Composizione negoziata della crisi d'impresa o negoziazione per la rigenerazione d'impresa?

Angelo Monoriti
12 Maggio 2022

La composizione della crisi non è una procedura giudiziale o amministrativa, ma un “incontro” per il reciproco apprendimento di informazioni. L'esperto è un mediatore che agevola la negoziazione delle parti alla ricerca di soluzioni utili per combinare gli interessi in gioco. La normativa non prevede che le parti siano assistite da un avvocato, ma l'assistenza delle parti richiederà un'apposita formazione.
Il D.L. 118/2021 e la composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa

Con il D.L. 118/2021 (conv., con modificazioni in L. 147/21) è stata prevista la facoltà per l'imprenditore commerciale e agricolo “che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza” (art. 2, comma 1, D.L. 118/2021) di chiedere alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competente, la nomina di un “esperto indipendente” che “agevola le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati” (art. 2, comma 2, D.L. 118/2021). L'istanza di nomina dell'esperto indipendente è presentata tramite la piattaforma telematica appositamente istituita e gestita dalle Camere di Commercio, per il tramite di Unioncamere, mediante la compilazione di un modello, ivi disponibile (art. 5, comma 1, D.L. 118/2021). Il fine dell'attività richiesta all'esperto indipendente è quello “di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1 [i.e. le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza], anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa” (art. 2, comma 2, D.L. 118/2021).

È previsto espressamente che l'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore (art. 4, comma 6, D.L. 118/2021). Il decreto dirigenziale del Ministero della giustizia adottato in attuazione della normativa in questione il 28 settembre 2021 (di seguito, per brevità, il “Decreto del Ministero della Giustizia”) e che contiene, alla Sezione III, un apposito Protocollo di conduzione della composizione negoziata, ribadisce e precisa, all'art. 8.1, che: “L'esperto agevola le trattative tra l'imprenditore, i creditori e gli altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa, in funzione di consentire all'impresa di rimanere sul mercato”. Emerge subito chiaramente, quindi, che l'esperto è un terzo indipendente rispetto a tutte le parti, ivi compreso l'imprenditore (art. 4, comma 2, D.L. 118/2021): quindi non assiste e non rappresenta né l'imprenditore, né le altre parti, ma ha semplicemente il compito di facilitare la negoziazione e stimolare gli accordi. In sostanza, come previsto dal Decreto del Ministero della Giustizia (Sez. III, art. 8.2), l'esperto “coadiuva le parti nella comunicazione, nella comprensione dei problemi e degli interessi di ciascuna”. L'esperto opera, dunque, in modo professionale, riservato, imparziale e indipendente (art. 4, comma 2, D.L. 118/2021). La nomina dell'esperto può avvenire quando “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa” (art. 2, comma 1, D.L. 118/2021). Al riguardo, sulla piattaforma telematica (art. 3, commi 1 e 2, D.L. 118/2021), oltre ad un protocollo di conduzione della composizione negoziata (il contenuto è stato definito dal Decreto del Ministero della Giustizia), è reso disponibile un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, nonché una lista di controllo particolareggiata con le indicazioni operative per la redazione, da parte dell'imprenditore, del piano di risanamento.

Il piano di risanamento, redatto dall'imprenditore prima o durante la composizione negoziata, dovrà poi essere sottoposto ad una analisi di coerenza da parte dell'esperto proprio sulla base della suddetta lista di controllo (Decreto del Ministero della Giustizia - Sez. III, art. 4.1). L'esperto dovrà essere scelto fra gli iscritti in un apposito elenco tenuto dalla Camera di commercio (art. 3, comma 3, D.L. 118/2021); iscrizione che è subordinata al possesso della specifica formazione prevista dal Decreto del Ministero della Giustizia (art. 3, comma 4, D.L. 118/2021). L'esperto, accettato l'incarico, dovrà convocare senza indugio l'imprenditore – il quale dovrà partecipare personalmente e potrà farsi assistere da consulenti – per valutare, come sopra anticipato, l'esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, e ciò anche alla luce delle informazioni assunte dall'organo di controllo e dal revisore legale. All'esito delle proprie valutazioni, qualora le prospettive di risanamento risultassero concrete, l'esperto potrà procedere ad incontrare (con cadenza periodica ravvicinata) le altre parti interessate e a prospettare le possibili strategie di intervento (art. 5, comma 5, D.L. 118/2021). E così, in particolare, verificate come concrete le prospettive di risanamento dell'impresa, in qualsiasi sua forma, anche indiretta, l'esperto, insieme all'imprenditore dovrà:

  • individuare le parti con le quali è opportuno che vengano intraprese le trattative;
  • individuare gli interessi della singola parte al raggiungimento di un accordo; interessi che potranno poi meglio emergere nel corso della composizione negoziata (Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, artt. 5.1 – 5.4).

La normativa in questione menziona dunque espressamente quale “oggetto” del percorso negoziale, non i diritti soggettivi, ma gli interessi che, come noto, costituiscono l'unità di misura su cui poggia ogni effettiva negoziazione. E così, dopo il riferimento agli interessi, viene introdotto un altro concetto “centrale” nella scienza della negoziazione, quello che misura la “forza negoziale” e, quindi, anche la convenienza a procedere verso un accordo piuttosto che verso un'altra soluzione. Esso è rappresentato dal “valore” delle alternative disponibili rispetto al raggiungimento di un accordo: il c.d. BATNA (Best Alternative to a Negotiated Agreement). La corretta identificazione ed analisi delle “alternative” consente agli interessati di “visualizzare” i propri interessi sotto una luce “reale” in termini di possibilità di soddisfacimento. Secondo le previsioni in questione, infatti, occorre tener conto (Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 5.2.1-5.2.4) che:

  • l'interesse della singola parte è commisurato alle conseguenze derivanti su di essa dal venir meno della continuità aziendale dell'impresa;
  • l'interesse della singola parte dipende anche dalla misura di soddisfacimento dei diritti di credito realizzabile in caso di liquidazione dei beni (anche attraverso il concordato preventivo semplificato) o nelle alternative concretamente praticabili (per esempio, fallimento, amministrazione straordinaria), tenuto anche conto delle eventuali garanzie collaterali rilasciate;
  • l'interesse della singola parte al risanamento può derivare da conseguenze sui rapporti di credito o economici con terze parti (ad esempio, il rischio dell'estensione della crisi ad altre società del gruppo con le quali sono in essere rapporti di credito o economici che ne sarebbero pregiudicati);
  • l'interesse della singola parte può dipendere dalle conseguenze derivanti da una procedura concorsuale in capo all'imprenditore (ad esempio, responsabilità per la concessione di credito, conseguenze derivanti dalle garanzie concesse e da azioni revocatorie fallimentari di atti posti in essere).

Sempre con riferimento alla valutazione delle “alternative” rispetto all'accordo, il Decreto del Ministero della Giustizia (Sez. III - Protocollo di conduzione della composizione negoziata) prevede espressamente che l'esperto debba “ricordare” ai creditori che, qualora l'imprenditore richiedesse misure protettive o cautelari nei loro confronti, questi ultimi non potranno, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti, né provocarne la risoluzione, né potranno anticiparne la scadenza o modificarli in danno del debitore per il solo fatto del mancato pagamento dei crediti preesistenti (par. 8.10). Inoltre, sempre riguardo alla valutazione della “migliore alternativa” per il creditore è espressamente previsto che, in qualunque momento risulti utile per le trattative, l'esperto potrà procedere alla stima delle risorse derivanti dalla liquidazione dell'intero patrimonio o di parti di esso (le stime, peraltro, potrebbero occorrere ai fini del parere previsto in caso di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio). Al riguardo, infatti, è proprio il Decreto del Ministero della Giustizia (par. 13) a precisare espressamente che “La stima servirà anche a consentire alle parti, con le quali sono in essere le trattative, di valutare le utilità che deriverebbero dalla liquidazione, nel rispetto dell'ordine delle prelazioni, sulla base dell'elenco dei creditori depositato ai sensi dell'art. 5, comma 3, lett. c”. Fermo restando quanto sopra, e tenuto conto del fatto che – come si dirà più diffusamente in seguito – non c'è una “procedura” stabilita per legge per svolgere la “composizione negoziata”, saranno le parti stesse (con il supporto dell'esperto) a dover “negoziare” il processo negoziale (chi? come? dove? quando?). Al riguardo, infatti, il legislatore si è limitato a porre solo alcuni principi generali di comportamento, quali quelli di seguito indicati:

  • l'imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 4, comma 5, D.L. 118/2021);
  • le parti, dal canto loro, hanno il dovere di: (i) comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 4, comma 4, D.L. 118/2021); (ii) collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto (art. 4, comma 7, D.L. 118/2021).

