La rilevanza penale delle operazioni di scissione societaria e del sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali

03 Maggio 2022

La corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla rilevanza penale di operazioni societarie astrattamente regolari sotto il profilo giuridico-formale quando le stesse possano tuttavia compromettere la consistenza della garanzia patrimoniale generica. I giudici si soffermano poi sull'elemento soggettivo del reato di bancarotta fiscale.
Le massime

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, attuata mediante conferimento del suo patrimonio qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, alla luce delle specifiche modalità attuative e della situazione debitoria della società scissa, rechi consapevole danno al patrimonio sociale di quest'ultima e mini le capacità di soddisfare le ragioni del ceto creditorio.

In tema di bancarotta impropria, le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2), l. fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie, previdenziali e assistenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario nonché degli enti previdenziali ed assistenziali.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso presentato dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Bari che aveva affermato la loro penale responsabilità per i seguenti reati:

  1. bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1, n. 1), l. fall. per avere distratto il patrimonio della società fallita in favore di tre società costituite per scissione, cui erano trasferiti tutti i beni ed i contratti di servizio facenti capo alla fallita stessa, a carico della quale rimaneva tuttavia la gran parte delle posizioni debitorie;
  2. bancarotta impropria per avere cagionato il dissesto per effetto di operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2), l. fall., in particolare gli imputati non avendo adempiuto, con carattere di sistematicità, ad una significativa parte di dette posizioni debitorie, quantificabile al momento della scissione in una somma complessiva di circa euro 4.800.000, costituite da obbligazioni verso l'erario e gli istituti previdenziali e assistenziali.

Tra le censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come le difese in primo luogo contestassero, escludendola, la rilevanza penale dell'operazione di scissione in quanto pienamente legittima e regolare sotto il profilo giuridico-formale della procedura, all'uopo anche richiamando le disposizioni di cui agli artt. 2506-bis ss. c.c. espressamente finalizzate ad impedire che la concertazione scissoria possa determinare la compromissione della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. in danno dei creditori della società scissa.

Quanto alla bancarotta impropria da operazioni dolose, i ricorrenti lamentavano il difetto di una specifica indagine che consentisse di sostenere che l'inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali potesse qualificarsi come consapevole scelta gestionale, trattandosi comunque di condotte che costituivano segmento dell'intera e più ampia operazione di scissione, così generando un'inammissibile duplicazione della rilevanza penale del fatto ed in ogni caso, non emergendo abusi o infedeltà da parte degli amministratori nell'esercizio della carica ricoperta, dovendo esso riqualificarsi nel meno grave reato di bancarotta semplice di cui all'art. 224, n. 2), l. fall., per avere gli stessi concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi imposti dalla legge.

Le difese, infine, evidenziando la natura preterintenzionale del delitto di cui all'art. 223, comma 2, n. 2), l. fall., ne denunziavano anche l'illegittimità costituzionale in ragione della previsione di una pena di uguale misura rispetto a quella della fattispecie della causazione del fallimento con dolo.

Le argomentazioni difensive, così in sintesi riassunte, erano ritenute infondate dalla Corte di Cassazione, la quale rigettava i ricorsi, salvo che per questioni concernenti il trattamento sanzionatorio in riferimento alla durata delle pene accessorie applicate.

La questione

In ragione delle ricordate censure mosse dai ricorrenti appare dunque delinearsi un'analisi concernente:

  1. la rilevanza penale, in termini eventualmente distrattivi, delle operazioni di scissione societaria;
  2. la tipicità, dal punto di vista obiettivo e soggettivo, del reato di bancarotta impropria per causazione del dissesto ed in particolare se esso possa essere integrato dal sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali;
  3. il rapporto, in tema di concorso di reati, tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto ed ancora il rapporto tra quest'ultimo reato e quello di bancarotta semplice di cui all'art. 224, n. 2), l. fall.
Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nella sentenza qui annotata, aderisce ancora una volta al proprio consolidato orientamento (cfr. Cass. pen., 27 maggio 2021, n. 29187) secondo cui anche una operazione di scissione, certamente in sé lecita, può costituire azione distrattiva sì da integrare il reato di cui all'art. 216, comma 1, n. 1), l. fall., in proposito richiamando il generale principio secondo cui l'astratta riconducibilità della condotta ad una categoria di atti negoziali disciplinati dall'ordinamento non eccettua la rilevanza penale del fatto ove, in concreto, detti negozi abbiano effetti volutamente depauperativi del patrimonio dell'impresa fallita.

