Lede il diritto di difesa non consentire a parti o difensori di eseguire le notificazioni al p.m. mediante PEC

20 Aprile 2022

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell'art. 153 c.p.p. che non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante PEC.
Massima

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 153 c.p.p., in riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, e 111 Cost., nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata (PEC), perché il rimedio all'evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale richiede interventi normativi di sistema, implicanti scelte di fondo tra opzioni, che rientrano nella discrezionalità del legislatore.

Il caso

Il pubblico ministero notificava alle parti l'avviso di conclusione delle indagini tramite PEC, come consentito dagli artt. 157, comma 8-bis, e 148, comma 2-bis, c.p.p. Il difensore, con lo stesso mezzo telematico, avanzava richiesta di sottoporre ad interrogatorio il proprio assistito ex art. 415-bis, comma 3, c.p.p.

L'interrogatorio non veniva disposto dal pubblico ministero.

All'udienza preliminare, il difensore proponeva un'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio a causa dell'omesso espletamento dell'interrogatorio dell'indagato.

Con ordinanza del 28/11/2018, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Messina censurava – d'ufficio – l'art. 153 c.p.p., nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata (PEC).

L'art. 153 c.p.p., secondo il rimettente, consentendo alle parti e ai difensori di avvalersi della forma semplificata di notificazione dell'atto costituita dalla consegna di una copia nella segreteria del pubblico ministero, ma non permettendo di utilizzare come mezzo di notificazione la PEC, di cui invece il pubblico ministero può avvalersi per le notifiche al difensore ai sensi delle disposizioni dapprima citate, sarebbe lesivo:

  • dell'art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna ragione che giustifichi l'esclusione per il difensore dell'indagato della medesima facoltà riconosciuta al pubblico ministero;
  • degli artt. 24, comma 2, e 111 Cost., dal momento che la disciplina censurata comprometterebbe, assieme, il diritto di difesa, l'uguaglianza processuale delle parti e il canone di ragionevole durata del processo.
La questione

La normativa emanata per fronteggiare l'emergenza pandemica da Covid-19 ha espressamente consentito alle parti provate di trasmettere via PEC agli uffici giudiziari memorie, documenti e richieste (art. 83 d.l. n. 18/2020). In seguito, la disciplina emergenziale ha consentito il deposito telematico degli atti nelle indagini preliminari presso l'ufficio del pubblico ministero (art. 221 d.l. n. 34/2020). L'art. 24 d.l. n. 137 /2020, poi, ha previsto una articolata disciplina per la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria, la cui vigenza è stata via via prorogata e da ultimo fissata al 31/12/2022 (art. 16, comma 1, d.l. n. 228/2021, conv. con mod. in legge n. 15/2022).

Il codice di rito, invece, al di là di quanto stabilito dalle norme emergenziali, non consente l'impiego della PEC per la trasmissione di richieste al pubblico ministero.

L'art. 153 c.p.p., infatti, disciplinando le notificazioni di atti al pubblico ministero, non permette al difensore e alle parti di utilizzare la PEC, di cui invece il pubblico ministero può avvalersi per le notifiche al difensore ai sensi degli artt. 157, comma 8-bis, e 148, comma 2-bis, c.p.p.

Questa norma determina una disparità di trattamento tra le parti del processo penale, ledendo altresì il diritto di difesa e la ragionevole durata del processo?

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni prospettate perché il rimedio al vulnus, pur riscontrato nelle norme, richiederebbe interventi normativi di sistema, implicanti scelte di fondo tra opzioni che rientrano nella discrezionalità del legislatore.

In particolare, secondo la Corte, nella disciplina precedente alla legislazione emergenziale del 2020, era ravvisabile una evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale. Al pubblico ministero, infatti, era consentito ai sensi dell'art. 16, commi 4 e 9, lett. c-bis), d.l. n. 179/2012, convertito nella legge 17/11/2012, n. 221, l'uso della PEC per le notificazioni al difensore dell'imputato o indagato, mentre analoga possibilità era preclusa al difensore per le notificazioni al pubblico ministero.

E ciò ancorché il difensore fosse già tenuto a dotarsi di PEC e a comunicare il proprio indirizzo all'Ordine di appartenenza (art. 16, comma 7, d.l. n. 185/2008, recante «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2), nonché ad adempiere ai doveri di corretta manutenzione della propria casella di posta elettronica certificata, delineati dall'art. 20 d.m. n. 44/2011 (Cass. pen. n. 51464/2018), onde poter ricevere le notificazioni dell'autorità giudiziaria.

Tale disparità di trattamento, secondo la valutazione della Corte, non poteva ritenersi sorretta da ragionevoli giustificazioni.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, invero, «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato: potendo una disparità di trattamento “risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia”» (Corte cost. n. 34/2020).

