Il divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale per le controversie in materia locatizia

11 Aprile 2022

Secondo l'indirizzo recentemente ribadito dalla Cassazione, la parcellizzazione della domanda giudiziale costituisce “abuso del processo” e dà luogo all'improponibilità delle domande. Il principio è destinato a trovare ampia applicazione e si estende alle ipotesi delle domande che siano fondate su fatti costitutivi che, pur diversi, facciano parte di una relazione unitaria tra le parti. L'àmbito di applicazione del principio comprende anche le controversie locatizie: nel testo che segue, viene presa in esame la prospettiva dell'applicazione del principio alle azioni dirette a fare valere i diritti derivanti dal contratto di locazione.
Il quadro normativo

Con l'ordinanza 9 settembre 2021, n. 24371, la Corte di Cassazione esamina nuovamente il tema del divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale.

La fattispecie presa in esame dalla Corte concerne l'iniziativa di un avvocato diretta a fare valere con più distinte azioni giudiziarie i crediti per i compensi per l'attività professionale svolta nelle numerose pratiche affidategli da un cliente nel corso di alcuni anni.

La Corte si richiama a quanto era stato affermato dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 23726/2007 e n. 4090/2017 e perviene alla conclusione che nel caso le domande proposte in via distinta ed autonoma devono essere dichiarate improponibili: ciò perché è vietata, costituendo “abuso del processo”, la parcellizzazione della domanda giudiziale.

Per rendere chiaro “il principio enunciato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 4090/2017, alla cui stregua non possono essere azionati in separati giudizi (a meno che il creditore non risulti titolare di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata) i diritti i quali, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo àmbito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, ‘fondati' sul medesimo fatto costitutivo”, la Corte richiama l'attenzione sui alcuni punti specifici del ragionamento che deve essere seguito in argomento.

Viene così notato che «l'espressione “medesimo rapporto di durata” deve essere letta in senso storico/fenomenologico: alla parola “rapporto” va, cioè, assegnato non il significato tecnico-giuridico di coppia diritto/obbligazione derivante da una delle cause elencate nell'articolo 1173 c.c., bensì il significato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia» e che «nell'espressione “medesimo fatto costitutivo”, l'aggettivo “medesimo” va letto con riferimento non all'identità ma alla qualità, e quindi non come sinonimo di “identico” ma come sinonimo di “analogo”».

Osservazioni queste che costituiscono le premesse perché la Corte possa enunciare - in via conclusiva - il principio di diritto secondo cui: «le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inseriscano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia. Tale divieto processuale non opera quando l'attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria. La violazione dell'enunciato divieto processuale è sanzionata con l'improponibilità della domanda, ferma restando la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ai sensi dell'art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti».

La scelta operata dalla giurisprudenza: l'improponibilità delle domande frazionate

La scelta operata dalla Corte è dunque quella della dichiarazione dell'improponibilità delle domande derivanti dal medesimo rapporto che siano formulate in via distinta e frazionata.

Da notare che quella adottata dalla Corte non è l'unica soluzione che sul piano astratto avrebbe potuto prospettarsi in relazione al problema del frazionamento della domanda giudiziale. Altra strada che avrebbe potuto seguirsi sarebbe stata quella della considerazione delle spese del giudizio: avrebbe potuto ritenersi che la promozione di più cause distinte in relazione allo stesso rapporto sostanziale dovesse vedersi quale iniziativa volta a determinare un aggravio delle spese in conseguenza dello svolgimento di attività giudiziaria inutile. Considerata la cosa in quest'ottica avrebbe potuto vedersi quale rimedio - o comunque quale mezzo volto a ridurre il ricorso ad una tale modalità di conduzione delle cose - il non riconoscere al creditore il diritto al rimborso delle spese per le cause che egli avesse promosso in relazione al medesimo rapporto sostanziale in un momento successivo a quello della promozione di una prima azione.

