Il concordato semplificato: incentivo per la composizione negoziata o arma “sleale” e “letale”?

Filippo Lamanna
27 Aprile 2022

Nel dibattito sui “pro” e “contra” del concordato semplificato, l'Autore pone l'accento soprattutto sugli inconvenienti del nuovo strumento, ritenendoli prevalenti sui pochi vantaggi ad esso sottesi.

Credo che sia quanto mai utile un confronto franco e diretto, in questo portale, tra chi preferisce evidenziare più i pregi che i difetti, o viceversa, più i secondi che i primi, del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio introdotto dal D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021, nuovo strumento che troverà attuazione anche alla luce della bozza di decreto correttivo del Codice della crisi licenziata dalla Commissione Pagni ed approvata dal Consiglio dei Ministri il 17 marzo 2022 (cd. “Secondo correttivo”).

Segnalo, peraltro, che finanche chi ha partecipato ai lavori della Commissione Pagni, all'esito dei quali è stato partorito il D.L. 118/2021, ha dovuto ammettere che solo quando il patrimonio da liquidare comprenda un'azienda ancora in esercizio o suscettibile di immediata riattivazione potrebbero trovare una qualche giustificazione le esorbitanti semplificazioni che connotano, a favore del debitore, il nuovo strumento del concordato semplificato, poiché invece esse non potrebbero rinvenire alcun motivo legittimante nell'ipotesi in cui si tratti semplicemente di effettuare una liquidazione atomizzata dei beni, senza conservazione dei valori aziendali (cfr. blog di M. Vitiello, pubblicato in questo portale: Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta).

Senonché il concordato semplificato può davvero applicarsi indistintamente – e del tutto legittimamente – sia nell'uno che nell'altro caso (senza che l'esperto possa sindacare in modo penalizzante la proposta di liquidazione di un patrimonio privo di azienda), e dunque, se si traggono le logiche conseguenze della suddetta premessa, già solo per questa ragione ne deriva (e ne risulta dimostrata), in generale, l'intrinseca disfunzionalità del nuovo strumento concorsuale.

Perché certo è assolutamente distonico rispetto al sistema concorsuale che il debitore possa fruire dei vantaggi esorbitanti previsti con la disciplina del concordato semplificato sottraendosi senza meriti, e senza alcun vantaggio per i creditori, all'alternativa della procedura fallimentare (o, nella prospettiva del Codice della crisi, della liquidazione giudiziale).

Osservo peraltro che se questa esiziale stortura si disvela chiaramente quando il concordato semplificato si risolva in una liquidazione atomistica del patrimonio in cui non sia ricompresa un'azienda attiva, tuttavia nemmeno quando questa vi sia ricompresa può ritenersi congruente ed accettabile il tasso di semplificazione che gli è stato cucito addosso, traducendosi esso non già (come sarebbe stato accettabile, ed anzi auspicabile) in una mera sburocratizzazione – per quanto ed in quanto possibile - della forma tradizionale di concordato preventivo, ma in una drastica compressione dei poteri di controllo del tribunale ed in una generalizzata riduzione della tutela dei diritti dei creditori, che ne fanno uno strumento concorsuale sui generis, del tutto anomalo.

È appena il caso di rimarcare, del resto, che la “semplificazione” processuale non è un valore o un bene in sé, ma va apprezzata piuttosto in correlazione con i costi e gli svantaggi che essa può implicare.

Se si svolge l'analisi da questo (indefettibile) punto di vista, è davvero arduo ritenere che la semplificazione formale impressa alla nuova ed anomala figura di concordato abbia alcunchè di razionale.

Con essa, oltre a ribaltarsi il più recente orientamento del legislatore riesumando un concordato liquidatorio che sembrava destinato all'obitorio, è stata infatti introdotta nel sistema un'arma tanto potente quanto letale per i creditori.

