Inapplicabilità del piano “rafforzato” ex art. 9, c. 5 bis, decreto liquidità per tardivo deposito dell’attestazione dopo la rinuncia al preconcordato

Danilo Galletti
14 Aprile 2022

Deve dichiararsi l'estinzione del procedimento ex art. 161, comma 6, l.fall., quando il debitore rinunzi alla domanda di concordato entro la scadenza del termine concesso, ma ometta altresì di pubblicare tempestivamente il piano attestato di risanamento, redatto ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. a, l.fall., non potendo in tal caso trovare applicazione il disposto dell'art. 9, comma 5-bis, l. n. 40/2020.
Massima

Deve dichiararsi l'estinzione del procedimento ex art. 161, comma 6, l.fall., quando il debitore rinunzi alla domanda di concordato entro la scadenza del termine concesso, ma ometta altresì di pubblicare tempestivamente il piano attestato di risanamento, redatto ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. a, l.fall., non potendo in tal caso trovare applicazione il disposto dell'art. 9, comma 5-bis, l. n. 40/2020.

Il caso

Un'importante cooperativa consortile fa istanza di concessione del termine ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall.

Alla scadenza del termine il debitore rinunzia alla domanda, dichiarando di volersi avvalere della facoltà di cui all'art. 9, comma 5-bis, l. n. 40/2020 (c.d. Decreto Liquidità), relativa al piano attestato cd. rafforzato, e riservandosi di produrre le ricevute attestanti il deposito del piano nel Registro delle Imprese, nonché l'attestazione.

La norma, come è noto, prescrive che “il debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all'art. 161, sesto comma, o all'art. 182 bis, comma 7, r.d. 16 marzo 1942 n.267, può, entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ai sensi dell'r.d. n. 267 del 1942 pubblicato nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. il tribunale, verificate la completezza e regolarità della documentazione, dichiara l'improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell'art. 161, comma 6 o dell'art.182 bis, comma 7, del citato r.d. n. 267 del 1942”.

Tuttavia, nel prosieguo, si accerta che il piano non è stato oggetto di pubblicazione entro il suddetto termine, e che l'attestazione è stata addirittura emessa con data successiva alla perenzione del medesimo.

Si apprende inoltre che il debitore aveva medio tempore stipulato importanti accordi transattivi con i propri creditori, accordi sospensivamente condizionati non solo alla tempestiva rinunzia alla domanda concordataria, ma altresì alla verifica di regolarità del Tribunale, ed alla emissione della declaratoria di improcedibilità.

Il Tribunale non può che accertare la tardività delle attività descritte, e dunque la inapplicabilità della norma speciale del Decreto Liquidità; prende tuttavia atto del contenuto del piano, che ha potuto conoscere in forza del (tardivo) deposito, ed effettua una sommaria delibazione della sopravvenuta “inattualità” dello stato di insolvenza; dispone infine in ordine alla “estinzione” (e non già alla “improcedibilità”) del procedimento.

Le questioni giuridiche

Mi sembra che il provvedimento commentato costituisca ad oggi l'unico che abbia affrontato espressamente l'applicazione del citato comma 5-bis dell'art. 9 Decreto Liquidità.

Non pare possano nutrirsi dubbi circa il fatto che l'applicazione della norma speciale presupponga non solo che la rinunzia alla domanda concordataria avvenga entro il termine concesso ai sensi del comma 6 dell'art. 161 l.fall., ma che entro la stessa data siano stati formati tanto il piano quanto l'attestazione, ed il primo sia stato altresì oggetto di pubblicazione nel Registro delle Imprese; la lettera della norma, infatti, mi sembra inequivoca sul punto.

Molto più dubbia è la valutazione di quali effetti l'applicazione della norma comporti, id est di quali benefici essa possa attribuire, tanto al debitore quanto agli eventuali creditori che abbiano sottoscritto col primo convenzioni, rientranti nella sfera di rilevanza del piano attestato.

Tali effetti/benefici, qualunque sia la loro effettiva dimensione ed estensione, nel caso in commento sarebbero decaduti per sempre, in forza della intempestività delle azioni esecutive intraprese dal debitore.

Nella fattispecie che ci occupa, tuttavia, sembra di intuire che gli effetti cui realmente aspirava il debitore fossero non già quelli legali, bensì quelli convenzionali, atteso che la “regolarità” del procedimento era stata dedotta come condizione sospensiva di un importante accordo privatistico, che costituiva il sostrato del piano attestato. In tal senso bisognerebbe allora procedere ad un'interpretazione di “buona fede” (art. 1366 c.c.) del suddetto contratto, al fine di valutare se l'esito differente da quello programmato possa influire sul giudizio circa l'avveramento delle condizioni; non conoscendo i termini puntuali del negozio, tale valutazione non è tuttavia in questa sede minimamente possibile.

