Circolarità degli oneri di allegazione e contestazione
20 Aprile 2022
Inquadramento
L'art. 115 c.p.c., a seguito della modifica apportata dalla l. 69/2009, ha introdotto a carico di ciascuna parte l'onere di contestazione specifica dei fatti addotti dalla controparte, prevedendo che il giudice può porre a fondamento della decisione, non solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, ma anche «i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita». È evidente la simmetria con l'art. 416 c.p.c., il quale, al comma terzo, già prevede, nell'ambito del rito del lavoro, che il convenuto, all'atto della costituzione in giudizio, «deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda…» (Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 16970). È stata, in tal modo, risolta, in un'ottica volta a favorire un più agevole controllo sul leale comportamento delle parti nel corso del processo, la discrasia giurisprudenziale inerente alla rilevanza da attribuire alla condotta processuale di «contestazione generica». Secondo un diffuso orientamento, infatti, non rilevava in linea generale che i fatti non fossero contestati, mancando nell'ordinamento processuale un principio che vincolasse la parte alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dedotta «ex adverso», per evitare le conseguenze della loro pacificità (Cass. civ., 24 novembre 2010, n. 23816). Si era, in proposito, precisato che la contestazione generica non equivaleva ad ammissione (Cass. civ., 5 febbraio 2003, n. 1672) e che l'atteggiamento non estrinsecatosi in una precisa contestazione, malgrado la presenza di norme che erano venute affermando l'onere delle parti di prendere posizione quanto ai fatti allegati dalle altre e di farlo subito, non liberava la parte che ne aveva l'onere dalla necessità di provarli, sebbene da quel comportamento il giudice potesse desumere argomenti di prova (Cass. civ., 5 ottobre 2001, n. 12282). Altro orientamento riteneva, invece, che l'onere di contestazione — con il correlativo corollario del dovere, per il giudice, di ritenere non abbisognevole di prova quanto non espressamente contestato — fosse un principio generale che informava il sistema processuale civile, poggiando le proprie basi non soltanto sul tenore degli artt. 167 e 416 c.p.c., ma anche: sul carattere dispositivo del processo (comportante una struttura dialettica a catena); sulla generale organizzazione per preclusioni successive (che, in misura maggiore o minore, caratterizza ogni sistema processuale); sul dovere di lealtà e probità, posto dall'art. 88 c.p.c. (che impone ad entrambe le parti di collaborare fin dalle prime battute processuali a circoscrivere la materia realmente controversa, senza atteggiamenti volutamente defatiganti, ostruzionistici o solo negligenti); sul generale principio di economia processuale, alla luce anche del novellato art. 111 Cost. (Cass. civ., 4 aprile 2013, n. 8213; Cass. civ., 20 novembre 2008, n. 27596). Di recente, si è precisato che il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell'art. 115 c.p.c. introdotta dalla l. 69/2009, è applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, che deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi (Cass. civ., 27 febbraio 2020, n. 5429). Trattasi, quindi, di principio che, sintetizzando una tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, ha ormai dignità di regola generale, ed è pertanto applicabile anche al procedimento per dichiarazione di fallimento (Cass. civ., 28 febbraio 2017, n. 5067) ed al processo tributario (sia pure con alcuni limiti: cfr. Cass. civ., 13 marzo 2019, n. 7127; Cass. civ., 18 maggio 2018, n. 12287). Presupposti applicativi del principio di non contestazione
E' pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza, la limitazione della rilevanza della non contestazione ai soli giudizi vertenti su diritti disponibili (Cass. civ., 17 maggio 2018, n. 12122, e Cass. civ., 20 ottobre 2015, n. 21176, secondo cui «il principio di non contestazione mira a selezionare i fatti bisognosi di istruzione probatoria in un ambito dominato dalla disponibilità delle parti»; Trib. Monza 29 settembre 2010, in Giur. merito, 2011, 3115; in dottrina, Cea, La tecnica della non contestazione nel processo civile, in Giusto proc. civ., 2006, 173; Verde, Diritto processuale civile, 2, Bologna, 2017, 51). Il principio in esame è, inoltre, riferibile non solo ai fatti principali, ma anche a quelli secondari, non essendovi nel novellato art. 115 c.p.c. alcuna