Frazionamento del credito dell'avvocato

29 Aprile 2022

Il presente contributo approfondisce il tema del frazionamento del credito dell'avvocato nel caso di instaurazione di plurimi giudizi per il recupero di crediti professionali, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità.
Inquadramento

La violazione dei doveri di lealtà e probità, di cui all'art. 88 c.p.c., è riconducibile alla più ampia problematica inerente all'abuso del processo. Il processo civile si risolve, nella sua essenziale funzione, in uno strumento che lo Stato pone a disposizione dei consociati per l'attuazione del diritto ed affinché essi stessi non provvedano a farsi giustizia da sé, con la violenza e il sopruso. In dottrina è ancora vivo l'insegnamento chiovendiano secondo cui il processo ha lo scopo di accertare, dichiarare e attuare il diritto di chi ha ragione.

Anche dello strumento processuale, tuttavia, può essere fatto un utilizzo distorto, se esso viene adoperato per finalità diverse da quelle che gli sono proprie, con pregiudizio della parte a cui danno tali finalità sono perseguite.

In proposito, la giurisprudenza ha precisato che si ha abuso del processo – che deriva dal corrispondente abuso del diritto sostanziale (quale esercizio del diritto in violazione del dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.) - quando la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell'atto, ma - sviando l'atto dalla sua causa tipica - per perseguire uno scopo diverso da quello per cui l'atto è funzionalmente previsto dalla legge, dando luogo, per questo, ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare (Cass. civ., sez. un., n. 22405/2018; Cass. civ., n. 10327/2018; Cass. civ., n. 19285/2016; Cass. civ., n. 1251/2016).

In tal senso, l'abuso processuale è visto come un utilizzo contrario alle regole di comportamento che devono caratterizzare non soltanto i rapporti negoziali tra i cittadini (artt. 1175, 1337, 1338, 1375 c.c.), ma anche la contrapposizione delle parti nel giudizio civile (art. 88 c.p.c.).

Tale nozione ha subito, nel corso dell'ultimo ventennio, una naturale evoluzione giurisprudenziale in conseguenza dell'introduzione nel nostro ordinamento dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata ex art. 111 Cost.

Anche in ambito sovranazionale molto vasta è la giurisprudenza della Corte di Giustizia che richiama la nozione di «abuso» per affermare la regola interpretativa secondo cui colui che si appelli al tenore letterale di disposizioni dell'ordinamento comunitario, per far valere avanti alla Corte un diritto che confligga con gli scopi di questo e contrario all'obiettivo perseguito da dette disposizioni, non merita che gli si riconosca quel diritto (Corte di giustizia 20 settembre 2007, n. C-16/05, Tum e Dari, punto 64; Corte di giustizia 21 febbraio 2006, n. C-255/02, Halifax e a., ed ivi citate, punto 68).

Alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, quindi, l'abuso del processo consiste in un vizio per sviamento dalla funzione ovvero, secondo una più efficace definizione riferita in genere all'esercizio di diritti potestativi, per frode alla funzione, e quando, mediante comportamenti illeciti, si realizza uno sviamento dalla funzione, la parte che ha abusato dei diritti o delle facoltà che l'ordinamento processuale astrattamente le riconosce, non ha titolo per invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti (Corte di Giustizia, Grande Sez., 26 febbraio 2019, n. C-115/16, e Corte di Giustizia, Grande Sez., 26 febbraio 2019, n. 116/16).

Nel nostro ordinamento particolarmente significativa risulta l'applicazione dei canoni di cui all'art. 88 c.p.c. e del divieto di abuso del processo in materia di divieto di frazionamento del credito.

Il divieto generale di frazionamento del credito

Occorre premettere che, con la sentenza, resa a Sezioni Unite, del 15 novembre 2007, n. 23726 (conformi, Cass. civ., n. 15476/2008 e Cass. civ., n. 1706/2010), la Suprema Corte, ribaltando il proprio precedente orientamento, che ammetteva la parcellizzazione in plurime e distinte domande dell'azione giudiziaria per l'adempimento di una obbligazione pecuniaria, ha statuito invece che «è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Costituzione, e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario».

In sintesi, secondo le Sezioni Unite, la parcellizzazione giudiziale del credito non è in linea con il precetto inderogabile (cui l'interpretazione della normativa processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto, che sarebbe altresì violato dalla formazione di giudicati contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto. Inoltre, «l'effetto inflattivo riconducibile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all'obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 111, della “ragionevole durata del processo”, per l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata».

