Cause previdenziali e assistenziali e condanna della parte soccombente non abbiente per lite temeraria

Redazione scientifica
22 Aprile 2022

Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, la parte non abbiente resta sanzionabile, in ipotesi di soccombenza, solo in caso di responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.c., mentre deve escludersi che ad essa sia applicabile la previsione di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c.

La Corte di cassazione si è espressa sulla possibilità per il giudice di condannare la parte soccombente non abbiente ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali e assistenziali.

La questione si poneva nell'ambito di un giudizio promosso da una donna per ottenere il riconoscimento del requisito sanitario utile ai fini dell'assegno mensile di assistenza, all'esito del quale il Tribunale rigettava la domanda e la condannava ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Il Tribunale, in particolare, dava atto che la ricorrente doveva essere tenuta esente dalla refusione delle spese di lite, avendo tempestivamente depositato la dichiarazione prescritta dall'art. 152 disp. att. c.p.c.

Riteneva, tuttavia, che, in ragione dello scarto tra la percentuale invalidante riscontrata in sede di accertamento tecnico preventivo e quella occorrente per guadagnare la prestazione invocata, la domanda giudiziale dovesse ritenersi meramente speculativa e dannosa per il funzionamento del sistema processuale.

La ricorrente censurava tali statuizioni in sede di legittimità, evidenziando che l'art. 152 disp. att. c.p.c. fa salva l'applicabilità alle controversie previdenziali e assistenziali del solo primo comma dell'art. 96 c.p.c. previa istanza di parte e accertamento di grave negligenza.

La S.C. ha ritenuto il ricorso fondato, atteso che l'art. 152 disp. att. c.p.c. limita, nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, la rilevanza della disciplina generale sulla soccombenza per le parti non abbienti.

Da un punto di vista letterale è, infatti, agevole rilevare che la formulazione attuale dell'art. 152 disp. att. c.p.c. fa salva l'applicazione ai giudizi in esame della sola previsione di cui all'art. 96, comma 1, c.p.c.

Il che induce a ritenere che la parte soccombente non abbiente resti sanzionabile in caso di soccombenza solo in ipotesi di responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.c.

E cioè se «ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave» e sempre che vi sia «istanza dell'altra parte», specificatamente volta, «oltre che alle spese, al risarcimento dei danni».

Deve, pertanto, escludersi l'applicabilità alla parte soccombente non abbiente dell'art. 96, comma 3, c.p.c., il quale, prevede che «in ogni caso», quando pronuncia sulle spese, il giudice può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

Oltre a ragioni di carattere letterale, anche un'interpretazione di carattere sistematico conduce ad avallare la soluzione adottata, atteso che la ratio dell'art. 96, comma 1, c.p.c. è diversa da quella del comma 3 del medesimo articolo, non essendo quindi le due previsioni analoghe.

Il primo comma configura una forma speciale di responsabilità extracontrattuale derivante da un illecito processuale che resta assoggettata alla regola generale dell'art. 2697 c.c. in ordine alla prova del danno.

Viceversa, la condanna ex art. 96, comma 3, non richiede né la domanda di parte, né la prova del danno, venendo piuttosto in rilievo finalità pubblicistiche correlate all'esigenza di comminare una sanzione per la violazione dei doveri di lealtà e proibità ex art. 88 c.p.c.

In definitiva, non vi era stata nella specie né alcuna domanda dell'INPS finalizzata alla condanna per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 1, c.p.c., né alcun accertamento dei requisiti per configurare la lite temeraria.

Il Tribunale ha emesso condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. in difetto dei presupposti richiesti dalla legge e, pertanto, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata ex art. 382, comma 3, c.p.c.

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