Avrebbe potuto considerarsi dunque che il creditore potesse essere libero di fare valere in più momenti e con più procedimenti il proprio credito in via frazionata e parziale anziché in soluzione unica, ma che le spese che da ciò fossero provocate dovessero restare a carico del creditore o che addirittura questi fosse tenuto a rimborsare alla controparte le spese relative all'attività supplementare inutile (ciò in applicazione di quel principio di carattere generale che viene enunciato dal primo comma dell'art. 92 c.p.c. a proposito delle spese che risultino “eccessive e superflue”).

Sta di fatto che, invece, la Corte di Cassazione - che ha tenuto presente, nell'affrontare la questione, non solo il problema relativo alle spese ed all'aggravamento della posizione del debitore convenuto (e la conseguente necessità di evitare “una moltiplicazione degli oneri conseguenti alle spese processuali”) ma certamente anche l'esigenza di evitare che il sistema giudiziario sia impegnato e gravato da attività inutile - ha ritenuto di operare una scelta diversa: quella dell'affermazione dell'improponibilità delle domande - di tutte le domande - che venissero proposte in relazione al medesimo rapporto con attuazione di un ingiustificato frazionamento della pretesa.

Da segnalare, comunque, che, pur nella prospettiva della soluzione adottata dalla Corte di legittimità, vi sono necessariamente conseguenze anche sulle spese del giudizio: alla dichiarazione di improponibilità di ciascuna delle domande che venissero proposte infatti deve conseguire, in applicazione del principio fissato dall'art. 91 c.p.c., la condanna della parte attrice al rimborso delle spese del giudizio nei confronti della controparte.

Gli effetti del divieto sulle domande relative alle controversie locatizie

Al fine di considerare gli effetti del divieto di parcellizzazione della domanda con riguardo alla materia locatizia possono essere prese in esame differenti ipotesi:

  • l'ipotesi di più domande giudiziali proposte in relazione a controversie tra le medesime parti legate da un unico contratto di locazione;
  • l'ipotesi di più domande giudiziali proposte in relazione a controversie tra le medesime parti con riguardo a più rapporti locatizi aventi ad oggetto immobili diversi;
  • l'ipotesi di più domande giudiziali proposte in relazione a controversie locatizie tra parti diverse nel caso di unico contratto di locazione.

Consideriamo le ipotesi indicate prestando attenzione alle fattispecie concrete che possono prospettarsi.

La prima delle ipotesi sopra indicate considera la fattispecie costituita dall'insorgenza di più controversie tra le medesime parti con riguardo al medesimo contratto di locazione (dunque controversie che abbiano ad oggetto il medesimo immobile).

Al fine di verificare l'applicabilità in questo caso della regola che vieta la parcellizzazione della domanda è necessario l'esame in concreto delle singole azioni che possono prospettarsi. L'ipotesi che nella pratica è più frequente - e che appare più adatta ad essere considerata proprio nell'ottica che ci interessa - è quella delle azioni dirette ad ottenere, nel caso di morosità del conduttore, l'adempimento da parte di questi dell'obbligo di pagamento del canone e degli oneri accessori ed a fare valere l'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto. Una fattispecie da considerare è quella in cui il conduttore incorra in episodi plurimi di morosità nel pagamento dei canoni della locazione e/o degli oneri accessori.

Ancorché le situazioni che possono prospettarsi siano molte e non sia facile individuare preventivamente soluzioni precise con riguardo a ciascuna di esse, pare chiaro comunque che in chiave generale nel caso che si considera debba tenersi presente il principio del divieto di parcellizzazione che sopra si è ricordato, principio per il quale “le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inseriscano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti”. Ciò a meno che non sia configurabile in capo al creditore “un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria”.

