L'onere della prova nel giudizio di risarcimento del danno da diffamazione
04 Maggio 2022
La vicenda trae origine dal giudizio instaurato da X contro il direttore responsabile di un quotidiano per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio, sull'assunto che lo stesso riportava fatti non corrispondenti al vero.
Il Tribunale rigettava la domanda condannando l'attore al pagamento delle spese processuali, con decisione confermata dalla Corte d'appello. Lo stesso giudice evidenziava che «l'attore si era limitato a contestare l'articolo, senza fornire alcun supporto probatorio in merito», aggiungendo che «il fatto storico riportato dal quotidiano con fonte in un documento di polizia giudiziaria, risultava provato, in quanto non contestato». L'originario attore proponeva ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui onerava l'attore della prova della non corrispondenza al vero della notizia di stampa, atteso che tale onere, gravava, al contrario, sul giornalista convenuto.
La Corte accoglieva il ricorso, evidenziando come la sentenza avesse erroneamente posto a carico dell'attore l'onere di provare che i fatti narrati non rispondevano al vero, così invertendo le regole in tema di onere della prova ex art. 2697 c.c. Invero, vertendosi in ambito di responsabilità aquiliana, l'attore che assume di essere stato leso da una notizia di stampa deve provare il fatto della pubblicazione di una notizia di natura diffamatoria. A fronte di ciò, spetta al convenuto dimostrare, a fondamento dell'eccezione del diritto di cronaca (e della sussistenza della relativa esimente), la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa (laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione all'attendibilità della fonte), nel qual caso competerà all'attore l'eventuale dimostrazione della non attendibilità della fonte medesima.
Nel caso di specie, a fronte di una pubblicazione di una notizia di contenuto obiettivamente idoneo a ledere la reputazione dell'attore, il convenuto avrebbe dovuto dimostrare almeno la verità putativa dei fatti riferiti.
La Corte territoriale ha, invece, ritenuto sufficiente a provare la verità del fatto storico la circostanza che lo stesso non fosse stato contestato dall'attore, incorrendo in un duplice errore. Anzitutto, ha ritenuto non contestati i fatti pur a fronte dell'espresso rilievo che l'attore aveva contestato l'articolo; in secondo luogo ha applicato impropriamente il meccanismo della non contestazione, atteso che esso è strutturalmente riferito dall'art. 115 c.p.c. alla posizione assunta dal convenuto ed è finalizzato ad individuare i «fatti non specificatamente contestati» che non abbisognano di ulteriore prova da parte dell'attore. |