologazione per il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze dei creditori ex art. 177 l.fall. e seguito da dichiarazione di fallimento della parte debitrice proponente la domanda concordataria, debba provvedere il tribunale, quale giudice del concordato predetto e non il giudice delegato del fallimento consecutivo.
Massima

In tema di procedure concorsuali, il rinvio compiuto dall'art. 165, comma 2, l.fall. all'art. 39 della medesima legge – il cui comma 3 prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga al termine della procedura – comporta che alla liquidazione del compenso invocato dal commissario giudiziale di un concordato preventivo ammesso, non giunto alla sua omologazione per il mancato raggiungimento delle necessarie maggioranze dei creditori ex art. 177 l.fall. e seguito da dichiarazione di fallimento della parte debitrice proponente la domanda concordataria, debba provvedere il tribunale, quale giudice del concordato predetto e non il giudice delegato del fallimento consecutivo.

Il caso

Una società veniva ammessa alla procedura di concordato preventivo a seguito di ricorso presentato ai sensi dell'art. 161 l.fall.

Non essendo state raggiunte le maggioranze previste dall'art. 177 l.fall., il tribunale dichiarava improcedibile la proposta concordataria (avente carattere liquidatorio) e, contestualmente, il fallimento della società.

Il commissario giudiziale nominato nell'ambito del concordato preventivo presentava istanza per la liquidazione del proprio compenso, ma impugnava con ricorso per cassazione il provvedimento così emesso, lamentando che non si fosse fatto riferimento all'attivo che aveva comunque accertato nel corso della procedura.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che il tribunale aveva fatto corretta applicazione dei criteri dettati dal d.m. 30/2012 per la liquidazione del compenso spettante al commissario giudiziale.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi:

1) i compensi dei commissari giudiziali sono regolati dall'art. 5 d.m. 30/2012, che distingue tra le procedure di concordato preventivo a seconda che siano previste o meno forme di liquidazione dei beni;

2) la differenza tra le due forme di concordato, per quanto attiene al compenso del commissario giudiziale, risiede nel fatto che esso va parametrato all'attivo realizzato ovvero al passivo inventariato nel primo caso, mentre nel secondo caso deve farsi riferimento all'ammontare dell'attivo e del passivo risultante dall'inventario predisposto a norma dell'art. 172 l.fall.;

3) in presenza di concordato liquidatorio, pertanto, non sussistono i presupposti per l'applicazione del criterio che fa riferimento all'ammontare dell'attivo inventariato, come si sosteneva nel ricorso;

4) quando, in un concordato liquidatorio non vi sia stata liquidazione delle componenti attive del patrimonio, l'unico parametro per la determinazione del compenso del commissario giudiziale è quello residuale previsto dall'art. 4, comma 1, d.m. 30/2012, che individua il compenso minimo spettante al curatore fallimentare.

Osservazioni

Nell'esaminare una fattispecie in cui venivano posti in discussione i criteri utilizzati dal tribunale per liquidare il compenso spettante al commissario giudiziale nominato nell'ambito di un concordato preventivo, la Corte di cassazione coglie l'occasione per affermare un importante principio di diritto ai fini dell'individuazione dell'organo competente a effettuare tale liquidazione, quando all'ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore.

In effetti, nella giurisprudenza più recente era emerso un contrasto sul punto, giacché, mentre alcune sentenze avevano sostenuto che, nel caso di revoca dell'ammissione al concordato preventivo e successiva dichiarazione di fallimento, la domanda di liquidazione del compenso del commissario giudiziale proposta nel corso del procedimento di concordato diviene improcedibile e dev'essere riproposta, esaminata e decisa in sede di accertamento del passivo fallimentare (si veda Cass. civ., sez. VI, 3 agosto 2016, n. 16269), altre più recenti hanno affermato, al contrario, che, a seguito della chiusura, per qualsiasi causa, della procedura concordataria, il giudice della stessa conserva il potere di liquidare il compenso dovuto al commissario giudiziale, una volta che tutte le sue attività si siano concluse (in questo senso, Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2021, n. 15789).

Nell'aderire al secondo orientamento e nell'estenderne – come vedremo – la portata applicativa, la sentenza che si annota prende le mosse dal referente normativo che presidia la disciplina della liquidazione del compenso del commissario giudiziale, ossia l'art. 165, comma 2, l.fall., che rimanda all'art. 39 l.fall., a mente del cui comma 2 il compenso del curatore fallimentare viene liquidato con decreto del tribunale non soggetto a reclamo dopo l'approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato.

Da tale disposizione, dunque, si evince che la liquidazione del compenso del commissario giudiziale deve avvenire al termine della procedura, ossia una volta che si siano concluse tutte le attività di sua pertinenza (che non cessano in concomitanza con la pronuncia del decreto di omologazione, che rappresenta il provvedimento di chiusura fisiologica), atteso che solo in questo modo il tribunale è in grado di apprezzare, in termini quantitativi e qualitativi, l'opera professionale da remunerare.

In quest'ottica, è ravvisabile – per effetto del rinvio operato dall'art. 165, comma 2, l.fall. all'art. 39 l.fall. – un'ultrattività necessaria delle funzioni del tribunale, una volta conclusosi il concordato, ai limitati fini della liquidazione del compenso del commissario giudiziale; solo così, del resto, si evita che il compito di addivenire a detta liquidazione venga a radicarsi in capo a un organo (giudice delegato all'accertamento del passivo, in caso di chiusura della procedura concordataria cui faccia seguito la dichiarazione di fallimento, ovvero giudice ordinario, nelle altre ipotesi) che, non essendo a diretta conoscenza dell'andamento della procedura, non è ragionevolmente in grado di apprezzare compiutamente il modo in cui si è estrinsecata l'attività del commissario giudiziale, sotto tutti i profili rilevanti ai fini della determinazione del compenso a lui spettante (ivi compreso quello della diligenza con cui ha espletato il proprio incarico).