È inoltre previsto che:

  • le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato (art. 4, comma 6, D.L. 118/2021).
  • tutte le parti, più in generale, hanno l'obbligo di dare riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata (art. 4, comma 7, D.L. 118/2021).

Sempre per ciò che concerne il “processo negoziale” e, quindi, le modalità di “svolgimento delle trattative con le parti interessate”, il Decreto del Ministero della Giustizia (Sez. III - Protocollo di conduzione della composizione negoziata), pone ulteriori principi generali chiarendo semplicemente che gli incontri con le parti possono essere tenuti separatamente (soprattutto quando occorra tutelare la riservatezza delle informazioni) e che è opportuno, in particolare, che all'incontro con i creditori finanziari siano invitati contestualmente tutti gli istituti di credito e gli intermediari finanziari con i quali l'imprenditore abbia esposizioni pendenti (par. 8.7). Per il resto, come detto, la definizione del “processo negoziale” viene demandata alle parti e dovrà essere frutto di un accordo fra esse; un accordo che dovrà essere “agevolato” dall'intervento dell'esperto (che, in tal senso, come vedremo, svolge la funzione di “mediatore”). Come vedremo, una volta individuate parti e relativi interessi, l'imprenditore potrà individuare le proposte da formulare alle singole parti interessate. Al riguardo, il legislatore ha adottato un approccio – leggermente, ma non totalmente – “invasivo” della sfera dell'autonomia negoziale, producendo un “elenco” di proposte e soluzioni possibili cui l'imprenditore potrà fare riferimento per giungere ad un accordo con le altre parti. L'imprenditore, infatti, potrà avvalersi “liberamente” dello schema contenuto nell'All. 1 al Decreto del Ministero della Giustizia che contiene un'elencazione puramente esemplificativa di proposte da scegliere tenendo conto “della possibile rilevanza per la parte interessata delle utilità derivanti dalla continuità aziendale dell'impresa e delle conseguenze in caso di insolvenza”.

Le proposte dell'imprenditore dovranno essere strutturate ed articolate perseguendo quanto più possibile l'equilibrio tra i sacrifici richiesti a ciascuna parte, la proporzione al grado di esposizione al rischio e alle utilità derivanti dalla continuità aziendale dell'impresa (Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 5.4). La scelta del legislatore, dunque, è stata quella di “formare e istruire” le parti mettendo loro a disposizione alcune soluzioni (o, meglio un “esempio” delle ipotesi di accordo derivanti dai risultati dell'esperienza negoziale del passato) piuttosto che richiedendo alle parti, e a coloro che le “assistono”, di arrivare “preparati scientificamente” alla negoziazione a seguito di un apposito percorso di formazione (i.e. lo studio della scienza della negoziazione) e, quindi, dopo aver appreso non le soluzioni, ma il “metodo” per “ingegnerizzare le soluzioni”. Da quanto sopra si evince ancora una volta chiaramente che – trattandosi di una negoziazione fra l'imprenditore, da una parte, e i creditori o eventuali terzi, dall'altra – saranno l'imprenditore e le altre parti a dover individuare le proposte concrete da formulare alle altre parti interessate. Pertanto, il compito dell'esperto sarà semplicemente quello di “stimolare la formulazione” delle proposte stesse. Tale circostanza, del resto, è espressamente confermata dal Decreto del Ministero della giustizia (Sez. III - Protocollo di conduzione della composizione negoziata) laddove è previsto, infatti che:

  • l'esperto, nella prospettiva della individuazione di una delle soluzioni previste dall'art. 11 D.L. 118/2021, “stimola” la formulazione di proposte concrete da parte dell'imprenditore e delle parti interessate (par. 9.1);
  • nello “stimolare” la formulazione di proposte, l'esperto rappresenta l'esigenza che esse assicurino l'equilibrio tra i sacrifici richiesti alle singole parti, in modo quanto più possibile proporzionato al grado di esposizione al rischio di ciascuna di essa e alle utilità loro derivanti dalla continuità aziendale dell'impresa (par. 9.2).

Ai sensi dell'art. 6 D.L. 118/2021 l'imprenditore potrà chiedere, con l'istanza di nomina dell'esperto o con successiva istanza presentata all'esperto tramite la piattaforma telematica, l'applicazione di misure protettive del patrimonio. Detta istanza dovrà essere pubblicata nel registro delle imprese unitamente all'accettazione dell'esperto. Dal giorno della pubblicazione, i creditori non potranno acquisire diritti di prelazione se non concordati con l'imprenditore né potranno iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa. Non sono inibiti i pagamenti (art. 6, comma 1, D.L. 118/2021). Dalle misure protettive sono esclusi i diritti di credito dei lavoratori (art. 6, comma 3, D.L. 118/2021). Dal giorno della pubblicazione dell'istanza e fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, non potrà essere pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza (art. 6, comma 4, del D.L. 118/2021). I creditori interessati dalle misure protettive non potranno, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né potranno anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell'istanza di applicazione delle misure protettive (art. 6, comma 5, del D.L. 118/2021). Nel caso in cui l'imprenditore formuli la suddetta istanza relativa alle misure protettive, dovrà poi chiederne la conferma o la modifica e, ove occorre, l'adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative con ricorso presentato lo stesso giorno al tribunale competente ai sensi dell' art. 9 l. fall. (art. 7, comma 1, D.L. 118/2021). Nel corso delle trattative l'imprenditore conserverà la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa. Al riguardo, tuttavia, l'art. 9, comma 1, D.L. 118/2021 distingue la condotta dell'imprenditore – in termini di “tutela” degli interessi coinvolti – a seconda che l'impresa sia in crisi, oppure in stato di insolvenza reversibile. E così, infatti, l'imprenditore in stato di crisi dovrà gestire l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività. Mentre quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente, ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso dovrà gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori. Restano ferme le responsabilità dell'imprenditore (art. 9, comma 1, D.L. 118/2021). L'imprenditore informerà preventivamente l'esperto, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione, nonché dell'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento (art. 9, comma 2, D.L. 118/2021). L'esperto, quando ritiene che l'atto possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo dovrà segnalare per iscritto all'imprenditore e all'organo di controllo (art. 9, comma 3, D.L. 118/2021). Se, nonostante la segnalazione, l'atto venisse compiuto, l'imprenditore ne dovrà informare immediatamente l'esperto il quale, nei successivi dieci giorni, potrà iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese. Qualora l'atto compiuto pregiudicasse gli interessi dei creditori, l'iscrizione diverrebbe obbligatoria.