Più recentemente le Sezioni Unite (sent. n. 4090/2017) sono tornate sulla problematica in esame e, nel confermare il precedente del 2007, riferito al singolo credito e non a una pluralità di crediti facenti capo a un unico rapporto complesso, hanno ulteriormente precisato che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, — sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale — le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Qualora la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c. (conformi Cass. civ., n. 20714/18, che ha ritenuto insussistente l'oggettivo interesse al frazionamento in relazione all'instaurazione di cinquantotto procedimenti per ingiunzione per ottenere il pagamento di una pluralità di crediti relativi alle spese di custodia di veicoli affidati ad una carrozzeria dalle autorità di pubblica sicurezza; Cass. civ., n. 17893/18, che ha ritenuto configurabile l'illegittimo frazionamento del credito in una fattispecie in cui un perito aveva svolto, per conto di una compagnia di assicurazioni, un'attività continuativa per molti anni con le medesime modalità e con regolamentazione uniforme, essendo la remunerazione per il singolo incarico collegata unicamente al numero dei sinistri periziati, con accettazione delle parcelle mediante il sistema informatico della compagnia, indipendentemente dal contenuto concreto della prestazione; Cass. civ., n. 3738/2018; Cass. civ., n. 6591/2019; Cass. civ., n. 337/2020).

La violazione del divieto di promuovere separati giudizi per domandare il riconoscimento di differenti pretese creditorie derivanti da un unitario rapporto contrattuale – oltre ad essere rilevabile d'ufficio dal giudice, attenendo alla proponibilità della domanda (Cass. civ., n. 27089/2021) - ha per conseguenza, secondo la tesi ormai prevalente, l'inammissibilità della sola domanda di pagamento proposta per seconda, mentre è sempre ammissibile la domanda di pagamento proposta per prima, anche se abbia ad oggetto una parte soltanto del credito vantato dall'istante, in quanto è sempre facoltà del creditore chiedere l'adempimento parziale dell'obbligazione (Cass. civ., n. 17019/2018; Cass. civ., n. 22503/2016). Risulta, invece, superata la diversa tesi, pur sostenuta in alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte sarebbe da ravvisare nella riunione delle medesime (Cass. civ., n. 9488/2014) o nella liquidazione delle spese di lite, da effettuarsi «come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine» (Cass. civ., n. 8381/2015, n. 10488/2011).

In particolare, il frazionamento del credito dell'avvocato

I principi finora esposti sono applicabili anche al rapporto tra avvocato e cliente.

Così è stata ritenuta contraria al predetto divieto di frazionamento del credito l'instaurazione da parte di un avvocato di plurimi giudizi per il recupero di un credito professionale nascente da un incarico considerato unitario (App. Milano 8 luglio 2015; Trib. Santa Maria Capua Vetere 21 marzo 2016). Per converso, è stato escluso che l'attore che, a tutela di un credito nascente da un unico rapporto obbligatorio per il pagamento di compensi professionali, abbia agito, dapprima, con ricorso monitorio, per la somma già documentalmente provata, e, poi, in via ordinaria, per il residuo, violi il divieto di frazionamento di quel credito in plurime domande giudiziali, atteso che il creditore ha diritto a ricorrere ad una tutela accelerata, mediante decreto ingiuntivo, per la parte di credito assistita dai requisiti per la relativa emanazione (Cass. civ., n. 22574/2016, n. 10177/2015).

Più recentemente, la Suprema Corte si è spinta anche oltre il dictum delle Sezioni Unite del 2017, arrivando a configurare il divieto di frazionamento anche nel caso in cui, al momento della proposizione della prima domanda giudiziale da parte dell'avvocato, siano già maturati i crediti inerenti ai diversi rapporti di patrocinio oggetto delle successive domande giudiziali.

