Mancato deposito del ricorso per cassazione: si applica il c.d. «raddoppio» del contributo unificato?

02 Maggio 2022

Nel caso di mancato deposito del ricorso principale per cassazione, non sussistono i presupposti per l'applicabilità alla parte ricorrente dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002; l'obbligo di versare un importo «ulteriore» del contributo unificato (c.d. «doppio contributo») presuppone normativamente l'obbligo di versare il «primo» contributo unificato.
Massima

Nel caso di mancato deposito del ricorso principale per cassazione, non sussistono i presupposti per l'applicabilità alla parte ricorrente dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002; l'obbligo di versare un importo «ulteriore» del contributo unificato (c.d. «doppio contributo») presuppone normativamente l'obbligo di versare il «primo» contributo unificato. Il carattere «ulteriore» dell'importo dovuto a titolo di contributo unificato non implica soltanto che l'entità di tale importo corrisponde all'entità del contributo iniziale, che perciò è «raddoppiato»; esso implica anche e soprattutto che l'obbligo di versare un importo «ulteriore» del contributo unificato è - nella formula dell'art. 13, comma 1- quater, T.U.S.G. - normativamente e logicamente dipendente dalla sussistenza del precedente obbligo della parte impugnante di versare inizialmente, al momento dell'iscrizione della causa a ruolo, il contributo unificato.

Il caso

Parte ricorrente, la società contribuente, dopo aver notificato il ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR che l'aveva vista soccombente, non provvedeva al deposito dell'atto notificato e del fascicolo proprio presso la Cancelleria della Corte di cassazione.

Si costituiva invece formalmente parte controricorrente, Agenzia delle entrate, con controricorso e ricorso incidentale notificato a mezzo PEC.

La Corte dichiara improcedibile ex art. 369 c.p.c. il ricorso principale così proposto ed accoglie il ricorso incidentale, cassando la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e decidendo nel merito rigetta l'originario ricorso del contribuente; in motivazione, precisa che non sussistono i presupposti per il c.d. «raddoppio» del contributo unificato senza che sia necessario darne attestazione specifica sul punto nel dispositivo.

La questione

La questione esaminata dalla Cassazione involve la sussistenza o meno, nel caso di specie, dell'obbligo per il ricorrente principale – il cui ricorso viene dichiarato improcedibile come si è detto – di versare il «doppio» contributo unificato.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte, non essendo stato depositato il ricorso principale, non sussistono i presupposti per l'applicabilità alla parte ricorrente dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002.

Il Supremo collegio – richiamando una recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., n. 4315/2020) - ha affermato che, va distinto il potere del giudice di accertare e dare atto della sussistenza (non essendo tenuto ad un'attestazione negativa) del primo dei due presupposti individuati dal primo periodo del comma 1-quater dell'art. 13 T.U.S.G per il sorgere dell'obbligo di versare il doppio contributo, ovvero che sia stata adottata una pronuncia corrispondente ad uno dei tipi (integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) previsti dalla legge, trattandosi di presupposto che appartiene al campo del diritto processuale, dal potere – spettante in via esclusiva all'amministrazione giudiziaria (e, solo in caso di contestazione, alla giurisdizione tributaria) – di accertare la sussistenza del secondo presupposto, che «appartiene al campo del diritto sostanziale tributario» e che è «costituito dalla debenza del contributo unificato iniziale».

Osservazioni

La Corte conferma l'indicazione delle Sezioni Unite alla quale si è fatto sopra riferimento, cui presta adesione convinta e motivata, ribadendo come l'obbligo di versare un importo «ulteriore» del contributo unificato (c.d. «doppio contributo») presuppone normativamente – ma verrebbe da dire ancora prima sul piano logico-grammaticale - l'obbligo di versare il «primo» contributo unificato.

Non si spiegherebbe altrimenti l'uso nel testo di legge dell'aggettivo «ulteriore», espressamente contenuto nel primo periodo del comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. 115/2002 (c.d. T.U.G.S.). Ciò significa che l'importo da versare si aggiunge e corrisponde a quello dovuto a titolo di contributo unificato per il giudizio di impugnazione, ex art. 13, comma 1-bis, T.U.S.G., al momento dell'iscrizione della causa a ruolo. Secondo la pronuncia in nota, il carattere "ulteriore" dell'importo dovuto a titolo di contributo unificato non implica soltanto che l'entità di tale importo corrisponde all'entità del contributo iniziale, che perciò è «raddoppiato» nel suo quantum debeatur; esso implica anche - e soprattutto - che l'obbligo di versare un importo «ulteriore» del contributo unificato sia "normativamente e logicamente dipendente" (come si legge nella motivazione della pronuncia resa a Sezioni Unite) «dalla sussistenza del precedente obbligo della parte impugnante di versare inizialmente, al momento dell'iscrizione della causa a ruolo, il contributo unificato».

L'obbligo di versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato è condizionato per legge alla debenza del contributo unificato iniziale e può sorgere solo a condizione che tale contributo sia dovuto poiché si verificano i presupposti di fatto richiesti dalla legge per la sua debenza: difettando la doverosità del versamento del «primo» contributo, viene meno l'obbligo di versamento del suo «raddoppio»: come in matematica, il doppio di zero è pur sempre zero.

Dal punto di vista sistematico, la Corte qui puntualizza come non tutte le pronunce di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione sono inquadrabili in via automatica nei tipi previsti dalla norma in esame.

Il giudice, infatti, non deve formulare alcuna attestazione nei casi di esclusione in radice del raddoppio del contributo unificato: così, ad es., quando dichiari l'estinzione del giudizio (Cass., Sez. 6 -1, n. 23175 del 12/11/2015; Cass., Sez. 6-3, n. 19560 del 30/09/2015) o quando dichiari l'inammissibilità sopravvenuta dell'impugnazione per cessazione della materia del contendere (Cass., Sez. 6-2, n. 13636 del 02/07/2015). Tra questi casi va sicuramente ricompresa la fattispecie in esame, di dichiarazione di improcedibilità del ricorso perché non depositato nella Cancelleria. E invero nella fattispecie la mancata iscrizione a ruolo del ricorso preclude la debenza stessa del contributo unificato iniziale che diviene dovuto all'atto dell'iscrizione a ruolo.

Peraltro, anche ove si volesse sostenere che la dichiarazione di improcedibilità del ricorso, per qualsiasi ragione pronunciata, determini automaticamente l'obbligo del giudice di formulare quell'attestazione subordinandola alla effettiva alla debenza del contributo inizialmente dovuto, si perviene comunque alla medesima conclusione.

Ancora le Sezioni Unite hanno precisato che il giudice non è comunque tenuto a formulare quell'attestazione quando (ad esempio per la materia della controversia, come nelle ipotesi di «equa riparazione» ai sensi della l. 89/2001 o di disciplinare magistrati; o per la qualità soggettiva delle parti, come nelle ipotesi in cui ad agire in giudizio è l'Amministrazione dello Stato, istituzionalmente esonerata dal materiale versamento del contributo stesso mediante il meccanismo della prenotazione a debito) «appaia ictu oculi evidente che il pagamento del contributo unificato sia radicalmente e definitivamente escluso».

In tali casi, infatti, l'attestazione del giudice sarebbe del tutto priva di significato ed effetto concreto poiché risulta evidente ed indiscutibile che il «raddoppio» del contributo è precluso. Ne deriva che – come la Corte in questo caso – il giudice non è tenuto ad attestare nulla in dispositivo, sul punto.

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