Responsabilità della capogruppo: quando si possono sequestrare i beni della controllante?
29 Aprile 2022
Massima
C'è il fumus boni iuris quanto alla responsabilità della controllante ex art. 2497 c.c. in relazione a operazioni, protrattesi per vari esercizi e da collocarsi nell'ambito di un gruppo caratterizzato dal controllo totalitario da parte della capogruppo e dalla parziale sovrapposizione dei componenti degli organi amministrativi e di controllo nelle varie società del gruppo, le quali ben possono rappresentare l'espressione di una vera e propria politica di vertice di finanziamento della controllante da parte della controllata. Il caso
Il caso in commento riguardava una società che, dichiaratasi essere creditrice di 180 milioni di Euro a titolo contrattuale per saldo prezzo della cessione del ramo di azienda perfezionata nel 2011, conveniva in giudizio un'altra società. In citazione parte attrice allegava a sostegno dell'azione di responsabilità ex art. 2497 c.c. che la politica della principale controllante totalitaria, tramite la sub holding, aveva portato a finanziare la controllante attraverso il mancato incasso di ingentissimi crediti maturati dal 2015 al 2019. Secondo la difesa, queste scelte gestorie erano poste in netto contrasto con i principi di corretta gestione societaria, essendosi risolte in esclusivi vantaggi per la controllante, con pregiudizio al patrimonio della controllata, che non era stata in grado di estinguere il suo credito. In breve parte attrice ravvisava la responsabilità della capogruppo nel perseguimento da parte della controllata di una politica gestionale indotta dalla capogruppo stessa, attuata mediante atti e operazioni sostanzialmente finalizzati al finanziamento di quest'ultima, dalla quale le sarebbe derivato un concreto pregiudizio consistente nell'incapacità patrimoniale di adempiere all'obbligazione di pagamento del saldo del prezzo al proprio debitore. Nell'ambito di tale giudizio e a tutela del credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., da essa vantato nei confronti della capogruppo, la società creditrice formulava domanda cautelare per l'autorizzazione a sequestro conservativo. La società capogruppo chiedeva il rigetto della misura cautelare richiesta. Il Tribunale accoglieva l'istanza, ravvisando, nella specie, la sussistenza di entrambi i requisiti richiesti: fumus boni iuris e periculum in mora. Le questioni giuridiche
La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se sussista o meno il fumus boni iuris quanto alla responsabilità della controllante, ex art. 2497 c.c., in relazione a operazioni protrattesi per vari esercizi, rappresentanti l'espressione di una vera e propria politica di vertice di finanziamento della controllante da parte della controllata. Osservazioni
Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina. A mente dell'art. 2497 c.c.,le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. L'articolo in esame tratteggia i caratteri essenziali della responsabilità che può nascere dall'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento. La norma identifica come soggetti responsabili le società o gli enti che esercitano l'attività di direzione e coordinamento, sottolineando in tal modo l'irrilevanza della struttura organizzativa assunta dalla capogruppo, che potrà essere quindi una società di capitali, una società di persone o un qualsiasi altro ente - associazione, fondazione o ente pubblico. L'articolo in esame prevede inoltre chedebba rispondere in solido con la società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo. La disposizione deve riferirsi, in primo luogo, agli amministratori della società soggetta a direzione, i quali sicuramente non potranno esimersi da eventuali responsabilità solo adducendo di aver recepito le direttive della capogruppo. Alla luce dei principi generali, infatti, gli amministratori non possono sottrarsi alle proprie responsabilità imputando ad altri la paternità della gestione, atteso il principio oggi espressamente affermato dall'art. 2364, n. 5 c.c. (in virtù del quale, in nessun caso, gli amministratori possono esonerarsi da responsabilità, sostenendo di essere stati autorizzati dall'assemblea o di averne semplicemente eseguito le direttive) e il principio riconosciuto dall'art. 2380-bis c.c. (per cui la gestione spetta in via esclusiva agli amministratori). Presupposto perché possa sorgere la responsabilità, è che nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento siano stati violati i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale. La responsabilità della capogruppo è, dunque, costruita come una responsabilità per colpa, a conferma del fatto che il semplice esercizio dell'attività di direzione e coordinamento non è ritenuto dal legislatore di per sé illegittimo, ma lo diventa solo qualora non siano rispettati determinati principi (vale a dire quando tale attività sia svolta appunto in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime). Dovrà trattarsi anche in questo caso, così come accade per l'attività gestoria di una singola società, di ragionevolezza delle scelte gestionali e non di opportunità delle stesse, in quanto quest'ultima appartiene al campo della discrezionalità non sindacabile secondo il principio della c.d. Business Judgment Rule. L'attività di direzione e coordinamento potrà essere oggetto di valutazione anche per quanto attiene alla presenza o meno di assetti organizzativi e contabili e sistemi di controllo interni adeguati all'attività svolta. La regolarità della condotta della capogruppo nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento andrà misurata sulla base della correttezza