Annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili: la Cassazione specifica i poteri del giudice del rinvio

12 Maggio 2022

La decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p. determina una sostanziale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, sicché la Corte di appello competente per valore, cui sia stato rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e sostanziali, del giudizio civile.
Massima

La decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p. determina una sostanziale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, sicché la corte di appello competente per valore, cui sia stato rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e sostanziali, del giudizio civile, con conseguente legittimità della modificazione della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sia pure nel limite delle preclusioni fissato dall'art. 183 c.p.c.

Il caso

La Corte di Cassazione annullava con rinvio la sentenza della Corte territoriale, di rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta dall'A.G.E.A. motivata sulla base della ritenuta insussistenza del reato di truffa di cui all'art. 640-bis c.p. in relazione alla percezione di aiuti comunitari, rilevando che la pretesa di restituzione delle somme indebitamente percepite avrebbe, invece, dovuto essere valutata secondo i principi propri, anche in relazione all'onere della prova, della ripetizione di indebito.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, quale sono i poteri di indagine e di valutazione della prova da parte del giudice di rinvio?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 622 c.p.p. non rappresenta un elemento di novità nel panorama storico - legislativo.

In effetti, assente nel codice del 1865 (che all'art. 675 prevedeva nel suddetto caso un rinvio al giudice penale), la previsione compare già nel codice Finocchiaro/Aprile del 1913, che, all'art. 525, così recitava: se la Corte di cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che concernono l'azione civile, proposta a norma dell'art. 7 (relativo appunto all'azione civile esercitata nel processo penale), rinvia la causa al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento abbia per oggetto una sentenza della corte di assise; mentre, nel codice del 1930, la previsione, che non ha formato oggetto di specifica considerazione nella relazione, è stata mantenuta nell'art. 541, che così recitava: la Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguardano l'azione civile proposta a norma dell'art. 23 (relativo all'esercizio dell'azione civile nel processo penale), rinvia la causa quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.

La norma giuridica attualmente vigente, a sua volta, è del tutto corrispondente, anche formalmente, a quella che figurava nel Progetto preliminare del 1978 (sotto l'art. 586), e nella Relazione al Progetto preliminare del 1988, osservandosi (ripetendo quanto già contenuto della relazione al precedente progetto del 1978) che l'art. 622 detta disposizioni analoghe a quelle dell'attuale art. 541, aggiungendo il caso di accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato: quando la corte di cassazione annulla la sentenza per i soli effetti civili, l'eventuale giudizio di rinvio - fermi restando gli effetti penali - si svolgerà davanti al giudice civile competente in grado di appello, anche se l'annullamento riguarda una sentenza inappellabile.

Orbene, una volta compiuto questo breve excursus storico-normativo, si osserva che con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione si allinea con l'orientamento di legittimità in via di consolidamento a mente del quale in caso di annullamento con rinvio ai soli effetti civili, il giudice civile del rinvio è tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri propri del giudizio civile (Cass. n. 28011/2021; Cass. n. 15858/2019; altre pronunce hanno affermato il principio opposto invocando l'applicazione delle regole del diritto penale: Cass. n. 5901/2019; Cass. n. 4127/2019; Cass. n. 34878/2017).

In particolare, la pronuncia in commento si occupa della disciplina, processuale e probatoria, applicabile nel giudizio di rinvio innanzi alla Corte d'appello civile a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione penale ai soli effetti civili ai sensi dell'art. 622 c.p.p., con specifico riferimento alla eventuale ineludibilità del vincolo posto al giudice civile dalla sentenza della Corte di cassazione penale in ordine ai criteri processuali e probatori applicabili, così come indicati nella sentenza rescindente, anche a prescindere dalla relativa conformità a diritto.

I giudici di legittimità si adeguano al principio in forza del quale in materia di rapporti tra processo penale e civile, la sentenza di proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione del reato, passata in giudicato, non esplica alcuna efficacia vincolante nel giudizio civile di danno, anche quando lo stesso si svolga nelle forme del giudizio di rinvio conseguente a quello penale, ex art. 622 c.p.p., giacché rispetto ad esso - sebbene regolato dagli artt. 392-394 c.p.c. - non è ipotizzabile un vincolo paragonabile a quello derivante dall'enunciazione del principio di diritto ex art. 384, comma 2, c.p.c., (Cass. n. 9358/2017).

E' indubitabile che, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392 - 394 c.p.c., ma è altrettanto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all'enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2: con conseguente libertà del giudice civile nella ricostruzione dei fatti e nella loro valutazione.

Tale orientamento segna il definitivo superamento l'iniziale orientamento di legittimità (Cass. n. 417/1996; Cass. n. 7004/2015) in merito al quesito se si formi o meno un giudicato interno in ordine all'azione civile in caso di condanna generica al risarcimento dei danni non impugnata dalla parte civile riguardo all'omessa liquidazione dei danni - orientamento secondo cui il giudicato interno formatosi nei vari gradi del processo penale deve ritenersi operante nel giudizio civile di rinvio: allorché nel giudizio penale di merito il giudice si sia limitato a pronunciare condanna generica al risarcimento e la mancata liquidazione del danno non abbia formato oggetto di impugnazione, non è consentito al giudice civile di appello, cui la causa sia stata rimessa a seguito di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, ampliare i limiti del decisum propri della sentenza impugnata, procedendo alla liquidazione del danno.

