“Chi è il colpevole?”: minima rassegna giurisprudenziale in tema di azione revocatoria penale

Gianluca Minniti
22 Aprile 2022

Gli Autori, muovendo dalla norma di cui all' 192 c.p. che, con gli artt. 193 e 194 c.p., costituiscono il nucleo di disposizioni dedicato alla cd. azione revocatoria penale, che ha la finalità di neutralizzare gli atti fraudolenti compiuti dal debitore per diminuire la propria garanzia patrimoniale, si soffermano su alcune pronunce sul tema.

Come noto, l'art. 192 c.p. prevede che “Gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia rispetto ai crediti indicati nell'articolo 189”.

La norma rappresenta, insieme ai successivi artt. 193 e 194 c.p., il nucleo di disposizioni dedicato alla cd. azione revocatoria penale, avente la finalità, al pari di quella disciplinata dall'art. 2901 c.c., di neutralizzare gli atti fraudolenti compiuti dal debitore al fine di diminuire la propria garanzia patrimoniale.

Nello specifico, l'azione di cui all'art. 192 c.p. costituisce un mezzo di garanzia per il soddisfacimento dei crediti nascenti da reato, avendo la duplice finalità di proteggere (offrendo una tutela più rafforzata sotto il profilo strettamente civilistico rispetto a quella ordinaria) la vittima del reato nel tempo successivo alla sua commissione e di rappresentare una sanzione accessoria del reato (Cass. civ. n. 23158/2014 : “La dottrina penalistica individua il fondamento e la funzione di tale istituto nella necessità di approntare uno strumento mediante il quale riuscire a neutralizzare gli atti fraudolenti compiuti dal reo e finalizzati al depauperamento del patrimonio in pregiudizio dei creditore: donde la necessità, avvertita dal codificatore, di predisporre una tutela più rafforzata rispetto a quella ordinaria civilistica, come si desume dal fatto che lo stesso art. 2904 c.c. , a chiusura della sezione dedicata all'azione revocatoria, fa salve le disposizioni dettate su tale istituto in materia fallimentare e in materia penale. Pertanto, il fondamento e la funzione di tale azione risiedono, così come per l'azione revocatoria ordinaria (...), nella necessità di individuare uno strumento mediante il quale riuscire a neutralizzare gli atti fraudolenti compiuti dal reo e finalizzati all'assottigliamento del patrimonio in pregiudizio del creditore” ).

Ai fini dell'utile esperimento dell'azione in parola è necessaria la ricorrenza dei seguenti elementi:

(i) la titolarità di un credito tra quelli indicati nell'art. 189 c.p.,che annovera, tra i crediti, le “somme dovute a titolo di risarcimento del danno” dall'imputato (secondo l'orientamento dominante, il riferimento all'art. 189 c.p. deve essere inteso anche all'art. 316 c.p.p., avente ad oggetto le garanzie delle obbligazioni civili derivanti da reato);

(ii) la gratuità dell'atto dispositivo da revocare;

(iii) la posteriorità dell'atto dispositivo rispetto alla commissione del reato;

(iv) la ‘colpevolezza' dell'autore dell'atto dispositivo.

Con riferimento a tale ultimo requisito, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che non è necessario che l'autore dell'atto da revocare sia già stato condannato, tantomeno in via definitiva. Invero, in tale contesto, il termine “colpevole” non costituisce sinonimo di condannato e l'azione è proponibile anche prima dell'accertamento della responsabilità penale del disponente (Secondo Cass. civ., Sez. II, n. 13972/2007, infatti “l'azione revocatoria del danneggiato nei confronti degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dall'autore di un reato dopo la sua commissione, non richiede necessariamente che si sia giunti ad una dichiarazione di colpevolezza in sede penale”).