delle istruzioni impartite e degli assetti organizzativi, contabili e di controllo predisposti; più in generale, andrà valutata la correttezza nell'individuazione dei punti di equilibrio fra l'interesse del gruppo e quello delle singole società partecipanti al gruppo. Alla luce anche di quanto emerge dal riconoscimento della rilevanza dei c.d. vantaggi compensativi, la valutazione dovrà essere condotta, non solo con riferimento ad un'operazione isolatamente considerata, ma tenuto conto del risultato complessivo dell'attività gestoria di gruppo per la società soggetta a direzione e coordinamento. Perché sussista la responsabilità della capogruppo è inoltre necessario che si sia verificato un danno per effetto dell'attività di direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo in violazione dei principi di corretta gestione (v. Corte d'Appello Napoli Sez. IV, 08 giugno 2020). Tale danno viene individuato per i soci, nel pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, e per i creditori sociali nella lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Ancora, ulteriore istituto coinvolto nel caso in esame è il cd. gruppo societario. Per configurarsi tale entità è necessario che vi sia un'attività direzione o coordinamento esercitata da una società nei confronti di altra o di altre società (v. Cass. n. 24943/2019). L'attività di direzione si concretizza nel potere di intervenire in modo determinante nelle scelte della controllata, attraverso una posizione di maggioranza all'interno dell'assemblea ordinaria di quest'ultima(si presume l'esistenza di una posizione di controllo, quando la società holding è astrattamente in grado di nominare l'organo amministrativo della controllata). L'attività di controllo si manifesta invece, in un'influenza meno penetrante e decisiva rispetto a quella propria dell'attività di direzione e che, consente alla società controllante di esercitare un'influenza dominante all'interno dell'assemblea ordinaria della controllata (pur non disponendo della maggioranza dei voti) o di influenzare le scelte della società controllata in virtù, ad esempio, di determinati rapporti contrattuali con essa (v. Trib. Bergamo, Sez. lavoro, sent. 25 giugno 2020). Da un punto di vista formale, sia la controllante che la controllata, sono entità giuridicamente autonome, sia sul piano organizzativo che patrimoniale. Per quanto concerne il funzionamento del gruppo è opportuno rilevare che nonostante il gruppo eserciti un'unica impresa, le varie società sono da considerarsi come entità distinte ed indipendenti l'una dall'altra. Mantenendo ciascuna società all'interno del gruppo la propria autonomia è palese come l'interesse comune del gruppo deve coincidere con l'interesse individuale delle singole società che fanno parte del gruppo (v. Cass. Civ. n. 9571/2000). Sarebbe, pertanto, opportuno evitare ipotesi conflitto di interessi tra le società appartenenti al gruppo (tipico esempio di conflitto di interessi è rappresentato dalla richiesta da parte degli amministratori della controllante agli amministratori della controllata, di tenere un comportamento o compiere un atto che potenzialmente possa arrecare un danno alla controllata). Ciò detto e tornando al caso in premessa, si evidenzia quanto segue. A detta del Giudice Meneghino il semplice esercizio dell'attività di direzione e coordinamento non è ritenuto, di per sé, fonte di responsabilità. All'opposto detta attività diviene illegittima solo qualora essa sia svolta “in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime” (così la sentenza in commento). Propende il Tribunale per la responsabilità della capogruppo per specifiche scelte adottate dalla società eterodiretta su diretta indicazione della controllante, consistenti, da un lato, nel mancato recupero di ingenti crediti nei confronti di quest'ultima così da determinare un sostanziale corrispondente finanziamento di essa, e, dall'altro lato, nella concorrente distribuzione da parte della società eterodiretta di utili e riserve in favore della controllante. Va da sé che al fine di accertare la presunta responsabilità va, sempre, condotta specifica indagine circa la presenza di vantaggi derivanti dalla partecipazione della società eterodiretta al gruppo, compensativi del pregiudizio patrimoniale arrecatole dalla politica gestionale ad essa indotta dalla società capogruppo. In effetti, la valutazione deve essere condotta, non tanto con riferimento ad un'operazione isolatamente considerata, ma tenendo conto del risultato complessivo dell'attività gestoria di gruppo per la società soggetta a direzione e coordinamento. In ordine a tale circostanza, l'ordinanza in commento sottolinea che l'entità del trasferimento di risorse dalla controllata alla capogruppo, eccedeva significativamente l'entità del vantaggio economico ad essa derivante dalla partecipazione al gruppo con riferimento ad una specifica operazione ivi considerata: vantaggio, dunque, solo in parte ritenuto compensativo.
Conclusioni
Alla luce di tali elementi il Tribunale di Milano concludeva affermando che l'incapacità della società eterodiretta a provvedere al pagamento integrale del proprio debito nei confronti del creditore che ha promosso l'azione, avesse costituito diretta conseguenza del trasferimento di risorse in favore della capogruppo, indotto per effetto dell'esercizio da parte di quest'ultima dell'attività di direzione e coordinamento di società in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. Di conseguenza era fondata l'istanza cautelare della società creditrice della società eterodiretta ed era autorizzato il richiesto sequestro conservativo a carico della società capogruppo. |