traccia di tale distinzione (cfr., in motivazione, Cass civ., sez. un., 29 maggio 2014, n. 12065, che ha superato il diverso dictum espresso da Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002, n. 761, che invece distingueva, in ordine alla rilevanza della condotta di non contestazione, tra fatti costitutivi della fattispecie, ai quali era applicabile il principio in esame, e fatti secondari di rilievo istruttorio, in ordine ai quali la non contestazione costituiva solo argomento di prova ai sensi dell'art. 116, co. 2, c.p.c.; in ordine all'applicabilità di tale ultima distinzione ai soli giudizi anteriori alla l. n. 69/09, cfr. Cass. civ., 20 dicembre 2021, n. 40756), e riguarda non solo l'attore, ma anche il convenuto ed i terzi (Cass. civ., 3 maggio 2016, n. 8647). Il principio in esame non si applica, inoltre, alle mere difese (Cass. civ., 13 settembre 2016, n. 17966) e alle prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all'apprezzamento del giudice (Cass. civ., 1 febbraio 2019, n. 3126). L'onere di contestazione specifica, peraltro, opera solo nell'ambito del giudizio di primo grado, nel senso che il giudice d'appello deve tener conto del thema decidendum e del thema probandum come formatisi in primo grado, non rilevando a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti dinanzi a lui (Cass. civ., 27 marzo 2017, n. 7784; Cass. civ., 4 novembre 2015, n. 22461). E', poi, consolidato in giurisprudenza l'orientamento che esclude l'operatività della non contestazione nei confronti della parte non costituitasi, in ragione del carattere «neutro» del comportamento tenuto dal contumace e della formulazione letterale del vigente co. 1 dell'art. 115 c.p.c. In sostanza, si è tradizionalmente sostenuto che la contumacia esprime un silenzio non soggetto a valutazione, non vale a rendere non contestati i fatti allegati dall'altra parte, né altera la ripartizione degli oneri probatori tra le parti (Cass. civ., 26 giugno 2018, n. 16800; Cass. civ., 19 ottobre 2016, n. 21096; Cass. civ., 24 novembre 2014, n. 24885; Cass. civ., 23 giugno 2009, n. 14623). Sotto altro profilo, l'operatività del principio di non contestazione resta pur sempre limitata ai soli fatti storici la cui ricostruzione ex post richieda il dispendio di attività probatoria, rimessa alle parti, e va esclusa, invece, per le questioni rilevabili d'ufficio, come quelle inerenti alla legittimazione attiva e passiva (Cass. civ., 20 ottobre 2015, n. 21176) e alla qualificazione giuridica dei fatti, che rientra nel potere-dovere del giudice (Cass. civ., 6 agosto 2019, n. 20998), nonché per le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. civ., 5 marzo 2020, n. 6172) e per le valutazioni svolte dal consulente tecnico d'ufficio (Cass. civ., 21 dicembre 2017, n. 30744). La parte interessata non è, comunque, esonerata, a prescindere da un'eventuale condotta di non contestazione della controparte, dall'onere di provare i fatti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l'osservanza dell'onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte (Cass. civ., 13 gennaio 2021, n. 387; Cass. civ., 17 ottobre 2018, n. 25999; Cass. civ., 6 agosto 2002, n. 11765). Si è anche precisato che il semplice difetto di contestazione, ove rilevante sul piano probatorio, non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall'altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto. Del resto, se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), a fortiori ciò vale per la valutazione della mancata contestazione (Cass. civ., 21 aprile 2016, n. 8039; Cass., Sez. Un., 3 giugno 2015, n. 11377), non essendo sostenibile che il legislatore abbia voluto far assurgere la «non contestazione» a prova legale. Rapporto tra gli oneri di allegazione e di contestazione
L'applicazione del principio di non contestazione presuppone l'onere, gravante sull'attore, di una specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati (principio di circolarità della specificità: ad allegazione specifica corrisponde onere di contestazione specifica): in particolare, secondo la giurisprudenza, la specificità dell'allegazione non può essere desunta anche dall'esame dei documenti prodotti, giacchè l'onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni, non generiche, contenute negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi, rispetto ai quali dovrà essere svolta l'istruttoria (Cass. civ., 7 febbraio 2020, n. 2908; Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26623; Cass. civ., 