Come è noto, comunque, la (scarsa) letteratura si è divisa fra chi propugna della norma speciale un'interpretazione piana, che ne evidenzia la scarsa utilità pratica (M. Irrera, Le novità in tema di procedure concorsuali nella conversione in legge del decreto liquidità (ovvero di quando i rimedi sono peggiori del male o inefficaci), in ilcaso.it, 3 giugno 2020; N. Abriani- P. Rinaldi, Emergenza sanitaria e tutela proporzionata delle imprese oltre la domanda “tricolore”, ivi, 4 giugno 2020; S. Ambrosini, La rinunzia al concordato preventivo dopo la legge n. 40/2020 di conversione del decreto liquidità: nascita di un ircocervo, ivi, 10 giugno 2020; S. Ambrosini- G. Giannelli, L'impatto del decreto liquidità sulla continuità aziendale delle imprese e sulle procedure concorsuali pendenti, in Dir. fall., 2020, 533 s.; L. Panzani, Il mondo alla rovescia ovvero il passaggio dal concordato o accordo di ristrutturazione con riserva al piano attestato: l'originale invenzione del legislatore, in dirittobancario.it, 12 giugno 2020), e talvolta addirittura la inutilità, giacché la possibilità di rinunziare al concordato e di porre in essere un piano attestato non era mai stata posa in discussione da niuno; e chi invece si sforza di individuare degli effetti pratici, che consentano di attribuire alla norma un'interpretazione “utile” (arg. ex art. 1367 c.c.). In tal ultima direzione, gli effetti prodottisi nell'ambito del concordato “con riserva” (cristallizzazione degli interessi, prededuzione degli atti legalmente compiuti o autorizzati, blocco delle azioni esecutive o cautelari) potrebbero aspirare a stabilizzarsi (v. M. Fabiani, Il piano di risanamento “protetto”, in Fallimento, 2021, 878 ss.), pur non potendosi “saldare” il pre- concordato, procedura concorsuale, con il piano attestato (mero strumento privatistico), o addirittura il provvedimento tribunalizio produrrebbe gli stessi effetti di una “omologazione”, con conseguente stabilizzazione definitiva degli atti previsti dal piano, comunque non più sottoponibili a giudizi revocatori (al pari di un accordo di ristrutturazione: cfr. V. Zanichelli, Da domanda prenotativa a piano attestato: un'interpretazione dissonante o, in alternativa, una proposta, in dirittodellacrisi.it, 9 aprile 2021).

Sullo sfondo resta il tema dell'effettivo ambito dei poteri di controllo del Tribunale sulla “regolarità” della procedura, che oscilla fra opinioni nel senso della legittimità di una stima quantomeno della non “manifesta” implausibilità del piano, e chi vede invece carente di qualsiasi potere di concreto contenuto il Giudice (sul punto cfr. per tutti S. Ambrosini, Improcedibilità delle istanze di fallimento e rinuncia al concordato preventivo: le novità della L.n. 40/2020, in Crisi d'impresa ed emergenza sanitaria, a cura di S. Ambrosini e S. Pacchi, Bologna, 2020, 175 ss.).

Osservazioni

Ferma la conclusione nel senso della previsione a pena di decadenza delle attività sopra descritte, a me sembra che la disposizione speciale in questione non possa ritenersi solo riproduttiva di una possibilità già insita nel sistema: in caso contrario, infatti, non potrebbe trovare giustificazione il fatto che essa sia limitata temporalmente a quei concordati aperti entro il 31 dicembre 2021; di certo, infatti, la rinunzia al concordato sarà possibile anche oltre la perenzione di tale termine.

D'altro canto, mi sembra anche improbabile che la norma abbia consentito una “consecuzione” fra una vera e propria procedura concorsuale ed uno strumento meramente privatistico; la prededuzione, pertanto (prima dell'entrata in vigore dell'art. 6 CCII), potrà semmai essere apprezzata con riferimento ad ulteriori future procedure concorsuali, non certo rispetto al patrimonio di un debitore rientrato in bonis.

Così pure rispetto alle procedure esecutive e cautelari, che potranno sicuramente essere “riassunte” o proseguite dopo la improcedibilità del concordato.

Anche quanto agli interessi, d'altro canto, la possibilità di considerare la loro cristallizzazione ormai “definitiva” mi sembra urtare contro la natura meramente “relativa” della inopponibilità degli stessi in costanza di procedura.

