Socio amministratore di s.r.l. e rapporto di lavoro subordinato: compatibilità e implicazioni fiscali e previdenziali

Alessandro Corrado
05 Maggio 2022

Può il socio titolare di poteri di ordinaria amministrazione di una società di capitali essere al contempo qualificato lavoratore subordinato? E a quali condizioni? E quali saranno le implicazioni sul fronte previdenziale e fiscale?

Può il socio titolare di poteri di ordinaria amministrazione di una società di capitali essere al contempo qualificato lavoratore subordinato? E a quali condizioni? E quali saranno le implicazioni sul fronte previdenziale e fiscale?

L'indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte Suprema, partendo dall'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato ravvisabile nella subordinazione gerarchica, che limita la libertà di azione e di scelta nell'esercizio della funzione e dell'attività lavorativa del dipendente (art. 2094 c.c.) ritiene che, ammessa la coesistenza in astratto nella stessa persona della posizione di socio amministratore con quella di lavoratore subordinato (di lui) della medesima società, occorre un suo concreto assoggettamento al potere disciplinare e di controllo degli altri componenti dell'organismo sociale cui appartiene.

Ne consegue che la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche di livello dirigenziale, a condizione che emerga in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita con l'assoggettamento del socio - dirigente al potere di supremazia gerarchica a disciplinare dell'organo collegiale amministrativo societario.

Non è, al contrario, inquadrabile in tale schema l'amministratore unico o il c.d. socio “sovrano”, in quanto mancherebbe la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dall'immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla. Di conseguenza, in questo caso neanche l'osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione sarebbero di per sé sole sufficienti a far ritenere sussistente un rapporto di lavoro subordinato.

Declinando in concreto tali principi sotto il profilo previdenziale, è stato quindi stabilito che all'amministratore unico di società di capitali (che racchiude in un solo soggetto la veste di esecutore della volontà sociale ed unico organo competente ad esprimerla) non spetta l'assegno di invalidità dell'Inps (Cass. sez. lav. 29 maggio 1998, n. 5352).

Sotto il profilo fiscale relativo alla determinazione del reddito d'impresa, la Cassazione ha affermato che non è consentito dedurre dall'imponibile (così com'è invece possibile per le spese per prestazioni di lavoro dipendente) il compenso per il lavoro prestato e per l'opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali: la posizione di quest'ultimo, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione, è infatti equiparabile a quella dell'imprenditore (Cass. sez. V, 13 novembre 2006, n. 24188 e, da ultimo, Cass. sez. trib. 28 aprile 2021, n. 11161).

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