Né, d'altra parte, è ipotizzabile che il commissario possa presentare la propria istanza di liquidazione prima di aver esaurito le proprie attività: vuoi perché, in caso di omologa, il suo compito non è ancora concluso; vuoi perché, in caso di esito patologico della procedura concordataria (declaratoria di inammissibilità, di revoca dell'ammissione al concordato e di mancata omologa), non sarà materialmente in grado di prevedere quale determinazione assumerà il tribunale e, quindi, di presentare prima la propria richiesta.

Di fatto, quindi, viene a emersione una competenza del tribunale funzionale ed esclusiva, nel senso che esclude quella di qualsiasi altro organo giudiziario diverso dal giudice del concordato, in applicazione di un principio generale in base al quale i compensi dell'ausiliario sono liquidati in sede non contenziosa dallo stesso giudice che lo ha nominato ed è pertanto in grado di valutarne l'operato.

Tale conclusione – che consente di evitare la disparità di trattamento che si genererebbe se il credito per il compenso del commissario giudiziale fosse assoggettato al procedimento di verifica ex artt. 93 ss. l.fall., a differenza di quanto è a dirsi per quelli del curatore e degli altri ausiliari nominati dal giudice delegato – non può ritenersi messa in discussione nemmeno quando al concordato preventivo faccia seguito il fallimento, dal momento che il principio di unitarietà delle procedure concorsuali succedutesi senza soluzione di continuità non costituisce, secondo i giudici di legittimità, un autonomo criterio normativo destinato a risolvere tutti i problemi che possono scaturire dall'avvicendarsi delle due procedure, quanto piuttosto un “enunciato meramente descrittivo di soluzioni regolative aventi specifiche e distinte fonti normative”.

Un tanto conferma l'assunto per cui la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo non elide la competenza del giudice di quest'ultima alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale.

In questo modo, la Corte di cassazione estende la portata applicativa del principio di diritto che, nelle più recenti pronunce di legittimità, era stato affermato con riguardo a fattispecie nelle quali, a differenza di quanto avvenuto in quella esaminata, al blocco della procedura concordataria non aveva fatto seguito la dichiarazione di fallimento.

Il medesimo principio, peraltro, deve reputarsi applicabile quando si tratti di liquidare non solo il compenso del commissario giudiziale, bensì, più in generale, di ogni ausiliario nominato nell'ambito di un concordato preventivo (si pensi al liquidatore nominato ai sensi dell'art. 182 l.fall., nonché all'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 185 l.fall.).

Conclusioni

Il principio di diritto affermato nella sentenza annotata è senza dubbio condivisibile.

A supporto e conferma di quanto osservato dai giudici di legittimità, possono svolgersi due ulteriori considerazioni.

La prima è che il sistema così delineato si pone in coerenza con quanto avviene anche nell'ambito del processo esecutivo, ove pure è prevista un'ultrattività dei poteri del giudice dell'esecuzione, ai fini della liquidazione del compenso degli ausiliari, con riguardo a quello spettante, in particolare, al custode: stabilisce, infatti, l'art. 632, comma 3, c.p.c., che, intervenuta la declaratoria di estinzione del processo esecutivo, il custode deve presentare il conto della sua gestione, affinché venga discusso e approvato davanti al giudice dell'esecuzione.

Da tale disposizione si evince, dunque, che anche in sede di espropriazione forzata, concludendosi l'attività del custode solo dopo la dichiarazione di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo, le sue spettanze vanno pur sempre liquidate dal giudice dell'esecuzione, dovendosi ravvisare la sopravvivenza, in capo a quest'ultimo, dei poteri necessari per regolare le questioni consequenziali alla definizione anticipata (si veda, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2021, n. 12434).

La seconda è che, in effetti, l'attività cognitiva del giudice delegato, in sede di accertamento del passivo fallimentare, è pur sempre limitata e circoscritta: si pensi, per esempio, alla questione relativa alla verifica della definitività o meno di un decreto ingiuntivo, ai fini della sua opponibilità alla curatela, con riguardo alla quale, secondo un orientamento granitico, la funzione affidata al giudice che lo ha emesso di controllare la regolarità della notifica prima di dichiararne la definitività ai sensi dell'art. 647 c.p.c. si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 c.p.c. o dall'art. 153 disp. att. c.p.c., consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all'interno del processo d'ingiunzione e non è, come tale, surrogabile dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo (tra le tante pronunce in questo senso, Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2019, n. 24942).

Di conseguenza, risulterebbe davvero distonico sostenere che un'attività delicata quale quella consistente nella liquidazione del compenso del commissario giudiziale (o di un altro ausiliario) nominato nell'ambito di una procedura di concordato preventivo venga demandata a un giudice che, non avendola presidiata, non può averne una visione e una cognizione completa, a maggior ragione se, come affermato dalla giurisprudenza, la motivazione che deve supportare il decreto di liquidazione del compenso degli ausiliari non può essere stereotipata, ovvero basata sul ricorso a frasi standardizzate o di stile, applicabili – per la loro genericità – a una serie indeterminata di casi, ma dev'essere, al contrario, analitica ed esplicitare la disamina unitaria dei fatti rilevanti, ossia la valutazione dettagliata dell'opera prestata, dei risultati ottenuti e della sollecitudine con cui sono state condotte le operazioni, assumendo carattere personalizzato (così, di recente, Cass. civ., sez. VI, 11 marzo 2021, n. 6806; nello stesso senso, pur con riguardo alla tematica della liquidazione dei compensi maturati da più curatori succedutisi nell'incarico, Cass. civ., Sez. VI, 12 novembre 2021, n. 34012).

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