I principi così enunciati potranno trovare applicazione proprio nell'ipotesi dell'azione esperita dal creditore (il locatore) per ottenere l'adempimento dell'obbligo del conduttore. In questo caso il divieto di frazionamento della domanda giudiziale conduce dunque ad escludere che il locatore - nel caso in cui il conduttore si fosse reso moroso nel pagamento di somme relative a mensilità di canone (o anche di importi dovuti per il pagamento o il rimborso di oneri accessori) - possa frazionare il proprio credito e promuovere più azioni distinte per porzioni distinte della somma complessiva dovuta dal conduttore. Ove il locatore agisse dapprima per il pagamento di una parte dei canoni che fossero scaduti e poi promuovesse altro giudizio per il pagamento di altra parte delle somme dovute che al momento della promozione del primo giudizio fossero risultate somme già scadute ed esigibili, si verificherebbe proprio ciò che è vietato dalla regola che esclude la possibilità della parcellizzazione della domanda: in entrambi i giudizi così promossi le domande dovrebbero pertanto considerarsi improponibili.

È chiaro, però, che questo principio troverà applicazione solo nel caso in cui fossero promossi giudizi distinti per il pagamento di somme che fossero già dovute per crediti già esigibili alla data della promozione del primo giudizio: di contro il locatore sarà pienamente libero di fare valere in un certo momento l'intero suo credito già maturato e successivamente - ove il conduttore incorresse in ulteriore morosità - di fare valere con una nuova azione l'ulteriore credito per i canoni e gli oneri accessori che fossero nel frattempo ulteriormente maturati e scaduti. In questo secondo caso non potrebbe vedersi una parcellizzazione della domanda perché i canoni la cui morosità maturasse successivamente alla promozione della prima azione non sarebbero stati ancora esigibili in tale primo momento.

Resta, comunque, aperta la possibilità per il locatore di attendere - prima di agire - che la morosità del conduttore si venga accumulando. Un esempio di una tale condotta del creditore è stato preso in considerazione da Cass. civ., sez. I, che, con ordinanza 16 novembre 2021, n. 34730, ha esaminato la questione dell'ammissione del credito di un locatore nei confronti di un fallimento per l'occupazione dell'immobile locato che si era protratta dopo la dichiarazione del fallimento. La sentenza ha ricordato che “è da ritenersi giustificata la condotta del titolare di un credito prededucibile per canoni di locazione che, anziché frazionare detto credito, abbia atteso la riconsegna dell'immobile, così da realizzarne con certezza l'ammontare complessivo e presentare un'unica domanda di ammissione al passivo” (da segnalare che è stata al proposito richiamata quale precedente Cass. civ., n. 20310/2018).

Un discorso analogo dovrebbe farsi anche con riguardo alla posizione del conduttore. Ancorché il caso si presenti nella prassi più raramente, può accadere che il conduttore venga a trovarsi nella condizione di essere creditore nei confronti del locatore per il pagamento di più somme distinte il cui credito maturi progressivamente nel tempo: si tratta, per esempio, del caso del credito per la restituzione di somme pagate per canoni che siano stati - e che siano - pagati in eccedenza rispetto al dovuto. Pare chiaro che anche in questo caso dovrà trovare applicazione il principio che vieta la parcellizzazione della domanda: ove il conduttore facesse valere il proprio credito attraverso più azioni volte al pagamento di frazioni del proprio credito complessivo si verificherà la fattispecie della parcellizzazione dell'azione, con la conseguenza che le domande parziali così proposte dovranno essere dichiarate improponibili. Anche in questo caso peraltro dovrà distinguersi l'ipotesi dei diversi giudizi diretti al pagamento di somme costituenti crediti del conduttore che fossero già esistenti ed esigibili al momento della promozione della prima azione dall'ipotesi in cui il giudizio successivo (o i giudizi successivi) fossero volti a richiedere il pagamento di somme che nel momento della promozione del primo giudizio non fossero state ancora esigibili. In questo secondo caso il divieto di parcellizzazione della domanda - alla luce di quanto si è detto supra - non potrebbe operare.