Nel caso di specie, risulta come fosse stata realizzata una operazione di scissione totale in favore di tre nuove società, costituite appunto per scissione, cui era attribuito, in proporzioni diverse, l'intero patrimoniodella società scissa, compresi i contratti di servizio in cui la stessa era parte. La finalità sottesa all'operazione di scissione, costituita dalla necessità di delocalizzare e snellire l'organizzazione dei servizi, già gestiti in toto dalla società madre, risultava tuttavia contraddetta dal fatto che quest'ultima avesse continuato di fatto a detenere il controllo gestorio delle risorse distribuite, conservando il possesso delle strutture organizzative trasferite, e comunque da una genetica fragilità dell'intera operazione di scissione. Le obbligazioni tributarie e previdenziali già maturate dalla società scissa, invero, rimanevano a carico di questa senza che evidentemente conservasse alcuno strumento onde potervi fare fronte, e per di più le new companies, due delle quali tra l'altro costituite con una patrimonializzazione oltremodo modesta (pari l'una al 10% e l'altra al 9% del patrimonio trasferito dalla scissa), restando di fatto inattive, giacché prive delle necessarie autorizzazioni prefettizie onde esercitare le attività sociali di vigilanza e trasporto valori.

Le condotte in argomento sono dunque state ritenute lesive, senz'altro ponendoli in pericolo, degli interessi dei creditori della società scissa, pur essendo riconosciuto a costoro il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono solidalmente obbligate nei limiti del patrimonio netto ad esse assegnato (art. 2506-quater, comma 3, c.c.). Argomenta in proposito la Corte come ai creditori della società scissa competa pur sempre la necessità di ricercare detti beni, costoro per di più trovandosi a concorrere, nella realizzazione del proprio diritto, con i crediti nel frattempo maturati a carico delle società beneficiarie; d'altra parte, come accaduto nel caso concreto, l'avere trasferito il patrimonio della società madre, già in stato di insolvenza, a tre nuove società prive di fatto della possibilità di operare in quanto carenti dell'autorizzazione prefettizia a svolgere le competenze assegnate, non può che sottendere il reale intendimento di sottrarre alla garanzia creditoria, dunque distraendolo, il patrimonio trasferito e che la fallita tuttavia aveva di fatto continuato a gestire per conto delle società derivate, avendo questa conservato il possesso delle strutture organizzative cedute.

Nella vicenda sottesa alla pronuncia in commento si è detto come la società scissa avesse sistematicamente inadempiuto alle obbligazioni tributarie, previdenziali e assistenziali, ed anche in merito a tale condotta la Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento secondo cui essa è idonea ad integrare, così come contestato, il reato di causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose (bancarotta c.d. fiscale; in termini cfr., tra le molte, Cass., 19 febbraio 2018, n. 24752). L'inerzia solutoria avente ad oggetto le citate obbligazioni, invero, subiva una stabilizzazione proprio in concomitanza con l'assunzione della delibera assembleare di scissione, sicché erano ritenute esenti da vizi motivazionali le valutazioni dei giudici di merito che avevano ritenuto l'inadempimento frutto di scelta consapevole degli amministratori e tale da incidere causalmente sulla determinazione del dissesto, senz'altro aggravandolo, ove si osservi che al momento del fallimento la situazione di insolvenza già manifestatasi al tempo della scissione aveva visto crescere l'esposizione debitoria verso l'erario e gli istituti previdenziali ad una somma complessiva di oltre 20 milioni di euro.

Sul piano dell'elemento soggettivo del reato, si osserva come esso richieda la consapevolezza e volontà della condotta nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto agente a fronte degli interessi della società, non apparendo necessario invece che detta volontarietà si spinga sino ad includere la determinazione del dissesto, giacché tale effettualità deve ricadere nell'ambito soggettivo della mera prevedibilità dell'evento.

Quanto infine alla prospettata denunzia di illegittimità costituzionale della fattispecie di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose in ragione della previsione di una pena analoga a quella della causazione del fallimento con dolo, cui è estranea ogni matrice preterintenzionale, la Corte ha ritenuto che non vi fossero le condizioni per rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, la cui giurisprudenza è costante nel ritenere che le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in esclusiva al legislatore, sicché il sindacato di legittimità costituzionale si restringe unicamente alle scelte sanzionatorie arbitrarie o manifestamente sproporzionate, quale non è stata ritenuta quella di cui trattasi.

