Licenziamento per superamento del periodo di comporto: non rientra nel cd. “blocco” licenziamenti
11 Aprile 2022
Massima
Deve essere escluso che il cd. “blocco dei licenziamenti” imposto dalla normativa emergenziale riguardi anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Tale “blocco” è previsto per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rispetto ai quali il licenziamento per superamento del comporto costituisce un'ipotesi del tutto peculiare, sebbene assimilabile per determinati e limitati fini.
Nemmeno le finalità sottese alla norma emergenziale consentono una estensione analogia del cd. “blocco dei licenziamenti". Il caso
Una lavoratrice del settore terziario rimaneva assente dal 9 marzo 2020 al 3 settembre 2020 per malattia non legata al virus Sars Covid 19. In relazione a simile prolungato periodo di assenza, il datore di lavoro, in data 2 settembre 2020, le intimava il licenziamento per superamento del periodo di comporto, stabilito in 180 giorni dalla normativa collettiva applicabile.
La lavoratrice impugnava detto licenziamento ritenendolo nullo in quanto in contrasto con il divieto di licenziamento di cui all'art. 46 D.l. n. 18/2020 e successive modificazioni, rientrando il recesso per superamento del periodo di comporto nel novero del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. Le questioni
Per quanto concerne i licenziamenti individuali, l'art. 46 del d.l. n. 18/2020, come noto, impediva il recesso “dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 17 luglio 1966, n. 604”, qualemisura emergenziale.
Entro tale definizione era dunque possibile ricomprendere anche i licenziamenti per superamento del periodo di comporto?
Innanzitutto, il licenziamento per superamento del comporto trova la propria base normativa nell'art. 2110 c.c. e, secondo il consolidato indirizzo interpretativo della Suprema Corte, esso è una fattispecie completamente autonoma di licenziamento rispetto al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo di cui all'art. 2119 c.c. e alla L. n. 604/1966, artt. 1 e 3 (si v. Cass. S.U. n. 12568/2018).
Tuttavia, pur asserendo dunque che il licenziamento per superamento del comporto costituisca un tertium genus, la giurisprudenza esclude la necessità di una previa contestazione delle assenze per malattia, proprio sulla base dell'assunto per cui tale recesso sarebbe “assimilabile” al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cfr. ad es. Cass. n. 284/2017; Cass. n. 8707/2016).
La questione sottesa alla pronuncia in commento è dunque relativa all'interpretazione dell'aggettivo “assimilabile”. E' possibile ritenere che esso disveli il fatto che il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisca, più che una fattispecie a sé, solo un “sottoinsieme” del licenziamento per g.m.o.?
O, comunque, è possibile che essendo le due ipotesi “assimilabili”, si possa applicare alle stesse la medesima disciplina, quantomeno in via analogica? Soluzioni giuridiche
Nella pronuncia de quo, il Giudice fa propria l'argomentazione di Tribunale Milano n. 314/2021, nella quale è contenuta una completa disamina dell'evoluzione giurisprudenziale in materia.
Da tale disamina si comprende come sia errato sopravalutare la portata dell' “assimilazione” del licenziamento per superamento del periodo di comporto e licenziamento per g.m.o.
In effetti, tale “assimilazione” non è mai asserita in senso assoluto nei precedenti giurisprudenziali in materia, sino ad intenderla come una “identificazione” (in questi termini si esprime Cass., S.U., n. 12568/2018).
Al contrario, essa è da intendersi limitata ad un unico ambito: quello della non necessità della previa contestazione delle circostanza di fatto (ovvero delle assenze per malattia).
Salvo questo “punto di contatto”, non debbono sussistere dubbi relativamente al fatto che le due ipotesi siano ben distinte.
Ed invero, in giurisprudenza si sono spesso evidenziate differenziazioni rispetto alla disciplina del giustificato motivo oggettivo.
Ad esempio, si è sottolineato che la causa di licenziamento opera automaticamente e che il datore non è onerato di provare l'incompatibilità fra le assenze prolungate e l'assetto organizzativo o tecnico-produttivo dell'impresa (sul punto v. la ricostruzione di Tribunale Bergamo n. 686/2021). Per la stessa ratio non è nemmeno richiesta la prova del repechage, ovvero l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr. Cass. n. 12233/2013).
Nel solco di tale orientamento consolidato, il Giudice ha dunque escluso che il licenziamento per periodo di comporto sia un sottoinsieme del licenziamento per g.m.o e che dunque il cd. “blocco dei licenziamenti” fosse direttamente applicabile in ragione del fatto che l'art. 46 del d.l. n. 18/2020 richiamava solo il motivo oggettivo di cui all'art. 3 della l.n. 604/1966, entro cui non è possibile ricomprendere anche il superamento del comporto.
Ciò detto, il Giudice esclude anche l'applicazione del blocco dei licenziamenti in via analogica, con la seguente sintetica argomentazione stringata “il divieto di licenziamento oltre alla finalità solidaristica richiamata da parte ricorrente intende in particolare evitare che le difficoltà economiche patite dalla maggioranza degli operatori economici si riverberino in licenziamenti che altrimenti sarebbero giustificati per giustificato motivo oggettivo”.
In altri termini, deve escludersi che la normativa emergenziale, per sua natura speciale, possa essere interpretata in via analogica, rispondendo a problematiche eccezionali del periodo pandemico.
Pertanto non è possibile “in assenza di un richiamo specifico all'art. 2110 c.c., interpretare estensivamente il D.L. n. 18 del 2020, art. 46 fino a ricomprendervi tale fattispecie. Infatti, la ratio del divieto di licenziamento introdotto dal decreto c.d. “Cura Italia”, è stata quella di ‘contenere gli effetti negativi che l'emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale” (così testualmente l'epigrafe al decreto legge) e quindi di mantenere i livelli occupazionali in presenza di una situazione di crisi eccezionale, causata da fattori diversi ed estranei rispetto alle normali dinamiche del mercato del lavoro. Tale esigenza non si rinviene nell'ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, circostanza che potrebbe verificarsi anche prescindendo dall'epidemia di Covid-19” (così Tribunale Milano, n. 314/2021). Osservazioni
Come visto la pronuncia in commento s'inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale volto ad evidenziare la diversità ontologica fra licenziamento per superamento del periodo di comporto e licenziamento per g.m.o.
Tale differenza induce poi ad escludere che l'applicazione analogica della disciplina di una fattispecie all'altra, possa avvenire in maniera disinvolta, necessitandosi piuttosto un'attenta disamina della normativa in questione, compresa la ratio sottesa alla stessa.
Per tale ragione il Giudice ha escluso che il blocco dei licenziamenti, volto a tutelare il mercato del lavoro dagli effetti della pandemia, potesse trovare applicazione in licenziamenti che si sarebbero verificati a prescindere dalla crisi generata dalla pandemia stessa.
E del resto, l'incidenza della pandemia sul comporto trovava un proprio riconoscimento nell'art. 26 del medesimo D.l. n. 18/2020, che disponeva: “fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all'articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
Attraverso tale norma il legislatore tutelava il lavoratore dal rischio di licenziamento per superamento del periodo di comporto a causa della pandemia in atto. |