Qualora siano state concesse misure protettive o cautelari, l'esperto, iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese, dovrà procedere alla segnalazione al giudice (v. art. 7, comma 6, del D.L. 118/2021) ai fini della revoca delle misure in questione. Su richiesta dell'imprenditore, il Tribunale può autorizzare il compimento di alcuni atti quali (i) l'ottenimento di finanziamenti prededucibili e (ii) il trasferimento in qualunque forma dell'azienda o di uno o più dei suoi rami. Proprio con riferimento al trasferimento dell'azienda, all'art. 10 del D.L. 118/2021 è previsto, in particolare, che il Tribunale può “[…] autorizzare l'imprenditore a trasferire in qualunque forma l'azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all' art. 2560, secondo comma, c.c. dettando le misure ritenute più opportune tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti; resta fermo l'art. 2112 c.c.”. L'esperto – in coerenza con il suo ruolo di “mediatore” - può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2 (Art. 10, comma 2, D.L. 118/2021). Al riguardo, nel Decreto del Ministero della Giustizia (Sez. III, art. 11.1) è peraltro previsto che: “In presenza di contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2 e la rideterminazione del contenuto, termini o modalità delle prestazioni contrattuali è opportuna per assicurare la continuità aziendale ed agevolare il risanamento dell'impresa, l'esperto convoca uno o più incontri nei quali le parti possano sviluppare opzioni diverse e discutere delle possibili ipotesi di soluzione, cercando, per quanto possibile, di evitare il ricorso al tribunale, avendo altresì cura di richiedere alle parti se, nel caso di insuccesso della rinegoziazione, acconsentono a che l'esito delle trattative e le motivazione del mancato accoglimento delle proposte vengano riferiti al tribunale. È opportuno che tale richiesta venga formulata sin nel primo incontro e che degli incontri venga redatto un sintetico verbale come precisato al punto 8.5.”. In mancanza di accordo fra le parti è il Tribunale a poter rideterminare equamente le condizioni del contratto, su domanda dell'imprenditore, acquisito il parere dell'esperto (v. Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 11.2) e tenuto conto delle ragioni dell'altro contraente: il tutto per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile per assicurare la continuità aziendale. In caso di accoglimento della domanda il tribunale assicura l'equilibrio tra le prestazioni anche stabilendo la corresponsione di un indennizzo. Quanto sopra non si applica alle prestazioni oggetto di contratti di lavoro dipendente (art. 10, comma 2, D.L. 118/2021).

Ai sensi dell'art. 11, comma 1, D.L. 118/2021 quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione “di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”, le parti possono, alternativamente:

  1. concludere un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all'art. 14 D.L. 118/2021 – e, cioè, l'ottenimento di alcune “misure premiali” con riferimento ai debiti tributari dell'imprenditore – se, secondo la relazione dell'esperto di cui all'art. 5, comma 8, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
  2. concludere una convenzione di moratoria ai sensi dell'art. 182-octies l. fall.;
  3. concludere un accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori e dall'esperto che produce gli effetti di cui all' art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall., senza necessità dell'attestazione prevista dal medesimo articolo.

Il comma 2 dell'art. 11 D.L. 118/2021 prevede, poi, che l'imprenditore potrà, all'esito delle trattative, domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 182-bis, 182-septies e 182-novies l. fall. e che la percentuale di cui all'articolo 182-septies, secondo comma, lett. c), si considererà ridotta al 60 per cento se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto. Infine, il comma 3 del medesimo art. 11 D.L. 118/2021, stabilisce che l'imprenditore può, in alternativa:

  1. predisporre il piano attestato di risanamento di cui all' art. 67, terzo comma, lettera d), l. fall.;
  2. all'esito delle trattative, proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'art. 18 D.L. 118/2021;
  3. accedere ad una delle procedure disciplinate dalla l. fall., dal D.Lgs. 270/1999 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza), o dal D.L. 347/2003, conv. con modificazioni in L. 39/2004 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza)e, per le imprese agricole, alle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti o di liquidazione dei beni disciplinate dagli artt. 7 e 14-ter L. 3/2012.

Per ciò che concerne la “conservazione degli effetti” degli atti compiuti durante la composizione negoziata, l'art. 12 D.L. 118/2021 prevede, in particolare, che:

  • gli atti autorizzati dal tribunale (ai sensi dell'art. 10 D.L. 118/2021) conservano i propri effetti se successivamente intervengono a) un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, b) un concordato preventivo omologato, c) il fallimento, d) la liquidazione coatta amministrativa, e) l'amministrazione straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'art. 18 D.L. 118/2021;
  • non sono soggetti all'azione revocatoria (di cui all'art. 67, comma 2, l. fall.), gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti;
  • gli atti di straordinaria amministrazione e i pagamenti effettuati nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli artt. 66 e 67 l. fall. se, in relazione ad essi, l'esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese o se il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell'art. 10 D.L. 118/2021.

Nei casi di cui sopra, resta comunque ferma la responsabilità dell'imprenditore per gli atti compiuti (art. 12, comma 4, D.L. 118/2021). Quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui sopra non sono praticabili, l'imprenditore può presentare una proposta di concordato “semplificato” per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione. La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi (art. 18, comma 1, D.L. 118/2021). Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, può omologare il concordato con decreto motivato immediatamente esecutivo quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore (art. 18, comma 5, D.L. 118/2021). Fermo restando quanto sopra, l'incarico dell'esperto si considererà comunque concluso se, decorsi centottanta giorni dall'accettazione della nomina, le parti non avranno individuato, anche a seguito di sua proposta, una soluzione adeguata per il superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza dell'imprenditore (art. 5, comma 7, D.L. 118/2021). L'incarico può tuttavia proseguire, per non oltre 180 giorni:

  1. quando tutte le parti lo richiedono e l'esperto vi acconsente; oppure
  2. quando la prosecuzione dell'incarico è resa necessaria dal ricorso dell'imprenditore al tribunale per ottenere le misure protettive e cautelari di cui all'art. 7 D.L. 118/2021 oppure per ottenere l'autorizzazione al compimento di alcuni atti ai sensi dell'art. 10 D.L. 118/2021.

Al termine dell'incarico l'esperto dovrà redigere una relazione finale da inserire nella piattaforma e da comunicare all'imprenditore e, in caso di concessione delle misure protettive e cautelari, al giudice che le ha emesse, che ne dichiarerà cessati gli effetti (art. 5, comma 8, D.L. 118/2021). In caso di archiviazione dell'istanza, l'imprenditore non potrà presentare una nuova istanza prima di un anno dall'archiviazione stessa (art. 5, comma 8-ter, D.L. 118/2021).

La natura e le caratteristiche della composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa. Una negoziazione per la rigenerazione dell'impresa

La “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa” non è una procedura esecutiva e/o concorsuale e non è una procedura autoritativa. Il patrimonio dell'imprenditore non viene sottratto alla sua libera disponibilità e non viene gestito o sottoposto al controllo di alcuna autorità e/o organo della “procedura”. Come sopra evidenziato, peraltro, non vi è una “sequenza di atti procedimentali” (pre)stabilita dalla legge al fine di giungere a regolare il rapporto fra un soggetto e il complesso dei suoi creditori, né un'autorità pubblica che dirige o controlla in maniera diretta lo svolgimento di tali atti. Pertanto, pur essendo divenuta oggetto di “attenzione” da parte del legislatore, la “composizione negoziata” resta pur sempre uno “spazio libero” riservato all'autonomia negoziale e, contestualmente, un “tempo” disponibile per consentire il dispiegarsi di una negoziazione fra le parti. La “composizione negoziata” non può quindi essere considerata e/o equiparata ad alcun tipo di procedura legale – giudiziale o amministrativa – sia essa con finalità esecutivo-satisfattive (come il fallimento) o meramente satisfattive (come il concordato preventivo) ovvero estintive (come la liquidazione coatta amministrativa) o, infine, riorganizzativo-recuperatorie (come l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza).

