Decadenza ex art. 32, L. n. 183/2010, e datore effettivo: serve un atto da impugnare se manca un dies a quo alternativo

Teresa Zappia
20 Aprile 2022

Il regime di decadenza previsto dalla disposizione di cui all'art. 32 co. 4 L. n. 183/2010, in relazione alla fattispecie di cui alla lett. d), non si applica alle ipotesi in cui sia richiesta la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro...
Massima

Il regime di decadenza previsto dalla disposizione di cui all'art. 32 co. 4 L. n. 183/2010, in relazione alla fattispecie di cui alla lett. d), non si applica alle ipotesi in cui sia richiesta la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto qualora manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso, non potendo prima di tale momento decorrere alcun termine decadenziale atteso che il profilo impugnatorio funge da decisivo discrimine della applicazione della relativa disciplina.

Il fatto

Ciascuno dei due lavoratori agiva in giudizio chiedendo l'accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze del resistente, presso il quale avevano operato per alcuni anni, asserendo la subordinazione meramente formale presso varie cooperative.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso per intervenuta decadenza ex art. 32, co. 4, lett. d) L. n. 183/2010.

La decisione del Tribunale veniva impugnata e, in seguito, confermata dalla Corte di appello.

Veniva, pertanto, proposto ricorso per Cassazione, con il quale si lamentava l'errata riconduzione nell'ambito applicativo dell'art. 32 co, 4 lett. d) del caso oggetto di giudizio.

La questione

L'art. 32, co. 4, L. n. 183/2010 lett. d), si applica anche alle ipotesi di richiesta di accertamento del rapporto di lavoro, ormai risolto, nei confronti di altro datore di lavoro rispetto a quello formale?

La soluzione della Corte

Accertata la improcedibilità del ricorso per superamento dei termini di deposito di cui all'art. 369 c.p.c., la Corte di Cassazione ha ritenuto, ai sensi dell'art. 363, co.3, c.p.c., di pronunciare il principio di diritto, tenuto conto della rilevanza della questione da esaminare.

La Corte ha evidenziato che l'art. 32 co. 4 prevede l'applicazione dell'art. 6 L n. 604/66 a determinate ipotesi tra le quali quella in cui il lavoratore chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto (lett. d). La finalità perseguita mediante l'estensione del termine decadenziale per l'impugnativa stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento, è quella di contrastare pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale sentenza favorevole, così stabilizzando le posizioni giuridiche delle parti in situazioni in cui si ha l'esigenza di conoscere, con precisione ed entro termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell'organico aziendale.

Trattandosi di una limitazione temporale per l'esercizio dell'azione giudiziaria, ed avendo essa carattere di eccezionalità, ad avviso della Corte si impone una interpretazione rigorosa, specialmente per la fattispecie di chiusura indicata alla lettera d) dell'art. 32, co. 4. La rigorosità ermeneutica, si è precisato, rappresenta una conseguenza non solo dei limiti previsti dalla Costituzione, ma anche dal diritto eurounitario (art. 47 Carta di Nizza) e dal diritto convenzionale (art. 6 Cedu).

I giudici di legittimità hanno ritenuto non possibile estendere analogicamente ad un "fatto" (cessazione dell'attività del lavoratore) una norma formulata in relazione ad atti scritti e recettizi, ovvero a fatti tipizzati (scadenza contratto a termine). Una diversa interpretazione renderebbe, infatti, eccessivamente aleatorio l'esercizio del diritto di azione del lavoratore, stante l'intrinseca difficoltà di identificarne con esattezza il diritto stesso.

Sia nei casi di richiesta di costituzione, ove è chiara la volontà dell'istante di ripristino immediato e/o di stabilizzazione del rapporto, che nelle ipotesi di richiesta di accertamento, qualora l'azione dichiarativa richiede un accertamento "ora per allora" del rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto, occorre pur sempre un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e certo il termine di decorrenza della decadenza di cui all'art. 32 co. 4 lett. d), in un'ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti.

Fino a quando il lavoratore non riceva un provvedimento in forma scritta, o un atto equipollente, che neghi la titolarità del rapporto, pertanto, non può decorrere alcun termine decadenziale ai sensi della suddetta disposizione, atteso che il profilo impugnatorio funge da discrimine dell'applicazione della relativa disciplina.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha espresso il seguente principio di diritto: «la disposizione di cui all'art. 32 co. 4 lett. d) della legge n. 183 del 2010, relativa al regime di decadenza ivi previsto, non si applica alle ipotesi -in tema di richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto- nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso».