Sono stati infatti cancellati i requisiti che ancora sembravano giustificare un residuo utilizzo del concordato preventivo: il soddisfacimento dei creditori chirografari almeno nella misura del 20% e, secondo il Codice della crisi, l'incremento del valore del patrimonio di almeno il 10% con apporti esterni. È stato poi enormemente ridimensionato il potere di controllo del tribunale, la cui valutazione sulla fattibilità viene riservata al solo momento dell'omologazione e limitata alle sole prospettive liquidatorie, al tempo stesso escludendosi il potere di fissare le modalità della liquidazione in caso di offerte preconfezionate di acquisto. È stata negata, altresì, la necessità di un'approvazione della proposta da parte dei creditori, sopprimendosi la procedura di voto, sì che essi possono unicamente interferire proponendo opposizione all'omologa e sostanzialmente solo per sostenere la maggior convenienza del fallimento rispetto al piano di liquidazione. E si potrebbe continuare in questo elenco di modifiche regressive.

Si controbatte di solito, a tali innegabili evidenze, che – nondimeno – il concordato semplificato ha peculiari presupposti, mirati a garantirne comunque un utilizzo non abusivo, come è a dirsi per la necessità che le trattative svolte nell'ambito della composizione negoziata abbiano avuto un esito negativo non per colpa dell'imprenditore e che le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede; condizioni, entrambe, che vanno poi anche certificate nella relazione finale dell'esperto.

Il paradosso è, però, che tali condizioni vengono definite come requisiti di ammissibilità (come fa ad es., tra gli altri, nel sopra citato contributo, anche M. Vitiello), i quali sarebbero come tali soggetti ad un immediato controllo da parte del tribunale, pur mancando, però, nel concordato semplificato, una fase di accertamento dei requisiti di ammissibilità in cui possa svolgersi davvero tale pregiudiziale sindacato, di modo che il tribunale, in caso di report negativo dell'esperto, possa evitare di nominare l'ausiliario (spuria figura di consulente inspiegabilmente introdotta al posto del classico commissario giudiziale) e di fissare l'udienza di omologa.

Mancando nel concordato semplificato la fase di ammissione prevista invece nel concordato tradizionale, il tribunale può e deve limitarsi invece soltanto a valutare la ritualità della proposta (ex art. 18, comma 3, D.L. 118/2021), ed è appena il caso di notare che un conto è valutare la ritualità della proposta, ben altro valutare le condizioni e i requisiti di ammissibilità al (e del) concordato.

Nella valutazione circa la (sola) ritualità della proposta, ad esempio, può rientrare, a rigore, il controllo sul se l'esperto abbia formulato il proprio parere sulla correttezza e buona fede tenute dal debitore nel corso delle trattative, ma non invece un sindacato sulla veridicità o attendibilità nel merito di tale parere (sindacato che, del resto, anche qualora in via interpretativa potesse considerarsi possibile o plausibile, potrebbe compiersi al più “allo stato degli atti”, ossia senza alcuna concreta possibilità di esperire un'istruttoria ad hoc in una sede di preliminare ammissione, il che lo renderebbe puramente formale, senza alcuna effettiva possibilità per il tribunale di confutare le considerazioni svolte dall'esperto con riferimento ad una fase anteriore delle trattative in cui è stato di norma assente, senza poter svolgere alcuna sorveglianza).

In ultima analisi, la mancanza di una fase di ammissione non può affatto considerarsi un'innocua semplificazione idonea solo ad accorciare i tempi del procedimento, ma è invece una pericolosa anomalia procedimentale, perché lascia di fatto nelle sole mani dell'esperto la concreta decisione sull'accesso al concordato semplificato, eliminando ogni reale potere di controllo preventivo da parte del tribunale (potere che esso, eventualmente, potrebbe esercitare - ma con le difficoltà che comunque permarrebbero quanto alla valutazione sul merito della dichiarazione dell'esperto -, solo nella successiva sede dell'omologa).

Peraltro, il ristretto perimetro in cui può spaziare la valutazione del tribunale circa la ritualità della proposta di concordato semplificato non mi pare affatto che possa autorizzare – come invece pure si ipotizza - che un'indagine del tribunale possa estendersi con ampiezza indeterminata ad altri profili del concordato semplificato, come ad esempio quello della regolare formazione delle classi.

