Le vicende del titolo esecutivo giudiziale

11 Maggio 2022

Il titolo, di natura giudiziale, in forza del quale viene avviata l'esecuzione forzata può essere tanto un titolo definitivo quanto un titolo provvisoriamente esecutivo e, pertanto, ancora sub iudice. In tale ultimo caso, l'esito del giudizio di merito nel quale il titolo stesso si forma può avere importanti conseguenze nella procedura in corso, portando ad esempio alla modifica del titolo o alla sua caducazione.
Il titolo esecutivo giudiziale: cenni

L'art. 474 c.p.c. dispone che l'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, consacrando così il principio nulla executio sine titulo. L'esistenza del titolo è, pertanto, presupposto imprescindibile per l'avvio dell'esecuzione. Proprio in quanto condizione indispensabile per una esecuzione legittima, il titolo esecutivo deve esistere sin dall'inizio del processo esecutivo nonché permanere per tutta la durata dello stesso, dal momento della notificazione dell'atto di precetto fino a quello della definizione della procedura esecutiva. Tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte ha già da tempo affermato il principio per cui «nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure del creditore intervenuto) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento» (Cass. civ., sez. un., n. 61/2014). La mancanza del titolo esecutivo può essere rilevata dal Giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, così come rilevabile d'ufficio è la sopravvenuta caducazione del titolo stesso. Naturalmente ai poteri officiosi, si affianca l'iniziativa del debitore esecutato che, tramite lo strumento dell'opposizione ex art. 615 c.p.c., potrà contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, proprio per la mancanza di un valido titolo esecutivo.

L'art. 474 c.p.c. sopra citato contiene anche una elencazione dei titoli esecutivi. Volendo soffermarsi sono sui titoli di cui al n. 1 dell'art. 474 c.p.c. ovvero sui titoli cd. “giudiziali”, va subito evidenziato che la disposizione in primo luogo si riferisce alle sentenze. E' evidente che il riferimento debba intendersi solo alle sentenze di condanna, dovendosi escludere che possa essere iniziata l'esecuzione sulla base di una sentenza di accertamento o meramente costitutiva. Non vi è dubbio che per sentenza di condanna debba intendersi non solo quella che abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro (ipotesi certamente più frequente) ma anche la decisione che contenga la condanna al compimento di altro obbligo purché fungibile (ad esempio, il compimento di opere, il rilascio di un immobile), la quale sarà il presupposto per l'avvio di una esecuzione per consegna o per rilascio ex art. 608 c.p.c. o per l'esecuzione di un obbligo di fare o non fare ex art. 612 c.p.c.

Oltre alle sentenza, la norma contiene un generico riferimento ai «provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva». Il novero è ovviamente ampio. Solo a titolo esemplificativo: il decreto ingiuntivo provvisoriamente o definitivamente esecutivo ex art. 633 e ss. c.p.c., l'ordinanza decisoria emessa all'esito del procedimento sommario ex art. 702-bis e ss. c.p.c. le ordinanze anticipatorie di cui agli artt. 186-bis, 186-ter, 186-quater, 423 c.p.c. la ordinanza di convalida di licenza o sfratto (art. 663 c.p.c.) e l'ordinanza provvisoria di rilascio (art. 665 c.p.c.). Vale la pena di osservare – per ciò che qui interessa- che la giurisprudenza della Suprema Corte ha da tempo chiarito che il Giudice dell'esecuzione è dominus dell'interpretazione del titolo esecutivo e che quest'ultimo non si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l'obbligo da eseguire, in quanto è consentita l'interpretazione extratestuale del provvedimento sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato, purché le relative questioni siano state trattate nel corso dello stesso e possano intendersi come ivi univocamente definite, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo o perfino nel tenore stesso del titolo (da ultimo, Cass. civ., n. 10806/2020; Cass. civ., n. 14356/2018; meno di recente Cass. civ., n. 23159/2014). Un'altra notazione risulta indispensabile, quando si discute di titoli esecutivi giudiziali ed in particolare del loro contenuto intrinseco. Ed infatti la giurisprudenza è pacifica nell'affermare che in sede esecutiva non possano essere dedotti fatti estintivi, impeditivi o modificativi verificatisi prima della maturazione delle preclusioni processuali, ad essi relative, nel giudizio di cognizione che ha portato alla formazione di tale titolo (da ultimo Cass. civ., n. 3716/2020). In sostanza, nessuna valutazione di merito compete al Giudice dell'esecuzione rispetto al comando contenuto nel titolo, potendo in sede esecutiva essere dedotti – al fine di paralizzare l'azione del creditore- solo fatti successivi alla formazione del titolo stesso.