22 settembre 2017, n. 22055). In effetti, l'esigenza che la specifica allegazione venga attuata non con il semplice deposito di documenti, bensì con puntuali affermazioni contenute negli scritti difensivi, è conseguenza anche del principio processuale per cui il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e risultando per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20265; Cass. civ., 24 dicembre 2004, n. 23976). Gli elementi costitutivi della domanda devono, quindi, essere specificamente enunciati nell'atto difensivo, restando escluso che le produzioni documentali (rispetto alle quali vi è soltanto l'onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all'art. 214 c.p.c., o di proporre - ove occorra - querela di falso) possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l'effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l'individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l'attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell'atto introduttivo (Cass. civ., 8 febbraio 2018, n. 3022). In sostanza, il principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell'avversario dall'onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all'onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l'altra parte è tenuta a prendere posizione (Cass. civ., 29 settembre 2020, n. 20525). Ciò in quanto il sistema di preclusioni del processo civile, se comporta per le parti l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse (Cass. civ., 15 ottobre 2014, n. 21847). Ne consegue, ad es., che la mancata allegazione del preciso luogo in cui si sarebbe verificato un sinistro stradale, dal quale l'attore sostiene di aver riportato danni, esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il reale accadimento di tale evento, dall'onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l'onere di allegare il fatto costitutivo dell'avversa pretesa (Cass. civ., 17 febbraio 2016, n. 3023). In tema, invece, di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, il debitore ha, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115, co. 1, c.p.c., l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato, mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri (Cass. civ., 1 dicembre 2021, n. 37788). In ogni caso, si è condivisibilmente sostenuto che la generica deduzione di assenza di prova senza negazione del fatto storico non è equiparabile alla specifica contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. (Cass. civ., 27 agosto 2020, n. 17889). L'onere di contestazione non concerne, poi, il contenuto dei capitoli della prova testimoniale, posto che da questi ultimi è possibile trarre elementi di prova solo in quanto siano stati ammessi e confermati dal teste (Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 16908). Inoltre, e più in generale, l'onere di contestazione specifica, perché operi, richiede che la parte gravata dallo stesso conosca i fatti allegati dalla controparte, e che sia cioè in grado di effettuare una specifica contestazione di quanto dedotto ed allegato da controparte (Cass. civ., 31 agosto 2020, n. 18074; Cass. civ., 4 gennaio 2019, n. 87, la quale ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio di impugnativa di licenziamento per crisi aziendale, aveva ritenuto non contestati fatti ignoti al lavoratore, quali la riorganizzazione aziendale con soppressione della sua posizione di lavoro e la ridistribuzione delle mansioni ad altro personale; Cass. civ., 18 luglio 2016, n. 14652, la quale ha confermato la sentenza di merito che, in relazione al trafugamento di denaro da una cassaforte, aveva escluso che la linea difensiva assunta dal depositario, sostanziatasi nella negazione della propria responsabilità senza contestare l'entità delle somme asportate, potesse assumere valenza probatoria in ordine all'ammontare della refurtiva, trattandosi di un dato estraneo alla sua sfera di conoscibilità diretta; Cass. civ., 13 febbraio 2013, n. 3576). Invero, in mancanza di una concreta conoscibilità dei fatti, non può esigersi alcuna specifica contestazione da parte del convenuto e non può, quindi, neppure ritenersi che l'attore sia esonerato dall'onere di dimostrare i fatti rientranti in via esclusiva nella propria sfera di conoscibilità. Si pensi, ad es., al danneggiato che, in sede di risarcimento, descriva una certa dinamica del sinistro oppure dichiari di aver svolto in precedenza una certa attività sportiva che, a seguito del sinistro, non può più