Con riferimento, poi, alla disciplina degli accordi di ristrutturazione, occorre evidenziare, innanzitutto, che le modalità di svolgimento dell'attività negoziale (ovvero, che dir si voglia, le “trattative” per giungere all'accordo) non sono oggetto di “attenzione” da parte del legislatore, fatta eccezione per la previsione relativa al divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive che l'imprenditore può ottenere “anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo”: la disciplina degli accordi di ristrutturazione è dunque incentrata sull'accordo intervenuto e sui suoi effetti e non sulle modalità di negoziazione dell'accordo stesso (cfr. artt. 182-bis ss., l. fall.). Tanto è vero che, interpretando “all'inverso” il comma 2 dell'art. 11 D.L. 118/2021 (laddove è previsto che la “composizione negoziata della crisi di impresa” può portare alla conclusione di un “accordo di ristrutturazione”), si potrebbe dire che la disciplina della “composizione negoziata della crisi di impresa” fornisce un minimo di regolamentazione alle “trattative” prodromiche alla conclusione – fra gli altri, anche – degli “accordi di ristrutturazione” (o, meglio, regola una fra le modalità con cui possono essere svolte tali trattative). In secondo luogo, gli accordi di ristrutturazione di per sé - pur evidentemente frutto, come detto, di una libera attività negoziale svolta in sede stragiudiziale - prevedono l'intervento di un'autorità pubblica (omologazione da parte del Tribunale) e hanno una finalità che tende – in via diretta – alla soddisfazione del credito. Nel caso della “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa” la prospettiva è diversa. La finalità non è quella di organizzare una procedura autoritativa volta ad ottenere decisioni concernenti l'accertamento e la soddisfazione di diritti di credito ovvero quella di suggellare accordi volti a soddisfare diritti di credito, quanto piuttosto quella, più ampia, di dare una – necessariamente minima – “regolamentazione” all'autonomia negoziale delle parti in modo da fornire alle parti stesse un “supporto” allo svolgimento delle trattative; supporto rappresentato non solo dall'intervento “agevolativo” dell'esperto indipendente (nella funzione di “mediatore”), ma anche dalla disponibilità di un lasso di tempo in cui la “forza negoziale” fra le parti viene “rimessa” in equilibrio attraverso la concessione delle misure protettive. Il tutto al fine di consentire alle parti stesse di comporre da sé i propri interessi – patrimoniali e non patrimoniali – attraverso il mezzo dell'accordo (piuttosto che con il mezzo della decisione). In tal senso, si potrebbe dire che – nonostante sia stato scelto di denominarla “composizione negoziata della crisi di impresa” (lasciando forse troppo intendere la finalità di risolvere una controversia già delimitata sul piano giuridico fra situazioni giuridiche soggettive, fra diritti soggettivi e obblighi, fra creditori e debitore) – la disciplina in questione avrebbe potuto forse meglio denominarsi “negoziazione per la rigenerazione di impresa” al fine di meglio esprimere la finalità di comporre il conflitto (anche potenziale) fra le parti attraverso la combinazione dei loro interessi. Del resto, se ai creditori è automaticamente impedito (almeno per un certo tempo) di azionare i propri diritti soggettivi – vista la possibilità per l'imprenditore di ottenere sin dalla istanza di avvio le c.d. misure protettive – è evidente che, durante la composizione negoziata, la centralità della discussione si dovrà necessariamente spostare dai diritti soggettivi agli interessi delle parti (patrimoniali e non).

Insomma, sguardo al futuro e ricerca di potenziali soluzioni al problema basate sugli interessi di tutti, piuttosto che sguardo al passato e ricerca di responsabilità da azionare giuridicamente. Sotto altro profilo, poi, è bene ribadire che la procedura - e, cioè, la “sequenza” di atti da compiere per lo svolgimento della “composizione negoziata della crisi d'impresa” - non è stabilita dalla legge, ma è lasciata nella disponibilità delle parti. Infatti, non trattandosi di una procedura concorsuale (giudiziale o amministrativa), ma – pur sempre – di uno “spazio di libera negoziazione”, le regole procedurali statali sono state (e non potrebbero che essere) ridotte da legislatore al minimo indispensabile con la conseguenza che, correttamente, la sequenza di atti da compiere per portare a compimento la negoziazione deve essere essa stessa oggetto di negoziazione (è bene infatti ricordare che la negoziazione è un sistema informale di risoluzione dei conflitti in cui sono le parti a dover mantenere il controllo sulla “procedura che porta all'accordo”). In sostanza le parti dovranno svolgere (con il supporto dell'esperto-mediatore) non una, ma due negoziazioni: in primo luogo, quella per definire la procedura che porta all'accordo (processo) e, in secondo luogo, quella sui contenuti dell'accordo (sostanza). Saranno, dunque, le parti stesse a dover definire e concordare – prima di tutto e con il supporto dell'esperto indipendente – il c.d. “processo negoziale”. La “genericità”, sul punto, delle previsioni del D.L. 118/2021 (così come conv. in L. 147/2021) e dei decreti ministeriali attuativi – di seguito riportate - conferma, dunque, che dovranno essere le parti – così come del resto accade in ogni negoziazione condotta scientificamente e professionalmente - a dover concordare, prima di tutto, gli elementi della “sequenza” e, quindi, gli elementi che costituiscono risposta alle seguenti domande fondamentali: chi? Come? Dove? Quando?

  • Chi? - Prima di fissare gli incontri e di avviare la negoziazione “l'esperto, con l'imprenditore, individua le parti con le quali è opportuno che vengano intraprese le trattative” (v. Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 5.2); “Se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete l'esperto incontra le altre parti interessate al processo di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento …” (art. 5, comma 5, D.L. 118/2021);
  • Come? - “Gli incontri con le parti possono essere tenuti separatamente. È in particolare opportuno che siano tenuti separatamente quando occorra tutelare la riservatezza delle informazioni” (v. Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 8.7); “Le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato” (art. 4, comma 6 D.L. 118/2021). “Tutte le parti, più in generale, hanno l'obbligo di dare riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata” (art. 4, comma 7, D.L. 118/2021). “[…] All'incontro con i creditori finanziari devono essere invitati contestualmente tutti gli istituti di credito e gli intermediari finanziari con i quali l'imprenditore abbia esposizioni pendenti (v. Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. III, art. 8.7);
  • Dove? - Non vi è alcuna previsione che indichi “dove” le parti coinvolte si debbano incontrare. Questo, dunque, dovrà essere oggetto di “negoziazione” fra le parti con la “mediazione” dell'esperto.
  • Quando? - “Se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete l'esperto incontra le altre parti interessate al processo di risanamento … fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata” (art. 5, comma 5, D.L. 118/2021).

Da quanto sopra si evince, dunque, che la disciplina della “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa” si colloca un passo indietro rispetto alla normativa che variamente prevede l'intervento dell'autorità statale nei meccanismi di soluzione del conflitto (anche potenziale) derivante dalla crisi d'impresa ovvero rispetto alla (tradizionale) normativa che tende a risolvere il conflitto attraverso un sistema di ordine imposto. In altre parole, la disciplina della “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa” intende supportare le parti per farle addivenire da sé alla dissoluzione del conflitto, non attraverso regole giuridiche prestabilite e l'intervento di un potere autoritativo esterno, ma attraverso la stessa “interazione” che lo ha generato: non è, dunque, come detto, un sistema che conduce verso un “ordine imposto”, ma un sistema che stimola le stesse parti al raggiungimento di un “ordine negoziato” (Cfr. G. Cosi, L'Accordo e la decisione Modelli culturali di gestione dei conflitti, Milano, 2017, p. 114 ss.; A. Monoriti, Dall'ordine imposto, all'ordine negoziato, in Ratio Juris, marzo 2021).

La composizione negoziata della crisi di impresa. Fra diritti soggettivi e interessi

Come noto, il patrimonio dell'imprenditore costituisce la garanzia generica (art. 2470 c.c.) dei crediti vantati dai creditori dell'imprenditore stesso. Vi è dunque uno specifico interesse dell'imprenditore a mantenere il proprio patrimonio in equilibrio e uno specifico interesse dei creditori a che il patrimonio dell'imprenditore rimanga sempre sufficiente a soddisfare per intero i debiti dell'impresa. Si tratta di interessi convergenti. Come noto, negoziare non significa fare “accordi” (l'accordo non è il fine, ma il mezzo): il fine è quello di “comporre interessi” generando le soluzioni in grado di soddisfarli. Affrontare una crisi di impresa attraverso una negoziazione significa, dunque, – richiamando i principi cardine della scienza della negoziazione (cfr. A. Monoriti – R. Gabellini, NegoziAzione - Il Manuale dell'interazione umana, Giuffrè, 2018) – avviare un percorso di “apprendimento” per generare soluzioni in grado di soddisfare gli interessi dei soggetti coinvolti: debitore, creditori e “altri soggetti interessati”. Al contrario, affrontare una crisi di impresa attraverso il sistema del diritto, richiede di lavorare con qualcosa di più certo degli interessi e, cioè, con i diritti soggettivi. I diritti soggettivi sono interessi categorizzati e tutelati dall'ordinamento giuridico. In questo caso, l'interesse categorizzato dall'ordinamento (e, quindi, tutelato) è quello del creditore di “riavere ciò che ha dato all'imprenditore”. Pertanto, se adottiamo il punto di vista del diritto, vedremo che esiste una situazione giuridica soggettiva attiva attribuita al creditore che questi ha il potere di azionare: il diritto di credito. E, all'opposto, esiste una situazione giuridica soggettiva passiva per il debitore: l'obbligazione. Queste due situazioni giuridiche soggettive (una attiva e una passiva) non sono certamente convergenti. È la logica del diritto. Il conflitto è risolto attribuendo ragione all'uno e non all'altro. Uno “vince”, l'altro “perde”. E sarà un terzo (il giudice) ad accertare chi ha ragione; chi ha diritto. Il diritto risolve i conflitti con la decisione di un terzo.