Infatti, nel caso trattato da Cass. civ., n. 31308/2019, un avvocato, dopo la revoca da parte della banca del mandato conferitogli, aveva richiesto ed ottenuto vari decreti ingiuntivi relativi ai distinti crediti riguardanti le diverse prestazioni professionali svolte nell'interesse della banca. Uno di tali decreti veniva opposto dalla banca ingiunta e il giudice di pace rigettava l'opposizione; il tribunale, adito in secondo grado, accoglieva il gravame della banca e dichiarava l'improponibilità della domanda dell'avvocato, condannandolo anche alla restituzione delle somme percepite, poiché riteneva fondato il motivo dell'appellante relativo all'illegittima parcellizzazione del credito. Avverso tale decisione l'avvocato proponeva ricorso per cassazione, che veniva rigettato in quanto, se è vero che i suoi crediti trovavano origine in distinti rapporti professionali, è pur vero che gli stessi erano riferiti a prestazioni rese nell'interesse del medesimo cliente, ossia la banca; quindi, i titoli per i quali erano state intraprese le procedure giudiziali erano del tutto omogenei e si riferivano ad attività svolte in favore del medesimo soggetto, ragion per cui non v'era ragione di frazionare le relative azioni, né l'avvocato aveva dedotto di aver prospettato in sede di merito che vi erano state delle concrete esigenze tali da giustificare la separazione delle iniziative giudiziali sostanziatesi in plurimi procedimenti monitori.

Sulla stessa scia, più recentemente, in un caso in cui l'avvocato di una società cooperativa aveva chiesto un decreto ingiuntivo per ogni specifico incarico professionale che la medesima società gli aveva affidato e non pagato, per un totale di 38 procedimenti monitori avviati, fondati, peraltro, non già su crediti dei quali accertare l'an e il quantum, ma su altrettanti ed identici atti di riconoscimento di debito, tutti liquidi ed esigibili già al momento della proposizione del primo dei 38 ricorsi monitori, Cass. civ., n. 14143/2021 (interamente conformi risultano Cass. civ., n. 17813/2021, Cass. n. 24172/2021 e Cass. civ., n. 24371/2021, riferite, peraltro, alla medesima vicenda sostanziale) – a differenza dei giudici di merito, che avevano dato ragione al legale, sottolineando che l'assenza di un accordo per la definizione unitaria di spese e compensi deponesse per l'autonomia dei mandati e, dunque, per la pluralità dei rapporti giuridici – ha sostenuto che le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inscrivano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia, salvo che l'attore abbia un interesse oggettivo - il cui accertamento compete al giudice di merito - ad azionare in giudizio solo uno ovvero alcuni dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria.

In sostanza, secondo tale ultimo arresto della Suprema Corte, il principio (affermato da Cass. civ., sez. un., n. 4090/2017) in base al quale i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che il creditore non risulti titolare di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, deve essere inteso con la duplice specificazione per cui:

a) l'espressione «medesimo rapporto di durata» va letta in senso storico/fenomenologico: alla parola «rapporto» va, cioè, assegnato non il significato tecnico-giuridico di coppia diritto/obbligazione derivante da una delle cause elencate nell'art. 1173 c.c., bensì il significato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia;

b) nell'espressione «medesimo fatto costitutivo», l'aggettivo «medesimo» va inteso come sinonimo di «analogo» e non di «identico».

Nel caso di specie trattato dalla Suprema Corte, l'interesse sostanziale del creditore poteva essere adeguatamente tutelato anche con una domanda unitaria, trattandosi di pretese sì distinte sul piano giuridico ma, in definitiva, pur sempre concernenti la medesima vicenda esistenziale e sostanziale, la cui trattazione dinanzi a giudici diversi incideva negativamente non solo sulla «giustizia» sostanziale della decisione, che poteva essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata, ma anche sulla durata ragionevole dei relativi processi, in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale su vicende fattualmente distinte ma tra loro simili, e, spesso, connotate dall'esecuzione di prestazioni analoghe in contesti temporali ristretti.

Tali ultime pronunce (Cass. civ., n. 14143/2021 e Cass. civ., n. 24172/2021), inoltre, vanno segnalate per l'affermazione di un ulteriore principio, secondo cui la violazione dell'enunciato divieto processuale di frazionamento del credito è sì sanzionata con l'improponibilità della domanda, ma resta ferma la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ex art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria.

Si tratta, quindi, di un'evidente dilatazione del perimetro applicativo del divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale, che, inizialmente coniato dalla giurisprudenza (nel 2007) in relazione ad un unico rapporto obbligatorio, è stato dapprima esteso alla pluralità di rapporti creditori aventi fonte in un unico contratto di durata (nel 2017), ed infine applicato anche nel caso di pluralità di titoli costitutivi intercorsi tra le stesse parti, posto che la «medesimezza del fatto costitutivo» va intesa come fatto (sia pur storicamente diverso, ma) della stessa natura di quello che, nell'ambito del medesimo rapporto tra le parti, è stato già dedotto in giudizio, il che avviene, ad es., proprio in relazione ai compensi dovuti per l'esecuzione di diversi incarichi nell'ambito di un unitario contratto di consulenza professionale.