Il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e l'esito dell'opposizione: orientamenti giurisprudenziali

Come sopra ricordato, nel novero dei provvedimenti giudiziali costituenti titolo esecutivo l'ipotesi del decreto ingiuntivo è una delle più frequenti. Il decreto ingiuntivo può essere titolo esecutivo sia nell'ipotesi, che non presenta particolari problemi, in cui lo stesso sia divenuto definitivo a seguito di mancata opposizione del debitore, sia nell'ipotesi in cui lo stesso sia solo provvisoriamente esecutivo o perché così concesso o perché dichiarato tale ex art. 648 c.p.c. in corso di opposizione.

Vanno dunque esaminate le ricadute sulla procedura esecutiva all'esito del giudizio di opposizione nonché l'interessante questione dell'individuazione del titolo esecutivo per l'ipotesi di integrale rigetto dell'opposizione (ovvero se il titolo resti il decreto ingiuntivo o se sia costituito dalla sentenza di rigetto).

Preliminarmente va dato atto della possibilità che nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il Giudice del merito sospenda l'esecuzione provvisoria ai sensi dell'art. 649 c.p.c., ricorrendo gravi motivi. In tal caso, qualora l'esecuzione fosse già stata avviata in forza del decreto originariamente provvisoriamente esecutivo, il Giudice dell'esecuzione non potrà far altro che prendere atto della cd. “sospensione esterna” ai sensi dell'art. 623 c.p.c. In tal caso non sarà necessario per il debitore proporre opposizione al fine di portare all'attenzione del Giudice dell'esecuzione la detta circostanza ma sarà sufficiente una mera istanza, che potrà provenire anche dal creditore. La sospensione opera ex nunc per cui rimangono efficaci gli atti esecutivi compiuti in virtù del decreto ingiuntivo, originariamente esecutivo.

Quanto all'esito del giudizio di opposizione, l'art. 653 c.p.c. dispone che «Se l'opposizione è rigettata con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, oppure è dichiarata con ordinanza l'estinzione del processo, il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva. Se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta (…)».

Occorre dunque distinguere: a) il caso di accoglimento integrale dell'opposizione; b) il caso di accoglimento parziale; c) il caso del rigetto.

Nella prima ipotesi sub a), si verificherà la caducazione del titolo esecutivo, ovvero la revoca del decreto ingiuntivo che impedirà la prosecuzione della procedura esecutiva in corso e l'inefficacia degli atti esecutivi eventualmente già compiuti, analogamente a quanto avviene per gli atti esecutivi compiuti in forza di sentenza di primo grado, integralmente riformata, ex art. 336 c.p.c. Risulta all'evidenza – per quanto già detto - che la sopravvenuta caducazione del titolo potrà essere rilevata d'ufficio dal Giudice, con conseguente chiusura anticipata della procedura. La dottrina si è interrogata in ordine alla necessità o meno del passaggio in giudicato della sentenza che accolga l'opposizione, per sua natura non provvisoriamente esecutiva (trattandosi di sentenza di accertamento). Secondo una risalente giurisprudenza (Cass. civ., n. 5192/1999: «Anche da una sentenza parziale che disponga la revoca del decreto ingiuntivo per ragioni di rito e la prosecuzione del giudizio ai soli fini dell'accertamento delle ragioni creditorie fatte valere con la domanda contenuta nel ricorso monitorio, consegue - senza che si renda necessario attendere il passaggio in giudicato in senso formale della sentenza - la caducazione degli atti di esecuzione già compiuti in conseguenza della originaria esecutività del decreto») l'effetto di caducazione sarebbe immediato; in tal senso anche un'autorevole dottrina (cfr. Anna Maria Soldi, “Manuale dell'esecuzione forzata”) che ritiene che la sentenza di accertamento negativo pronunciata all'esito dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. superi il precedente accertamento, effettuato in fase sommaria, ponendolo nel nulla. Detta tesi trova conferma anche in altre pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 11904/2004) secondo cui «Il totale accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo comporta, a prescindere dal passaggio in giudicato o dalla esecutorietà della sentenza di primo grado, la radicale caducazione del decreto opposto e la conseguente inefficacia di tutti gli atti esecutivi compiuti per effetto del provvedimento monitorio. Il sistema di sostituzione dei provvedimenti sommari con quelli a cognizione piena, infatti, prevede che questi ultimi si sovrappongano interamente ai primi privandoli ex tunc dell'efficacia esecutiva, con effetto caducatorio che discende direttamente dal provvedimento di revoca e prescinde perciò dal passaggio in giudicato in senso formale».