Improbabile mi pare anche l'idea che gli atti previsti nel piano possano aspirare ad una stabilità rispetto alla revocatoria differente da quella che è loro propria, perché la norma in alcun modo offre spiragli interpretativi in tal senso.

L'unico effetto “utile” che vedo nel disposto normativo è pertanto quello di legittimare il debitore in concordato, ma solo nel ristretto ambito temporale di applicabilità della norma, ad orientare la propria attività, in pendenza del termine concesso dal Tribunale, alla redazione di un piano attestato, anziché di un piano concordatario (o di un accordo di ristrutturazione).

La disposizione pertanto focalizzerebbe una fattispecie ove non è possibile assumere i provvedimenti “anti- abuso” tipici (id est, riduzione del termine, art. 173 l.f.), in conseguenza della “virata” del debitore verso le attività inerenti alla redazione di un piano ex art. 67 l.f. (con relativa attestazione), anziché degli atti “tipici” verso i quali la situazione è normalmente destinata ad evolvere.

Ciò non vuol dire peraltro che il debitore non debba dare atto di ciò nelle relazioni periodiche, alla cui redazione esso è comunque rigorosamente tenuto.

E mi pare dunque che la norma speciale piuttosto confermi che gli strumenti ordinamentali che consentono al debitore di “comprare tempo” per predisporre la regolazione della sua crisi, strumenti che comportano sempre una compressione dei diritti e delle facoltà dei creditori, sono in linea di massima condizionati nella loro legittimità dal perseguimento dei fini tipici per cui sono stati assemblati, salve le eccezioni di legge (come appunto questa).

Così chi abbia goduto della concessione del termine ex art. 161, comma 6, l.fall., potrà alternativamente dedicarsi alla redazione di un piano concordatario o di un accordo di ristrutturazione; e solo chi ha ricevuto l'assegnazione del termine entro il 31 dicembre 2021 potrà in alternativa dedicarsi alla predisposizione di un piano attestato, anche in via esclusiva. In ogni altro caso il Tribunale dovrà fare uso dei propri poteri, anche officiosi, al fine di reagire all'abuso dello strumento.

Il tema acquista una particolare rilevanza, mi sembra, nella più recente disciplina della composizione negoziata: se infatti pare certo che il debitore non possa dedicarsi integralmente, durante le trattative, alla predisposizione di una domanda di concordato “semplificato”, posto che condizione per l'accesso a quest'ultima procedura è la prova di aver esperito la composizione negoziata “effettivamente”, tentando ogni possibile soluzione ivi contemplata, e portando avanti le trattative con convinzione e determinazione, l'art. 11 D.L. n. 118/2021 non sembra affatto inequivoco rispetto alle altre ipotetiche evoluzioni di quella fase.

Dal comma 2 dell'art. 11 mi sembra potersi ritrarre la conclusione per cui sarebbe legittimo dedicarsi alla redazione di un accordo di ristrutturazione, anche “ad efficacia estesa”.

Ancora, nel comma 1, si può constatare come la predisposizione di una soluzione regolatoria “transitoria”, come la convenzione di moratoria (art. 182 octies l.fall.), sia parimenti legittimata ed anzi auspicata; ma, riterrei, solo ove detta convenzione costituisca di per sé una soluzione idonea a “risolvere” lo stato di cui all'art. 2, anche se alla luce dell'apprezzamento di un orizzonte temporale delimitato nel tempo.

A me sembra comunque che il debitore, durante lo svolgimento delle trattative, sia -onerato di porre in essere attività astrattamente strumentali all'adozione di una delle soluzioni di cui all'art. 11, commi 1 e 2, D.L. n. 118.

Ove egli stimi apprezzabile il rischio di non poter più conseguire in tal modo (il c.d. Piano “A”) la propria regolazione della crisi, allora potrà contemporaneamente percorrere altre strade e soluzioni operative (il c.d. Piano “B”), ma sempre senza abbandonare del tutto la “strada maestra”; in caso contrario l'esperto dovrà porre fine alla fase della composizione, instando per la “archiviazione” del procedimento; e così pure il Giudice, nelle eventuali parentesi di cognizione.

Ciò non toglie peraltro che la composizione, e le trattative ad essa inerenti, non possano contemporaneamente condurre alla elaborazione del contenuto ed anche del perfezionamento di accordi con creditori o terzi, che possano poi divenire parte di soluzioni regolatorie della crisi estranee a quelle “tipiche” che concludono tale “percorso” (ad es. quelle di cui al comma 3° dell'art. 11, che comunque la Legge agevola, se poste in essere dopo la composizione negoziata, volendo con ciò solo incentivare il ricorso al nuovo istituto). Ma mai in via “esclusiva”.

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