Tra le esigenze idonee a giustificare una transitoria differenza di trattamento tra pubblico ministero e difensore ben potevano annoverarsi – allorché il legislatore introdusse, con il d.l. n. 179/2012, le notifiche telematiche al difensore – le difficoltà tecniche, per gli uffici del pubblico ministero, legate alla gestione di un gran numero di comunicazioni via PEC, con conseguente necessità di monitorare continuamente le caselle di posta elettronica e – in assenza di fascicoli digitalizzati – di stampare, registrare e inserire nei fascicoli cartacei i documenti inviati dai difensori.

Tali indubbie difficoltà, però, avrebbero potuto e dovuto essere affrontate nell'arco dei ben sei anni trascorsi tra il d.l. n. 179/2012 e l'ordinanza di rimessione per mezzo di appositi accorgimenti tecnici e organizzativi, come quelli realizzati con immediatezza non appena scoppiata la pandemia da Covid-19.

In tal modo, sarebbero state evitate di situazioni singolari come quella – realizzatasi nel giudizio a quo – di un difensore che riceve legittimamente dal pubblico ministero via PEC la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico del proprio assistito, ai sensi dell'art. 415-bis c.p.p., e che si trova però nell'impossibilità di rispondere con la medesima modalità al pubblico ministero, per esercitare una delle più importanti facoltà – la richiesta di interrogatorio dell'indagato – previste dallo stesso art. 415-bis c.p.p.

Questo ritardo nell'adeguamento della normativa sulle notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero all'evoluzione tecnologica, d'altra parte, ha comportato un pregiudizio significativo a carico del difensore e dello stesso imputato.

In effetti, la facoltà di utilizzare lo strumento telematico per le proprie notificazioni e comunicazioni è funzionale a una maggiore effettività del diritto di difesa, che l'ordinamento ha il dovere di garantire e di promuovere in forza dell'art. 24, comma 2, Cost. Notificare un atto via PEC dal proprio studio professionale comporta evidentemente un significativo risparmio di tempi e di costi non solo rispetto all'ordinario procedimento tramite ufficiale giudiziario, ma anche rispetto alla pur semplificata modalità prevista dall'art. 153 c.p.p., rappresentata dal deposito di copia dell'atto nella segreteria del pubblico ministero, dal momento che tale attività presuppone pur sempre l'accesso a un ufficio che potrebbe trovarsi anche a grande distanza dallo studio del difensore, con conseguente necessità per quest'ultimo di munirsi di un procuratore in loco, e per l'imputato di accollarsi i costi relativi.

L'auspicata pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, tuttavia, rischierebbe di determinare nuove disarmonie e incongruenze.

L'introduzione della facoltà, per le parti e i difensori, di effettuare notificazioni al pubblico ministero tramite PEC presuppone una complessa attività di normazione primaria e secondaria, volta a creare le condizioni pratiche perché tale facoltà possa essere utilmente esercitata.

È necessario, tra l'altro, assicurare il corretto funzionamento dei servizi di ricezione delle notificazioni telematiche da parte degli uffici giudiziari; stabilire le caratteristiche tecniche degli atti da notificare; disciplinare le modalità di attestazione della loro spedizione e ricevimento; gestire la fase di transizione dalle notifiche tradizionali a quelle telematiche e la necessaria formazione del personale degli uffici giudiziari. Tali risultati devono essere assicurati nel più ampio contesto della realizzazione di un processo penale telematico, nel quale il legislatore è altresì chiamato a scegliere, in radice, se la modalità di trasmissione degli atti di parte al pubblico ministero durante le indagini preliminari debba essere individuata nella PEC, o in altro strumento telematico – come avvenuto, durante l'emergenza pandemica, in relazione all'uso del «portale del processo penale telematico» (PPPT) di cui all'art. 24, commi 1 e 2, d.l. n. 137/2020.

Tutto ciò esorbita dai poteri della Corte costituzionale, che potrebbe unicamente limitarsi a introdurre, con la propria pronuncia, una nuova modalità a disposizione dei difensori per effettuare notificazioni o comunicazioni al pubblico ministero, senza poter assicurare il corretto funzionamento dei flussi comunicativi.

D'altra parte, la Corte non può non tenere conto del mutamento del quadro normativo intervenuto nel lunghissimo lasso temporale che separa l'ordinanza di rimessione dalla presente decisione. Le modifiche normative fanno sì che la richiesta del giudice a quo di introdurre nell'art. 153 c.p.p. la facoltà per il difensore di effettuare notifiche e comunicazioni al pubblico ministero via PEC sia ormai in conflitto con la diversa scelta compiuta dal legislatore del 2020 di prevedere – quanto meno sino al 31 dicembre 2022 – che memorie, documenti, richieste e istanze del difensore al pubblico ministero (compresa quella di interrogatorio dell'indagato ai sensi dell'art. 415-bis, comma 3, c.p.p.) siano depositati sul menzionato portale del processo penale telematico (PPPT), anziché – appunto – inviati mediante PEC.

