Il trasferimento collettivo come licenziamento indiretto ed applicabilità della legge n. 223/1991

Teresa Zappia
13 Aprile 2022

Il trasferimento collettivo, presso una sede distante oltre 600 km da quella originaria, costituisce una “modifica sostanziale” unilaterale del datore integrante un licenziamento collettivo...
Massima

Il trasferimento collettivo, presso una sede distante oltre 600 km da quella originaria, costituisce una “modifica sostanziale” unilaterale del datore integrante un licenziamento collettivo, con conseguente applicazione della L. n. 223/1991, a nulla rilevando che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta solo successivamente al provvedimento datoriale, dovendosene valutare la prevedibilità ex ante.

Il fatto

I lavoratori venivano assunti dalla società datrice in esecuzione di un piano di reindustrializzazione e reimpiego. Lo stabilimento presso il quale i medesimi avrebbero dovuto svolgere le loro mansioni veniva collocato a Caivano (località Pescarola). Nel settembre 2020, la resistente aveva accesso alla CIG Covid-19.

Nell'ottobre del 2020 alcuni lavoratori venivano impiegati nella sede di Pescarola mentre altri rimanevano in CIG senza rotazione.

Ai ricorrenti, nel settembre del 2021, la società comunicava il trasferimento da Caivano-Pescarola a Sestu (Sardegna), motivato sulla base della decisione aziendale di procedere alla chiusura della unità produttiva di Pescarola, con il fine di contenere i costi. I lavoratori procedevano all'impugnazione ex art. 700 c.p.c. dei rispettivi provvedimenti di trasferimento, lamentando di non aver mai realmente iniziato la propria attività presso la sede di Pescarola, sicché dovevano ritenersi mancanti le ragioni oggettive poste a giustificazione della decisione datoriale.

La resistente sosteneva la legittimità del trasferimento: la perdita delle commesse su Pescarola e l'esigenza di contenere i costi avevano determinato la necessità di concentrare l'attività nello stabilimento sardo. In virtù dei licenziamenti intimati, inoltre, doveva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

La questione

Il trasferimento di più lavoratori presso una sede distante oltre 600 km da quella originaria può configurare, nel concreto, un'ipotesi di licenziamento collettivo?

La soluzione del tribunale

Il Tribunale di Napoli, dopo aver rammentato l'insindacabilità nel merito delle scelte datoriali in ordine alla propria organizzazione aziendale e, dunque, all'eventuale mutamento della sede lavorativa ex art. 2103 c.c., ha evidenziato che qualora sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore ha l'onere di dimostrare in giudizio le ragioni tecniche, organizzative e produttive a fondamento del medesimo, nonché il nesso causale tra le stesse ed il mutamento del luogo di lavoro.

Nel caso oggetto di giudizio, la società resistente doveva fornire la prova delle ragioni tecnico-produttive che spingevano ad abbandonare il progetto per il sito di Pascarola e trasferire tutto il personale assunto in Sardegna. In particolare doveva dimostrarsi: la reale esistenza ed attivazione del sito di Pascarola; la sopravvenienza di situazioni tali che impedivano la sua concreta messa in opera; la necessità di spostare la produzione presso il sito di Sestu.

Suddetto onere probatorio non era stato ottemperato dalla resistente. In particolare non era stato provato che il sito di Pascarola avesse una potenzialità reale di attivazione, né l'esistenza di commesse che ne giustificassero l'impianto. A ciò si aggiungeva la mancanza di prova circa la necessità di far operare i lavoratori presso la sede di Sestu.

Ad avviso del giudice di merito, la modifica unilaterale delle condizioni di lavoro risultava difficilmente compatibile con la prosecuzione del rapporto, considerate le ovvie ricadute sulla sfera personale e familiare dei lavoratori. La probabile conseguenza degli effetti del trasferimento collettivo, ossia la cessazione dei rapporti di lavoro con i ricorrenti, appariva, pertanto, agevolmente prevedibile dalla società resistente.

Siffatta modifica unilaterale è stata ricondotta dal Tribunale nell'ambito della nozione eurounitaria di licenziamento collettivo di cui alla direttiva n. 98/59/CE:il trasferimento collettivo intimato ai ricorrenti- rectius il licenziamento collettivo eurounitario - si poneva, quindi, in una prospettiva proceduralmente illegittima, attesa l'imprescindibilità della consultazione preventiva delle rappresentanze sindacali. Tale conclusione era giustificata sulla base di un giudizio probabilistico circa l'idoneità dei trasferimenti a configurare quelle modifiche unilaterali e definitive costituenti il nucleo della nozione di licenziamento collettivo in base alla giurisprudenza sovranazionale. L'effettivo avvio delle consultazioni sindacali doveva, pertanto, essere effettuato a monte e non a valle delle eventuali modifiche unilaterali.

In conclusione, sotto il profilo del fumus boni iuris, i trasferimenti sono stati ritenuti illegittimi dal Tribunale di Napoli, in quanto non era stata dimostrata la sussistenza delle reali esigenze oggettive determinanti il mutamento della sede lavorativa, dovendosi tali provvedimenti datoriali essere in ogni caso qualificati come licenziamenti collettivi, intimati in assenza delle procedure legittimanti.