La possibilità di classamento, altra anomalia di tale strumento (poiché è stato previsto - in sede di conversione in legge del D.L. 118/2021 - che il debitore possa suddividere i creditori in classi pur in mancanza di una votazione dei creditori e senza che debba essere rispettata la condizione del pagamento di almeno il 20% dei chirografari, condizioni solo in presenza delle quali avrebbe senso e giustificazione la legittimazione a realizzare con le classi un disparitario trattamento dei creditori), è stata infatti concessa al debitore senza assoggettarla in via espressa ad alcun controllo da parte del tribunale, laddove invece solo una norma espressa – secondo il mio modesto parere - potrebbe autorizzarlo a svolgere tale sindacato.

Non basterebbe, cioè, a giustificare un controllo del tribunale sui criteri di formazione delle classi, nemmeno il generale potere che il tribunale esprime nel concordato tradizionale controllando i requisiti e le condizioni di ammissibilità al concordato, come dimostra del resto il fatto stesso che il legislatore abbia dovuto assegnare espressamente ed ex novo al tribunale, con l'art. 163, primo comma, l.fall., come modificato dalla L. 80/2005 di conversione del D.L. 35/2005, la possibilità e il dovere di valutare la “correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi".

Né tale previsione normativa potrebbe essere applicata in via analogica nel concordato semplificato, sia perché anch'essa è una disposizione di carattere speciale, e non generale, sia perché, come già segnalato prima, al concordato semplificato non possono applicarsi in via integrativa/suppletiva le norme che disciplinano il concordato preventivo, non essendone una semplice variante tipologica.

Incidentalmente deve poi evidenziarsi che anche la possibilità di classamento, unitamente alla mancata previsione della procedura di voto dei creditori (in aggiunta agli altri numerosi ed asimmetrici vantaggi previsti, come l'eliminazione delle soglie minime di pagamento dei creditori, la non necessità di depositare una cauzione per le spese, o la sottrazione al rischio di proposte concorrenti, e l'inapplicabilità delle norme sulle vendite competitive, ecc.) rende il concordato semplificato non soltanto uno strumento che svolge una sorta di “concorrenza sleale” verso lo strumento del concordato tradizionale (come ha ben evidenziato N. Abriani, Concordato preventivo e ristrutturazione dell'impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?, in dirittodellacrisi.it, 16 febbraio 2022) visto che non sembrerebbero esservi valide ragioni per preferire, come sbocco della composizione negoziata, il secondo strumento al primo, che è di gran lunga più vantaggioso per il debitore; ma anche una forma di incentivo “sleale” (in quanto quasi estorsivo) o di arma “letale” a favore del debitore che acceda alla composizione negoziata, poichè i creditori divengono ipso facto consapevoli già ex ante che, se non accettano di buon grado le proposte del debitore in corso di trattative, all'esito negativo delle stesse questi potrà comunque esdebitarsi attraverso il concordato semplificato, visto il carattere “coattivo” di tale strumento, che lo sottrae alla loro approvazione, e tanto più considerato che la proposta può prevedere una suddivisione dei creditori in classi con l'attribuzione di un trattamento “differenziato” che potrebbe risultare punitivo per i creditori meno “collaborativi”.

In definitiva, anche considerare come “auspicabile” l'effetto indiretto che potrebbe avere il concordato semplificato nell'incentivare i creditori ad accettare la proposta di composizione negoziata formulata dal debitore è frutto di un punto di vista non solo, ovviamente, controvertibile, ma anche difficilmente sostenibile e giustificabile.

Né potrebbe considerarsi innocuo, come pure si sostiene, aver soppresso la necessità di approvazione dei creditori mediante voto (soppressione che viene finanche considerata come un elemento “qualificante della semplificazione processuale”), e questo in asserto perché i creditori avrebbero comunque già partecipato alle trattative rendendosi edotti della situazione economico-finanziaria del debitore, e inoltre perché anche in altri luoghi normativi il legislatore ha previsto forme di concordato senza voto (come in materia bancaria o nella liquidazione coatta amministrativa o nell'amministrazione straordinaria) o altre forme di soluzione della crisi omologabili anche senza la previa espressione di voto dei creditori, come ad es. nel caso del piano del consumatore sovraindebitato (ex art. 12-bis L. 3/2012).