Al contrario, l'accordo non è la decisione di un terzo. È la decisione delle parti. La logica sottostante ad una negoziazione non è quella dell'opposizione fra situazioni giuridiche soggettive (quella è la logica del diritto), ma quella del componimento degli interessi; interessi che, a differenza delle situazioni giuridiche soggettive, possono combinarsi non solo quando sono convergenti, ma anche quando sono divergenti (si pensi ad una semplice compravendita, resa possibile proprio dalla “divergenza” degli interessi delle parti). Ad ogni modo, pensando al rapporto fra imprenditore e creditori è evidente che l'interesse principale di entrambe le parti è convergente. L'interesse comune, del resto, è quello di (trovare soluzioni per) recuperare ed incrementare il patrimonio del debitore/imprenditore in modo da far sì che lo stesso risulti sufficiente per lo svolgimento dell'attività di impresa e, allo stesso tempo, per soddisfare i creditori. La composizione negoziata della crisi di impresa dovrebbe, quindi, perseguire uno specifico interesse (comune) e, cioè, quello al ripristino dell'equilibrio finanziario ed al salvataggio dell'impresa. Il salvataggio dell'impresa non implica necessariamente il salvataggio dell'imprenditore: si pensi al caso in cui si giunga ad una conversione dei crediti in capitale, una soluzione che può consentire ai creditori di ottenere il controllo dell'impresa dall'interno e può portare anche all'estromissione del gruppo di comando. In questo senso, dunque, può rafforzarsi l'idea di una negoziazione per la “rigenerazione” dell'impresa. Orbene, si stima che in Italia i creditori chirografari ricevano solitamente - all'esito delle procedure autoritative basate sul principio della par condicio e sullo strumento della decisione - meno del 20% di quanto loro spetterebbe.

Quindi, come acutamente notato in dottrina, si potrebbe dire che le procedure legali collettive “più che comportare una soddisfazione proporzionale, determinano una ripartizione paritetica delle perdite” (v. M. Cian (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Torino, 2016, p. 159). Pertanto, nell'affrontare una “composizione negoziata della crisi di impresa” non è corretto – sul piano scientifico – disporsi nell'ottica di chiedere e cercare di ottenere tutela ad un proprio diritto soggettivo (di credito). Questa prospettiva può – e deve – essere fatta valere in una eventuale sede successiva e, cioè, quella nella quale potranno confrontarsi, appunto, situazioni giuridiche soggettive (diritto) e non quello dove invece si dovranno confrontare “interessi” (negoziazione). Del resto, come detto, nell'ambito di una “composizione negoziata”, non si tratta di ottenere una decisione (di un terzo), ma comporre gli interessi per raggiungere un accordo. E, come noto, la logica da utilizzare per addivenire ad un accordo è completamente diversa dalla logica da utilizzare per addivenire ad una decisione (cfr. G. Cosi, L'accordo e la decisione. Modelli culturali di gestione dei conflitti, Torino, 2017). Negoziare (anche una cosa complessa come la “crisi d'impresa”) significa contribuire – insieme agli altri soggetti coinvolti nel conflitto – all' “ingegnerizzazione” di soluzioni in grado di soddisfare gli interessi in gioco e, quindi, sostanzialmente quello di tentare di recuperare ed incrementare il patrimonio dell'imprenditore. Pertanto, sebbene questo possa risultare controintuitivo rispetto alla classica prospettiva del giurista, nel contesto della “composizione negoziata” un creditore non dovrà comportarsi da titolare di un diritto di credito, ma da interessato al recupero di un patrimonio (che peraltro costituisce la sua garanzia patrimoniale) e dovrà, quindi, supportare l'imprenditore a (trovare soluzioni per) soddisfare un interesse (peraltro, comune): non si tratterà dunque di attaccare il debitore o difendersi per ottenere il soddisfacimento ad un diritto proprio. Non è quella la sede. Per la tutela dei diritti soggettivi vi sono sedi diverse. Del resto, è lo stesso legislatore a mutuare dalla scienza della negoziazione e a positivizzare la necessità, in sede di “composizione negoziata” di un approccio diverso da quello “avversariale” e competitivo tipico del metodo del diritto; un approccio che potremmo definire non “buonistico”, ma, scientificamente, cooperativo.

È lo stesso art. 4, comma 7, D.L. 118/2021, infatti, a prevedere – quale specifico obbligo giuridico – quello di “collaborare con l'imprenditore” e, così, testualmente: “Tutte le parti coinvolte nelle trattative hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto e rispettano l'obbligo di riservatezza sulla situazione dell'imprenditore…”.Ciò posto è evidente che, come si dirà, in assenza di una specifica sanzione, ma soprattutto in assenza di una formazione specifica in capo a coloro che assistono le parti, tale obbligo giuridico rischia di rimanere lettera morta e di divenire “opaco” dietro alla rivendicazione di un diritto soggettivo. Pertanto, come vedremo, solo l'acquisizione di una competenza specifica in materia di scienza della negoziazione (anche) da parte di chi assiste i soggetti coinvolti in una crisi di impresa, potrà rendere effettivo l'obbligo di collaborazione di cui sopra (senza necessità di sanzioni).

Il ruolo dell'esperto come “mediatore” della crisi d'impresa

Guardando alla normativa in esame, nonchè ai contenuti della formazione dell'esperto indipendente, emerge chiaramente che l'esperto non è un consulente di parte a supporto dell'imprenditore o dei creditori, né un consulente tecnico ausiliario di un giudice. È chiaro, infatti, che, rispetto al conflitto (potenziale o in essere) derivante dalla crisi d'impresa, l'esperto non è un negoziatore (non essendo una parte e non dovendo perseguire e soddisfare gli interessi di alcuna delle parti), ma un mediatore. Si tratta, quindi, di una figura assimilabile a quella, tipica, già disciplinata con riferimento alle controversie civili e commerciali dal D.Lgs. 28/2010.Proprio il D.Lgs. 28/2010, del resto, definisce la mediazione come “l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”. Si conferma qui – in altri termini – un concetto fondamentale e, cioè, che una mediazione non è nient'altro che una “negoziazione fra due o più parti” agevolata da un mediatore. Orbene, il ruolo dell'esperto indipendente quale mediatore è evincibile proprio dai riferimenti testuali del D.L. 118/2021 laddove è previsto che:

  • “l'esperto indipendente … agevola le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati…” (art. 2, comma 2);
  • “l'esperto opera in modo professionale, riservato, imparziale e indipendente…” (art. 4, comma 2);
  • “l'esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2” (Art. 10, comma 2, D.L. 118/2021).