L'intervento richiesto alla Corte costituzionale, infine, inevitabilmente si sovrapporrebbe in maniera disorganica all'esercizio della delega di cui all'art. 1, commi 5 e 6, legge n. 134/2021, finalizzata a introdurre una compiuta e stabile disciplina del processo penale telematico.

Osservazioni

1. La Corte costituzionale, dunque, ha ritenuto che costituisca una evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale consentire al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 16, commi 4 e 9, lett. c-bis), d.l. n. 179/2012, convertito nella legge n. 221/2012, l'uso della PEC per le notificazioni al difensore dell'imputato o indagato, laddove analoga possibilità era preclusa al difensore per le notificazioni al pubblico ministero.

Tale disparità di trattamento – che non trova giustificazione, né nella peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, né nelle difficoltà pratiche per gli uffici della Procura della Repubblica derivanti dalla gestione di un gran numero di comunicazioni via PEC – non solo rivela l'irragionevolezza della norma censurata, ma lede anche il diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost.

Quest'ultima, invero, è la prima affermazione di rilievo che si ravvisa nella decisione in esame.

La facoltà di utilizzare lo strumento telematico per le proprie notificazioni e comunicazioni, secondo la Corte costituzionale, è funzionale a una maggiore effettività del diritto di difesa, che l'ordinamento ha il dovere di garantire e di promuovere in forza dell'art. 24, comma 2, Cost.

Il ritardo del legislatore nell'adeguamento della normativa sulle notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero all'evoluzione tecnologica, infatti, implica un pregiudizio significativo delle prerogative difensive a carico del difensore e dello stesso imputato perché «notificare un atto via PEC dal proprio studio professionale comporta evidentemente un significativo risparmio di tempi e di costi non solo rispetto all'ordinario procedimento tramite ufficiale giudiziario, ma anche rispetto alla pur semplificata modalità prevista dall'art. 153 c.p.p., rappresentata dal deposito di copia dell'atto nella segreteria del pubblico ministero».

2. Le valutazioni illustrate, tuttavia, non hanno determinato la declaratoria della illegittimità costituzionale dell'art. 153 c.p.p.

La Corte, infatti, ha mostrato di essere perfettamente consapevole che, per attribuire alle parti e ai difensori la facoltà di effettuare notificazioni al pubblico ministero tramite PEC occorre una complessa attività di normazione primaria e secondaria, volta a creare le condizioni pratiche perché tale facoltà possa essere utilmente esercitata.

Queste condizioni pratiche, che la Corte ha desunto agevolmente dal complesso meccanismo introdotto dalla normativa emergenziale per permettere l'uso della PEC “in entrata” negli uffici giudiziari, sono state così riassunte:

  1. assicurare il corretto funzionamento dei servizi di ricezione delle notificazioni telematiche da parte degli uffici giudiziari;
  2. stabilire le caratteristiche tecniche degli atti da notificare;
  3. disciplinare le modalità di attestazione della loro spedizione e ricevimento;
  4. gestire la fase di transizione dalle notifiche tradizionali a quelle telematiche e la necessaria formazione del personale degli uffici giudiziari.

3. Dalla considerazione dei problemi concreti che occorrerebbe affrontare è derivata la seconda affermazione di rilievo della pronuncia della Corte costituzionale in esame: le questioni pratiche non possono essere risolte con una pronuncia additiva del Giudice delle leggi, ma devono essere affrontate nel più ampio contesto della realizzazione di un processo penale telematico.

In particolare, il legislatore è chiamato a compiere una scelta preliminare: una volta optato per l'utilizzo della telematica nel processo penale, infatti, occorre stabilire se la modalità di trasmissione degli atti di parte al pubblico ministero durante le indagini preliminari debba essere individuata nella PEC o in uno strumento telematico alternativo.

Nel periodo pandemico, difatti, con l'art. 24, commi 1 e 2, d.l. n. 137/2020, è stato introdotto il “portale del processo penale telematico” (PPPT): il deposito di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall'art. 415-bis, comma 3, c.p.p. presso gli uffici delle Procure della Repubblica deve avvenire esclusivamente tramite il «portale del processo penale telematico» (PPPT), individuato con provvedimento del DGSIA (poi emanato il 5 febbraio 2021) e con le modalità ivi stabilite.

Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento.

Ulteriori atti da depositare tramite il PPPT sono stati individuati con decreto del Ministro della giustizia, emanato il 13 gennaio 2021 ai sensi del comma 2 dell'art. 24.

