Licenziamento collettivo: la violazione dei criteri ex l. 233/1991 assume carattere meramente formale?
26 Aprile 2022
Massima
La comunicazione ex l. 223/1991, art. 4 comma 9 carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta si risolve nell'accertata illegittima applicazione di tali criteri; vi è un annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dall'ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18. Il caso
Una società di autotrasporti nell'arco del periodo 28.11.2014 e 9.12.2014 aveva intimato il licenziamento collettivo a undici lavoratori. I prestatori, nell'impugnare il licenziamento adivano il Tribunale di Palmi e ivi vedere condannata la società ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. I ricorrenti ritenevano che la Ditta avesse violato, nella procedura di licenziamento collettivo, l'art. 4 comma 9 della l. 233 del 1991, essendo le lettere pregiudizievoli circa l'indicazione dei criteri utilizzati dalla Datrice per il licenziamento.
In primo grado si costituiva la Datrice, che nelle proprie difese riteneva correttamente applicato l'articolo di cui sopra, sostenendo che vi era stato un mero errore formale circa la mancata indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore e dei dati fattuali relativi a criteri di scelta tra i lavoratori; insisteva per altro nella correttezza del licenziamento collettivo. Portava a supporto copiosa documentazione integrativa circa la correttezza dell'indicazione dei criteri di scelta al fine di provare la “svista” materiale.
In primo grado, il Tribunale competente ha accolto le domande dei Ricorrenti, dichiarando illegittimo il licenziamento collettivo intimato, dichiarando risolto il contratto di lavoro con conseguente condanna per la Resistente al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dall'ultima retribuzione globale di fatto l. nr. 300/1970, art. 18 comma. 7. Tale dispositivo veniva impugnato dalla Datrice; Ella contestava l'errata applicazione dell'art. 4 comma 9, l. 233/1991, essendo presente un mero vizio di forma nell'intimazione di licenziamento collettivo.
La Corte Territoriale con Sent. 568 del 2019 ha ritenuto il licenziamento intimato ex l. 233/1991 affetto da mera violazione di carattere formale, ritenendo idonea la produzione documentale, in sede giudiziale, del Datore di lavoro che comprovava la corretta applicazione dei criteri di scelta; riformava la sentenza e legittimava il licenziamento collettivo. La questione
La questione in esame coinvolgeva, da una parte, direttamente le forme di invio del licenziamento collettivo intimato a norma dell'art. 4 comma 9 della l. 233/1991, per quanto riguarda l'indicazione dei criteri di scelta della Datrice e l'indicazione di questi nelle lettere di licenziamento. Inoltre, successivo punto, consta l'utilizzo della documentazione portata dalla Datrice in sede di gravame; viene analizzato utilizzo di questa, in corso di giudizio, al fine di provare l'esistenza materiale dell'errore e quindi sanabile da parte della Datrice. La soluzione giuridica
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della Lavoratrice, ha cassato la sentenza della Corte d'Appello con rinvio, evidenziando il rispetto dei principi assunti in materia più volte sulla tematica dei licenziamenti collettivi ex art 4 comma 9 l. 233/1991.
In Particolare la comunicazione di cui alla l. 233 del 1991, art. 4 comma 9, che fa obbligo di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati criteri di scelta per il licenziamento dei lavoratori, è finalizzata per consentire ai lavoratori interessati e alle organizzazioni sindacali una valutazione sulla correttezza dell'operazione e la rispondenza con gli accordi raggiunti. Essa cristallizza anche le ragioni del licenziamento, impedendo al Datore, in sede di giudizio, di adirne di nuove ovvero di modificare i termini di quelle già indicate.
A tal fine quindi, l'esigenza di consentire il controllo di detti criteri, impone un controllo anche sui presupposti fattuali alla base della scelta dei criteri stessi; tale ultima valutazione spetta al giudice di merito.
La generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare i dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati – astrattamente – ai criteri selezionati (anzianità, famiglia, esigenze tecnico produttive dell'azienda), ha impedito, nel caso di specie, ogni verifica di coerenza tra detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun elemento comparativo, nel rispetto delle posizioni di ogni singolo lavoratore, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli. L'indicazione astratta del loro operare non è sufficiente a dar conto di come gli stessi dovessero essere applicati con modalità trasparenti e verificabili.