In specie, come chiarito dalla Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 23158/2014), tale accertamento sarebbe imprescindibile unicamente nel momento in cui il creditore debba concretamente attivare la propria pretesa creditoria nei confronti del condannato, ossia per l'effettiva aggressione esecutiva sui beni oggetto dell'atto di disposizione precedentemente revocato, una volta accertata l'esistenza del credito in capo al danneggiato: “La dichiarazione di colpevolezza è quindi presupposto per la concreta operatività dell'invocata inefficacia: o, in altri termini, per l'effettiva aggressione esecutiva sul bene oggetto dell'atto di disposizione, secondo le ordinarie regole in tema di actio pauliana. Se tanto è vero, l'inefficacia può essere fatta utilmente valere (...) esclusivamente a far tempo dalla dichiarazione di colpevolezza dell'autoredell'atto e, più precisamente, dal momento in cui quest'ultima, avendo determinato l'esistenza del credito in capo al danneggiato, possa fondare (secondo i principi generali sull'esercizio dell'azione civile nel processo penale, il cui approfondimento non rileva ai fini della presente controversia) un'azione esecutiva contro chi ne è attinto”. Con la conseguenza che, in vista e in attesa del riconoscimento e accertamento della qualità di colpevole, “il credito da tutelare comunque sussiste e pertanto anche la sola prospettazione della qualità di colpevole, che si ha prima della condanna, fonda idoneamente l'invocabilità dell'inefficacia, se non altro appunto in via cautelare”.

In definitiva, la particolare tutela offerta alla vittima del reato le garantisce un'anticipazione condizionata degli effetti della condanna in sede penale, finalizzata ad agevolarla in ragione della sua particolare condizione personale.

Nonostante il descritto orientamento di legittimità, la questione ha dovuto essere recentemente affrontata dalla Corte d'Appello di Brescia (sentenza n. 726, pubblicata il 9 giugno 2021) in occasione della totale riforma di una sentenza del Tribunale di Cremona, la quale ultima – sulla base di una differente interpretazione della nozione di ‘colpevole' e, in particolare, del riferimento contenuto nella citata pronuncia di legittimità alla possibilità di far “utilmente valere” l'inefficacia solo “a far tempo dalla dichiarazione di colpevolezza” – aveva rigettato la domanda spiegata ex art. 192 c.p. in sede civile da una procedura fallimentare.

Nel caso di specie, infatti, la curatela aveva richiesto la declaratoria di inefficacia ex art. 192 c.p. dell'atto con cui l'ex amministratore unico della società fallita aveva attribuito tutti i beni di sua proprietà a un trust da lui stesso istituito, il tutto a pochi mesi di distanza della declaratoria di fallimento e in epoca ampiamente successiva al compimento di operazioni contestate quali distrattivi nell'ambito di un procedimento penale ancora in corso. In relazione a tali operazioni, invero, prima dell'introduzione del giudizio civile, era stato incardinato un procedimento penale che vedeva l'ex amministratore imputato di numerose condotte integranti il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e nell'ambito del quale la procedura fallimentare si era successivamente costituita quale parte civile, onde ottenere il risarcimento del danno derivato al patrimonio e ai creditori sociali.

Il Giudice di prime cure, tuttavia, aveva dichiarato inammissibile la domanda, stante la carenza dell'elemento costitutivo rappresentato dalla colpevolezza del disponente, ritenendo che l'azione ex art. 192 c.p. non possa essere esercitata in sede civile prima dell'emissione, nonché del passaggio in giudicato, della sentenza penale di condanna, difettando, in caso contrario, un “colpevole” nel senso giuridico del termine, anche sulla scorta della presunzione di non colpevolezza sancita dall'art. 27 comma 2 Cost. e per l'invocata esigenza di evitare “un insanabile conflitto di giudicati” nell'ipotesi in cui la declaratoria di inefficacia in sede civile divenisse definitiva prima della conclusione dell'iter processuale penale e quest'ultimo si dovesse concludere con l'esclusione della responsabilità penale del convenuto.