Quanto alla ipotesi sub b) , l'art. 653 c.p.c. prevede una vera e propria “sostituzione” del titolo ma fa salva l'efficacia degli atti esecutivi compiuti in virtù del decreto ingiuntivo. L'accoglimento parziale comporta il riconoscimento di un credito in capo all'opposto ma in misura inferiore rispetto a quello portato dal decreto ingiuntivo che, secondo la giurisprudenza, dovrà essere comunque oggetto di revoca integrale (cfr. Cass. Civ. n. 21840/2013).

L'accoglimento, anche solo parziale, dell'opposizione travolge, infatti, il decreto che verrà sostituito da una sentenza di condanna, a seguito dell'accertamento effettuato in sede di cognizione. Affermano, infatti, i giudici di legittimità che «Non sussiste il vizio di "extrapetizione" (art. 112 c.p.c.) se il giudice dell' opposizione a decreto ingiuntivo - giudizio di cognizione proposto non solo per accertare l'esistenza delle condizioni per l'emissione dell' ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi, offerti dal medesimo e contrastati dall'ingiunto - revoca il provvedimento monitorio ed emette una sentenza di condanna di questi per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, dovendosi ritenere che nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione, e nella domanda di rigetto dell'opposizione (o dell'appello dell'opponente) sia ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore» (Cass. civ. n. 1954/2009). Nonostante il titolo esecutivo venga travolto, tuttavia, non si verificheranno conseguenze in termini di improcedibilità o di sopravvenuta inefficacia degli atti in sede esecutiva. L'art. 653 c.p.c. prevede, infatti, la conservazione degli effetti degli atti esecutivi già compiuti «nei limiti della somma o della quantità ridotta». In pratica ciò potrà comportare, di riflesso, un'iniziativa del debitore, con istanza indirizzata al Giudice dell'esecuzione, volta ad ottenere la riduzione del pignoramento.

L'ultima ipotesi sub c) è relativa al rigetto dell'opposizione. In tal caso la pretesa consacrata nel decreto ingiuntivo trova conferma e il decreto che non lo fosse già, acquista efficacia esecutiva. Se l'esecuzione era già iniziata in virtù del decreto provvisoriamente esecutivo che ha trovato conferma nella sentenza di rigetto, nessuna conseguenza si verificherà in sede esecutiva, potendo semmai il creditore intervenire anche in virtù della sentenza, ove quest'ultima contenga condanna alle spese in danno del debitore.

La questione che suscita perplessità è, invece, la seguente: sulla base di quale titolo il creditore dovrà iniziare la procedura esecutiva, ove il decreto non fosse già provvisoriamente esecutivo? Il titolo sarà il decreto (che, come disposto dall'art. 653 c.p.c., acquisterà efficacia esecutiva) o sarà la sentenza di rigetto a dover essere azionata in sede esecutiva?