In riferimento ai motivi di ricorso relativi ad una lamentata duplicazione indebita di affermazione di responsabilità per condotte ritenute integrare allo stesso tempo sia il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale che quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto, la Cassazione ha nuovamente affermato il principio secondo cui deve escludersi il concorso formale tra tali reati in presenza di azioni di per sé soltanto distrattive, rimanendo pertanto il secondo reato assorbito nel primo ove la relativa condotta sia individuata nella imputazione con riguardo agli stessi fatti addebitati nell'accusa di bancarotta fraudolenta; al contrario deve ravvisarsi il concorso di reati allorché si individuino ulteriori e diverse condotte di abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o tradottesi in atti intrinsecamente deleteri per l'andamento economico-finanziario dell'impresa sì da cagionare il dissesto ovvero da aggravarlo.

Nel caso di specie, conseguentemente, è stata esclusa la sussistenza dell'ipotizzata duplicazione, giacché l'oggetto delle contestazioni era diverso, nell'un caso la distrazione del patrimonio societario tramite l'operazione di scissione e, nell'altro, l'avere progressivamente e sistematicamente inadempiuto alle obbligazioni fiscali e contributive, così come in ultimo è stato ritenuto che quest'ultima condotta non potesse integrare il meno grave reato di bancarotta semplice impropria di cui all'art. 224, n. 2), l. fall.

Osservazioni

Le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte appaiono condivisibili, ancorché non del tutto esaustive. Nessuna particolare novità interpretativa si registra in merito alle questioni trattate, meritando tuttavia alcune precisazioni quelle relative alla rilevanza penale, in termini eventualmente distrattivi, delle operazioni di scissione allorché la società scissa poi fallisca (in tema ricordandosi come, in caso di scissione totale, trovi applicazione la disciplina di cui all'art. 10 l. fall. secondo cui il fallimento può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione della società scissa dal registro delle imprese; così Cass., 19 giugno 2020, n. 11984) ed agli elementi costitutivi del reato di bancarotta impropria per causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose.

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1, n. 1), l. fall. si sostanzia in una diminuzione indebita del patrimonio dell'impresa cui consegua un nocumento alle ragioni creditorie giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c. La condotta di distrazione, in particolare, deve caratterizzarsi in ultimo per la sottrazione del bene alla citata funzione di garanzia patrimoniale, impedendone od ostacolandone l'apprensione da parte degli organi della procedura fallimentare, ancorché l'art. 216, comma 1, n. 1), l. fall. non meglio specifichi le caratteristiche dell'azione distrattiva, configurandosi dunque un reato a condotta libera.

Tale forma del reato trova contenuto tipico nel compimento di azioni materiali e soprattutto di atti negoziali, quali quelli a titolo gratuito, che non trovino rigorosa ed eccezionale giustificazione aziendale e più in generale quelli privi, nella sostanza, di contropartita ovvero soltanto in apparenza sinallagmatici.

Si comprende allora come l'analisi della tipicità del fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prescinda da ogni valutazione circa la liceità in sé della condotta negoziale in concreto posta in essere, nulla impedendo che l'esercizio di facoltà astrattamente legittime possa risolversi in uno strumento in frode ai creditori ed in effetti, ove così non fosse, si giungerebbe a conclusioni fuorvianti e perfino paradossali, giacché qualunque manifestazione dell'esercizio dell'autonomia negoziale privata consentirebbe di sottrarre il bene alla garanzia patrimoniale pur restando condotta atipica rispetto al paradigma punitivo della bancarotta patrimoniale, ed in tale prospettiva anche il pagamento di una obbligazione mai potrebbe integrare il reato di bancarotta preferenziale di cui all'art. 216, comma 3, l. fall., trattandosi di azione non soltanto lecita, ma addirittura doverosa.

D'altra parte la tutela civilistica delle ragioni creditorie è assicurata, com'è noto, tramite i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale costituiti dal sequestro conservativo nonché dalle azioni surrogatoria e, per ciò che qui maggiormente interessa, revocatoria, ed in proposito certo non sorprende come sia sorta proprio questione se anche una operazione di scissione, che in concreto può generare, come nel caso di specie, effetti lesivi di detta garanzia patrimoniale (ed indipendentemente dalla previsione delle ulteriori tutele in favore dei creditori previste dagli artt. 2503 ss. c.c.), possa essere oggetto di azione revocatoria ordinaria, al quesito la Suprema Corte avendo dato risposta affermativa (cfr., tra le molte, Cass., 6 maggio 2021, n. 12047).