Infatti, da un lato, considerare in via generale come innocua l'eliminazione del consenso dei creditori è di per sé palesemente incongruo, trattandosi di soppressione di una tutela che sta a necessario presidio e controbilanciamento del finale effetto esdebitatorio previsto a vantaggio del debitore (certamente non compensato in alcun modo dalla sola possibilità di proporre, peraltro in un tempo assai ristretto, un'onerosa opposizione all'omologa, e senza nemmeno alcuna possibilità per i creditori di esercitare un successivo controllo sulle scelte del liquidatore in fase post-omologa, visto che nemmeno è stata prevista la presenza di un comitato dei creditori); mentre, dall'altro, comunque tale soppressione del consenso non può trovare giustificazione né nell'ipotizzata partecipazione pregressa dei creditori alle trattative, visto che la composizione negoziata non garantisce affatto il pieno coinvolgimento nelle trattative di tutti i creditori, ma solo di quelli che secondo il debitore sono interessati ad esse e che egli può discrezionalmente selezionare, in accordo con l'esperto (tanto che l'art. 5.2. del decreto dirigenziale 28 settembre 2021 ha ritenuto opportuno dettare all'esperto alcune regole per selezionare i creditori da coinvolgere nelle trattative), né nell'esistenza di altre procedure di carattere coattivo, per le quali la soppressione del voto ha ben più fondate giustificazioni.

Infatti, nelle altre diverse di ipotesi di concordati coattivi la mancanza del voto si giustifica in ragione di sovraordinati interessi pubblicistici, che prevalgono su quelli dei creditori (ma questa non è certo una situazione riproducibile o valevole per il concordato semplificato), e peraltro in quei casi la proposta di concordato viene presentata non dal debitore, ma da un organo pubblico quale il commissario, e previa autorizzazione da parte dell'autorità amministrativa che vigila sulla procedura; mentre, poi, nel caso del piano del consumatore, la mancanza del voto è dovuta solo alle “ridotte dimensioni della crisi rapportata ad una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale, per cui trova giustificazione una procedura semplificata al massimo proprio nell'ottica di agevolare una soluzione concordataria altrimenti troppo complessa e costosa”, sì che, in ultima analisi, la privazione del diritto di voto per i creditori non trova alcuna giustificazione valoriale e si pone in contrasto con il carattere concorsuale della nuova procedura (così, giustamente, Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche dalla l. n. 147 del 2021, in dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021, il quale ne trae altresì la conclusione che il concordato semplificato sia una procedura “incongruamente asimmetrica in favore del debitore e sfacciatamente lesiva dei diritti dei creditori”, e reputa che non sia “etico che lo Stato offra al debitore, che già tanti danni ha procurato ai suoi creditori a causa della sua crisi o insolvenza, una ulteriore arma per “costringere” costoro ad accettare le sue proposte”).

Neanche l'eliminazione delle soglie previste dalla legge fallimentare (il soddisfacimento dei creditori chirografari nella percentuale minima del venti per cento) e/o dal Codice della crisi (la sussistenza di risorse aggiuntive rispetto a quelle derivanti dal patrimonio del debitore, idonee ad accrescere di almeno il dieci per cento l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda) possono poi rappresentare, come pure eccentricamente si assume, un'ulteriore positiva espressione della semplificazione in quanto assertivamente “in linea con la considerazione che l‘istituto… è stato pensato soprattutto considerando la fattispecie in cui del patrimonio oggetto di liquidazione faccia parte un'azienda o un ramo d'azienda ancora suscettibili di restare sul mercato” (M. Vitiello, ibidem), sia perché, come si è già rilevato sopra, il concordato semplificato non è affatto destinato soltanto alla liquidazione di un'azienda, ma più in generale alla liquidazione anche di un patrimonio in cui un'azienda non esista affatto; sia perché, comunque, non è giustificabile un effetto esdebitatorio in presenza di un risultato satisfattivo per i creditori che, lungi dall'essere migliorativo rispetto all'alternativa liquidazione fallimentare, con il concordato semplificato rischia semmai di essere quasi sempre più penalizzante, tanto più stante la pressocchè totale eliminazione anche delle procedure competitive previste nel concordato “classico” per la cessione delle aziende (specie quanto alla fase post-omologa), che implicitamente non potrà garantire alcun risultato migliorativo rispetto sia ad un concordato normale, che al fallimento.

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