“A volte ritornano”: i danni da emotrasfusione del 1963. Termine di prescrizione e obblighi di vigilanza

Alessandro Benni de Sena
12 Maggio 2022

Il problema dei danni da infezione da emotrasfusione si propone di frequente nella pratica e pone almeno due questioni: il termine di prescrizione (dato lo iato tra trasfusione e scoperta dell'infezione) e l'individuazione di specifici obblighi di controllo e protezione in capo al Ministero della Salute all'epoca dei fatti. La particolarità del caso risiede nel fatto che la trasfusione avvenne nel 1963.

La Suprema Corte si pronunzia, in realtà, solo sulla questione, che risulterà assorbente la prima.

Solo dal 1° gennaio 1968 con l'entrata in vigore della l. n. 592/1967 (e considerati i tempi di adeguamento) si possono individuare obblighi di cautela, la cui violazione integra un'omissione colposa nella vigilanza e nel controllo da parte del Ministero.

Tizia evoca in giudizio il Ministero della Salute e l'Azienda Ospedaliera di Napoli per ottenere il risarcimento dei danni (iure proprio e iure successionis) conseguenti all'infezione da HCV che aveva colpito il marito a causa di un'emotrasfusione risalente al 1963.

Deduceva che l'epatite cronica correlata ad HCV era stata diagnostica nel 1996, confermata nel 2001.

Il marito era deceduto nel 2008 e l'INPS gli riconosceva l'invalidità civile.

Tizia assumeva che proprio in occasione di questa procedura di accertamento dell'invalidità civile aveva avuto conoscenza che il coniuge aveva contratto l'infezione in occasione della trasfusione del 1963.

Il Tribunale riconosce la responsabilità del Ministero, rigetta l'eccezione di prescrizione della domanda e condanna al risarcimento del danno.

La Corte d'Appello in riforma della sentenza riconosce la prescrizione quinquennale dell'azione iure hereditatis, in quanto, proprio in forza degli esami diagnostici condotti nel 1996, doveva ritenersi la conoscenza e la consapevolezza della epatopatia contratta (data anche l'ormai acquisita conoscenza a partire dagli anni '90 che le trasfusioni di sangue negli anni '60, '70 e '80 erano facile via di infezione).

Quanto al risarcimento del danno iure proprio, il termine di prescrizione decennale non era spirato, poiché decorreva dal decesso del coniuge nel 2008.

Tuttavia, all'epoca di fatti (1963) non vi erano test diagnostici idonei a rilevare il virus dell'epatite C.

Dunque, non era ipotizzabile una condotta doverosa, omessa la quale, si potesse configurare una responsabile (omissiva idonea ad evitare il danno. Consegue che nel 1963, fermo il nesso eziologico (tra la trasfusione e l'infezione), non era individuabile l'elemento soggettivo della colpa, necessario per affermare la responsabilità civile.

La Cassazione è chiamata a pronunciarsi su due motivi di ricorso:

  1. il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto l'infezione a seguito di emotrasfusione tra conoscenza e conoscibilità del fatto. In particolare, occorre domandarsi se sia richiesta la conoscenza non della semplice malattia contratta, ma del nesso di causa ossia della conoscenza del legame tra la malattia e l'emotrasfusione.
  2. l'individuazione dell'obbligo normativo di vigilanza e protezione per l'emotrasfusione avvenuta nel 1963. È necessario individuare la fonte normativa che imponeva l'obbligo di porre in essere condotte volte ad evitare la trasmissione di malattie tramite la emotrasfusione. Tale obbligo poteva rinvenirsi in leggi speciali (come avvenuto successivamente) o anche nel principio generale di diligenza e di solidarietà sociale?

La Suprema Corte, invero, non si pronuncia sul primo motivo, molto interessante, ritenendo assorbente il secondo.

In effetti, se si esclude un elemento costitutivo della responsabilità aquiliana (la colpevolezza nel caso di specie) è chiaro che diviene superfluo interrogarsi sul termine di prescrizione.

Tuttavia, sul termine di prescrizione è noto il dibattito e la delicatezza della prova e non ci si può esimere da un rapido accenno.

Ricordiamo, ad esempio, che «la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all'art. 4 l. n. 210/1992, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa)» (Cass. n. 576/2008).

Più di recente sul danno cd. lungolatente, «in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ai fini dell'individuazione dell"exordium praescriptionis", una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, l'esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione, anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle "praesumptiones de praesumpto". (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva desunto la prova della pregressa conoscenza o conoscibilità della causa della malattia dalle seguenti circostanze: la scoperta della malattia, la mancata allegazione di altri fattori di rischio diversi dalla trasfusione, la lettera di dimissioni consegnata al paziente, la conoscenza della correlazione tra HVC e trasfusioni al momento della diagnosi della malattia)» Cass. n. 10190/2022, n. 17421/2019 e n. 12182/2021.

Come anticipato, tuttavia, la Suprema Corte ritiene assorbente il secondo motivo, che rigetta: escludendosi l'individuazione di una violazione colposa all'epoca dei fatti (1963), non è possibile affermare la responsabilità per danni.

Indubbiamente, la particolarità della statuizione risiede nel caso concreto risalente nel tempo: occorre distinguere l'elemento oggettivo dell'illecito (dato dal nesso di causa), dall'elemento soggettivo della colpevolezza (dato nella specie dall'omissione colposa).