In altri termini, il passo ulteriore compiuto da Cass. civ., n. 14143/2021 consiste nell'estensione del divieto di frazionamento a quelle fattispecie in cui il rapporto di durata, dal quale hanno avuto origine i distinti diritti di credito, si sia sviluppato in via di mero fatto, non traendo la propria fonte da un contratto che ne disciplini gli effetti. Anche in questo caso, infatti, i doveri inderogabili di correttezza e buona fede, che derivano dal più ampio «contatto sociale» e che devono improntare, in termini di salvaguardia e protezione dell'altrui interesse (art. 2 Cost.), i comportamenti delle parti, oltre che durante l'esecuzione dei singoli contratti, anche nella fase della tutela giudiziale dei relativi diritti di credito, impongono la trattazione unitaria degli stessi (purchè esigibili), che restituisca alla cognizione del giudice un quadro fattuale organico e completo, idoneo a scongiurare i rischi di giudicati contrastanti e ad evitare di aggravare (si pensi, ad es., alla moltiplicazione degli oneri conseguenti alle spese processuali), con plurime iniziative giudiziarie, la posizione della controparte.

Secondo la Suprema Corte, ad es., il rischio di giudicati contrastanti può configurarsi nel caso dell'eccezione del convenuto relativa all'imputazione ai diversi crediti dei pagamenti effettuati, la quale, evidentemente, può essere senz'altro meglio apprezzata dal giudice di merito proprio se tutte le domande relative ai crediti eventualmente residui siano state proposte nello stesso giudizio a prescindere dalla loro riconducibilità allo stesso o a distinti contratti, onde evitare il rischio (che in caso di proposizione separata delle relative domande può riverberarsi tanto ai danni del creditore che agisce per il loro pagamento, quanto ai danni del debitore che eccepisce di averne eseguito il pagamento) che i pagamenti eseguiti siano ritenuti, da alcuni giudici, estintivi del singolo credito azionato, pur essendo imputabili a crediti che hanno costituito l'oggetto di domande proposte in distinti processi, e, da altri giudici, invece, imputati ai crediti azionati con altre domande (o, addirittura, a crediti non azionati) pur avendo, in realtà, estinto proprio il credito vantato in quel giudizio.

D'altra parte, le Sezioni Unite, in tema di responsabilità disciplinare a carico degli avvocati, avevano già affermato che costituisce violazione dell'art. 49 del codice deontologico forense l'intraprendere contro la stessa parte assistita iniziative giudiziarie plurime e non giustificate da un effettivo e necessitato sviluppo processuale, a tutela delle proprie ragioni economiche relative ad un rapporto professionale svoltosi continuativamente per un lungo periodo di tempo, così da aggravare la posizione della controparte, costretta a sostenere il cumulo delle spese giudiziali, invece di procedere ad un accorpamento delle posizioni in contestazione (Cass. civ., sez. un., n. 14374/2012, che si è pronunciata, riconoscendo la responsabilità disciplinare dell'avvocato, in una vicenda nella quale l'incolpato era stato accusato di avere promosso contro il suo cliente «una pluralità di azioni giudiziarie per recuperare i crediti...per compensi professionali, così aggravando la posizione della debitrice, senza che ciò corrispondesse ad effettive ragioni di tutela dei crediti…»). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno evidenziato che: - «il rapporto professionale, svoltosi continuativamente per un lungo periodo temporale fra le parti, avrebbe dovuto, anche sul piano della richiesta dei compensi, sfociare, quantomeno, in un accorpamento delle posizioni in contestazione, per un loro esame globale e complessivo. L'avere, viceversa, con iniziative plurime, e non giustificate da un effettivo e necessitato sviluppo processuale, aggravato la posizione della controparte, costretta a sostenere il cumulo delle spese giudiziali a suo carico, conduce, quindi, a ritenere sussistere la violazione deontologica contestata»; - «i principi di buona fede oggettiva e di correttezza, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all'inderogabile dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., costituiscono un autonomo dovere giuridico ed una clausola generale, che non attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma che si pone come limite all'agire processuale nei suoi diversi profili; e che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale, volto anche alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio (v. anche Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2009, n. 27214; Cass. civ., 22 dicembre 2011, n. 28286). Principio, questo ripreso anche dall'art. 88 c.p.c. per il quale le parti e i loro difensori devono comportarsi in giudizio con lealtà e probità; applicabile, quindi, anche con riferimento ai doveri deontologici».

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