Dall'entrata in vigore del sistema di deposito nel PPPT, in relazione agli atti di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 24, l'invio tramite PEC «non è consentito e non produce alcun effetto di legge» (art. 24, comma 6 d.l. n. 137/2020).

Con l'introduzione del portale, dunque, non è stato più permesso il ricorso alla PEC per la trasmissione degli atti indicati dalla norma citata.

Ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020 per tutti gli atti, documenti e istanze, comunque denominati, diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2 dell'art. 24, è consentito il deposito con valore legale mediante invio agli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del DGSIA (emanato il 9 novembre 2020), nel quale sono state indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio. Il comma 5 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 detta la disciplina relativa all'attestazione, da parte delle segreterie e cancellerie degli uffici giudiziari, del deposito degli atti dei difensori inviati tramite PEC.

I successivi commi da 6-bis a 6-novies, inoltre, contengono una dettagliata disciplina che consente la trasmissione via PEC di atti di impugnazione (da redigersi in forma di documento informatico sottoscritto digitalmente), motivi nuovi e memorie e stabilisce le relative ipotesi di inammissibilità.

L'efficacia dell'art. 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 è stata poi successivamente prorogata, da ultimo al 31 dicembre 2022 dall'art. 16, comma 1, del d.l. n. 228/2021 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella l. n. 15/2022.

Risulta allora evidente che la richiesta del giudice a quo di introdurre nell'art. 153 c.p.p. la facoltà per il difensore di effettuare notifiche e comunicazioni al pubblico ministero via PEC si rileva in insanabile conflitto con la diversa scelta compiuta dal legislatore del 2020 di prevedere – quanto meno sino al 31 dicembre 2022 – che memorie, documenti, richieste e istanze del difensore al pubblico ministero (compresa quella di interrogatorio dell'indagato ai sensi dell'art. 415-bis, comma 3, c.p.p.) siano depositati sul menzionato portale del processo penale telematico (PPPT), anziché inviati mediante PEC.

4. La Corte costituzionale, infine, ha osservato che un eventuale intervento additivo sull'art. 153 finirebbe inevitabilmente con il sovrapporsi in maniera disorganica all'esercizio della delega di cui all'art. 1, commi 5 e 6, l. n. 134/2021, finalizzata a introdurre una compiuta e stabile disciplina del processo penale telematico.

Nel quadro della generale riforma del processo penale, con le disposizioni citate il Governo è stato delegato a emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di processo penale telematico, da adottarsi nel rispetto, tra l'altro, dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che atti e documenti processuali possano essere formati e conservati in formato digitale, in modo che ne siano garantite l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza; prevedere che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti e documenti, le comunicazioni e le notificazioni siano effettuati con modalità telematiche; prevedere che le trasmissioni e le ricezioni in via telematica assicurino al mittente e al destinatario certezza, anche temporale, dell'avvenuta trasmissione e ricezione, nonché circa l'identità del mittente e del destinatario; prevedere che per gli atti che le parti compiono personalmente il deposito possa avvenire anche con modalità non telematica;

b) prevedere che, con regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988, siano definite le regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche di cui alla lettera a) del presente comma, assicurando la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello della certezza del compimento dell'atto e modificando, ove necessario, il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21/02/2011, n. 44; prevedere che ulteriori regole e provvedimenti tecnici di attuazione possano essere adottati con atto dirigenziale».

A tali principi e criteri direttivi si aggiungono poi quelli relativi alla previsione di una disciplina transitoria relativa al passaggio al nuovo regime telematico di deposito, comunicazione e notificazione, che:

  • coordini il «processo di attuazione della delega con quelli di formazione del personale coinvolto» (lett. c);
  • individui uffici giudiziari e tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione (lett. d);
  • predisponga un'apposita regolamentazione dei casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia (lett. e);
  • preveda «soluzioni tecnologiche che assicurino la generazione di un messaggio di avvenuto perfezionamento del deposito» (lett. f).

La legge delega detta, inoltre, articolati principi e criteri direttivi in materia di modifica della disciplina del codice di rito relativa alle notificazioni, anche con riguardo alle notifiche telematiche all'imputato (art. 1, comma 6, l. n. 134/2021).

Riferimenti
  • L. Giordano, L'invio dell'impugnazione a mezzo PEC al vaglio della Corte di cassazione, in ilpenalista, 21 dicembre 2021;
  • L. Giordano, Riforma Cartabia: la delega in tema di processo penale telematico, in ilpenalista, 13 settembre 2021;
  • P. Grillo, Il (prossimo) futuro del processo penale telematico: dal progetto Cartabia al PNRR, in ilpenalista, 24 gennaio 2022;
  • P. Grillo-L. Piras, Deposito degli atti successivi nel Portale Deposito atti Penali (PPT), in ilpenalista, 10 giugno 2021.

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