La decisione della Corte Territoriale non ha fatto menzione di detti principi ove, confondendo le questioni di legittimità dei criteri concordati con le OO. SS. Con la “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative necessarie a far comprendere come i criteri concordati fossero stati applicati nella fattispecie, consentendo alla società, di effettuare una valutazione di carattere prettamente discrezionale in origine alla scelta dei lavoratori da licenziare e di colmare, successivamente, le lacune nella fase istruttoria del giudizio onde dimostrare la corretta applicazione di questi.
Il datore di lavoro deve, invece, provvedere alla specificazione, nella comunicazione l. 233/1991 le modalità applicative dei criteri scelti – in rapporto con il concreto punteggio attribuito – in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire, perché lui – e non altri – sia stato destinatario del provvedimento di licenziamento. Osservazioni
La tematica affrontata dalla Corte permette un'analisi concreta e fattuale del sempreverde campo dei licenziamenti collettivi, a maggior ragione, visti i recenti accadimenti storici, che hanno portato numerose aziende all'utilizzo del predetto istituto giuridico per far fronte alle carenze dovute alla pandemia Covid-19.
La Corte, nel cristallizzare il suo orientamento, ha cassato la sentenza della Corte d'Appello, ritendo una errata applicazione della l. 233/1991, art. 4 comma 9, nella misura in cui la comunicazione inviata deve essere completa di tutti questi elementi empirici e fattuali che possano permettere un concreto riscontro dei criteri scelti.
La Decisione degli Ermellini, va, a parere dello scrivente, letta in duplice chiave.
In primo luogo, viene – ancora una volta – ribadita la puntualità con cui, nella casistica ed applicazione del licenziamento collettivo, i parametri dell'art. 4, in tutti i suoi commi, della legge 233/1991, abbia un carattere stringente, che non permette sviste.
Infatti, come si apprezza dal dispositivo, devono essere rispettati numerosi parametri al fine di inviare un licenziamento collettivo correttamente; vi deve essere in primis il rispetto degli accordi con le OO.SS., e oltre a questo l'indicazione dei punteggi di ogni lavoratore in base ed in rapporto ai criteri utilizzati – e concordati – dall'azienda per eseguire il licenziamento.
Questa struttura incrociata è stata posta a tutela del lavoratore licenziato che, nel ricevere l'allontanamento, deve prendere esatta e puntuale contezza delle motivazioni; questo si traduce nella possibilità per il prestatore di voler difendere i propri diritti ed impugnare il licenziamento. In altre parole deve essere garantita al lavoratore la possibilità di, sulla base dei criteri scelti dall'azienda e dei punteggi attributi – in relazione altresì agli accordi sindacali – di poter impugnare il licenziamento.
In caso di licenziamento illegittimo si produrrà una condanna – per la datrice – alla reintegrazione sul posto di lavoro e il pagamento di una indennità risarcitoria in misura non superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto glocale ex art. 18 comma 4 del testo novellato.
In secondo luogo, il ragionamento della Suprema Corte, va apprezzato anche sulla tematica dell'onere probatorio Datoriale. Nel caso qui rappresentato, la Ditta, solo successivamente all'istaurazione del procedimento, e solamente del secondo grado, aveva integrato la propria produzione documentale al fine di provare la correttezza del licenziamento.
Ebbene, l'integrazione probatoria in corso di giudizio, è stata comunque ritenuta non produttiva di effetti; così facendo le erronee valutazioni commesse dalla Datrice non sono ascrivibili ad un mero errore formale/materiale della missiva di licenziamento, ma bensì, a tutela del diritto di difesa del lavoratore, resta intatto l'obbligo già sancito di puntuale e precisa indicazione dei criteri mossi per il licenziamento collettivo.
E' certo che, considerando il periodo storico, dove si assiste ad una copiosa utilizzazione di questo istituto per far fronte al difficile momento aziendale a causa del evento pandemico, vengono ancora una volta stabiliti stringenti paramenti per effettuare licenziamenti collettivo, quale ultima ratio in una condizione aziendale ormai destinata al collasso. (ex multis sul punto Cass. 12095/2016; Cass 19320/2016; Cass. 2587/2018; Cass. 19010/2018; Cass 2390/2022). |