Quanto al periculum in mora, ad avviso del Tribunale, la distanza chilometrica fra il nuovo luogo di lavoro e quello di residenza, nonché i provvedimenti espulsivi adottati a seguito del trasferimento, costituivano un vulnus imminente ed irreparabile ai diritti essenziali dei ricorrenti.

Osservazioni

La decisione in commento offre la possibilità di tornare su un tema di non poco rilievo, afferente la possibilità di considerare, ai fini dell'applicazione della L. n. 223/1991, anche i c.d. licenziamenti indiretti, ossia quelli non consistenti in una formale comunicazione del recesso da parte del datore, bensì derivanti da una modifica unilaterale – sempre d'iniziativa datoriale - incidente su elementi essenziali del contratto, con riflessi sostanziali sul rapporto di lavoro.

Ci si è chiesti, in sintesi, se il superamento della soglia dei cinque licenziamenti possa conseguire al conteggio non solo dei licenziamenti tecnicamente intesi, ma anche di tutte le altre cessazioni del rapporto di lavoro che siano conseguenza di cambiamenti tali da spingere il lavoratore alle dimissioni o all'accettazione di una risoluzione consensuale.

Nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli, i lavoratori erano stati trasferiti in blocco dalla società presso l'unità produttiva sita in Sardegna. La rilevante distanza tra la sede di destinazione e quella originaria ha costituito l'elemento fattuale dal quale il giudice di merito ha ritenuto doversi inferire il ragionevole sviluppo della vicenda, rectius la risoluzione dei rapporti di lavoro in conseguenza della non accettazione del trasferimento, tenuto conto dei riflessi negativi che il medesimo avrebbe generato nella sfera personale e familiare dei dipendenti. Nell'avvalorare tale conclusione ermeneutica, il Tribunale richiama la giurisprudenza sovranazionale in materia, seguendo un percorso interpretativo analogo a quello tracciato dalla Corte di Cassazione con una precedente sentenza (n. 15401/2020). In particolare, nel caso Rivera (11 novembre 2015, causa C-422/14; successivamente: sent. 21 settembre 2017, Halina Socha e altri c. Szpital Specjalistyczny causa C-149/16) la CdgUE, con riferimento all'art. 1, § 1, secondo comma, della direttiva n. 98/59/CE, letto unitamente al considerando n. 8, ha affermato che: «Per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque». Le ipotesi “indirette” di cessazione del rapporto, aventi origine in una modifica sostanziale unilaterale del datore di elementi essenziali del contratto, potrebbero, dunque, venire in rilievo nei limiti in cui i licenziamenti in senso tecnico siano almeno cinque. Sul punto è opportuno da ora evidenziare che debba trattarsi di una modifica legittima, nell'esercizio dei poteri unilaterali del datore, che renda tuttavia il rapporto non proseguibile per il lavoratore.

La legge n. 223/91 realizza una tutela certamente più ampia rispetto agli standard comunitari, in quanto, non solo abbassa le soglie minime dimensionali dell'impresa interessata (15 dipendenti anziché 20) ma riduce, altresì, il numero minimo dei licenziamenti (5 anziché 10) ed estende a 120 giorni il periodo di riferimento, con conseguente più ampia configurabilità di licenziamenti collettivi. Il legislatore nazionale, però, non ha espressamente accumunato, nel novero delle fattispecie estintive prese in considerazione, anche altri atti risolutori dei rapporti (dimissioni ovvero risoluzioni consensuali) causalmente riconducibili all'iniziativa del datore. Una tale assimilazione, seguendo pedissequamente la giurisprudenza sovranazionale, sarebbe consentita nelle sole ipotesi in cui, raggiunte le soglie numeriche minime previste dalla direttiva, in aggiunta al numero (minimo) di cinque licenziamenti, ricorrano altre ipotesi risolutorie comunque riferibili all'iniziativa del datore. Nel contesto della L. n. 223/91 ciò dovrebbe significare che solo una volta raggiunta la soglia dei cinque licenziamenti nell'arco temporale di 120 giorni, anche altre ipotesi risolutorie del tipo individuato dalla normativa europea sarebbero da assoggettare alla procedura ed ai criteri di scelta della medesima Legge. Tale conclusione, nella giurisprudenza precedente al revirement del 2020 (Cass. n. 14501/2020) veniva perorata anche a partire dall'art. 1, D.lgs. n. 151/1997 che, nel trasporre nell'ordinamento interno la direttiva 92/56/CEE, non aveva riprodotto il riferimento al rilievo delle cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore e per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, diverse dunque dai licenziamenti in senso tecnico.

Tornando alla decisione in commento, dopo aver evidenziato l'insindacabilità nel merito delle scelte datoriali in materia di trasferimento, il Tribunale di Napoli ha ritenuto non ottemperato l'onere probatorio gravante in capo al datore ai sensi dell'art. 2103 c.c., non avendo la società resistente fornito la prova dell'effettiva sussistenza delle ragioni oggettive giustificanti la modifica della sede lavorativa. Alla dichiarazione dell'illegittimità dei trasferimenti, tuttavia, è seguito uno sviluppo argomentativo di non facile spiegazione.