Nell'ipotesi di annullamento ai soli effetti civili della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell'omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale - la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 574 c.p.p., comma 4, - deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull'azione civile, sicché questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull'an da quella sul quantum (Cass. n. 15182/2017; Cass. n. 22570/2018).

Viene così valorizzato, in primo luogo, il fondamento dell'impostazione, nuova rispetto alla tradizione, adottata dal legislatore del 1988 ed orientata verso l'evidente valorizzazione dell'autonomia della giurisdizione civile rispetto a quella penale, specificandosi ancora che il contenuto del giudizio di rinvio non può essere compresso e/o ridotto dal giudice remittente in contrasto con il dettato normativo: il remittente indicherà al giudice del rinvio quel che ancora deve essere accertato, ma non potrà vietargli di pervenire alla decisione conclusiva sulla domanda civile, poiché l'art. 622 c.p.p. non gli attribuisce il potere di imporre a chi ha esercitato l'azione civile in sede penale in modo completo - e quindi non chiedendo soltanto una condanna generica - una obbligatoria scissione della decisione sull'an da quella sul quantum, costringendolo ad un processo ulteriore, e quindi ad un - incostituzionale, perché di per sé non necessario incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto.

La morfologia del giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., comma 3, ricostruita in termini di autonomia strutturale e funzionale rispetto al processo penale ormai conclusosi, consente di ritenere legittima, oltre alla possibilità di formulazione di nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche l'emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sia pur nei limiti del sistema generale delle preclusioni fissato dall'art. 183 c.p.c., alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 12310/2015).

Osservazioni

E' noto che il sindacato della Corte di cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia: nella prima ipotesi, infatti, egli è tenuto soltanto a uniformarsi, ai sensi dell'art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda, invece, la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carena o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice del merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. n. 5418/1994; Cass. n. 12839/1992).

Pertanto, quando il giudizio penale si conclude perché il giudice di legittimità annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile oppure accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato (ricorso in tal caso proposto soltanto, è ovvio, dalla parte civile) - così si esprime il legislatore nell'art. 622 c.p.p. - la rimessione al giudice civile quale giudice di rinvio significa inevitabilmente conferirgli la cognizione di tutto quanto ancora non è stato deciso con pronuncia passata in giudicato a proposito della domanda civile che la parte civile aveva inserito nel giudizio penale.

Non sussiste, quindi, una scissione paragonabile a quella dell'ipotesi di rimessione ex art. 539 c.p.p.: quel che residua della regiudicanda come riguardante la domanda civile viene tutto convogliato davanti "al giudice civile competente per valore in grado di appello. E, anche se il giudizio è di rinvio, il suo contenuto non può essere compresso e/o ridotto dal giudice remittente in contrasto con il dettato normativo. Il giudice remittente indicherà al giudice del rinvio quel che ancora deve essere accertato, ma non potrà vietargli di pervenire alla decisione conclusiva sulla domanda civile, poiché l'art. 622 c.p.p. non gli attribuisce il potere di imporre a chi ha esercitato l'azione civile in sede penale in modo completo - e quindi non chiedendo soltanto una condanna generica - una obbligatoria scissione della decisione sull'an da quella sul quantum, costringendolo ad un processo ulteriore, e quindi a un - incostituzionale, perché di per sé non necessario incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto.

Né, peraltro, è sostenibile che il danneggiato assuma una nuova posizione o apporti addirittura del novum qualora chieda anche il quantum: a parte, appunto, l'ipotesi in cui si sia costituito parte civile per ottenere solo una condanna generica, esercitando l'azione civile nell'ambito del giudizio penale persegue la completa tutela del suo diritto esattamente come l'avrebbe potuta perseguire in sede civile, con l'unica eccezione - giustificata dalla insufficienza probatoria della fattispecie di cui all'art. 539 c.p.p. (specchio che riflette l'ipotesi dell'art. 278 c.p.c., con la differenza che il giudice penale deferisce ad altro giudice, quello civile, la seconda fase accertatoria), non applicabile nel giudizio di legittimità, dove sussiste una norma specifica, che è appunto l'art. 622 c.p.p.

E tantomeno non può sostenersi l'esistenza di una lesione del diritto di difesa della controparte del danneggiato, essendo stata anch'essa parte nel giudizio penale in cui il danneggiato ha - in toto, si ripete, tranne espressa sua limitazione alla condanna generica - esercitato l'azione ed essendo quindi stata ritualmente posta nelle condizioni di difendersi dall'integrale domanda della parte civile.

Si è dunque al cospetto, giusta il disposto dell'art. 622 c.p.p. così correttamente interpretato, di una sostanziale, definitiva ed integrale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all'assetto del giudizio di rinvio la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia della Cassazione, atteso che la funzione di tale pronuncia, al di là della restituzione dell'azione civile all'organo giudiziario a cui essa naturaliter appartiene, è limitata a quella di operare un trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile, essendo propriamente rimessa in discussione la res in iudicium deducta, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del "fatto" (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro.

Riferimenti
  • Agnino, Giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. ed accertamento del nesso causale secondo la regola del più probabile che non, in www.ridare.it;
  • Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, 1166.
  • Paolucci, Le sezioni unite penali su annullamento della sentenza ai soli effetti civili: il rinvio al giudice civile e le regole applicabili, in www.foronews.it;

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