Infarto durante la trasferta: è infortunio sul lavoro

Maurizio Polato
20 Aprile 2022

Con riferimento all'infortunio in itinere, l'art. 2, comma 3, d.P.R. n. 1124/1965, dopo la novella del 2000, va interpretato nel senso che esso amplia la tutela assicurativa...
Massima

Con riferimento all'infortunio in itinere, l'art. 2, comma 3, d.P.R. n. 1124/1965, dopo la novella del 2000, va interpretato nel senso che esso amplia la tutela assicurativa, perché la estende a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro ed esclude qualsiasi rilevanza all'entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto.

La norma tutela, infatti, il rischio generico (quello del percorso) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, restando confinato il c.d. rischio elettivo a tutto ciò che sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella tipica "legata al c.d. percorso normale”.

Il caso

Circostanza focale della vicenda è il decesso di un lavoratore sopraggiunto durante un lungo viaggio di lavoro in Cina, che risultava ulteriormente allungato a causa della cancellazione di un volo aereo, con conseguente lunga attesa, un pernottamento di fortuna e quindi un viaggio in treno di oltre 700 Km, per poter quindi partecipare ad una riunione: il lavoratore restava in stato di veglia per quasi 24 ore.

In seguito a questi eventi, il lavoratore decedeva nella camera d'albergo per arresto cardiocircolatorio.

Agivano in giudizio gli eredi, ricorrendo anche in appello e chiedendo la rendita ai superstiti, ritenendo l'evento morte quale infortunio in quanto incidente in itinere. (L'art. 85 del DPR 1124/1965 stabilisce che se l'infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti una rendita).

Il giudice d'appello rigettava la domanda, affermando che il dedotto infarto non poteva dirsi in rapporto causale con l'attività di lavoro, essendo semplicemente avvenuto in occasione di un viaggio di lavoro.

La questione approdava infine avanti la Corte di Cassazione.

Le questioni

Le principali questioni giuridiche che si profilano sono due, tra loro intimamente intrecciate in virtù dei fatti descritti:

1 - se l'evento morte come descritto rientri nel concetto di “occasione di lavoro” tale da poterlo attrarre nell'ambito dell'ombrello applicativo dell'infortunio in itinere;

2 – se l'infarto sia considerabile “causa violenta”.

Le soluzioni della Corte di cassazione

Come noto, l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni.

Gli elementi che integrano un infortunio sul lavoro sono dunque: la lesione, una causa violenta, e l'occasione di lavoro.

Il giudice di secondo grado aveva negato che il caso d'infarto occorso durante uno spossante viaggio di lavoro integrasse i requisiti dell'occasione di lavoro e della natura “violenta” dell'evento patologico.

Tale decisione è stata totalmente ribaltata dalla Cassazione.

Il punto di maggior interesse è senz'altro quello riguardante la possibilità di considerare – o meno – un viaggio di lavoro come “occasione di lavoro” ai fini dell'infortunio in itinere, soprattutto quando l'evento morte si sia verificato in una camera di albergo.

La Corte d'appello aveva escluso che l'evento danno fosse in alcun modo collegato alla prestazione lavorativa, ritenendo che derivasse da un'esposizione a un rischio generico, concretizzatosi nella cancellazione del volo e da quanto poi ne è conseguito: a tale rischio sarebbero stati esposti tutti i viaggiatori.

Il giudice di secondo grado escludeva poi il nesso eziologico dell'infarto con l'attività lavorativa.

La Corte di Cassazione, invece, per verificare l'integrazione del requisito, torna a ragionare sull'art. 12 del D.Lgs. n. 38/2000 dal cui testo originano i due concetti di “rischio generico” e “rischio elettivo”.

Il primo è coperto dall'assicurazione INAIL e ricade sotto l'ombrello dell'istituto dell'infortunio in itinere: si sostanzia nell'alea di pericolo insita nel percorso da casa a lavoro.

Integra un “rischio elettivo”, invece, il pericolo dovuto a una scelta arbitraria del lavoratore «il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella tipica “legata al c.d percorso normale” (…) così da realizzare una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro-rischio ed evento.

Ne consegue, alla stregua dell'anzidetta interpretazione, che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. “percorso normale” e l'attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica».

Il giudizio della Corte è piuttosto tranciante e potrebbe quasi apparire sbrigativo: «è dunque, errata la decisione impugnata là dove afferma che il rischio del lavoratore, integrato, in concreto, dalla cancellazione del volo e dagli eventi che ne sono susseguiti, con conseguente riduzione delle pause di riposo fisiologiche, risulta estraneo all'attività lavorativa.

La situazione in oggetto di giudizio va, viceversa, attratta a pieno titolo nella nozione di infortunio in itinere» (cit. punti 34 e 35 della sentenza in disamina).

La Corte valuta semplicemente se l'aggravarsi delle condizioni di viaggio siano dipese dalla volontà del lavoratore o meno, configurando i fatti come rischio generico e non di certo elettivo.

La Corte dà per scontato, pertanto, che l'intero periodo di tempo trascorso in viaggio di lavoro – compreso il pernottamento in albergo – sia da considerarsi occasione di lavoro. Pertanto, l'infarto occorso a causa di un affaticamento dovuto a circostanze estranee alla volontà del lavoratore, nel corso di un viaggio di lavoro, è accaduto pienamente in “occasione di lavoro”.

La Corte affronta quindi la seconda questione giuridica, ossia se l'infarto costituisca “causa violenta” ai sensi della disciplina sull'infortunio sul lavoro.

Nonostante la Corte d'appello lo avesse escluso, la Corte si richiama a sostanziosa giurisprudenza, confermando ancora una volta che «L'infarto, dunque, configura infortunio sul lavoro (Cass. n. 14085 del 2000 cit.; Cass. 17676 del 2007 e numerose altre) quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo.

La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna.

La giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, afferma che il ruolo causale dell'attività lavorativa non è escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l'attività lavorativa e l'infortunio (Cass. n. 13928 e del 2004; Cass n. 13814 del 2000) e precisa che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia (Cass. 21 maggio 2003 n. 8019)» (cit. punti 39 e 40 della sentenza in disamina).

Infine, è pur sempre di interesse segnalare come, obiter dictum, la Corte di Cassazione si sia prodigata a rammentare che il nesso causale tra l'attività lavorativa e l'evento morte debba essere valutato anche solo con un grado di probabilità qualificata, che deve quindi essere verificata attraverso mezzi ed elementi idonei a tradurre in certezza giuridica una conclusione valutata in termini probabilistici.

Riferimenti giurisprudenziali

Cass., sez. lav., 14 agosto 2007, n. 17676

Cass., sez. lav., 24 luglio 2004, n. 13928

Cass., sez. lav., 21 maggio 2003, n. 8019

Cass., sez. lav., 26 ottobre 2000, n. 14085

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