La Corte d'Appello di Brescia, nell'accogliere l'appello della procedura fallimentare (Si precisa che la pronuncia della Corte d'Appello di Brescia è stata impugnata avanti alla Corte di Cassazione), ha rilevato l'erroneità del ragionamento del Tribunale nella parte in cui, alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 23158/2014 della Suprema Corte, “ne ha dedotto che mentre per l'accoglimento di un'azione cautelare finalizzata al sequestro di beni anche non formalmente appartenenti all'imputato/indagato (...) è sufficiente la mera prospettazione della qualità di colpevole in capo allo stesso (...) per l'esercizio dell'azione revocatoria penale in sede civile è necessario attendere l'accertamento della qualità di colpevole dello stesso”.

In particolare, la Corte ha concentrato la propria analisi sul significato della nozione di “colpevole”, prendendo le mosse dalle uniche pronunce di legittimità che si sono specificamente occupate dell'ipotesi in cui l'azione revocatoria penale ex art. 192 c.p. sia esercitata in sede civile prima della condanna in sede penale del soggetto disponente, ovvero la sentenza n. 13972 del 14.6.2007 della sezione II civile (la quale, in un caso in cui il giudizio penale era stato dichiarato estinto per morte del reo, ha chiarito che l'azione revocatoria penale può essere proseguita in sede civile nei confronti degli eredi dell'imputato), nonché, soprattutto, la già citata sentenza n. 23158 del 31.10.2014 della sezione III civile.

In specie, la Corte d'Appello ha condiviso le affermazioni di principio contenute nella motivazione di tale ultima pronuncia, che ha chiaramente affermato come il termine ‘colpevole' si riferisca anche al soggetto la cui responsabilità non sia stata ancora accertata in sede penale, tantomeno in via definitiva (sul punto, infatti, il Giudice di seconde cure ha correttamente rilevato che “la lettura complessiva del testo della sentenza n.23158 del 31/10/2014 (...) non lascia dubbi in ordine alla determinazione in essa espressa di accordare tutela al creditore ex art. 185 c.p.c. in via anticipata rispetto all'adozione nei confronti dell'imputato della pronuncia di condanna in sede penale” e, del resto, “è chiaro ed inequivoco nella motivazione della sentenza l'intento di accordare al creditore nei confronti dell'autore del reato di una tutela rafforzata ed ulteriore rispetto a quella ordinariamente prevista a qualsiasi creditore civile in forza delle ordinarie azioni poste dall'ordinamento a garanzia del credito (azione revocatoria, azione surrogatoria, procedimento per sequestro conservativo)”.

A supporto delle proprie conclusioni, la Corte ha valorizzato la finalità conservativa che connota tutte le iniziative revocatorie destinate ad essere avviate in attesa della pronuncia di condanna al pagamento di una somma e con l'obiettivo di tutelare l'eventuale esito favorevole delle pretese dell'attore. La descritta finalità verrebbe, infatti, vanificata qualora l'esercizio dell'azione revocatoria dovesse essere posticipato rispetto alla condanna penale del convenuto. Seguendo questa ipotesi interpretativasi perverrebbe in definitiva a tutelare nei fatti la vittima in misura addirittura meno efficace rispetto a quanto garantito dall'esercizio di un'azione revocatoria ordinaria.

Per scongiurare questo approdo del tutto irragionevole, non può che concludersi “che anche la sola prospettazione della qualità di colpevole, che si ha prima della condanna, possa fondare idoneamente l'invocabilità dell'inefficacia”.