Lo stesso Decreto del Ministero della Giustizia (Sez. III - Protocollo di conduzione della composizione negoziata) conferma, poi, la qualifica dell'esperto indipendente quale “mediatore” laddove prevede, in particolare, che:

  • “L'esperto è terzo rispetto a tutte le parti, imprenditore compreso. Non lo assiste, né si sostituisce alle parti nell'esercizio dell'autonomia privata ma ha il compito di facilitare le trattative e stimolare gli accordi. Coadiuva le parti nella comunicazione, nella comprensione dei problemi e degli interessi di ciascuna” (art. 8.2);
  • “[…] l'esperto, nella prospettiva della individuazione di una delle soluzioni previste dall'articolo 11, stimola la formulazione di proposte concrete da parte dell'imprenditore e delle parti interessate. Le proposte e le soluzioni da esaminare potranno essere anche più di una (art. 9.1);
  • “Nello stimolare la formulazione di proposte, l'esperto rappresenta l'esigenza che esse assicurino l'equilibrio tra i sacrifici richiesti alle singole parti, in modo quanto più possibile proporzionato al grado di esposizione al rischio di ciascuna di essa e alle utilità loro derivanti dalla continuità aziendale dell'impresa” (art. 9.2).

Il ruolo dell'esperto quale “mediatore” è confermato infine anche da quelle previsioni del Decreto del Ministero della giustizia che si occupano della formazione dell'esperto laddove:

  • si fa espresso riferimento al “ruolo dell'esperto indipendente quale facilitatore e coordinatore fra tutti i soggetti interessati…”.
  • si precisa espressamente che il docente abilitato ad erogare il modulo di formazione denominato “gestione delle trattative con le parti interessate. Facilitazione della comunicazione e della composizione consensuale: il ruolo dell'esperto e le competenze” deve avere, oltre che competenze in materia in diritto dell'impresa e dei contratti commerciali o della crisi d'impresa, anche “i requisiti previsti dall'art. 18 D.M. 180/2010 per i formatori teorici e pratici in materia di mediazione…”.

Proprio alla luce di quanto sopra (e, cioè del ruolo dell'esperto quale facilitatore e “coordinatore” fra i soggetti interessati) deve essere dunque letta la specifica formazione richiesta all'esperto indipendente in materia negoziale. Non si tratta di una formazione necessaria per “negoziare” in proprio o nell'interesse di un proprio assistito, ma di una formazione “negoziale” per comprendere ed agevolare una negoziazione altrui: quella dei soggetti interessati. Pertanto, anche la richiesta di una formazione in materia di “negoziazione” è perfettamente coerente con la qualificazione dell'esperto, non come negoziatore (non essendo esso stesso una parte interessata all'accordo), ma, appunto, come mediatore rispetto ad una negoziazione altrui. In altri termini è possibile affermare che l'esperto deve formarsi attraverso lo studio della “scienza della negoziazione” non per negoziare i propri interessi, ma per svolgere la funzione del mediatore agevolando una negoziazione altrui, cioè quella delle parti coinvolte.

Come noto, del resto, anche se svolge la funzione del mediatore, l'esperto indipendente – come tutti i mediatori – non è colui “che trova la soluzione in mezzo”, ma è colui “che sta in mezzo” e, quindi, in altre parole, un facilitatore di una negoziazione che si dovrà svolgere fra altri soggetti. In dettaglio, basti considerare che il modulo denominato “gestione delle trattative con le parti interessate. Facilitazione della comunicazione e della composizione consensuale: il ruolo dell'esperto e le competenze”è suddiviso in due sessioni (una teorica avente ad oggetto tematiche quali: i) la fase della preparazione e ii) la gestione delle trattative - I e II parte; e una pratica che prevede un iii) laboratorio sui casi e apprendimento delle tecniche (v. Decreto del Ministero della Giustizia, Sez. IV – La Formazione degli esperti) e che nell'ambito di tale modulo è richiesta espressamente la formazione dell'esperto in ordine ai concetti-chiave oggetto delle c.d. tre dimensioni della scienza della negoziazione: processo negoziale, relazione e sostanza (cfr. A. Monoriti – R. Gabellini, NegoziAzione - Il Manuale dell'interazione umana, Giuffrè, 2018, p. 104).

In un'ottica sistematica, infatti, è possibile catalogare i contenuti su cui è richiesta una specifica preparazione dell'esperto proprio nell'ambito delle suddette tre aree e così, in particolare:

per ciò che concerne il processo negoziale (Chi? Come? Dove? Quando?):

  • L'individuazione delle parti astrattamente interessate;
  • La fase del contatto individuale: a) preparazione del colloquio e scelta delle modalità; b) individuazione dei soggetti potenzialmente interessati, programmazione degli incontri, condivisione dell'agenda con le parti;
  • La fase degli incontri bi- e multilaterali: a) quando, dove, come; b) modalità di gestione;

per ciò che concerne la relazione (Percezioni, emozioni, comunicazione):

  • Ascolto, empowerment e tecniche di gestione dei colloqui;
  • Dialogo strategico: le tecniche adeguate alla natura delle parti interessate;
  • Conoscenza e comprensione delle tecniche di negoziazione collaborativa multiparte ai fini della buona riuscita della facilitazione;
  • Trasformare le relazioni: dal problema alle potenzialità di risanamento;
  • Distorsioni cognitive e relazionali: come evitare e superare le impasse (bias);
  • La gestione degli interessi puramente pecuniari e di quelli di natura diversa;
  • Coaching relazionale in condizione di neutralità: favorire le condizioni per la creazione di un tavolo collaborativo;

per ciò che concerne la sostanza (Interessi):

  • Analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza;
  • Esplorazione degli interessi di ciascuna parte e studio delle opzioni per una soluzione concordata di risanamento;
  • Creazione di maggior valore per tutte le parti interessate;
  • La gestione degli interessi puramente pecuniari e di quelli di natura diversa.

A quanto sopra, come detto, si aggiunge, poi, una formazione pratica nell'ambito di un apposito “laboratorio sui casi e apprendimento delle tecniche” che avrà ad oggetto:

  • La presentazione di casi studio e divisione dei ruoli;
  • Avvio della simulazione: elaborazione dell'agenda;
  • Setting degli incontri singoli e/o di gruppo;
  • Gestione della trattativa.

Quanto sopra conferma chiaramente la volontà del legislatore di richiedere all'esperto indipendente non solo un'adeguata competenza tecnica con riferimento alla crisi di impresa(cioè quella già acquisita e prevista quale requisito per l'iscrizione all'elenco tenuto presso la Camera di Commercio dall'art. 3, comma 3, D.L. 118/2021, nonché quella da acquisire appositamente nell'ambito della formazione obbligatoria),ma anche un approccio scientifico basato sugli interessi e non sui diritti soggettivi; un approccio che richiede lo studio dei principi oggetto della moderna scienza della negoziazione. Ed è proprio questo approccio scientifico dell'esperto indipendente che risulterà fondamentale per provare a “condurre” le parti a giocare non un gioco competitivo, ma un gioco cooperativo. Giova ribadire, infatti, che la volontà del legislatore di richiedere un approccio cooperativo (diverso da quello “avversariale” e competitivo tipico del metodo del diritto) appare evidente nelle previsioni dell'art. 4 D.L. 118/2021 laddove è previsto, fra l'altro che: “Tutte le parti coinvolte nelle trattative hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto e rispettano l'obbligo di riservatezza sulla situazione dell'imprenditore…”(art. 4, comma 7, D.L. 118/2021).

La composizione negoziata della crisi di impresa come un processo di reciproco apprendimento di informazioni agevolato da un mediatore

Dalla semplice analisi del D.L. 118/2021 si evince che la scelta del legislatore – attraverso l'introduzione della figura dell'esperto che agevola le trattative – sia stata quella di identificare come possibile luogo di composizione stragiudiziale della crisi d'impresa non tanto una negoziazione diretta fra le parti, quanto una negoziazione agevolata, appunto, da una figura che svolge una funzione analoga a quella del mediatore. Come noto, del resto, una negoziazione diretta può diventare mediazionequando nel processo di composizione degli interessi interviene un terzo non in funzione di giudice, ma in funzione di facilitatore. Quest'ultimo non si sostituisce alle parti nella risoluzione del conflitto, non adotta una decisione e non assegna una vittoria o una sconfitta (come farebbe un giudice): egli mantiene aperta ed agevola la comunicazione fra le parti, le aiuta a scandire le fasi dei loro incontri e le guida per far trovare loro le migliori soluzioni al problema comune. Sono sempre le parti, dunque, protagoniste di una mediazione (non certo il mediatore, né coloro che dovessero assistere le parti). E sono sempre le parti a mantenere il controllo sulla gestione del conflitto.