Da notare poi, con riguardo all'ipotesi che stiamo considerando (l'ipotesi della unicità del rapporto contrattuale tra le medesime parti), che di contro sembra debba ritenersi che il principio del divieto della parcellizzazione della domanda non possa trovare applicazione nel caso di azioni dirette a fare valere la morosità del conduttore ai fini della risoluzione del contratto: deve ritenersi infatti che nel caso di episodi di morosità plurimi e distinti sia consentito al locatore promuovere in tempi diversi e successivi più distinti procedimenti diretti alla risoluzione del contratto per morosità del conduttore, stante l'autonomia di ciascun episodio di inadempimento.

La seconda ipotesi che deve essere considerata è quella collegata all'eventualità - peraltro non infrequente - che siano stipulati più contratti di locazione tra le medesime parti per unità immobiliari diverse. Si pensi, per esempio, al caso in cui tra le medesime parti vengano stipulati due distinti contratti di locazione, l'uno per l'appartamento di abitazione e l'altro per il locale autorimessa.

Vi è da chiedersi se e come debba operare in questo caso il principio che vieta la parcellizzazione della domanda.

Un primo elemento che potrebbe avere peso ai fini dell'individuazione della soluzione della questione si collega alla diversità della disciplina tra le diverse tipologie dei contratti di locazione. Si consideri, per esempio, l'eventualità che uno dei contratti stipulati dalle parti sia un contratto abitativo e l'altro un contratto non abitativo: situazione che comporta profonda diversità di disciplina sia quanto ai profili sostanziali del rapporto sia quanto agli aspetti processuali (si pensi alla differente regolamentazione prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978 circa il termine di grazia per la sanatoria della morosità). Si consideri anche la differente disciplina che è fissata dall'art. 56 della l. n. 392/1978 quanto al termine per il rilascio (differenza di disciplina che deve ravvisarsi quanto meno nei casi in cui il rilascio venga disposto dopo che sia stato concesso il termine di grazia, che non è concedibile nel caso delle locazioni non abitative). Deve ritenersi che, in questi casi, sia consentita la conduzione di azioni separate: ciò anche alla luce del principio secondo cui ai fini della soluzione della questione rileva la sussistenza di un interesse del creditore alla conduzione separata ed autonoma delle azioni.

Peraltro, anche a prescindere dall'ipotesi della diversità di disciplina tra diverse tipologie di locazione già il solo fatto che i contratti di locazione siano - nell'ipotesi che stiamo considerando - l'uno diverso dall'altro dovrebbe fare escludere la necessità della formulazione e proposizione in via unitaria delle pretese e dovrebbe pertanto fare escludere - nel caso di azioni proposte in modo distinto - la presenza delle condizioni perché possa operare il divieto di parcellizzazione della domanda.

Nel caso di stipulazione di più contratti di locazione di immobili diversi che pure siano destinati al medesimo uso, dunque, deve ritenersi che il locatore abbia la possibilità di agire - ove il conduttore si rendesse moroso nel pagamento del canone relativamente ai contratti - con azioni differenziate per le diverse locazioni.

La terza ipotesi da considerare è quella in cui si abbiano più controversie locatizie tra parti diverse ma relative ad un unico contratto.

Gli esempi che possono formularsi sono molti. Si pensi, per esempio, al caso dell'azione promossa dal locatore per il pagamento dei canoni in via separata nei confronti del conduttore e nei confronti del soggetto che abbia prestato garanzia in favore del conduttore. Si pensi anche al caso di promozione del locatore dell'azione per il pagamento dei canoni nei confronti del conduttore originario e, nel contempo, dell'azione nei confronti del cessionario del contratto di locazione.

Pare chiaro che in questi casi il principio che vieta la parcellizzazione della domanda non potrà trovare applicazione: qui, infatti, non si ha il frazionamento dell'azione, ma si hanno invece distinte iniziative assunte nei confronti di soggetti diversi.