Si osserva che, in tema, non esiste un orientamento giurisprudenziale pacifico anche se, da ultimo, sembra prevalere quello, già affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4071/2010 secondo cui «in caso di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo esecutivo è comunque costituito dal decreto ingiuntivo e non dalla sentenza di rigetto dell'opposizione, se non limitatamente alle spese del giudizio di opposizione con essa liquidate». Tale orientamento, condiviso dalla dottrina, trova conferma anche nella lettera della legge, in quanto l'art. 653 c.p.c. disponendo che «Se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta», pare affermare che la sostituzione del titolo non si verifica, invece, nel caso di rigetto integrale dell'opposizione; a sostegno dell'orientamento richiamato la giurisprudenza pone il principio per cui il quale il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è un giudizio di impugnazione del decreto; conseguenza di ciò è che non può operare per il giudizio di opposizione il principio, proprio delle impugnazioni di merito, per il quale la pronuncia nel merito di secondo grado è integralmente sostitutiva di quella di primo grado, anche se confermativa (vedi infra). Si dà atto di altro orientamento che ritiene che il titolo, in questo caso, sia di natura “complessa” in particolare ove la sentenza di rigetto dell'opposizione attribuisca, come nella specie, al decreto ingiuntivo che non ne era provvisto, l'esecutività. C'è da dire, tuttavia, che lo stesso art. 653 c.p.c. prevede detto effetto come conseguenza automatica del rigetto dell'opposizione («Se l'opposizione è rigettata con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva oppure è dichiarata con ordinanza l'estinzione del processo, il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva») per cui non sembra che il contenuto della sentenza che definisce l'opposizione, in tal senso, possa essere dirimente; in ogni caso, anche a voler accogliere la tesi secondo cui il titolo, di natura “complessa”, sia costituito da entrambi i provvedimenti ovvero dal decreto ingiuntivo e dalla sentenza che lo dichiara esecutivo, ciò comporta in pratica che il creditore che voglia avviare una procedura esecutiva debba farlo in forza di entrambi i documenti (decreto e sentenza).

Si segnala, da recente, la decisione della Suprema Corte n. 23500/2021 che affronta esplicitamente la questione, uniformandosi all'unico precedente di legittimità in tema costituito dalla sentenza n. 19595/2013, secondo cui «qualora sia integralmente respinta l'opposizione avverso un decreto ingiuntivo non esecutivo, con sentenza che non pronunci sulla sua esecutività, il titolo fondante l'esecuzione non è quest'ultima, bensì, quanto a sorte capitale, accessori e spese da quello recati, il decreto stesso, la cui esecutorietà è collegata, appunto, alla sentenza, in forza della quale viene sancita indirettamente, con attitudine al giudicato successivo, la piena sussistenza del diritto azionato, nell'esatta misura e negli specifici modi in cui esso è stato posto in azione nel titolo, costituendo, invece, la sentenza titolo esecutivo solo per le eventuali, ulteriori voci di condanna in essa contenute».

In senso opposto si segnala una risalente pronuncia della Corte Costituzionale n. 335/2004 (tuttavia condivisa anche da diversi tribunali) secondo la quale il titolo esecutivo sarebbe sempre costituito dalla sentenza di rigetto dell'opposizione.

La sentenza di primo grado e l'esito del giudizio di appello: orientamenti giurisprudenziali

Anche per quanto riguarda le sentenze di condanna, provvisoriamente esecutive ex art. 282 c.p.c., possono verificarsi le medesime ipotesi analizzate con riferimento al provvedimento monitorio, ivi compresa quella della sospensione del titolo a seguito di istanza in tal senso avanzata nell'atto di appello o con separato ricorso ex art. 351 c.p.c., che – ove accolta- comporterà sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 623 c.p.c.

Impugnata la decisione di primo grado, può verificarsi che la stessa venga integralmente confermata così come che la decisione del giudice del giudice di primo grado venga modificata, in accoglimento dell'appello (con conseguente “trasformazione” del titolo). Nel caso in cui, invece, la decisione di primo grado faccia venire meno la sentenza di primo grado a seguito di annullamento della stessa o di accoglimento integrale dell'appello, si verificherà un'ipotesi di caducazione del titolo, con riferimento alla quale vale quanto già detto in ordine al decreto ingiuntivo e per la quale si richiamano le medesime considerazioni anche in ordine ai poteri officiosi del Giudice dell'esecuzione.