Pertanto, la Corte d'Appello ha fugato ogni dubbio in merito al significato da attribuire all'espressione contenuta nella sentenza n. 23158/2014, secondo cui “l'inefficacia può essere fatta utilmente valere (...) esclusivamente a far tempo dalla dichiarazione di colpevolezza dell'autore dell'atto”, chiarendo che la stessa non sarebbe riferita alla stessa possibilità di esercitare l'azione revocatoria ex art. 192 c.p., ma piuttosto alla possibilità di dare avvio all'azione esecutiva ad essa conseguente nel caso di condanna dell'imputato. In specie, “deve esser riferita non già all'esercizio dell'azione revocatoria bensì a quello dell'azione esecutiva ad essa conseguente nel caso di pronuncia di condanna nei confronti dell'imputato”, ovvero al momento in cui il creditore, dopo aver già ottenuto l'accertamento, in via definitiva, dell'inefficacia relativa dell'atto dispositivo a norma dell'art. 192 c.p., si trova in condizione di agire esecutivamente sui beni formalmente intestati al terzo, secondo le regole degli artt. 2902 c.c. e 602 c.c., azionando il titolo esecutivo ottenuto nei confronti del reo, autore dell'atto di disposizione revocato.

Da ultimo, la Corte d'Appello ha escluso ogni rilievo alle esigenze, invocate invece dal Giudice di prime cure, di evitare un possibile conflitto di giudicati, valorizzando ancora una volta la finalità meramente cautelare dell'azione revocatoria penale (“Nessun possibile conflitto di giudicati può concepirsi in ragione dell'accoglimento ancorché definitivo della domanda di revoca, perché quest'ultima (...) non ha ad oggetto l'accertamento della responsabilità penale del prevenuto, così che in caso di proscioglimento o di assoluzione la sentenza di revocaex art. 192 c.p. non produrrà alcun effetto né a carico dell'imputato/indagato, né a carico del beneficiario dell'atto dispositivo, né infine a carico dei subacquirenti da quest'ultimo, ferma restando, s'intende, la possibilità per l'interessato di ottenere la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, secondo la disciplina di cui all'art.2668 cc. Né alcun pregiudizio a carico del reo può ipotizzarsi in conseguenza della pronuncia ex art.192 cp, che è di mera inefficacia relativa (e cioè a favore del solo istante) e non produce alcun effetto recuperatorio”.

Tale orientamento ha trovato conferma anche in ulteriori pronunce di merito, tra cui si segnala quella recentemente pronunciata dal Tribunale di Monza (n. 1023/2021).

Del resto, l'interpretazione confermata dalle sentenze in commento pare essere frutto di un adeguatobilanciamento tra le esigenze di tutela rafforzata e anticipata del danneggiato (ciò che parrebbe legittimare la possibilità di esperire l'azione d'inefficacia in base alla sola prospettazione della qualità di colpevole) e quelle di garanzia del soggetto convenuto, fintantoché non sia stata eventualmente accertata, in sede penale, la sua responsabilità (ciò che impone di attendere, prima di poter avviare l'esecuzione sui beni oggetto dell'atto dichiarato inefficace, l'emissione di una sentenza contenente l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato e la sua condanna al risarcimento del danno derivante dal reato, che costituirà il titolo esecutivo necessario).

Del resto l'esercizio dell'azione revocatoria penale in sede civile ex art. 192 c.p. garantisce una tutela dell'aspettativa di credito non certamente sovrapponibile rispetto a un sequestro conservativo concesso in sede penale.

Difatti, la finalità di preservare la garanzia patrimoniale dell'autore del reato, prima ancora della sua condanna e a condizione della sua sottoposizione a procedimento penale, è ben perseguibile anche con la sola proposizione in sede civile dell'azione ex art. 192 c.p., che – secondo la maggioranza degli interpreti ha natura cautelare(Cfr. Cass. civ. n. 23158 del 31.10.2014, punto 7.4, cit.) – e che – al pari della revocatoria ordinaria – è un'azione di inefficacia relativa, in quanto il suo utile esperimento non incide sulla validità erga omnes dell'atto di disposizione (che resta valido tra le parti e nei confronti dei terzi), ma soltanto sulla sua efficacia nei confronti del creditore che vi sia ricorso, il quale, in ogni caso, potrà avviare l'esecuzione solo se e nella misura in cui, divenuto definitivo l'accertamento in sede civile dell'inefficacia ex art. 192 c.p., dovesse essere emessa una sentenza di condanna contenente altresì l'accertamento del proprio credito risarcitorio.