Appare dunque esatto sostenere come anche un'operazione di scissione, al pari di qualsivoglia altra operazione negoziale, possa integrare, con accertamento di natura casistica, la tipicitàdel fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il delitto di bancarotta impropria per causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2), l. fall. sottende un depauperamento – non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, né necessariamente immediato – del patrimonio di quest'ultima realizzato tramite “operazioni”, ovvero secondo una modalità di pregiudizio conseguente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento o distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (così Cass., sez. V, 7 maggio 2010, n. 17690).

Il delitto è a forma libera di evento, non essendo tipizzate le modalità della condotta, riassunta per l'appunto nei termini - che permeano significativamente la tipicità del fatto - di “operazioni dolose”. Tale condotta è legata eziologicamente al dissesto, il quale costituisce l'evento del reato.

Così inquadrato il delitto, il progressivo e sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali appare in effetti condotta qualificabile in termini di “operazione” posta in essere in violazione di legge, comprendendosene anche gli effetti lesivi a medio e lungo termine del patrimonio dell'impresa in quanto, se in un primo momento questo inadempimento – che generalmente deriva da scelte strategiche poiché il creditore istituzionale è l'ultimo ad azionare le proprie pretese creditorie – assume significato analogo ad una operazione di finanziamento, di seguito l'incessante maturare delle obbligazioni insolute, cui debbono aggiungersi quelle per sanzioni ed interessi, costituisce circostanza senz'altro idonea, secondo l' “id quod plaerumque accidit”, a determinare il dissesto dell'impresa, comunque aggravandolo.

Non semplice appare invece l'analisi dell'elemento soggettivo del reato, in quanto la norma (al contrario di quanto accade per la fattispecie delittuosa del cagionare il fallimento“con dolo” disciplinata dallo stesso art. 223, comma 2, n. 2), l. fall., ove l'evento dissesto deve essere previsto e voluto dall'agente come conseguenza della sua azione od omissione, anche nei termini di dolo eventuale), àncora l'aggettivo dolose soltanto alle “operazioni” e nonall'evento dissesto, il quale deve eziologicamente conseguire alla condotta ovvero alle operazioni, queste sole tenute con coscienza e volontà.

Il reato quindi si caratterizza per avere natura preterintenzionale,ma sul punto la sentenza qui annotata non offre particolari contributi interpretativi, limitandosi nella sostanza a richiamare un passaggio della sentenza della Corte territoriale secondo cui il reato de quo non esige per la sua configurabilità che la volontà dell'inadempimento si spinga sino ad includere la determinazione del dissesto, in quanto tale effettualità deve ricadere nell'ambito soggettivo della mera “prevedibilità dell'evento”. Ciò, tuttavia, non è ulteriormente approfondito onde meglio poter inquadrare questa prevedibilità, aleggiando l'ombra del rischio che l'elemento soggettivo del dolo rimanga povero di reali contenuti, potendosi imputare all'agente un grave reato senza che questi si sia esattamente rappresentato gli effetti della sua condotta.

Dunque, senza qui poter entrare nel merito della questione se la preterintenzione sia costituita da dolo misto a responsabilità oggettiva ovvero da dolo misto a colpa, appare necessario che la “dolosità” delle operazioni e dunque della condotta, per esser tale, crei “ex se” certo pregiudizio alla società ed alle ragioni dei suoi creditori per cui, pur non essendo necessario che il dolo si spinga fino a comprendere la causazione del fallimento, tale pregiudizio non si possa dire estraneo alla volizione del soggetto agente. La necessità che l'azione o l'omissione, le quali debbono ricadere nel “fuoco” della volontà, siano intrinsecamente lesive delle ragioni creditorie consente invero di giungere ad una interpretazione rispettosa del principio di offensività.

La sentenza qui annotata, infine, neppure approfondisce la questione, anch'essa di non agevole soluzione, del rapporto tra il reato di bancarotta per causazione del dissesto per effetto di operazioni dolose e quello meno grave di bancarotta semplice impropria di cui all'art. 224, n. 2), l. fall., il cui fatto tipico è costituito dal cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi imposti dalla legge.

Tra le fattispecie delittuose in oggetto si registra una indubbia convergenza sul piano obiettivo, per cui il tratto distintivo, in effetti labile, deve necessariamente individuarsi in quello soggettivo, ovvero perfezionandosi il meno grave reato allorché la condotta concretamente posta in essere, pur antidoverosa, non abbia “ex se” capacità inequivocabilmente lesiva degli interessi dell'impresa e dei creditori sicché si possa escludere che il soggetto agente abbia avuto coscienza e volontà di tale specifico pregiudizio.

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