La cessione dei contratti d'azienda nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese

29 Aprile 2022

La sentenza in commento ricostruisce il complesso rapporto intercorrente tra la disciplina codicistica in tema di successione nei contratti nel trasferimento di azienda e quanto previsto dalla normativa speciale per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese.
La massima

La regola della cessione ex lege dei contratti di azienda che non abbiano carattere personale, di cui all'art. 2558 c.c., vige solo se non è pattuito diversamente, come prevede l'esordio di tale disposizione; e tale diverso accordo è ravvisabile in ipotesi di cessione di azienda da parte dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, artt. 62 e 63, allorché – secondo l'insindacabile accertamento del giudice del merito, nel rispetto degli artt. 1362 ss. c.c. – risulti che la volontà delle parti sia stata limitata alla cessione del compendio aziendale, nella consistenza risultante nel corso del procedimento previsto dalle norme menzionate, senza rilievo dei contratti successivamente conclusi.

Il caso

La Corte d'appello di Milano ha respinto l'impugnazione avverso la decisione del Tribunale che, a sua volta, aveva rigettato le domande proposte da una Limited Company contro una S.r.l., volte al risarcimento del danno per l'inadempimento al contratto di licenza concluso tra la dante causa di quest'ultima ed una S.p.a. in amministrazione straordinaria. Avverso la sentenza della Corte d'Appello la Limited Company ha proposto ricorso per cassazione adducendo, fra gli altri, il motivo della violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 D.Lgs. 270/1999, in relazione all'art. 12 prel., in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto il mancato subentro della cessionaria dell'azienda anche nel contratto di licenza per cui è causa, mentre tali articoli non sarebbero volti a limitare l'oggetto della cessione del ramo d'azienda delle grandi imprese, in deroga all'art. 2558 c.c., ma solo a fissare regole di tipo procedimentale. Ancora, la ricorrente ha eccepito la violazione e falsa applicazione dell'art. 2558 c.c., il quale prevederebbe come effetto naturale il subentro in tutti i contratti aziendali, senza che, nella specie, sussista nessuna clausola di esclusione della licenza di cui trattasi.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

La questione giuridica

Il codice civile, nel titolo VIII dedicato all'azienda, disciplina, all'art. 2558, la successione nei contratti. A tal proposito la norma prevede che, se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa e salva in questo caso la responsabilità dell'alienante. La norma estende le stesse disposizioni anche all'usufruttuario ed all'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto.

Nel caso che ci occupa è stato eccepito l'inadempimento (con relativa richiesta di risarcimento danni) di un contratto di licenza stipulato con una S.p.A. in amministrazione straordinaria. Come è noto, l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dalla legge Prodi bis (D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, modificato dal D.L. 154/2015, convertito nella L. 189/2015 e successivamente modificato dalla L. 208/2015), è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale in stato di insolvenza. L'art. 63 D.Lgs. 270/1999 prevede che l'alienazione dei beni dell'impresa insolvente, in conformità delle previsioni del programma autorizzato, è effettuata con forme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo, in conformità dei criteri generali stabiliti dal Ministro competente, con adeguate forme di pubblicità in caso di vendita di beni immobili, aziende e rami d'azienda di valore superiore a € 51.645,69. Il successivo art. 63 fissa i paletti necessari per dar luogo ad un'eventuale vendita di aziende e di rami d'azienda in esercizio, attinenti, per esempio, alle modalità di stima del loro valore o alla salvaguardia dei livelli occupazionali.

Orbene, nella sentenza in commento la suprema Corte ha escluso che i giudici di merito abbiano violato gli artt. 62 e 63 D.Lgs. 270/1999 e l'art. 2558 c.c. Secondo i giudici di legittimità, la sentenza della Corte d'Appello non ha affermato che le norme del D.Lgs. 270/1999 abbiano ex lege limitato il disposto dell'art. 2558 c.c., creando un'eccezione, ma ha solo ammesso che la volontà delle parti possa derogare, come prevede espressamente l'incipit dell'art. 2558 c.c., all'automatico passaggio.

Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, è possibile affermare il seguente principio di diritto: “la regola della cessione ex lege dei contratti di azienda che non abbiano carattere personale, di cui all'art. 2558 c.c., vige solo se non è pattuito diversamente, come prevede l'esordio di tale disposizione; e tale diverso accordo è ravvisabile in ipotesi di cessione di azienda da parte dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del D.Lgs. 270/1999, artt. 62 e 63, allorché – secondo l'insindacabile accertamento del giudice del merito, nel rispetto degli artt. 1362 ss. c.c. – risulti che la volontà delle parti sia stata limitata alla cessione del compendio aziendale, nella consistenza risultante nel corso del procedimento previsto dalle norme menzionate, senza rilievo dei contratti successivamente conclusi".

Osservazioni conclusive

Il principio secondo cui la cessione ex lege dei contratti di azienda che non abbiano carattere personale vige solo se non è pattuito diversamente ai sensi dell'art. 2558 c.c., non può non valere anche nelle ipotesi di cessione di azienda da parte dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi se, naturalmente, risulta che la volontà delle parti è stata limitata alla cessione del compendio aziendale ed è stata rispettata la normativa di riferimento, come accertato nel caso de quo.

Invero, il legislatore, attraverso gli artt. 62 e 63 D. Lgs. 270/1999, ha stabilito puntuali prescrizioni per la salvaguardia di una pluralità di interessi: quello dei creditori, quello dei lavoratori, l'interesse alla conservazione del patrimonio produttivo e quindi alla salvaguardia della funzionalità operativa dell'azienda. La procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ha infatti mantenuto nel tempo la sua finalità conservativa del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali, ma, contrariamente alle altre procedure concorsuali (con qualche eccezione per la liquidazione coatta amministrativa le cui ipotesi di chiusura disciplinate della l.fall. spesso coincidono), il suo fine principale è quello di evitare la messa in liquidazione dell'impresa in considerazione dei notevoli interessi coinvolti, siano essi privati o pubblici. La procedura dovrebbe conseguentemente chiudersi o con il risanamento dell'impresa o con il riparto dell'attivo oppure, quando possibile, con il concordato.

Già da tempo le Sezioni Unite della Cassazione (Cass., sez. un., 29 maggio 2017, n. 13451) hanno statuito che, in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, i contratti che conducono alla liquidazione dei beni che appartengono all'impresa privata sono, a tutti gli effetti, negozi di diritto privato stipulati dai commissari per conto dell'impresa, ancorché a seguito di una fase procedimentalizzata in cui la P.A. interviene a dare il suo consenso all'atto liquidatorio. Sicchè non sono assimilabili ai contratti ad evidenza pubblica, ma sono assoggettati alla disciplina privatistica. È questo, dunque, il perimetro entro cui muoversi e l'odierna decisione della suprema Corte lo rispetta pienamente.

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