Con riferimento al caso di conferma integrale, la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., n. 29021/2018) «attribuisce alla sentenza d'appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell'appello (e, quindi, quelli in cui l'appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell'effetto devolutivo di gravame sul merito), l'efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa (cfr. Cass. n. 2885/73; n.6438/1992; n. 586/1999; n. 6911/2002; n. 29205/2008; n. 7537/2009. La sentenza di appello, anche se integralmente confermativa, si sostituisce dunque a quella di primo grado, che viene eliminata e non torna a rivivere neppure se, a seguito di cassazione senza rinvio, la stessa sentenza di appello venga eliminata (cfr., sul tema la recente Cass. civ., n. 26935/2020 secondo cui «nell'ipotesi in cui la sentenza d'appello sia a sua volta cassata con rinvio, non si ha una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarà mai più possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado (riformata della sentenza d'appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio»).

L'effetto sostitutivo della sentenza d'appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta che, ove l'esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado, mentre, se l'esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione (in questo senso v. Cass. civ., n. 9161/2013). Pertanto, ai fini della corretta introduzione della esecuzione promossa quando già sia stata pubblicata la sentenza di appello, il titolo esecutivo da notificare prima o congiuntamente al precetto ai fini della validità di quest'ultimo è costituito in ogni caso dalla sentenza di appello e non dalla sentenza di primo grado, anche quando il dispositivo della sentenza di appello contenga esclusivamente il rigetto dell'appello e l'integrale conferma della sentenza di primo grado (in senso contrario Cass. civ., n. 3074/2013 che ritiene il titolo risultante dalla combinazione delle due sentenze). Dal punto di vista pratico, ad avviso di chi scrive, resta comunque la necessità che siano sottoposte all'esame del Giudice dell'esecuzione entrambe le decisioni, poiché l'esecuzione del titolo potrebbe risultare assai difficoltosa ove nel fascicolo manchi la sentenza di primo grado (si pensi, in particolare, alle ipotesi di esecuzione in forma specifica in cui appare fondamentale per ricostruire l'obbligo da eseguire – anche ai fini dell'interpretazione del titolo- esaminare nel dettaglio la sentenza che detto obbligo ha disposto).

Più articolata è l'ipotesi dell'accoglimento dell'appello con parziale della sentenza di primo grado. Nel caso in cui il Giudice d'appello riformi la sentenza riconoscendo come dovuta una somma inferiore rispetto a quella accordata dal Giudice di prime cure, l'esecuzione avviata in forza della sentenza di primo grado proseguirà nei limiti della minor somma, secondo lo schema già illustrato dell'art. 653 c.p.c., per l'ipotesi di accoglimento parziale dell'opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. civ., n. 6072/2012; Cass. civ., n. 29021/2018 secondo cui l'art. 653 c.p.c. esprime un principio di portata generale in materia di successioni di titoli). Nel caso inverso, ovvero quando la sentenza di secondo grado riconosca una somma maggiore rispetto a quella prevista nella prima decisione, in forza della quale è stata avviata l'esecuzione, il processo esecutivo prosegue senza soluzione di continuità nei limiti dati dal titolo originario. Il creditore, in tal caso, ove voglia ampliare l'oggetto della procedura già intrapresa, avrà l'onere di dispiegare intervento, per la parte residuale, in base al nuovo titolo costituito dalla sentenza d'appello.

In conclusione

Il tema delle vicende del titolo esecutivo è molto ampio. Nello scritto si è scelto di affrontare brevemente solo le problematiche relative alla trasformazione o successione cd. “oggettiva” del titolo ma altrettanto interessanti solo le questioni, oggetto anche di recenti pronunce da parte della giurisprudenza di legittimità, in ordine alla trasformazione “soggettiva” e all'efficacia del titolo esecutivo nei confronti di soggetto diverso da quello risultante dal documento. La Suprema Corte, nel tempo, ha fatto luce sulle questioni più controverse- di cui si è cercato di dare atto- sebbene persistano ancora alcuni temi sui quali si riscontrano, con una certa frequenza, precedenti di merito difformi rispetto agli orientamenti citati.

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