La mediazione, del resto, non è nient'altro che una negoziazione fra le parti (anche se assistite) guidata dal mediatore. In tale ottica, si comprende bene che, anche in una mediazione, le parti dovranno continuare ad essere presenti e a comunicare sempre con il loro linguaggio (quello degli interessi); un linguaggio che non può dunque trasformarsi nel linguaggio tecnico-giuridico degli avvocati (quello dei diritti soggettivi). Eventuali professionisti che assistano le parti – ai lati del mediatore – non dovranno sostituirle o rappresentarle, ma dovranno unicamente assisterle. E per “assistere” le parti in una mediazione, non occorre imparare a mediare (questa è un'attività riservata al mediatore), ma occorre imparare a negoziare e, cioè, apprendere gli interessi di entrambe le parti e combinarli per generare soluzioni al problema comune anche al di là del thema decidendum che si pone sul piano giuridico. La preparazione tecnico-professionale di chi assiste una parte in mediazione (i.e. nell'ambito della composizione negoziata) dovrà, dunque, essere basata sullo studio della scienza della negoziazione (D. T. Malhotra – M. H. Bazerman, Negotiation Genius, Harvard Business School, 2007, p. 19: “Under the false assumption that negotiation is “all art and no science” most people fail to prepare adequately for negotiation). E a ben vedere è proprio questo il senso di quanto affermato dalla suprema Corte di Cassazione con la propria pronuncia Cass. 27 marzo 2019 n. 8473. Riferendosi all'avvenuta introduzione nel nostro ordinamento - ad opera del D. Lgs. 28/2010 (come novellato nel 2013) - della presenza necessaria dell'avvocato in mediazione, la Corte ha infatti chiarito che l'efficacia di questo strumento – la mediazione, appunto – richiede la“… progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l'acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”. È quindi chiaro che, se per affrontare un processo-giudizio o una procedura esecutiva/concorsuale (e, quindi, per ottenere una decisione) ci vuole un avvocato che rappresenti la parte (cioè la escluda dal procedimento) e che sappia parlare il linguaggio della decisione, per affrontare una mediazione (e, quindi, per ottenere un accordo) ci vuole un professionista “… esperto in tecniche negoziali che assiste la parte nella procedura di mediazione ...”; un professionista, cioè, che sappia far utilizzare alla parte il linguaggio dell'accordo.

Non è dunque sufficiente che questo professionista abbia acquisito il titolo di avvocato sulla base di una preparazione tecnico-giuridica, ma è necessario che abbia (anche) una solida preparazione scientifica in materia di negoziazione. Pertanto, sebbene il D.L. 118/2021 (a differenza del D.Lgs. 28/2010) non imponga la presenza dell'avvocato nella composizione negoziata delle crisi di impresa in realtà ciò che è – e dovrebbe, anzi, essere esplicitamente – richiesto dalla legge è che qualunque professionista che “assiste” la parte abbia una specifica preparazione professionale di tipo tecnico-negoziale, prima ancora che una preparazione professionale di tipo tecnico-giuridico. La presenza di una preparazione di base di tipo tecnico-giuridico potrà comunque indubbiamente rappresentare un plus soprattutto quando si tratterà di formalizzare gli accordi raggiunti in un testo compatibile con la metarealtà dell'ordinamento giuridico. Si tratta, in sostanza, della stessa figura professionale nuova cui si riferisce la Cassazione con riferimento alla mediazione richiedendosi, appunto, che l'avvocato o, comunque, colui che assiste la parte – a seguito di apposito processo di formazione universitaria o post-universitaria – sia divenuto (anche) un negoziatore ovvero un professionista dotato di speciale competenza in scienza della negoziazione. Ciò posto, è ancora più facile comprendere che la composizione negoziata è esattamente una negoziazione multilaterale agevolata da un mediatore e, cioè, allo stesso tempo, uno spazio ed un tempo organizzato per l'apprendimento di informazioni concernenti gli interessi e delle emozioni delle parti e finalizzato alla combinazione degli stessi e alla generazione di soluzioni utili al raggiungimento del miglior risultato di gruppo.

Le parti coinvolte non giudicano, non “parlano per attaccare”, ma “ascoltano per apprendere”; per poi “ingegnerizzare” soluzioni volte a risolvere il problema più grande comune a tutte la parti: quello, cioè, di tentare di recuperare e/o incrementare la garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio dell'impresa. In sede di composizione negoziata l'obiettivo non dovrebbe essere (così come non può essere) quello di massimizzare il profitto per sé (nel breve termine) – minacciando o azionando un diritto soggettivo – ma quello di (tentare) di recuperare e/o incrementare il patrimonio del debitore, massimizzando così il valore per sé e, al contempo, quello per il gruppo (preferibilmente nel lungo termine). Parallelamente, il compito di coloro che assistono le parti sarà – non certo, come detto, quello di invocare diritti soggettivi, ovvero quello di “attaccare” o “difendersi” (per vincere o perdere) – ma (ii) quello di “riaprire” o mantenere aperta la comunicazione fra le parti, (ii) quello di supportarle per la definizione del percorso che le porterà all'accordo (chi? come? dove? quando?) e, infine, (iii) quello di ingegnerizzare una soluzione al (più grande) problema comune attraverso il confronto fra i rispettivi interessi. Essi non dovranno sostituire le parti, ma porsi a “loro fianco” e dovranno collaborare fra loro al fine di consentire alle stesse parti di dissolvere il conflitto (anche potenziale) derivante dalla crisi di impresa. Ed ecco, dunque, perché lo studio della scienza della negoziazione diverrà fondamentale non solo per l'esperto, ma soprattutto per coloro che assisteranno le parti in una composizione negoziata della crisi di impresa: proprio questi ultimi, infatti, dovranno essere preparati professionalmente ad un'attività tecnico-negoziale di reciproco apprendimento di informazioni e, cioè, ad un'attività prodromica al rinvenimento di soluzioni in grado di creare valore per l'intera collettività di riferimento.

Del resto, il programma di studio della scienza della negoziazione – che dovrebbe essere, come detto, il bagaglio di preparazione di chi assiste le parti in una negoziazione - si snoda su tre capitoli fondamentali: processo negoziale, relazione e sostanza (Cfr. A. Monoriti – R. Gabellini, NegoziAzione - Il Manuale dell'interazione umana, Giuffrè, 2018). In definitiva, cambia totalmente la logica (da competitiva a cooperativa) della formazione e dell'interazione fra questi professionisti. Mentre nella logica del diritto e della decisione pensiamo sempre ad un solo professionista (avvocato) contro un solo professionista (avvocato) che si preparano separatamente per vincere l'uno sull'altro, in una negoziazione occorre pensare a due professionisti (negoziatori) che apprendono insieme l'uno dall'altro al fine di supportare le parti fino al raggiungimento dell'accordo. È la coppia di negoziatori che, interagendo, diviene in grado di supportare le parti per la (dis)soluzione del problema. E quello che deve essere “dissolto”, ripetesi, è il problema più grande. E cioè, il problema comune che si delinea non guardando al passato per individuare le responsabilità e, quindi, le pretese giuridiche delle parti, ma guardando al futuro attraverso la comprensione degli interessi e delle emozioni delle parti stesse. Solo sulla base di questi presupposti di preparazione professionale si potrà arrivare scientificamente ad un accordo, ricordando sempre che un accordo ha una valenza costituzionale poiché dovrà servire di fatto a governare i futuri rapporti fra le parti. Le parti saranno i padri costituenti del loro futuro rapporto e i negoziatori dovranno supportarli a (ri)scrivere la loro costituzione.