Come sopra evidenziato, al fine di poter estendere – sussistendo le ulteriori condizioni richieste – la disciplina dei licenziamenti collettivi anche ad ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro dipendenti da modifiche di elementi essenziali del contratto, ed indipendenti dalla persona del lavoratore, è necessario che l'iniziativa unilaterale datoriale sia lecita, presupposto che, nella fattispecie decisa dal giudice di Napoli, non sussiste.

Cercando di schematizzare, nel caso in cui venga accertata la legittimità del trasferimento, il rifiuto del dipendente può condurre alle dimissioni del medesimo o alla risoluzione consensuale del rapporto. Il mancato svolgimento della prestazione presso la nuova sede lavorativa, d'altronde, potrebbe condurre ad un licenziamento disciplinare, irrilevante ai fini dell'integrazione di un licenziamento collettivo. Un trasferimento “in blocco”, legittimamente disposto, comporta la modifica di un elemento essenziale del contratto di lavoro laddove la sede di destinazione sia collocata ad una distanza rilevante da quella originaria, sicché – in linea con quanto sopra si è cercato di esporre – sussistendo almeno cinque licenziamenti tecnicamente intesi, anche le ulteriori cessazioni dei rapporti di lavoro (dimissioni – risoluzioni consensuali) verrebbero ad essere assoggettate alla disciplina di cui alla L. n. 223/91.

Qualora, invece, venga riscontrata l'illegittimità della scelta datoriale, difettando in concreto le ragioni oggettive richieste dall'art. 2103 c.c., il rifiuto apposto dal lavoratore, accompagnato dall'impugnazione del provvedimento datoriale, priverebbe di effetti l'eventuale licenziamento successivamente intimato, sicché non si porrebbe il problema di dover assicurare le garanzie connesse al controllo ex ante da parte delle rappresentanze sindacali delle ragioni determinanti la riduzione del personale.

Nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli non solo la modifica sostanziale unilaterale è stata ritenuta non conforme alla Legge – con conseguente difetto della necessaria liceità dell'esercizio dei poteri datoriali – ma la cessazione dei rapporti di lavoro susseguente al trasferimento collettivo non risultava accompagnarsi ad (almeno) cinque licenziamenti “diretti”, difettando il presupposto richiesto espressamente dal Legislatore nazionale e, mutatis mutandis, dal giudice sovranazionale.

Per approfondire

F. Limena, Licenziamento collettivo sì, licenziamento collettivo no: l'andirivieni della Cassazione, in Lavoro nella Giur., 2022, n. 2, pp. 138 ss.

F. Limena, I licenziamenti indiretti entrano nella fattispecie dei licenziamenti collettivi: il revirement della Cassazione, in Lav. nella Giur. ,2021, n. 5, pp. 600 ss.

V. A. Poso, «Almeno cinque licenziamenti». La procedura per la riduzione del personale e le intenzioni pericolose del datore di lavoro, in Labor- Il lavoro nel diritto, 13 agosto 2021

M. De Luca, I licenziamenti collettivi nel diritto dell'Unione europea e l'ordinamento italiano: da una remota sentenza storica della Corte di giustizia di condanna dell'Italia alla doppia pregiudizialità per il nostro regime sanzionatorio nazionale (note minime), parte prima e parte seconda, rispettivamente in Labor, 2020, n.2, pp. 149 ss. e 2020, n. 3, pp. 267 ss.

A. Zambelli, Il recesso è licenziamento se si toccano elementi essenziali del contratto, in Il Sole 24 ore, 24 luglio 2020.

V.A. Poso, Le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro che derivano da modifiche unilaterali sostanziali di condizioni essenziali del contratto di lavoro? Tu chiamale se vuoi…. licenziamenti, in Labor-Il lavoro nel diritto, 3 agosto 2020.

M. Corti, Applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi: conta anche la risoluzione consensuale a seguito di una modifica sostanziale delle condizioni di lavoro, disposta unilateralmente dal datore, in Dir. Rel. Ind., 2020, 4, pp. 1154 ss.

F. Gadaleta, Il problema dell'effettività nella Direttiva 98/59/CE e della cd. “dimensione comunitaria” del licenziamento collettivo, in RIDL, 2018, n. 1, II, pp. 131 ss.

A. Riefoli, I presupposti di applicabilità della disciplina sui licenziamenti collettivi al vaglio della Corte di giustizia, in RIDL, 2016, n. 3, II, pp. 699 ss.

R. Cosio - F. Curcuruto - R. Foglia (a cura di), Il licenziamento collettivo in Italia nel quadro del diritto dell'Unione europea, Giuffré,Milano, 2016.

R. Cosio, I licenziamenti collettivi nelle sentenze della Corte di giustizia, in https://ilgiuslavorista.it, 28 luglio 2016.

R. Cosio, La nozione di “licenziamento” nella direttiva sui licenziamenti collettivi, in Lav. nella Giur., 2016, pp. 247 ss.

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