Osservazioni

Nella sentenza in commento, la Corte ha affrontato un tema particolarmente discusso circa la possibilità di applicare la regola di decadenza di cui all'art. 32 co. 4, lett. d) L. n. 180/2003 anche alle ipotesi in cui, sebbene il rapporto di lavoro con il datore effettivo sia venuto meno, non si individui un atto formale “da impugnare”.

La disposizione normativa prefata, si precisa, può riferirsi, oltre che alla somministrazione irregolare espressamente richiamata, agli appalti illegittimi o ancora alla violazione delle norme sul distacco e, comunque, a tutte quelle altre tipologie in senso lato interpositorie. In questi casi ciò che la norma fa rientrare nell'ambito operativo del doppio termine decadenziale è l'accertamento/costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un terzo, quale preteso effettivo datore.

I giudici di legittimità hanno adottato un'ottica non solo letterale ma anche teleologica, ponendo in evidenza il dato testuale dell'art. 32 citato, in particolare interpretandolo unitariamente e non per singoli commi, nonché rammentando la ratio giustificante la disciplina del doppio termine decadenziale posto a carico del lavoratore nelle ipotesi interessate. La norma, infatti, persegue lo scopo di garantire la certezza dei rapporti giuridici e, al contempo, la rapida definizione di quelli controversi, dato atto delle possibili ripercussioni sull'organizzazione datoriale derivanti da ricorsi del lavoratore, particolarmente distanti nel tempo rispetto alla fattispecie fondante la pretesa azionata.

Ad una iniziale limitazione alla sola ipotesi del licenziamento, il Legislatore ha in seguito affiancato ulteriori fattispecie che, sebbene non integranti un'ipotesi di recesso datoriale strictu sensu, vengono ad essere connotate dalle medesime esigenze di certezza giuridica, compulsando il lavoratore rispetto alla scelta di procedere o meno all'impugnazione, recte alla definizione giurisdizionale del (non più solo potenziale) conflitto.

La pretesa dei lavoratori, nel caso in esame, era stata ricondotta dai giudici di merito alla lett. d) del quarto comma dell'art. 32, avendo essi agito al fine dell'accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto terzo, diverso dal datore formale. Tuttavia, sia rispetto a quest'ultimo che al resistente, non era possibile individuare alcun licenziamento o, comunque, atto impugnabile che consentisse ai ricorrenti di individuare con precisione il dies a quo da cui far decorrere il primo termine di decadenza.

Tale difetto sotto il profilo strutturale della fattispecie ha rappresentato il discrimen nell'affermazione dell'inapplicabilità dell'art. 32, tenuto conto dell'eccezionalità delle limitazioni da esso poste all'esercizio delle pretese del lavoratore e della conseguente imprescindibilità di una interpretazione restrittiva. Il soggetto interessato, infatti, non avrebbe modo di stabilire il momento di decorrenza del termine decadenziale,a partire dal quale la propria pretesa poteva essere fatta valere nei confronti del datore effettivo.

Alcune considerazioni sul punto sembrano opportune.

Sulla decorrenza del termine nelle ipotesi in esame, si sono misurate differenti tesi. Taluni hanno, ad esempio, ritenuto che il termine a quo corrisponderebbe al momento della nascita del rapporto interpositorio, il che presupporrebbe una evidente illiceità del rapporto, tale da consentire al lavoratore di procedere alla contestazione. Secondo una diversa ricostruzione, invece, dovrebbe farsi riferimento alla cessazione del rapporto con il datore di lavoro formale. Tuttavia ciò comporterebbe che l'“utilizzatore” potrebbe subire, contro la ratio stessa dell'art. 32, impugnazioni non preventivabili anche a distanza di molto tempo dalla cessazione della prestazione di lavoro in suo favore.