compiere: la compagnia assicurativa convenuta o chiamata in garanzia assai difficilmente potrebbe avere cognizione di tali fatti e circostanze, cosicché, in tal caso, la contestazione da parte della stessa non potrebbe che essere generica. Insomma, poiché possono esservi dei casi intermedi, in cui la conoscenza è parziale o limitata, può dirsi che la specificità della contestazione deve essere proporzionale al grado di conoscenza del fatto da parte di colui contro il quale viene dedotto. Anche nell'ambito del rito del lavoro si è sostenuto che l'onere di contestazione sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico delle vicende processuali (Cass. civ., 1 febbraio 2021, n. 2174, la quale ha escluso che l'Inail avesse l'obbligo di contestare i fatti posti alla base della domanda giudiziale di indennità temporanea da infortunio sul lavoro, perché il fatto costitutivo della prestazione traeva origine dal rapporto di lavoro cui l'ente era estraneo, restando irrilevante, ai fini della non contestazione, quanto dedotto dal lavoratore in sede amministrativa con la denuncia d'infortunio). Proprio perché il principio di non contestazione opera in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l'opportunità, la parte che lo deduca in sede di impugnazione è tenuta ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e se la controparte abbia avuto occasione di replicare (Cass. civ., 6 dicembre 2018, n. 31619). Nel caso in cui i fatti costitutivi del diritto azionato (nella specie, di riscatto agrario) siano individuati dalla legge, il convenuto ha ugualmente l'onere di contestarli specificamente e non, genericamente, con una clausola di stile, per evitare che gli stessi siano ritenuti incontestati; solo in presenza di tale condizione, l'attore ha l'onere di provarli, restando così assicurato il principio del contradditorio (Cass. civ., 18 maggio 2011, n. 10860). Di recente, si è sostenuto che il principio di non contestazione non opera anche in relazione a fattispecie, come quella del diritto al risarcimento danno (nella specie danno biologico da esposizione all'amianto), il cui accertamento, richiedendo un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull'evento e sul pregiudizio, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al thema probandum come disciplinato dall'art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice (Cass. civ., 19 agosto 2019, n. 21460). Strettamente connessa con l'operare del principio della non contestazione è anche la questione – lasciata irrisolta dalla riforma del 2009 e fonte di divergenti orientamenti in sede applicativa – del termine entro il quale la parte possa esercitare la specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte. In proposito, si fronteggiano, al momento, due orientamenti. Secondo una prima tesi, allo stato minoritaria, l'onere di specifica contestazione va assolto nella prima difesa o udienza immediatamente successiva all'allegazione del fatto che si intende contestare (Cass. civ., 27 febbraio 2008, n. 5191). Secondo altra tesi, prevalente e più recente, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall'attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall'art. 183 c.p.c. (nel rito del lavoro sino all'udienza ex art. 420 c.p.c.), risultando preclusa, all'esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall'esercizio della facoltà deduttiva (Cass. civ., 26 maggio 2020, n. 9690; Cass. civ., 6 dicembre 2019, n. 31402; Cass. civ., 12 marzo 2019, n. 7093; Cass. civ., 29 novembre 2013, n. 26859). In particolare, nel procedimento per convalida di sfratto, si è sostenuto che, allorché la controversia prosegua oltre la fase sommaria a seguito dell'opposizione dell'intimato, la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. costituisce l'atto in cui si cristallizzano le posizioni delle parti, sicché non può ritenersi integrata, prima del deposito dell'anzidetta memoria, una non contestazione di un fatto idonea ad esonerare la controparte dalla relativa prova (Cass. civ., 16 dicembre 2014, n. 26356). Si è, infine, precisato che, in linea generale, il contenuto della contestazione della parte convenuta va desunto dalla comparsa di risposta ovvero dai successivi scritti difensivi, non essendo alla stessa precluso, allorché contesti la sussistenza dei fatti principali posti a fondamento della pretesa attorea, dedurne comunque l'infondatezza in via subordinata, senza che ciò implichi il loro riconoscimento (Cass. civ., 29 luglio 2016, n. 15772). |