Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda proposta da un promissario acquirente, dichiarando legittimo il suo recesso dal contratto preliminare di compravendita stipulato in quanto le due promittenti venditrici avevano, nel frattempo, venduto l'immobile compromesso a terzi.
Il Tribunale, per l'effetto, condannava le parti inadempienti alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria.
Avverso tale decisione le promittenti venditrici soccombenti proponevano appello innanzi alla Corte di Appello di Palermo la quale, con sentenza n. 160 del 10 febbraio 2021, confermava la sentenza di primo grado.
La Corte di merito, in particolare, da un lato confermava l'inadempimento delle promittenti venditrici che avevano venduto l'immobile compromesso a terzi e dall'altro rilevava che non era stata fornita la prova che la mancata conclusione del contratto definitivo era ascrivibile al promissario acquirente il quale, come assunto dalle stesse parti appellanti, per le sue condizioni economiche e di salute non era stato in grado di reperire la somma dovuta per il saldo del prezzo.
La stessa Corte escludeva, altresì, che le parti, per tali ragioni, avessero di fatto consensualmente risolto il contratto, in quanto la risoluzione sarebbe dovuta avvenire per atto scritto ai sensi dell'art. 1350 c.c.
La Corte, con particolare riferimento al rilevato difetto di prova, affermava che la richiesta di prova orale formulata dalle appellanti doveva ritenersi rinunciata in quanto non espressamente richiamata in sede di precisazione delle conclusioni, essendosi la parte limitata a fare rinvio al proprio atto di appello.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso in Cassazione gli appellanti soccombenti affidando il ricorso a due motivi.
I ricorrenti, in particolare, con il primo motivo di ricorso qui in rilievo, censuravano la sentenza impugnata in quanto la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto che le appellanti avevano rinunciato ai mezzi di prova – reiterati in appello in quanto non ammessi dal giudice di primo grado - seppur gli stessi erano stati già richiesti nelle conclusioni dell'atto di appello e richiamati in sede di precisazione delle conclusioni.
La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente fondato tale primo motivo di ricorso atteso che dall'esame degli atti di causa risultava che le istanze di prova per interrogatorio formale e per testi erano state precisate nelle conclusioni dell'atto di appello, sicché il richiamo ad esse fatto dalla parte appellante all'udienza doveva essere riferito, in mancanza di rinunzia esplicita, tanto alle conclusioni di merito che a quelle istruttorie.
A tal riguardo la S.C. ha affermato che va ribaditol'orientamento consolidato secondo cui,affinché una domanda o richiesta avanzata nell'atto introduttivo possa ritenersi abbandonata, è necessarioche dallavalutazione complessiva della condotta processualedella parte possa desumersi l'inequivoca volontà di rinunciarvi (Cass. n. 14104/2008; Cass. n. 17582/2017; Cass. n. 31571/2019).
La Suprema Corte, quindi, ha ritenuto assorbito il secondo motivo di ricorso avente ad oggetto la violazione o la falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., ha cassato la sentenza in relazione al primo motivo di ricorso ed ha rinviato la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione.
La S.C. ha dato seguito al suo consolidato orientamento in tema di rinuncia alle domande/richieste non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni.
È ius receptum, infatti, che:
- “Anche nel vigore dell'attuale art. 189 c.p.c., come modificato dalla l. n. 353/1990, affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali” (Cass. SS.UU. n. 1785/2018);
- “la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione; resta salva però la possibilità per il giudice di merito di ritenere superata tale presunzione qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi” (Cass. civ., sez. II, n. 33103/2021);
- “nel rito civile ordinario, chiusa l'istruttoria, alle parti non è consentito "precisare" altre conclusioni se non quelle di cui all'atto introduttivo, o quelle modificate ai sensi dell'art. 183 c.p.c. (così il combinato disposto degli artt. 189 e 281 quinquies c.p.c.). Nel rito civile risultante dalle modifiche di cui alla legge 26 novembre 1990 n. 353, pertanto, non vi è più nulla da "precisare" nell'udienza che, ormai solo per sineddoche, continua ad essere chiamata "di precisazione delle conclusioni". In quella udienza, infatti, alle parti nulla è consentito "precisare", per la semplice ragione che nessuna modifica è possibile delle conclusioni già prese. Se dunque le conclusioni di cui agli artt. 163,167 o 183 c.p.c., non possono essere modificate all'esito del giudizio nemmeno in modo espresso, a fortiori esse saranno immodificabili dal mero silenzio. Il silenzio della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, in definitiva, se non accompagnato da altri comportamenti concludenti, non costituisce rinuncia alle domande od alle eccezioni già formulate, come già ripetutamente affermato da questa Corte (n. 4487/2021, n. 26523/2020)” - Cass. 27 settembre 2021, n. 26118.
Un approfondito coordinamento tra tali indirizzi è stato in precedenza fornito anche da Cass. civ., sez. III, n. 26523/2020, secondo cui: «si pone la necessità di coordinare due diversi principi - entrambi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte - alla luce della peculiarità del caso in esame. È pacifico che “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poiché, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello” (Cass. n. 25157/2008; conformi Cass. n. 16290/2016; cfr. anche Cass. n. 3229/2019).
Altrettanto pacifica è l'affermazione che, "nell'ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all'udienza di precisazione delle conclusionio, presentandosi, non le precisi o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate" (Cass. n. 409/2006; conformi Cass. n. 22360/2013 e Cass. n. 11222/2018); il corretto coordinamento dei due principi comporta che la presunzione circa la volontà di tener ferme le originarie conclusioni non possa operare laddove vi sia stato - medio tempore - un provvedimento reiettivo di istanze probatorie da parte del giudice istruttore, giacché detto provvedimento sollecita la parte interessata a ribadire espressamente le proprie richieste istruttorie, che - in difetto - debbono intendersi tacitamente rinunciate; con il corollario che, al fine di ribadire tali conclusioni, la parte è onerata di partecipare all'udienza di precisazione delle conclusioni e che la mancata comparizione determina, al pari della mancata reiterazione delle richieste ad opera della parte comparsa, l'abbandono delle istanze; ciò non può, tuttavia, valere nell'ipotesi in cui la parte che si sia vista rigettare richieste istruttorie abbia successivamente reiterato l'istanza di ammissione, in tal modo mostrando di non prestare acquiescenza al provvedimento reiettivo e di avere un persistente interesse alla prova, inconciliabile con la presunzione di abbandono; ove ciò sia avvenuto, la mancata comparizione del procuratore della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni comporta che debbano considerarsi confermate le conclusioni precedentemente formulate, ivi comprese quelle istruttorie reiterate dopo il provvedimento reiettivo; deve dunque affermarsi, in conclusione, che, in caso di mancata partecipazione del procuratore di una parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, debbono intendersi richiamate le richieste precedentemente formulate, ivi comprese le istanze istruttorie che la parte abbia reiterato dopo che ne sia stata rigettata l'ammissione».