E deve ritenersi che il creditore sia - e debba essere - libero di organizzare secondo le sue valutazioni e le sue scelte le proprie iniziative giudiziali nei confronti di soggetti diversi, pur legati reciprocamente da collegamenti quali quelli che si sono ora indicati.

L'interesse obiettivo del creditore che esclude il divieto

Un aspetto importante della questione che stiamo esaminando è legato alla considerazione - che è presente nella motivazione dell'ordinanza della Corte di Cassazione che abbiamo ricordato - che il “divieto processuale non opera quando l'attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria”.

L'interesse del creditore che consenta la proposizione in via frazionata delle domande deve essere un interesse reale ed obiettivo.

In questo senso, un elemento che potrebbe essere decisivo - come si è già detto - è la differenza di disciplina con riguardo alla morosità. Si pensi al caso già menzionato della differenza di disciplina tra locazioni abitative e non abitative, al fatto che per queste ultime non è prevista la possibilità della sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 che è invece prevista per le prime. Si pensi anche alla differenza di disciplina relativamente alla gravità dell'inadempimento per le locazioni abitative (cui si applica l'art. 5 della l. n. 392/1978) e per le locazioni non abitative (cui si applica invece il criterio della gravità dell'inadempimento di cui all'art. 1455 c.c.). Si pensi anche - con riguardo ad altro profilo della questione - alla differenza della disciplina relativa alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento tra l'ipotesi dell'inadempimento dell'obbligo di pagamento del canone e la diversa ipotesi dell'inadempimento dell'obbligo di pagamento degli oneri accessori.

Si tratta di condizioni che potrebbero giustificare - sul piano obiettivo - la promozione di azioni distinte da parte del locatore.

Ma sono anche altre le ipotesi a cui potrebbe pensarsi. Si consideri - sempre in chiave di esempio - l'eventualità che per fare valere differenti frazioni o parti del credito il creditore debba (o possa) fare ricorso a strumenti processuali differenti: come si ha, per esempio, nel caso in cui il credito del locatore comprenda oltre ai canoni - i quali costituiscono credito assistito dalla prova documentale fornita dal contratto di locazione per cui potrà essere fatto ricorso alla procedura per ingiunzione di pagamento - anche altre somme (quali per esempio le somme dovute per gli oneri accessori) per le quali dovesse invece farsi ricorso alla promozione di un giudizio nelle forme ordinarie. È chiaro che anche in questo caso - attesa la diversità delle modalità di svolgimento delle iniziative giudiziarie consentite - la promozione da parte del locatore di azioni differenziate per fare valere i diversi suoi crediti dovrebbe considerarsi giustificata e, pertanto, consentita.

In conclusione

Può, dunque, affermarsi, alla luce delle osservazioni che fino ad ora si sono formulate, che il divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale - quale oggetto degli approfondimenti compiuti dalla Corte di Cassazione - concerne anche le controversie in materia di locazione.

Attraverso l'analisi delle diverse ipotesi concrete che possono prospettarsi emerge però che tale divieto è destinato ad operare solamente in alcuni casi specifici: si tratta soprattutto delle azioni relative al pagamento dei canoni dovuti in forza dell'unico contratto di locazione, per le quali però deve farsi distinzione tra i crediti che fossero già maturati al momento della promozione del primo giudizio e quelli che non fossero maturati a tale data.

Di contro, sia nel caso della pluralità di contratti di locazione sia nel caso della pluralità dei soggetti portatori degli obblighi derivanti dal contratto di locazione appare difficile che possa avere operatività il divieto della parcellizzazione.

Riferimenti

Nardone, La convalida dello sfratto, Milano, 2022;

Piselli, Parcellizzare la domanda giudiziale è abuso degli strumenti processuali, in Guida al diritto, 2021, fasc. n. 49-50, 68;

Scalettaris, Divieto di parcellizzazione dell'azione giudiziale e controversie per il pagamento delle spese condominiali, in Condominioelocazione.it, 1 marzo 2022.

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