Inoltre, l'azione non ha funzione recuperatoria, con la conseguenza che la proposizione della domanda ex art. 192 c.p. (così come il suo accoglimento) non determina conseguenze di sorta sui beni oggetto dell'atto revocato.

La natura cautelare dell'azione de qua è, altresì, ravvisabile nella circostanza che l'accoglimento della declaratoria di inefficacia spiegherebbe effetti anticipatori, temporanei e subordinati all'accertamento definitivo della colpevolezza del “debitore”, effetti che verrebbero garantiti per effetto dell'operare degli artt. 2652 e 2655 c.c., ossia attraverso la trascrizione della domanda giudiziale, prima, e l'annotazione della successiva ed eventuale sentenza di inefficacia, poi.

Inoltre, l'accoglimento dell'azione ex art. 192 c.p. in sede civile, non potrebbe neppure comportare alcun rischio di conflitto di giudicati, considerato che l'azione revocatoria penale esercitata in sede civile non è finalizzata in alcun modo ad accertare in concreto la responsabilità da reato del soggetto disponente, essendo unicamente volta alla tutela di una mera aspettativa di credito. Conseguentemente, il Giudice civile è pienamente legittimato a pronunciarsi in merito alla verosimiglianza della prospettata qualità di “colpevole” del soggetto disponente, con decisione assunta incidenter tantum e del tutto inidonea a fare stato nel giudizio penale e in qualsivoglia altra sede, trattandosi di un accertamento svolto ai soli ed esclusivi fini dell'accoglimento dell'azione ex art. 192 c.p.

Detta ricostruzione è del tutto coerente con le finalità dell'azione revocatoria ordinaria, la quale, per giurisprudenza assolutamente pacifica, può essere esperita anche a tutela di crediti anche solo eventuali o di carattere litigioso, essendo sufficiente la presenza di una semplice aspettativa che non appaia prima facie assolutamente pretestuosa ma probabile nella sua esistenza.

Peraltro, mentre nessun concreto pregiudizio potrebbe discendere per effetto dell'accoglimento dell'azione revocatoria penale, una differente interpretazione dell'art. 192 c.p. potrebbe invece pregiudicare le ragioni del creditore (specie ove quest'ultimo sia una procedura fallimentare), il quale, prima di poter anche soltanto avviare l'azione revocatoria penale, dovrebbe attendere non solo l'emissione della sentenza contenente la declaratoria di colpevolezza del disponente, ma addirittura il passaggio in giudicato di tale accertamento, all'esito di tutti i gradi di impugnazione e, quindi, dopo aver atteso il passaggio in giudicato della sentenza penale, attesa la natura costitutiva della pronuncia ex art. 192 c.p. e malgrado la natura strettamente cautelare e non recuperatoria dell'azione stessa, dovrebbe ulteriormente attendere il passaggio in giudicato della sentenza civile.

Ebbene, simile interpretazione rischierebbe di vanificare il ricorso alla revocatoria penale, a maggior ragion per una procedura fallimentare e ciò in spregio alla finalità di ‘tutela rafforzata' per il soggetto danneggiato dal reato, che, invece, è specificamente perseguita dall'art. 192 c.p.

Invero, la revocatoria penale di cui all'art. 192 c.p. risulterebbe di scarsissima o nulla appetibilità per il danneggiato, perché decisamente meno conveniente rispetto all'azione revocatoria ordinaria, pacificamente esperibile in via anticipata anche a tutela di una mera aspettativa di credito. L'azione ex art. 192 c.p. sarebbe, quindi, sensibilmente meno tutelante per il creditore vittima del reato rispetto a quella ordinaria per il creditore non qualificato.

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