Un nuovo servizio professionale per chi assiste le parti: l'analisi del quadro negoziale

Come sopra anticipato, il professionista che opera nel contesto della composizione negoziata non sostituisce la parte, ma la assiste mettendosi al suo fianco; questa assistenza si sostanzia nel supportare la parte stessa a “mettersi nei panni degli altri” per rilevarne gli interessi al di là delle pretese giuridiche avanzate. Il professionista deve dunque preparare negozialmente non solo sé stesso, ma anche la parte che assiste; non può limitarsi a valutare le ragioni del proprio cliente, i suoi diritti; non può solo selezionare informazioni, ma deve ampliare il raggio delle informazioni disponibili. Il ruolo del professionista è centrale per condurre il cliente ad acquisire piena consapevolezza non solo dei propri reali interessi, ma anche degli interessi dell'altra parte. Ricordiamo sempre che il servizio professionale offerto alla parte è – e deve essere funzionale - alla ricerca di un accordo, non di una decisione. E per poter identificare gli spazi per un accordo occorre comprendere non solo cosa c'è nella testa del proprio cliente, ma anche cosa c'è nella testa dell'altra parte e, cioè, quali sono i reali motivi del loro agire (i loro reciproci interessi): proprio quelli che in diritto non sono rilevanti.Ma vediamo meglio questo percorso logico.

A fronte alla rappresentazione dei fatti offerta dal proprio cliente, un professionista non potrà limitarsi a identificare la posizione di quest'ultimo (what?), ma dovrà analizzare la controversia dal punto di vista dell'altra parte. A tal fine dovrà raccogliere più informazioni possibili al fine – in particolare – di identificare i reali interessi (why?) non solo del proprio cliente, ma anche quelli dell'altra parte. Questa attività di intelligence informativaconsentirà al professionista di uscire dall'oggetto della controversia (il c.d. thema decidendum) e così trovare soluzioni utili per risolvere il conflitto in maniera più ampia (c.d. “allargamento della torta”). Il tutto, come già precisato, con lo sguardo rivolto non al passato (per attribuire responsabilità), ma al futuro (per risolvere il problema più grande che coinvolge entrambe le parti). Inoltre, sempre in fase di preparazione, il professionista dovrebbe essere in grado di determinare quello che sopra abbiamo indicato come il c.d. BATNA (Best alternative to a negotiated agreement) di ciascuna parte. È il parametro per determinare non solo se - e fino a che punto - sia conveniente accettare il contenuto di quel dato accordo, ma anche la forza negoziale di ciascuna parte. La forza negoziale di ciascuna parte non dipende, infatti, né dalla sua ricchezza, né dalla sua reputazione, ma essenzialmente dalla sua migliore alternativa all'accordo. Ed è il rapporto relativo fra i BATNA delle parti che indica il rapporto di forza in quella data negoziazione. In questo senso, considerato che nella maggioranza dei casi la miglior alternativa di una parte (o di entrambe) è il processo-giudizio, un professionista che ha già una competenza tecnico-giuridica (come l'avvocato) sarà avvantaggiato poiché, tenendo conto della percentuale di vittoria/soccombenza, della durata presumibile del processo e delle spese del giudizio, sarà meglio in grado di determinare il valore del BATNA. Al riguardo, peraltro, occorre ricordare che, nel caso della composizione negoziata, sarà l'esperto a poter fornire utili informazioni per la determinazione del c.d. BATNA posto che – come previsto dalla normativa in esame (v. Decreto del Ministero della Giustizia – Sez. III) e come già sopra evidenziato – quest'ultimo potrà in qualunque momento procedere alla stima delle risorse derivanti dalla liquidazione dell'intero patrimonio o di parti di esso; stima che come evidenziato proprio da Decreto del Ministero della Giustizia “[…] servirà anche a consentire alle parti, con le quali sono in essere le trattative, di valutare le utilità che deriverebbero dalla liquidazione, nel rispetto dell'ordine delle prelazioni, sulla base dell'elenco dei creditori depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c)”.

Una volta determinati gli interessi delle parti e il BATNA, sarà possibile determinare anche le possibili opzioni/soluzioni, i relativi punti di resistenza e le zone di possibile accordo. Le valutazioni di cui sopra richiedono una preparazione specifica e, quindi, possono essere oggetto di un servizio professionale che ha un valore tecnico-scientifico ed economico. Per dare valore tangibile a questo servizio professionale è opportuno che lo stesso si concretizzi nella preparazione di un documento; un documento analogo – sul piano negoziale – a quelli che per i tecnici del diritto sono il parere e l'atto giudiziario. Al professionista occorrerà quindi richiedere di cristallizzare le suddette informazioni in un documento scritto da predisporsi in fase di preparazione della composizione negoziata per poi aggiornarle man mano che – anche nel corso della stessa negoziazione – si raccolgano maggiori informazioni.A tal fine, lo strumento che il professionista dovrà saper predisporre – che non è certo una diffida o un atto giudiziario, né, tantomeno, un parere legale – può essere definito come: l'analisi del quadro negoziale (sull'analisi del quadro negoziale v. W. Ury, Getting Past No - Negotiating in difficult situation, 2007, Appendix; A. Monoriti – R. Gabellini, NegoziAzione - Il Manuale dell'interazione umana, Giuffrè, 2018, p. 143). Uno schema esemplificativo utile per la predisposizione di tale documento è riportato nell'Allegato 1. L'analisi del quadro negoziale è dunque un documento scritto – da predisporre e condividere con il proprio cliente in via preventiva – da cui emergono gli elementi salienti del conflitto in essere. Prima di presentarsi in composizione negoziata, dunque, il professionista dovrebbe predisporre e condividere con il proprio cliente una compiuta analisi del quadro negoziale. Va da sé che la predisposizione di tale documento richiederà una specifica preparazione che, come detto, potrà essere acquisita attraverso apposita formazione universitaria e/o approfondita attraverso una formazione post-universitaria. E tale attività – avente specifico valore e contenuto professionale – andrà certamente retribuita dal cliente che potrà appunto disporre di una compiuta analisi in grado di supportarlo nelle scelte negoziali che andrà a compiere.

Da tutto quanto sopra discendono importanti conseguenze:

  • nell'ambito della composizione negoziata, ai lati dell'esperto (mediatore), dovrà richiedersi la presenza di “figure professionali nuove” e, cioè, di professionisti che – indipendentemente dall'aver acquisito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato – abbiano studiato anche scienza della negoziazione;
  • siccome a tali figure professionali dovrebbe richiedersi lo studio di una materia diversa dal diritto – quale è la scienza della negoziazione – è evidente che questa scienza dovrebbe essere introdotta e diventare centrale nel nostro sistema universitario. È bene nuovamente ricordare, del resto, che la stessa Cassazione, riferendosi all'“…acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”,ha definitivamente chiarito che la preparazione professionale di chi risolve conflitti in mediazione non deve essere incentrata sulla capacità di confronto fra diritti soggettivi (diritto), ma anche sulla capacità scientifica di confronto degli interessi (negoziazione). Il legislatore dovrebbe – prima o poi – prendere atto di ciò, e dare finalmente attuazione a quanto sopra prevedendo espressamente che lo studio della scienza della negoziazione divenga materia obbligatoria nelle nostre università.

Analisi del quadro negoziale

POSIZIONI DELLE PARTI

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

POSIZIONI

1.

1.

1.

INTERESSI (COMBINAZIONE - INCASTRO)

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

INTERESSI

1.

1.

1.

(COMBINAZIONE – INCASTRO)

2.

2.

2.

3.

3.

3.

QUESTIONI DA TRATTARE (ISSUES)

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

ISSUES

1.

2.

BATNA

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

POSIZIONI

1.

1.

1.

BATNA (BEST ALTENTATIVE TO A NEGOTIATED AGREEEMENT)

1.

1.

1.

PUNTO/I DI RESISTENZA

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

PUNTO/I DI RESISTENZA

1.

1.

1.

ZONA/E DI POSSIBILE ACCORDO

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

ZONA/E DI POSSIBILE ACCORDO

OPZIONI

INTERESSE (A)

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

1. …

1. …

1. …

Possibili Opzioni/Clausole

INTERESSE (B)

TIZIO

CAIO

SEMPRONIO

2. …

2. …

2. …

Possibili Opzioni/Clausole

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