Tornando alla lettera della norma, tra le varie ipotesi riconducibili all'art. 32, co. 4, lett. d), il Legislatore ha espressamente fatto riferimento alla somministrazione irregolare. In materia, oggi, deve farsi riferimento all'art. 39 D.lgs. n. 81/2015, in base al quale il termine per l'impugnazione ex art. 6 L. n. 604/66 decorre dalla cessazione del rapporto con l'utilizzatore, includendosi pertanto anche i casi di scadenza del contratto commerciale in quanto a tempo determinato. Mancando in questa ipotesi un atto impugnabile, il Legislatore ha dunque espressamente individuato un termine a quo alternativo, a partire dal quale il lavoratore dovrà decidere se attivarsi o meno.

Analogamente si constata per i casi di scadenza del termine del contratto a tempo determinato, di cessione del contratto ex art. 2112 c.c. o, ancora, di trasferimento ex art. 2103 c.c. Ciò comporta il sorgere di almeno due dubbi. Ci si può domandare, infatti, se qualora il Legislatore non abbia indicato un atto o fatto tipico dal quale far decorrere la decadenza, possa presumersi la necessità di un atto di licenziamento, in linea con l'art. 32 considerato nella sua interezza, tenuto anche conto della giurisprudenza formatesi sul punto in caso di licenziamento orale. L'inclusione nella lettera d) del comma quarto dell'art. 32 anche delle ipotesi di somministrazione irregolare potrebbe, d'altronde, condurre ad estendere la logica dell'art. 39 D.lgs. n. 81/2015 anche alle ulteriori e diverse ipotesi in cui il lavoratore agisca al fine di accertare o costituire un rapporto di lavoro presso un terzo, diverso dal datore formale. Su tale ultima possibilità la giurisprudenza pare essersi divisa, in taluni casi negando l'estensione analogica e, in altri, ritenendo preferibile considerare quale termine a quo la cessazione del rapporto con l'effettivo datore (Trib. Trieste, 23 luglio 2013, n. 187; Trib. Alessandria, 28 settembre 2017, n.378), ipotizzando sostanzialmente un discutibile doppio rinvio normativo (recte, oggi, all'art. 38 e 39 D.lgs. n. 81/2015).

In difetto di un licenziamento impugnabile, la Corte ha ritenuto necessario, ai fini dell'operatività della regola di decadenza, un “provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso “. Solo in questo modo il lavoratore potrebbe avere contezza del momento a partire dal quale dovrà decidere se agire quantomeno in via stragiudiziale. Il terzo, a sua volta, non vedrebbe condizionata la propria organizzazione aziendale dalla futura cessazione del rapporto lavorativo con il datore formale, evento che ben potrebbe essere distante nel tempo, con conseguente riproposizione della criticità giustificante l'introduzione dell'art. 32 stesso.

Sotto il profilo strettamente pratico, sorge spontaneo chiedersi se suddetto provvedimento o atto equipollente debba costituire oggetto di una richiesta del lavoratore, ovvero se debba essere rilasciato a priori dall'asserito interponente al momento della cessazione del rapporto, tenuto conto del rischio derivante dall'inoperatività dell'art 32.

Per approfondire

A. Delogu, La disciplina della decadenza nelle ipotesi di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare, in A. Preteroti (a cura di), La disciplina della decadenza nel rapporto di lavoro, Giappichelli, 2019, 93 ss.

V. Putrignano, La decadenza dall'impugnazione dei contratti di somministrazione, in Arg. Dir. Lav., 2017, 3, II, pp. 757 ss.

M. Menicucci, Sull'applicabilità dell'art. 32 del collegato lavoro al caso di cambio di appalto, in Lav. Giur., 2017, 12, pp. 1078 ss.

M.M. Mutarelli, Il dies a quo per l'«impugnazione» nei rapporti interpositori, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, II, pp. 560 ss.

C.A. Nicolini, L'evoluzione del regime delle decadenze nei rapporti di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, I, pp. 631 ss.

L. Perina, Il nuovo regime delle decadenze previsto dall'art. 32 L. 183 del 2010, in Rass. Giur. Lav. Ven., 2012, pp. 128 ss.

E. Boghetich, Tutele dei diritti del lavoratore e nuovi termini di decadenza, in Arg. Dir. Lav., 2011, pp. 75 ss.

G. Ianniruberto, Il nuovo regime delle decadenze nelle impugnazioni degli atti datoriali, in M. Cinelli, G. Ferraro (a cura di), Il contenzioso del lavoro nella Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), Torino, 2011, pp. 229 ss.

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