La Suprema Corte ricorda come per le emotrasfusioni anteriori al 1978 (quando fu disponibile il test diagnostico contro il virus HBV) la stessa Corte aveva riconosciuto la responsabilità del Ministero, poiché già dalla fine degli anni '60 era noto il rischio di infezione, rilevabile indirettamente con i test di funzionalità epatica mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell'anti HbcAg.

In effetti, il Ministero della Salute aveva attivi poteri derivanti dalla legislazione in allora vigente (l. n. 592/1967; d.P.R. n. 1256/1971; l. n. 519/1973; l. n. 833/1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.

«In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, non sussistono eventi autonomi e diversi ma solo manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo, sicché anche prima dell'anno 1978, in cui il virus dell'epatite B fu definitivamente identificato in sede scientifica, con conseguente scoperta dei mezzi di prevedibilità delle relative infezioni, è configurabile la responsabilità del Ministero della salute per l'omissione dei controlli in materia di raccolta e distribuzione del sangue per uso terapeutico e sull'idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione, già consentiti dalle conoscenze mediche e dai dati scientifici del tempo (Fattispecie relativa a trasfusioni eseguite nell'anno 1976)» (Cass. n. 18520/2018, n. 2232/2016, con ampi riferimenti giurisprudenziali e normativi si veda Cass. n. 2790/2019).

Però nel caso di specie, risalente al 1963, si poneva la questione di individuare la precisa fonte normativa introduttiva di specifici obblighi di vigilanza e controllo idonei a fondare un dovere di cautela la cui violazione fosse fonte di responsabilità civile per omissione colposa.

Così, la Suprema Corte esclude che la l. n. 296/1958 istitutiva del Ministero della Salute fosse idonea allo scopo, in quanto si limitava a prevedere norme di carattere organizzativo dei servizi pubblici e non di controllo sulle trasfusioni.

Solo la l. n. 592/1967 a prevedere specifiche attribuzioni al Ministero di raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano.

Pertanto, secondo la Cassazione, solo a partire dalla pubblicazione della l. n. 592/1967 sono individuabili specifici obblighi di cautela la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale per omissione colposa da parte del Ministero della Salute. Aggiunge, singolarmente, la Suprema Corte che occorre considerare il lasso di tempo ragionevolmente richiesto per organizzarsi, per cui è possibile affermare la responsabilità del Ministero solo dal 1° gennaio 1968.

Conclude la Suprema Corte per il rigetto del motivo di cassazione, in quanto la ricorrente non aveva dimostrato che all'epoca dei fatti vi fosse la possibilità di testare e prevenire le infezioni.

Solo due brevi osservazioni:

  1. colpisce la giurisprudenza “creativa” della posticipazione dell'obbligo di vigilanza all'1.1.1968. La l. n. 592/1967, infatti, è del 14.7.1967 (pubblica in G.U. il 31 luglio), per cui non si vede la ragione per rinviarne gli effetti, in spregio alle regole positive di entrata in vigore di una legge, nonché del fatto che alla fine degli anni '60 è pacifico fosse noto il rischio di contagio, per cui l'obbligo di vigilanza doveva almeno essere coevo all'entrata in vigore della legge.
  2. la l. n. 296/1958, per quanto istitutiva ed organizzativa del Ministero della Salute, delinea i poteri e doveri di controllo per la salute pubblica.

Per quanto genericamente già l'art. di detta legge stabiliva che «è istituito il Ministero della sanità con il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica.

Per il conseguimento della finalità predetta spettano al Ministero della sanità le seguenti attribuzioni:

1) provvedere ai servizi sanitari attribuiti dalle leggi alle Amministrazioni civili dello Stato, ferme restando le attribuzioni delle Amministrazioni con ordinamento autonomo e quelle esercitate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale a mezzo dell'Ispettorato del lavoro;

2) sovraintendere ai servizi sanitari svolti dalle Amministrazioni autonome dello Stato e dagli Enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento, eventualmente necessario, per adeguare l'organizzazione e l'efficienza dei servizi stessi alle esigenze della salute pubblica;

3) emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le Amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari;

4) provvedere alla vigilanza tecnica sulle organizzazioni, enti e istituti che svolgano attività sanitaria e non rientrino tra quelli previsti dalle disposizioni precedenti.

Qualora la legge non disponga diversamente, i provvedimenti in materia di sanità rientrano nella competenza del Ministero della sanità».

Evidentemente non ci sono previsioni specifiche in materia di emotrasfusione, tuttavia, l'affermazione tranciante di assenza di un obbligo normativo di vigilanza e controllo lascia perplessi anche per casi più risalenti nel tempo, ossia al 1963.

Sarebbe stato più opportuno lasciare la verifica caso per caso se era già nota la problematica e le cautele che dovevano essere poste in essere.

In presenza di un'attività pericolosa di emotrasfusione (in generale sul profilo eziologico, Cass. n. 29766/2020, n. 5961/2016 e n. 582/2008) si potrebbe indagare e richiedere un grado di diligenza particolarmente rafforzato nella tutela della salute pubblica.

D'altra parte la ricorrente, riporta la sentenza annotata, parlava di conoscenze e di divieti a donare sangue a chi avesse valori alterati della funzionalità epatica della metà degli anni '60, dunque posteriori al 1963.

Pertanto, l'individuazione della data del 1.1.1968 risulta ancora più dubbia e si auspica possa essere rivista.

(Fonte: Diritto e Giustizia)